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ANALISI E VALUTAZIONE DI UN PROCESSO DI TURNAROUND: IL CASO PIRELLI

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

STRATEGIA MANAGEMENT & CONTROLLO

TESI DI LAUREA

ANALISI E VALUTAZIONE DI UN

PROCESSO DI TURNAROUND: IL CASO

PIRELLI

Relatore:

Prof. Luca Nannini

Candidato:

Niccolò Mattolini

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Ai miei genitori e i miei nonni, che mi hanno permesso, grazie ai loro sforzi, di realizzare le mie ambizioni.

A mio fratello Simone, che mi ha aiutato nel superare gli ostacoli più difficili.

Al professor Nannini, per la pazienza e la professionalità con cui mi ha guidato nella redazione della mia tesi di laurea.

Alla mia ragazza Bianca, che ogni giorno mi dà la forza per affrontare le sfide più dure.

A Lorenzo e Francesco, che mi hanno accompagnato lungo questo percorso di studi, e a tutti i miei amici, per me dei fratelli.

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Indice

Introduzione……….…..…..7

Capitolo 1: Definizione e cause della crisi 1.1 La definizione di crisi……….……….……...…9

1.2 Le cause della crisi……….…….…...……11

1.2.1 Crisi da inefficienza……….…..……..…15

1.2.2 Crisi da rigidità……….……….…..16

1.2.3 Crisi da decadimento del prodotto……….….………17

1.2.4 Crisi da squilibrio finanziario……….……18

1.2.5 Crisi da carenza di programmazione e di innovazione ...……20

1.3 Modelli di previsione della crisi……….….………..…20

1.3.1 Metodi basati su indici di bilancio………..…….21

1.3.2 Metodi basati sull’intuizione………...….…27

1.3.3 Metodi basati su modelli……….………..28

Capitolo 2: Il Processo di Turnaround 2.1 Cambiamento strategico, ristrutturazione e Turnaround……..……….…..34

2.2 Il Turnaround………..36

2.3 Tipologie e classificazioni generali di Turnaround……….…37

2.4 Il Piano di Risanamento……….…….38

2.5 Le Fasi……….………41

Capitolo 3: Il caso Pirelli 3.1 La storia di Pirelli………..……….……70

3.2 La vocazione internazionale di Pirelli………...………….……72

3.3 I due settori all’alba della crisi………...74

3.3.1 Il settore pneumatici………....74

3.3.2 Il settore cavi………...75

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Conclusioni……….………94

Bibliografia………..96

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7 Introduzione

Nell’attuale contesto economico parlare di crisi aziendale e delle problematiche connesse all’analisi delle soluzioni di tali crisi risulta un’attività vivace e controversa. Dopo anni in cui si dibatte su quelli che possono essere i driver competitivi, l’intero sistema economico e le imprese in primis si trovano catapultate in una nuova dimensione, talvolta surreale, in cui le forze critiche sembrano generate da entità soprannaturali, in quanto una volta trovata la soluzione e affiora un’altra crisi e gli effetti prodotti sono sempre più amplificati e diversificati.

Il fenomeno delle crisi aziendali ha cominciato a presentarsi ampio e denso di sfaccettature così da non rendere semplice né una sua definizione univoca né l’individuazione di variabili quantitative che possano offrire un preciso dimensionamento dello stesso. Come per l’essere umano in cui la prevenzione diventa un atto essenziale per ridurre gli effetti dovuti a determinati fattori di rischio, per il soggetto economico diventa di fondamentale importanza poter monitorare e prevenire l’insorgere dei problemi, soprattutto per attivare interventi immediati per limitare il propagarsi dell’” infezione”. Nella vicenda aziendale dunque si susseguono fasi positive e negative; è il procrastinarsi nel tempo di una situazione negative che conduce allo stato patologico che conosciamo con il nome di crisi e che si manifesta con pesanti squilibri di natura economica, patrimoniale e finanziaria, nonché organizzativa.

Partendo da queste premesse, il presente lavoro si sviluppa in tre capitoli con l’obbiettivo di analizzare, innanzitutto, le crisi d’impresa, passando poi per l’approfondimento delle diverse modalità di intervento, che compongono le strategie di risanamento, per riportare l’impresa alla creazione di nuovo valore, e finendo con lo studio di un caso pratico, ovvero del caso Pirelli.

Nello specifico, il primo capitolo presenta inizialmente un quadro teorico dottrinale del concetto di crisi, ripercorrendo l’evoluzione storica dello stesso, e successivamente presenta una classificazione delle possibili cause, interne ed esterne, ricavata dai principali studi in materia. Esso si chiude con una attenta analisi di alcuni possibili strumenti di previsione e prevenzione delle crisi. La questione che si pone è, in primo luogo, cosa debba intendersi per crisi, come possa essere prevista, misurata e soprattutto se e come possa essere risolta.

Nel secondo capitolo viene analizzato l’approccio strategico del risanamento, partendo non tanto dalla risoluzione delle problematiche createsi, ma piuttosto dal perseguimento

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e raggiungimento di un nuovo vantaggio competitivo, attraverso l’analisi e la valorizzazione delle risorse critiche e delle potenzialità inespresse. Le modalità di soluzione della crisi sono molteplici e fra queste il Turnaround o risanamento che, inteso come difesa e ricostruzione del valore dell’impresa e come realizzazione di un recupero sostenibile nel tempo della capacità di reddito aziendale, si trova davanti un mercato in crescita, nel numero di aziende in sofferenza, in insolvenza o in fallimento.

Il terzo ed ultimo capitolo, infine, si concentra sulla vicenda di Pirelli, presentando, inizialmente, la storia di questa grande azienda milanese, nata più di cento anni fa e divenuta nel corso degli anni un punto di riferimento nel settore degli pneumatici e dei cavi a livello mondiale; successivamente, vengono analizzate le principali cause che hanno portato la società, agli inizi degli anni novanta, ad una profonda crisi, per poi descrivere il processo di risanamento, in ottica strategica, attuato dall’amministratore delegato Marco Tronchetti Provera, intervenuto in ambito competitivo, organizzativo e di ristrutturazione finanziaria, analizzando i positivi effetti economici e contabili di tali interventi sui bilanci Pirelli.

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Capitolo 1: Definizione e cause della crisi

È nei momenti critici “che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze.” (A. Einstein)

1.1 La definizione di crisi

La crisi viene definita come "la manifestazione di una grave disfunzionalità operativa dovuta, in ultima analisi e per la gran parte dei casi, alla carenza di valori e di idee, alla squilibrata combinazione degli elementi del governo-imprenditorialità e managerialità.1 Essa rappresenta la situazione in cui si crea pericolo o instabilità a seguito di una modifica improvvisa e traumatica nella vita di un individuo o nella collettività. Gli effetti che questa situazione può provocare possono essere più o meno gravi o duraturi. Si tratta perciò di un momento in cui si è chiamati a fare delle scelte strategiche e strutturali per poter tornare ad una situazione di equilibrio. Non a caso l’etimologia della parola, che deriva dal greco

krisis, significa appunto scelta. E’ proprio in questi momenti che, da una situazione di

difficoltà, una scelta di profondo cambiamento, oltre che a farci uscire da questa situazione, può creare un’opportunità per apportare dei miglioramenti gestionali.2

Il termine crisi può essere utilizzato nei vari contesti: nei comportamenti umani, nella politica, riguardo la salute ecc. Nel presente lavoro analizzeremo la crisi a riguardo di situazioni che coinvolgono le aziende ed i sistemi di relazioni che queste creano.

L’azienda è “un istituto economico destinato a perdurare, che, per il soddisfacimento dei bisogni umani, ordina e svolge in continua coordinazione, la produzione, o il procacciamento e il consumo della ricchezza "3, e come tale si configura come un sistema istituito e governato con il fine di conseguire uno scopo comune.

È un’organizzazione di persone e di beni rivolta ad uno scopo produttivo. Con la sua attività caratteristica attua il sistema necessario della catena di valore che avrà come risultato un prodotto o un servizio. E’ importante sottolineare che l’azienda è un sistema aperto e quindi interagisce con l’ambiente esterno e con i diversi stakeholders che ne influenzano l’operato in misura diversa a seconda delle caratteristiche

1 Garzella S., Gestione della crisi e dei processi di risanamento, Milano, Ipsoa, 2008

2Sciarelli S., La crisi d’impresa. Il percorso gestionale di risanamento nelle piccole e medie imprese, Cedam, Padova, 1995.

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dell’organizzazione stessa4. L’impresa viene vista perciò come un complesso sistema di

variabili strutturali(input), comportamentali (variabili intercorrenti), e risultanti (output) in continuo rapporto con l’ambiente5. In linea generale la crisi deriva da fenomeni di

squilibrio e inefficienza che possono essere il risultato di un particolare intreccio di condizioni esterne e forze interne6.

Un’azienda è in crisi quando “non è più in condizioni di soddisfare il suo equilibrio economico, ovvero non è più capace di soddisfare le attese degli stakeholder per un intervallo non di breve tempo”7. Essa non è prerogativa del nostro paese o della difficile

realtà economica con la quale ci stiamo confrontando, ma è insita in ogni sistema industriale: è un fenomeno collegato al dinamismo ed all’instabilità dell’ambiente8.

Figura 1 - Gli stadi della crisi

Nell’aspetto più propriamente aziendale, secondo Guatri, “La crisi è una manifestazione di tipo patologico nella vita aziendale che si sviluppa su più stadi. In generale, all’origine delle crisi sono fenomeni di squilibrio e di inefficienza, che possono essere di origine interna od esterna; essi portano spesso alla produzione di perdite. Col ripetersi e col

4Sciarelli S., La crisi d’impresa. Il percorso gestionale di risanamento nelle piccole e medie imprese,

Cedam, Padova, 1995.

5Coda V.: Lezioni di economia aziendale, Il Mulino, 1989

6Mariani G., Dalla crisi alla creazione di valore: il processo di Turnaround, Pisa University Press, Pisa, 2012.

7 Sciarelli S., La crisi d’impresa. Il percorso gestionale di risanamento nelle piccole e medie imprese, Cedam, Padova, 1995.

8Sciarelli S.: La crisi di impresa: il percorso gestionale di risanamento nelle piccole e medie imprese, Cedam, Padova, 1995

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crescere d’intensità delle perdite, la crisi diventa insolvenza, cioè l’incapacità manifesta di affrontare gli impegni assunti9.

Lo stesso Guatri (1995) sottolinea l’importanza della distinzione tra i concetti di declino e di crisi d’impresa ai fini degli studi sul turnaround10. Si ha una situazione di declino

quando l’azienda distrugge valore, ovvero “quando il capitale economico subisce nel tempo una riduzione di valore derivante dal deterioramento dei flussi reddituali attuali o prospettici”11. In questa fase perciò non troveremo necessariamente dei flussi reddituali

negativi ma potremo osservare un decremento di essi nel tempo.

La fase di declino si divide in incubazione e maturazione. Nell’incubazione si rivedono i segnali premonitori già richiamati in precedenza della decadenza e dello squilibrio. La fase successiva di maturazione invece segna il confine molto labile tra declino e crisi. In queste fasi tuttavia tale manifestazione non è ancora visibile agli occhi di terzi e non è ancora immediatamente rilevabile dagli indicatori economico/finanziari (che registrano un peggioramento che potrebbe anche essere temporaneo).

Il declino si differenzia dalla crisi poiché essa è una fase conclamata ed esteriormente apparente: la crisi rappresenta “l’evoluzione inevitabile, in assenza di interventi, di una situazione di declino”12. Essa si manifesta come uno stato di grave instabilità che genera

perdite economiche, con forti squilibri nei flussi finanziari, con la riduzione della capacità di credito. Lo stato di insolvenza si traduce nell’incapacità dell’imprenditore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Nell’evoluzione più grave, all’insolvenza può seguire il dissesto, che è “una condizione permanente di squilibrio patrimoniale, il cui rimedio è impossibile senza uno stravolgimento del contesto e con forti supporti da parte degli stakeholders”13.

1.2. Le cause della crisi

La corretta individuazione della cause e la valutazione delle condizioni necessarie per rimuoverle rappresentano i due passaggi fondamentali per fronteggiare la crisi. Tornando a parlare di decadenza e squilibrio, si può dire che questi sono visti nel loro insieme come

9Guatri L.: Turnaround, Declino, crisi e ritorno al valore, EGEA, Milano, 1995 10Candelo E., Le strategie di Turnaround, EGEA, Milano, 2005

11Mariani G.: Dalla crisi alla creazione di valore: il processo di Turnaround, Pisa University Press, 2012 12Guatri L.: Turnaround, Declino, crisi e ritorno al valore, EGEA, Milano, 1995

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motivi di propensione al declino e alla crisi14. Tale propensione secondo Slatter15 è legata a 3 principali fattori:

• Caratteristiche della concorrenza e dell’ambiente (fattori di tipo macro-economico e settoriale)

• Caratteristiche manageriali dell'impresa • Caratteristiche organizzative dell'impresa

Figura 2- Componenti generali della <<propensione al declino ed alla crisi>> delle imprese secondo Slatter

Fonte: L. Guatri, Turnaround. Declino, crisi e ritorno al volere, EGEA, Milano, 1995.

In alternativa al modello di Slatter, anche se il significato non si allontana sostanzialmente da questo, la propensione al declino ed alla crisi può essere considerata legata a:16

• Fattori macroeconomici di Paese • Fattori settoriali

• Fattori specifici dell’impresa

14Guatri L.: Turnaround, Declino, crisi e ritorno al valore, EGEA, Milano, 1995

15Slatter S., Corporate recovery, a Guide to Turnaround Management, Penguin Books, London, 1984. 16 Guatri L.: Turnaround, Declino, crisi e ritorno al valore, EGEA, Milano, 1995

Variabili di concorrenza e ambiente

(Fattori esterni)

Propensione al declino ed alle crisi

Efficacia delle decisioni Caratteristiche manageriali (Fattori interni) Caratteristiche organizzative (Fattori interni)

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Fonte: Guatri L. “Turnaround, Declino, crisi e ritorno al volere” EGEA, Milano, 1995

Secondo una ricerca spesso citata di D.B. Bibeault17, il declino sarebbe imputabile in una media di 4 casi su 5 a cause di tipo interno e ad 1 caso su 5 a cause esterne. Si può quindi asserire con ragionevolezza che esiste una netta prevalenza delle cause interne nel provocare il declino delle imprese, anche se negli ultimi decenni a partire dagli anni ’70 i fenomeni esterni, nella forma di fenomeni macro-economici, politici e sociali, hanno accentuato il loro peso in tutto il mondo18.

Di solito una situazione di declino e poi quella di crisi non sono mai riconducibili a una causa definita, ma è quasi sempre una combinazione di fattori ed eventi interni e esterni all’impresa19. Tra le cause esterne possiamo identificare20:

• Motivi macro-economici: crisi del sistema paese, debolezza dei mercati finanziari, • Inadeguatezza del sistema bancario, mutamenti sfavorevoli della legislazione di

settore, ecc.

• Movimenti culturali: il movimento no global, ecologismo, ecc. • Eventi catastrofici: guerre, attacchi terroristici, disastri ecologici, ecc.

• Problematiche di settore: calo della domanda, aumento della concorrenza vuoi per qualità che per prezzo, sviluppo di prodotti sostitutivi ecc.

17 Bibeault D. B., Corporate Turnaround: how managers turn losers into winners, Mc Graw-Hill, New York, 1982.

18Guatri L.: Turnaround, Declino, crisi e ritorno al valore, EGEA, Milano, 1995

19Sciarelli S., La crisi d’impresa. Il percorso gestionale di risanamento nelle piccole e medie imprese, Cedam, Padova, 1995.

20ODCEC, La gestione dell’impresa in crisi. L’analisi di dottori commercialisti, managers ed imprenditori, Eutekne, Torino, 2013

Propensione al declino ed alla crisi Fattori macro-economici

Fattori settoriali

Fattori specifici d’impresa (interni)

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Per quanto riguarda le cause interne rilevante è l’approccio soggettivo. Mediante tale approccio vengono individuate cause di natura soggettiva, cioè riconducibili alle risorse umane (intese in senso lato e ricomprendenti nelle stesse anche le decisioni dell’imprenditore e l’attuazione del management), visti come gli unici protagonisti del successo e dell’insuccesso aziendale che generano delle conseguenze sull’intero sistema azienda. Si può affermare che il problema per ogni azienda sia proprio quello di avere alla testa buoni capi.21 Fallire nella scelta dei capi significa spesso compromettere la vita dell’azienda e in ogni caso abbassarne fortemente l’efficienza. L’aspetto politico del governo, che si sviluppa dalle idee alle decisioni, incarna i caratteri imprenditoriali e manageriali tipici dell’azienda e che di questi esprimono la personalità. Per imprenditorialità si intende la capacità dell’azienda di proiettarsi nel futuro per individuare nuove possibilità di sviluppo: essa deve quindi svilupparsi attraverso un comportamento propenso all’innovazione e al cambiamento. 22 L’azienda è artefice del

suo futuro per mezzo degli uomini. E’ il sistema umano a infondere la volontà della combinazione aziendale e a stabilirne la direzione di crescita nel sistema economica-aziendale.

In questo contesto viene valutata la managerialità, che si compone di qualità tecnico-organizzative in grado di assicurare la coerenza della combinazione produttive con le intuizioni imprenditoriali.23 Anche ai soci possono avere un ruolo nella crisi (come

soggetti partecipanti al supporto delle decisioni strategiche), ne sono alcuni esempi eccessive distribuzioni di dividendi, avversione al rischio, indisponibilità a fornire garanzie ai creditori o non adeguata scelta dei soggetti parte del management. In generale il ruolo di influenza dei soci risulta essere maggiore nelle PMI dove questi è molto spesso un soggetto partecipante alle decisioni. Le criticità facenti capo al management possono investire gli addetti alla produzione, alle vendite e alle altre funzioni aziendali, in relazione a constatate loro inefficienze24.

21 S. Garzella, Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle potenzialità inespresse, Giappichelli, Torino, 2005

22 S. Garzella, Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle potenzialità inespresse, Giappichelli, Torino, 2005

23 Garzella S., Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle potenzialità inespresse, Giappichelli, Torino, 2005

24Guatri L., 1985, in merito all’approccio soggettivo ritiene, infatti, che quasi sempre all’origine della crisi vi sono i soggetti protagonisti della vita aziendale; le loro insufficienze, i loro errati comportamenti, le loro incapacità non sono mai del tutto estranei ai processi della crisi, anzi spesso ne sono la causa prevalente.

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Questo tipo di approccio al problema non si rivela, però, il più significativo ed adatto a descrivere la complessa realtà della crisi aziendale, in quanto questa può dipendere da fenomeni e da forze che sfuggono al dominio degli uomini d’impresa. Per tali ragioni è più opportuno adottare il secondo approccio, di tipo obiettivo, nella descrizione e nell’analisi delle cause della crisi. In questa ottica possiamo distinguere cinque tipi fondamentali di crisi, in funzione delle cause che le provocano25:

 Crisi da inefficienza

 Crisi da rigidità

 Crisi da decadimento del prodotto

 Crisi da squilibrio finanziario

 Crisi da carenza di programmazione e innovazione

Fonte: L.Guatri: Crisi e risanamento delle imprese

1.2.1. Crisi da inefficienza

Si ha una crisi da inefficienza quando “una o più aree della gestione operano con rendimenti che non sono in linea con le loro specifiche potenzialità”26, ovvero quando

l’attività aziendale non ha rendimenti in linea con quelli dei concorrenti in termini di produttività e opera, sinteticamente, con costi più elevati.

Si tratta dunque, di una crisi connessa a cause interne che dipendono dalla struttura e dalla gestione; cioè da tutti quegli elementi che caratterizzano le modalità di

25Guatri L., Crisi e risanamento delle imprese, Giuffrè, Milano, 1986 26 Airoldi, Brunetti, Coda, Economia Aziendale, Il Mulino, 1994

Cause Soggettive

Scarsa capacità management Scelte azionisti

Altri soggetti coinvolti (Finanziatori, Fornitori, Clienti ecc.)

Cause Obbiettive

Inefficienza Rigidità Decadimento del prodotto

Squilibrio finanziario Carenza di

programmazione e innovazione CRISI

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conduzione dell’impresa27. Sono perciò, cause strutturali di tipo finanziario

quantitativo (eccessivo ricorso al capitale di credito), di tipo finanziario qualitativo (ricorso a forme di finanziamento eccessivamente onerose) e di carattere organizzativo e strutturale.28

1.2.2. Crisi da rigidità

La crisi da rigidità si attua quando il sistema aziendale incontra difficoltà di adeguamento rispetto alla dinamicità dell’ambiente esterno e manifesta l’incapacità dell’impresa di reagire alle mutate condizioni, di conseguenza i costi non riescono ad adattarsi in tempi brevi alle diminuzioni dei ricavi. Le crisi da rigidità sono quindi spesso connesse a cause esterne all’impresa, in quanto dipendono da fattori assolutamente estranei alla medesima e perciò definite cause congiunturali29, poiché risentono dell’ambiente esterno in cui le imprese si trovano a interagire (materie prime, energia, instabilità dei cambi monetari e dei tassi finanziari). Da un altro punto di vista però potrebbero essere interne laddove il management non rivede rapidamente la strategia adottata. La crisi da rigidità trae origine da una delle seguenti situazioni:

 Duratura riduzione del volume della domanda per l’azienda (con conseguente caduta della dimensione reale dei ricavi) originata da fenomeni di sovraccapacità produttiva a livello dell’intero settore. Tale situazione delinea un’ipotesi tipica di crisi derivante da un eccesso di capacità produttiva rispetto alle possibilità di collocamento sul mercato;

 Duratura riduzione del volume della domanda per l’azienda connessa alla perdita di quote di mercato. In tal caso, la sovraccapacità interessa unicamente l’impresa colpita dal fenomeno; non si hanno, perciò, manifestazioni a livello settoriale. Per il modo in cui sono originate, le difficoltà appaiono allora più gravi, poiché connesse a debolezze specifiche dell’azienda (la concomitanza di inefficienze è quasi inevitabile);

 Sviluppo dei ricavi inferiore alle attese, a fronte di investimenti fissi precostituiti per maggiori dimensioni. La situazione di sovraccapacità può essere vista sotto due aspetti: mancato od insufficiente aumento della quota di mercato rispetto alle attese; oppure errata previsione di sviluppo della domanda globale. Manifestatosi la sovraccapacità, per l’azienda non resta che: aspettare il tempo necessario al fine che

27 “L’analisi della crisi dell’impresa”, in La Rivista Online (Scuola superiore dell’economia e delle finanze), anno II, n. 2, febbraio 2005

28 Guatri, Crisi e risanamento delle imprese, Milano 1986

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il naturale sviluppo della domanda riassorba l’eccesso di capacità, subendo delle perdite; oppure provare delle politiche di mercato aggressive per migliorare la quota di mercato nel breve periodo.

La crisi da sovraccapacità, quindi, viene a generarsi spesso dall’esistenza di sovraccapacità a livello settoriale, come di seguito riassunti:

 Sovraccapacità legata dalla ricerca di economie di scala;

 Sovraccapacità data da una forte riduzione della domanda globale in ragione di mutamenti delle preferenze dei consumatori;

 Sovraccapacità determinata, in un Paese, da nuove correnti di importazione;

 Sovraccapacità legata a scelte errate di previsione della domanda;

 Sovraccapacità dovuta a politiche manageriali non rispondenti alle reali esigenze del mercato.

Un caso particolare di crisi da rigidità, non connessa peraltro a situazioni di sovraccapacità, si ha per variazioni all’aumento dei costi non controbilanciate da corrispondenti variazioni dei prezzi, soggetti a controlli pubblici. In questo caso, pur in presenza di criteri razionali e capaci di assicurare il pieno adattamento dei prezzi ai costi, si possono manifestare difficoltà burocratiche od ostacoli di tipo politico che portano a ritardi che lasciano, anche per lunghi tempi, le aziende in condizioni di difficoltà.

1.2.3. Crisi da decadimento del prodotto

La crisi da decadimento del prodotto si verifica quando la produzione dell’azienda non incontra più favori del pubblico, attratto da prodotti sostitutivi o da produzioni di nuovi entranti, che rispondono meglio alle esigenze di consumo30. Questo può essere dovuto per carenza di capacità innovativa, scarsi investimenti in ricerca e sviluppo, insuccessi, o perché i concorrenti hanno proceduto con maggiore velocità, capacità, efficienza.

Le crisi da decadimento dei prodotti sono espresse da due fenomeni: sotto il profilo commerciale, dalla tendenza a perdere quote di mercato; sotto il profilo contabile, dalla riduzione dei margini positivi tra prezzi e costi al di sotto del limite necessario per la copertura dei costi fissi o comuni (non imputati al prodotto) e per garantire una sufficiente misura di utile. L’assenza di utili e la mancata copertura, anche parziale, dei costi fissi o comuni trascina l’azienda nelle fasi preliminari della crisi, portando

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inizialmente al manifestarsi di segnali di squilibrio e successivamente provocando perdite.

1.2.4. Crisi da squilibrio finanziario

Le crisi aziendali possono essere aggravate dagli i squilibri finanziari e agli oneri insostenibili che ne derivano. Occorre innanzitutto chiarire il concetto di squilibrio finanziario. Con questa espressione si allude a situazioni caratterizzate dai seguenti eventi (o da alcuni di essi)31:

- Grave carenza di mezzi propri (a titolo di capitale) e corrispondente netta prevalenza di mezzi a titolo di debito;

- Netta prevalenza di debiti a breve termine rispetto alle altre categorie di indebitamento;

- Squilibri tra investimenti duraturi e mezzi finanziari stabilmente disponibili; - Insufficienza o inesistenza di riserve di liquidità;

- Scarsa o nulla capacità dell’azienda a contrattare le condizioni del credito, data la necessità di disporne ad ogni costo;

- Nei casi più gravi, si ha anche difficoltà a seguire e affrontare le scadenze, con il conseguente ritardo di alcune categorie di pagamenti.

Figura 5 - La successione dei fatti che portano dallo squilibrio finanziario alla crisi

Fonte: L.Guatri, Turnaround. Declino, crisi e ritorno al volere, EGEA, Milano, 1995.

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Lo squilibrio finanziario è raramente condizione autonoma generatrice di crisi: è la perdita di competitività dell’impresa o investimenti eccessivi che generano perdite economiche, che sono incrementate a causa degli oneri finanziari, provocati dal pesante indebitamento e dal suo elevato costo. È probabile che lo squilibrio finanziario sia, a sua volta, generato da altri profondi fattori di crisi: inefficienze, rigidità, decadimento dei prodotti, carenze di programmazione e di innovazione. Queste potrebbero essere le cause che minano gradualmente la vitalità dell’azienda e che, tra l’altro, la indeboliscono sul piano finanziario. Il complementare dello squilibrio finanziario è quello definito patrimoniale. Esso consiste nella scarsità di mezzi aventi scadenza lunga confrontati con l’attivo immobilizzato (indebitamento, totale dell’attivo). In questa situazione da un lato sono praticamente precluse le possibilità di ottenere dal mercato mezzi a titolo di capitale (salvo che i titolari abbiano ampie disponibilità e siano in proprio disposti a sopportare rischi e sacrifici) e, talora, anche a titolo di credito (banche e fornitori si fanno prudenti nel concedere ulteriori affidamenti); dall’altro lato l’autofinanziamento è ridotto al minimo od inesistente: tale circolo vizioso può condurre l’impresa all’insolvenza Secondo Comuzzi, nel caso di crisi finanziarie, il management «allo scopo di mantenere inalterato o comunque di non compromettere il grado di fiducia acquisito con la comunità finanziaria, darebbe luogo ad operazioni di windowdressing se non addirittura a veri e propri fenomeni di creative accounting, non appena venissero percepiti i primi segnali di deterioramento della situazione economico-finanziaria. Queste manovre diventerebbero, poi, sempre più ricorrenti con il peggiorare della condizione finanziaria dell’impresa. E’ evidente che, alla base di tale comportamento, vi è di norma la condizione che gli interlocutori esterni non possiedono le competenze necessarie per percepire gli effetti di tali manipolazioni»32. La scarsità di mezzi propri espone più intensamente l’azienda al rischio di crisi, a parità di altre condizioni, in quanto essa ha poche risorse da opporre alle perdite che si producono. Un’azienda ampiamente dotata di capitale e di riserve può, al contrario, assorbire anche perdite di un certo rilievo, senza che l’impoverimento che ne deriva giunga al punto di compromettere il necessario equilibrio tra attività e passività. Da ciò l’ovvia conclusione che le aziende patrimonialmente squilibrate possono rapidamente

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passare, nello sviluppo delle loro crisi, dallo stadio delle perdite a quello dell’insolvenza e del dissesto.

1.2.5.Crisi da carenza di programmazione e innovazione33

La crisi da carenza di programmazione e innovazione si verifica quando l’impresa non è in grado di adattarsi ai mutamenti ambientali e non è in condizione di innovare il proprio modello di impresa per distinguersi dai concorrenti e aggredire nuovi mercati. L’incapacità a programmare non va intesa, naturalmente, dal punto di vista organizzativo, bensì in senso sostanziale, cioè come incapacità di adattare lo svolgimento della gestione ai cambiamenti ambientali, o addirittura di individuarli in tempo e prevenire il mutamento. Si tratta quindi di un aspetto fortemente strategico, perché le imprese totalmente incapaci in tal senso operano perseguendo soltanto i risultati di breve termine: non essere in grado di guardare al futuro comporta, nel tempo, il mancato raggiungimento dell’equilibrio economico e finanziario. Riguardo al secondo aspetto, la carenza di innovazione, bisogna dire che essa costituisce sempre un fattore determinante di declino: l’impresa, infatti, per sopravvivere nel tempo deve essere innovativa, cioè deve creare una maggiore capacità competitiva dell’azienda. In questa prospettiva gioca un ruolo fondamentale la ricerca: quando essa è quantitativamente sufficiente e qualitativamente efficace l’azienda riesce ad innovare più facilmente; al contrario, una ricerca carente nel medio/lungo termine genera sicuramente dei risultati negativi. L’esistenza e l’importanza della funzione di ricerca sono direttamente proporzionali alle dimensioni aziendali: richiedendo ingenti investimenti essa è naturalmente una prerogativa delle sole aziende medio-grandi. Nelle piccole aziende, invece, l’innovazione è spesso tutt’uno con la capacità imprenditoriale: i casi di successo di singoli imprenditori, infatti, sono strettamente legati alla fertilità di idee e alla loro messa in pratica.

1.3.Modelli di previsione della crisi

Dopo aver visto le cause che possono portare a una situazione di crisi, analizziamo le tecniche per prevenirla. Queste tecniche risultano essere più efficaci quanto più riescono a far emergere l’esistenza di anomalie in congruo anticipo, ovvero in tempi che possono permettere, dal lato dei creditori, di attuare misure cautelative prima che la situazione sia completamente deteriorata e, dal punto di vista della direzione aziendale, di implementare

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opportune azioni correttive e strategie di ristrutturazione che possano salvare l’impresa. In altri termini, “tali metodologie potranno essere tanto più significative ed attendibili quanto saranno maggiormente efficaci nel riconoscere i segnali premonitori e i sintomi di una crisi”34, e questo è importante perché sappiamo che più si è tempestivi nel rilevare

tali sintomi, più sarà possibile porre in essere azioni correttive che implichino un minore sacrificio sia per l’impresa che per i suoi stakeholders.

La letteratura sul tema è molto vasta. I primi contributi in questo settore si hanno negli anni ’30 ad opera principalmente di autori americani, ma è dalla seconda metà degli anni ’60 con le pubblicazioni di Beaver e Altman che questo filone di studi si amplia e si sviluppa.

L’ambito teorico è molto vasto e in continua evoluzione, per cui faremo riferimento solo a quelle metodologie più consolidate e espressive e quelle più in uso nella prassi operativa.

Figura 6 - Metodi di prevenzione della crisi

1.3.1 Metodi basati su indici di bilancio

I metodi basati su indici si fondano sul principio di giudicare la rischiosità dell’azienda osservando la deviazione di alcuni dei suoi indicatori più importanti rispetto alle generalità delle aziende o alla media di un gruppo di aziende selezionato.35 L’analisi degli indici di bilancio costituisce il fondamento dell’intera letteratura in tema di metodologie di previsione delle insolvenze aziendali. Con la locuzione “analisi di bilancio” si intende un esame accurato dei prospetti contabili aziendali attuato mediante la scomposizione del sistema di valori, dallo stesso espresso, in parti da considerare dapprima autonomamente, per poi giungere ad una loro composizione al fine di offrire giudizi di sintesi ed

34 Mariani G.: Dalla crisi alla creazione di valore: il processo di Turnaround, Pisa University Press, 2012 35 Guatri L., Crisi e risanamento delle imprese, Giuffrè, Milano,1986

Basati su modelli Metodi di prevenzione

della crisi Basati sull’intuizione Basati su indici di

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informazioni significative sullo stato di salute dell’organismo economico.36 La

metodologia in oggetto si fonda sul calcolo di specifici indicatori, chiamati anche ratios, che consentono di vigilare sullo stato di salute dell’impresa. Questa è utile non solo per pervenire ad un giudizio relativo all’andamento passato della gestione (funzione storica), ma anche per pianificare il suo futuro (funzione prospettica).

Il percorso logico da affrontare per interpretare il bilancio è il seguente:37 1 Valutazione dell’attendibilità delle voci contenute nel bilancio

2 Riclassificazione del bilancio di esercizio 3 Calcolo degli indici

4 Identificazione delle relazioni tra i diversi indicatori, in modo da poter giungere ad un giudizio sull’andamento e sui possibili sviluppi futuri della gestione.

Ogni indicatore esprime lo “stato di salute” di un determinato organo. Osservando la deviazione di tali indicatori rispetto alle medie di settore, o rispetto a un gruppo di imprese comparabili (in termini di dimensione, età, attività svolta, formula imprenditoriale, ecc.), si può giungere a comprendere la propensione dell’azienda a attraversare una crisi futura.

L’analisi del bilancio viene effettuata con riguardo a tre aspetti della struttura aziendale: • analisi della struttura patrimoniale;

• analisi della struttura economica; • analisi della struttura finanziaria

Le analisi patrimoniali e finanziarie sono volte ad esaminare i dati dei bilanci nonché dei budget al fine di definire le caratteristiche quantitative fondamentali di un’impresa. I dati di bilancio, se necessario integrati con altri dati di natura extracontabile, vengono quindi elaborati nell’ambito di appropriate analisi di bilancio:

• analisi dei margini;

• analisi dei quozienti-indici (ratios); • analisi dei flussi.

36 Mariani G.: Dalla crisi alla creazione di valore: il processo di Turnaround, Pisa University Press, 2012 37 Mariani G.: Dalla crisi alla creazione di valore: il processo di Turnaround, Pisa University Press, 2012

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I quozienti e i margini, in particolare, forniscono indicazioni sintetiche circa le condizioni economiche, finanziarie e patrimoniali dell’impresa.

In un’analisi di bilancio volta a valutare lo stato di salute di un’impresa, il primo focus è sugli indicatori di struttura finanziaria (c.d. quozienti di struttura), che indicano i rapporti di composizione degli impieghi e delle fonti di capitale in essere alla chiusura dell’esercizio. Rapportando ciascuna classe di attività (o passività) al totale del capitale investito, si ottiene l’incidenza di ciascuna classe di valori sul rispettivo totale della sezione dello stato patrimoniale.

I più importanti indici volti ad evidenziare le posizioni di solidità sono:

𝑪𝑨𝑷𝑰𝑻𝑨𝑳𝑬 𝑵𝑬𝑻𝑻𝑶𝑫𝑬𝑩𝑰𝑻𝑰 , che è il cosiddetto leverage, che studia l’indebitamento oneroso (a fronte del quale l’impresa paga gli interessi) rispetto al patrimonio netto. Se l’indice è superiore ad 1, l’impresa risulta troppo indebitata e nel lungo periodo questa situazione potrebbe diventare insostenibile. Se, invece, l’indice è inferiore ad 1, il livello di indebitamento non è elevato e conseguentemente sostenibile.  𝑨𝑻𝑻𝑰𝑽𝑶 𝑰𝑴𝑴𝑶𝑩𝑰𝑳𝑰𝒁𝒁𝑨𝑻𝑶𝑪𝑨𝑷𝑰𝑻𝑨𝑳𝑬 𝑵𝑬𝑻𝑻𝑶 , che è l’indice di struttura primario, denominato anche

indice di garanzia, utile per analizzare la correlazione tra le fonti e gli impieghi. Tale indice esprime la capacità del capitale, proveniente dai soci, di finanziare l’attivo fisso. Se è maggiore o uguale ad 1, l’indice evidenzia una struttura solida, mentre se è minore di 1, l’indice deve essere tenuto maggiormente sotto controllo.  𝑪𝑨𝑷𝑰𝑻𝑨𝑳𝑬 𝑵𝑬𝑻𝑻𝑶+ 𝑷𝑨𝑺𝑺𝑰𝑽𝑰𝑻𝑨𝑨𝑻𝑻𝑰𝑽𝑶 𝑭𝑰𝑺𝑺𝑶′ 𝑪𝑶𝑵𝑺𝑶𝑳𝑰𝑫𝑨𝑻𝑬, che è l’indice di struttura secondario, denominato anche indice di copertura delle immobilizzazioni, che esprime la capacità del capitale, apportato dai soci e da terzi finanziatori, di finanziare le immobilizzazioni. Se l’indice è maggiore di 1, esprime una situazione di solidità, mentre se l’indice è minore di 1, indica una situazione di squilibrio.

𝑪𝑨𝑷𝑰𝑻𝑨𝑳𝑬 𝑰𝑵𝑽𝑬𝑺𝑻𝑰𝑻𝑶𝑪𝑨𝑷𝑰𝑻𝑨𝑳𝑬 𝑵𝑬𝑻𝑻𝑶 , che è l’indice di autonomia finanziaria, denominato anche indice di capitalizzazione, che esprime l’incidenza del patrimonio netto sul totale del capitale investito. Maggiore è il rapporto, minore sarà la dipendenza dell’impresa dai terzi creditori e maggiore sarà la tranquillità, da parte della stessa, nell’affrontare nuovi investimenti.

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 𝑨𝑻𝑻𝑰𝑽𝑶 𝑪𝑰𝑹𝑪𝑶𝑳𝑨𝑵𝑻𝑬𝑷𝑨𝑺𝑺𝑰𝑽𝑶 𝑪𝑶𝑹𝑹𝑬𝑵𝑻𝑬, che è il quoziente di disponibilità (o current ratio), che esprime la capacità dell’impresa di far fronte agli impegni finanziari a breve termine (passivo corrente) con le risorse della gestione corrente (attivo circolante). Se questo rapporto è inferiore a 1, l’attivo circolante non è sufficiente a coprire le passività in scadenza e, di conseguenza, l’azienda sarà definita non liquida.  𝑳𝑰𝑸𝑼𝑰𝑫𝑰𝑻𝑨′𝑰𝑴𝑴𝑬𝑫𝑰𝑨𝑻𝑨 + 𝑳𝑰𝑸𝑼𝑰𝑫𝑰𝑻𝑨𝑷𝑨𝑺𝑺𝑰𝑽𝑰𝑻𝑨𝑪𝑶𝑹𝑹𝑬𝑵𝑻𝑰 ′𝑫𝑰𝑭𝑭𝑬𝑹𝑰𝑻𝑬 , che è il quoziente di tesoreria,

denominato anche indice di liquidità primaria (o quick ratio), che esprime la capacità dell'impresa a soddisfare i debiti a breve e medio termine mediante la liquidità disponibile o con i crediti a breve e medio termine. Se l’indice è maggiore di 1, l’azienda si presenta liquida.

 𝑴𝑨𝑹𝑮𝑰𝑵𝑬 𝑶𝑷𝑬𝑹𝑨𝑻𝑰𝑽𝑶 𝑳𝑶𝑹𝑫𝑶𝑶𝑵𝑬𝑹𝑰 𝑭𝑰𝑵𝑨𝑵𝒁𝑰𝑨𝑹𝑰 𝑵𝑬𝑻𝑻𝑰 , che è l’indice di copertura degli oneri finanziari, che esprime la capacità dell’azienda di far fronte agli oneri finanziari. Se l’indice è maggiore di 2-2,5, l’azienda garantisce la copertura degli interessi passivi e di altri fabbisogni finanziari.

 𝑹𝑰𝑴𝑨𝑵𝑬𝑵𝒁𝑬𝑹𝑰𝑪𝑨𝑽𝑰∗𝟑𝟔𝟓;𝑪𝑹𝑬𝑫𝑰𝑻𝑰 𝑽𝑬𝑹𝑺𝑶 𝑪𝑳𝑰𝑬𝑵𝑻𝑰𝑹𝑰𝑪𝑨𝑽𝑰∗𝟑𝟔𝟓 ;𝑫𝑬𝑩𝑰𝑻𝑰 𝑽𝑬𝑹𝑺𝑶 𝑭𝑶𝑹𝑵𝑰𝑻𝑶𝑹𝑰𝑹𝑰𝑪𝑨𝑽𝑰∗𝟑𝟔𝟓 , che sono gli indici di rotazione, rispettivamente, del magazzino, dei crediti commerciali, dei debiti dei fornitori.

Per quanto riguarda gli indici di redditività, i più importanti sono:

 ROE (Return on Equity), che indica la redditività del capitale proprio, dato dal rapporto tra il reddito netto d’esercizio (utile o perdita) ed il valore del capitale proprio impiegato in media nell’esercizio.

 ROI (Return on Investment), che indica la redditività del capitale investito, dato dal rapporto tra il risultato operativo ed il capitale investito netto operativo.  ROS (Return on Sales), che indica la redditività delle vendite, dato dal rapporto

tra il risultato operativo caratteristico e le vendite nette del periodo.

 MOL (Margine Operativo Lordo), che è un indicatore di redditività che evidenzia il reddito di un'azienda, basato solo sulla sua gestione caratteristica, al lordo, quindi, di interessi (gestione finanziaria), tasse (gestione fiscale), deprezzamento di beni e ammortamenti.

 Oneri finanziari sul fatturato, che misurano l’incidenza del costo dell’indebitamento finanziario sul volume di affari.

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Gli squilibri finanziari, come si è già detto, non sono solo misurabili attraverso i confronti tra dati istantanei, ma (e forse soprattutto) sono misurabili mediante il confronto tra flussi attesi (reddituali o finanziari) e grandezze istantanee, od altri flussi.38

Gli indici basati sui flussi reddituali, più importanti, sono:

𝑪𝑨𝑷𝑰𝑻𝑨𝑳𝑬 𝑷𝑹𝑶𝑷𝑹𝑰𝑶𝑼𝑻𝑰𝑳𝑬 𝑵𝑬𝑻𝑻𝑶 , che indica una condizione di creazione di nuovo valore solo se tale indice è superiore al rendimento medio di investimenti similari a parità di rischio. Se l’indice, invece, è al di sotto del rendimento medio degli investimenti similari, l’impresa distrugge valore, evidenziando già un sintomo negativo. Situazione ancor più grave è quando l’indice si riduce approssimandosi allo zero o scende sottozero: ciò significa che è presente una pesante situazione di squilibrio per l’impresa che la porterà al declino e alla crisi.

 𝑼𝑻𝑰𝑳𝑬 𝑵𝑬𝑻𝑻𝑶𝑭𝑨𝑻𝑻𝑼𝑹𝑨𝑻𝑶, che consente di avere e di monitorare l’andamento complessiva dell’impresa.

 𝑴𝑶𝑳

𝑪𝑨𝑷𝑰𝑻𝑨𝑳𝑬 𝑰𝑵𝑽𝑬𝑺𝑻𝑰𝑻𝑶, che esprime la capacità della gestione a finanziare gli

investimenti complessivi. Se l’indice è maggiore di 1, il core business aziendale è capace di finanziare l’attività complessiva, mentre se è minore di 1, l’indice rileva un possibile squilibrio nel medio-lungo periodo.

𝑭𝑨𝑻𝑻𝑼𝑹𝑨𝑻𝑶𝑴𝑶𝑳 , che consente di stimare il margine sulle vendite, evidenziando, quindi, quanto margine operativo è prodotto per ogni unità monetaria di vendite. Se l’indice è crescente indicherà, quindi, un aumento della redditività lorda delle vendite ed una diminuzione dell'incidenza dei costi operativi.

𝑭𝑨𝑻𝑻𝑼𝑹𝑨𝑻𝑶𝑪𝑶𝑺𝑻𝑰 𝑭𝑰𝑺𝑺𝑰, che esprime quanta parte del fatturato viene assorbita dai costi fissi; indica, infatti, il grado di adattabilità dell’impresa al variare delle vendite. Maggiore è il peso dei costi fissi, minore sarà il grado di adattabilità.

Per quanto riguarda gli indici basati sui flussi finanziari, questi, anche se hanno una rilevanza centrale, non sono utili per prevedere la crisi, né hanno lo stesso valore segnaletico di quelli basati su flussi reddituali.39 Nonostante ciò, è indubbio che per una corretta interpretazione della dinamica finanziaria d’impresa e per la comprensione degli effetti che la dinamica reddituale ha comportato, comporta e potrà

38 Guatri L., Turnaround. Declino, crisi e ritorno al valore, EGEA, Milano, 1995 39 L. Guatri, Turnaround. Declino, crisi e ritorno al volere, EGEA, Milano, 1995

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comportare su quella finanziaria, è di rilevanza fondamentale redigere il rendiconto finanziario.40 Il rendiconto finanziario consente di verificare, infatti, se l’impresa

versa in condizioni di squilibrio finanziario e di individuare i motivi che lo hanno prodotto. La sua struttura scalare, nella modalità diretta, si compone come riportato, di seguito:

Figura 7 –Schema del rendiconto finanziario

Fonte: S. Garzella, Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle potenzialità inespresse, Giappichelli, Torino, 2005

In conclusione, possiamo affermare che quando gli indici evidenziano notevoli scostamenti peggiorativi, l’azienda è soggetta a squilibri interpretabili come fattori

40 Il rendiconto finanziario è un prospetto che fornisce la sintesi dei flussi dei fondi, ovvero dei

movimenti finanziari in entrata ed in uscita, che spiega le motivazioni e le cause che hanno originato la modifica della consistenza dei valori di investimento e di finanziamento che caratterizzano la dinamica finanziaria dell’impresa. G. Mariani, Dalla crisi alla creazione di valore: il processo di Turnaround, Pisa University Press, 2012

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potenziali di declino e crisi. D’altro canto, è opportuno integrare tali indici con altre informazioni, di tipo sintomatico che attengono all’aspetto produttivo, di mercato, finanziario, strategico e manageriale al fine di prevedere una soluzione positiva della crisi.

41

1.3.2 Metodi basati sull’intuizione

I metodi fondati sull’intuizione si basano sulla riconoscibilità esterna dei fattori di crisi e con questi le imprese possono tentare di monitorare l’andamento aziendale, individuando anticipatamente, l’eventuale crisi, prima, quindi, che essa si possa verificare.42 Il criterio

in esame si basa sulla riconoscibilità dei fattori esterni che palesano uno stato di crisi effettivo o potenziale. I casi più frequenti sono:

 Appartenenza dell’azienda a settori ormai decaduti oppure in recessione a seguito di una rilevante diminuzione del livello della domanda;

 Inefficienze produttive o commerciali;

 Perdita di quote di mercato;

 Bilanci in perdita.

Nella seguente tabella, sono indicati i principali fattori esterni rivelatori di uno stato di crisi e, contiguamente, le possibilità di soluzione:

Figura 8 - I fattori di crisi: riconoscibilità e possibilità di intervento

Indicatori Riconoscibilità esterna Possibilità di intervento

Appartenenza a settori maturi o decadenti

Elevata Minima

Appartenenza a settori in difficoltà per caduta della domanda

Elevata Minima

Perdita di quote di mercato Media Media

Inefficienze produttive Minima Elevata

Inefficienze commerciali Media Elevata

Inefficienze amministrative Minima Elevata

Inefficienze organizzative Minima Elevata

41 Guatri L., Crisi e risanamento delle imprese, Giuffrè, Milano, 1986 42 Guatri L., Crisi e risanamento delle imprese, Giuffrè, Milano,1986

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Inefficienze finanziarie Media Media

Rigidità dei costi Media Media

Carenze di

programmazione

Minima Elevata

Scarsi costi di ricerca Media Elevata

Scarso rinnovo dei prodotti Media Media

Squilibri finanziari Elevata Media

Squilibri patrimoniali Elevata Media

Fonte: L. Guatri, Crisi e risanamento delle imprese, Giuffrè, Milano, 1986.

1.3.3 Metodi basati su modelli

I metodi basati su modelli rappresentano l’impostazione più sofisticata per prevedere la crisi. In questo ambito, lo studio condotto da Altman può essere considerato il capostipite e il più significativo dei modelli per la previsione dell’insolvenza.

Il modello di Altman (Z-score Analysis)

Il professor Edward Altman è stato il primo studioso ad elaborare un modello volto a prevedere l’insolvenza di una società. La definizione di insolvenza che il professore ha deciso di optare è l’insolvenza in senso giuridico, cioè certificabile, prendendo in considerazione perciò solo le aziende sottoposte a procedura fallimentare nel periodo tra il 1946 e il 1965. Il campione esaminato è composto da 66 aziende di dimensioni medio-grandi e riconducibili al settore manifatturiero; ad ognuna delle 33 aziende fallite corrisponde un’impresa in condizioni fisiologiche, avente medesime caratteristiche per dimensione, settore d’attività ed appartenenza territoriale. Quindi vengono analizzati i prospetti contabili delle aziende in dissesto, relativi al quinquennio precedenza la sentenza di fallimento e svolta l’analisi di bilancio sulle imprese sane corrispondenti per il medesimo arco temporale osservato.43

Il modello individua 22 indicatori con potenzialità previsionali, suddivisi in 5 categorie(ratios) in base a:

- La significatività statistica di ogni funzione discriminante alternativa

43 Mariani G., Dalla crisi alla creazione di valore: il processo di Turnaround, Pisa University Press, Pisa, 2012

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- La correlazione tra le variabili rilevanti

- L’accuratezza predittiva delle diverse funzioni alternative - Le valutazioni soggettive dell’analista

Le 5 variabili incluse nel modello sono: - 𝑿𝟏= 𝑪𝑨𝑷𝑰𝑻𝑨𝑳𝑬 𝑪𝑰𝑹𝑪𝑶𝑳𝑨𝑹𝑬 𝑵𝑬𝑻𝑻𝑶𝑪𝑨𝑷𝑰𝑻𝑨𝑳𝑬 𝑰𝑵𝑽𝑬𝑺𝑻𝑰𝑻𝑶 ; - 𝑿𝟐= 𝑼𝑻𝑰𝑳𝑰 𝑵𝑶𝑵 𝑫𝑰𝑺𝑻𝑹𝑰𝑩𝑼𝑰𝑻𝑰𝑪𝑨𝑷𝑰𝑻𝑨𝑳𝑬 𝑰𝑵𝑽𝑬𝑺𝑻𝑰𝑻𝑶 ; - 𝑿𝟑= 𝑪𝑨𝑷𝑰𝑻𝑨𝑳𝑬 𝑰𝑵𝑽𝑬𝑺𝑻𝑰𝑻𝑶𝑬𝑩𝑰𝑻 ; - 𝑿𝟒= 𝑽𝑨𝑳𝑶𝑹𝑬 𝑫𝑰 𝑴𝑬𝑹𝑪𝑨𝑻𝑶 𝑫𝑬𝑳 𝑪𝑨𝑷𝑰𝑻𝑨𝑳𝑬 𝑺𝑶𝑪𝑰𝑨𝑳𝑬 𝑽𝑨𝑳𝑶𝑹𝑬 𝑪𝑶𝑵𝑻𝑨𝑩𝑰𝑳𝑬 𝑫𝑬𝑰 𝑫𝑬𝑩𝑰𝑻𝑰 ; - 𝑿𝟓= 𝑪𝑨𝑷𝑰𝑻𝑨𝑳𝑬 𝑰𝑵𝑽𝑬𝑺𝑻𝑰𝑻𝑶𝑹𝑰𝑪𝑨𝑽𝑰 𝑫𝑰 𝑽𝑬𝑵𝑫𝑰𝑻𝑨 .

Il primo indice è misura della liquidità aziendale e va decrescendo man mano che ci si avvicina al momento del fallimento.

Il secondo invece da un’indicazione della capacità di autofinanziamento dell’impresa; in una situazione di squilibrio economico-finanziario, il valore di tala indice si presenta decrescente.

Anche il terzo ratio, espressione della redditività operativa della combinazione produttiva, diviene nullo o negativo con il progredire del processo degenerativo.

Il quarto quoziente tiene conto delle fluttuazioni dei prezzi dei titoli emessi dalle aziende. Più ci si avvicina alla sentenza dichiarativa fallimentare, più tale valore sarà basso. L’ultima variabile indipendente rappresenta la rotazione del capitale investito, ovvero la velocità con la quale questo ritorna in forma liquida attraverso i ricavi di vendita. Anche tale rapporto tende a subire un brusco calo, soprattutto se la crisi è generata da rigidità produttiva o carenza di innovazione.

Lo step successivo consiste nella definizione dei coefficienti di ponderazione, ovvero massimizzando la distanza tra i due gruppi e minimizzando la variabilità interna ai gruppi. La configurazione definitiva del modello è risultata la seguente:

Z = 0,012 X1 + 0,014 X2 + 0,033 X3 + 0,006 X4 + 0,999 X5

Per applicare questo modello predittivo è sufficiente risolvere l’equazione, sostituendo ai parametri indipendenti i valori di bilancio corrispondenti per l’azienda esaminata. Il

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risultato ottenuto viene denominato “score” o punteggio. Questo valore, poi, deve essere confrontato con il parametro soglia, detto anche “punto critico” o “cut off”. Solo così è possibile qualificare le aziende esaminate come sane o problematiche. Il punto di cut off del modello Z-Score corrisponde ad uno score pari a 2,675 e rispetto a questo valore vengono classificate come sane le aziende che presentano uno score superiore, mentre le aziende con un punteggio inferiore a tale soglia sono da considerarsi come casi di possibile fallimento. 44

Figura 9 - Rappresentazione del punto di cut off del modello Z-Score

Fonte: A. Danovi, A. Quagli, Crisi aziendali e processi di risanamento: modelli interpretativi, prevenzione e gestione della crisi d’impresa, casi aziendali, IPSOA, Milano, 2012.

Oltre al punto di cut off, Altman ha definito gli estremi della cosiddetta “grey area”, o zona di incertezza, pari a 2,99 (per il limite superiore) e 1,81 (per il limite inferiore) per la quale l’autore ritiene che non sia possibile esprimere un giudizio in merito alle condizioni di operatività della azienda esaminata.

Tenendo conto, quindi, della zona di indifferenza, le possibili aree di qualificazione delle aziende diventano tre: la zona di rischio nulla con uno score superiore a 2,99; zona di incertezza con uno score compreso tra 1,81 e 2,99; zona di insolvenza con uno score inferiore a 1,81.45

44 Danovi A., Quagli A., Crisi aziendali e processi di risanamento: modelli interpretativi, prevenzione e gestione della crisi d’impresa, casi aziendali, IPSOA, Milano, 2012

45 Danovi A., Quagli A., Crisi aziendali e processi di risanamento: modelli interpretativi, prevenzione e gestione della crisi d’impresa, casi aziendali, IPSOA, Milano, 2012

Zona di presumibile insolvenza (𝒁 < 𝒁𝒄𝒖𝒕 𝒐𝒇𝒇)

Zona di potenziale solvibilità (𝒁> 𝒁𝒄𝒖𝒕 𝒐𝒇𝒇)

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Figura - Distribuzione del valore di Z usata per la classificazione

Fonte: G. Mariani, Dalla crisi alla creazione di valore: il processo di turnaround, Pisa University Press, Pisa, 2012

Il modello Z-Score di Altman era nato per segnalare i sintomi di crisi delle società quotate nel settore manifatturiero, ma, per poter essere efficacemente impiegato anche per prevedere le crisi delle società non quotate, l’autore apportò una prima modifica al modello, sostituendo la quarta variabile della funzione lineare, ovvero il rapporto tra il valore di mercato del capitale sociale e il valore contabile dei debiti.

Considerando il fatto che, modificati sia il campione che le variabili, è stato necessario cambiare anche i pesi di ponderazione, che ha portato alla seguente nuova configurazione del modello46 denominato “Z’-Score”:

𝒁′ = 𝟎, 𝟕𝟏𝟕𝑿

𝟏+ 𝟎, 𝟖𝟒𝟕𝑿𝟐+ 𝟑, 𝟏𝟎𝟕𝑿𝟑+ 𝟎, 𝟒𝟐𝟎𝑿𝟒+ 𝟎, 𝟗𝟗𝟖𝑿𝟓

La capacità predittiva del nuovo modello, nell’esercizio precedente il fallimento, si è attestata al 90,9% nella classificazione corretta delle aziende sane e al 97% per quanto riguarda quelle in dissesto. Di conseguenza, dato il fatto che, rispetto allo “Z-Score”, la possibilità di commettere errori è incrementata, Altman aumenta la zona di incertezza, riducendo la soglia inferiore da 1,81 a 1,23.

Figura 10 - Rappresentazione delle possibili aree di classificazione del modello Z’-Score

46 Si veda a riguardo: E. I. Altman, Predicting financial distress of companies: revisiting the Z-Score and Zeta models, in New York University Review, 2000; E. I. Altman, E. Hotchkiss, Corporate financial distress and bankruptcy. Predict and avoid bankruptcy, analyze and invest in distress debt, 3° ed., John Wiley & Sons, Hoboken, 2006

Zona di insolvenza

𝒁′< 1,23 Zona di rischio nullo 𝒁> 2,99

Zona di incertezza 𝟏, 𝟐𝟑 < 𝒁′< 2,99

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Fonte: A. Danovi, A. Quagli, Crisi aziendali e processi di risanamento: modelli interpretativi, prevenzione e gestione della crisi d’impresa, casi aziendali, IPSOA, Milano, 2012.

La seconda modifica apportata al modello deriva dalla considerazione che tale deve essere adattato per le aziende che operano in settori diversi rispetto a quello manifatturiero. Per far ciò Altman ha eliminato la quinta variabile dalla funzione lineare, ovvero il rapporto tra i ricavi di vendita e il capitale investito, minimizzando l’influenza esercitata dalle caratteristiche del settore. Anche in questo caso si è reso necessario il cambiamento dei pesi di ponderazione.

La nuova versione del modello di Altman, noto come “Z’’-Score”, ha assunto la seguente forma:

𝒁′′= 𝟔, 𝟓𝟔𝑿

𝟏+ 𝟑, 𝟐𝟔𝑿𝟐+ 𝟔, 𝟕𝟐𝑿𝟑+ 𝟏, 𝟎𝟓𝑿𝟒

Le modifiche apportate al nuovo modello hanno fatto incrementare la zona di incertezza, ora compresa tra 2,60 e 1,10.47

Il modello di Coda48

Il modello in esame si basa su un approccio di tipo quali-quantitativo alle componenti aziendali.

L’assetto economico-finanziario di un’azienda assume infatti differenti configurazioni, le cui gradazioni possono variare da situazioni di equilibrio a contesti di grave instabilità. Secondo l’Autore, il grado di solvibilità di un’impresa è funzione delle ripercussioni su di essa prodotte da particolari eventi negativi di probabile accadimento.

Gli eventi sfavorevoli, collegati a rischi specifici della gestione operativa ovvero alla dinamica dei mercati e dell’economia in generale, vengono osservati in relazione all’intensità con cui possono verificarsi, all’influenza prodotta sulla situazione originaria nonché alla probabilità di manifestazione.

Ciò permette di individuare specifiche aree di criticità, a cui corrispondono differenti gradi di rischiosità.

47 Si veda a riguardo: G. Cestari, Il modello di Altman del 1968: lo Z Score, in F. Poddighe e S. Madonna (a cura di) "Modelli di previsione delle crisi aziendali: possibilità e limiti", Giuffrè, Milano, 2006

48 Coda V., La valutazione della solvibilità a breve, in G. Brunetti, V. Coda, F. Favotto, Analisi, previsioni, simulazioni economico – finanziarie d’impresa, Etas Libri, Milano, 1984

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In linea di massima, un’impresa si considera solvibile quando l’analisi del profilo economico-finanziario dà esiti positivi e gli eventi sfavorevoli che potrebbero modificarlo sono trascurabili (in termini di effetti oppure di probabilità di accadimento).

Per converso, può ritenersi certo lo stato di insolvenza qualora su un assetto economico-finanziario già decisamente squilibrato si prevede l’innesto di ulteriori eventi negativi di particolare rilevanza.

Lo sviluppo del modello consente di individuare alcuni momenti caratteristici, che costituiscono approssimazioni successive del concetto di solvibilità:

a) Determinazione del profilo economico-finanziario dell’impresa

Il modello analizza le relazioni dinamiche esistenti tra i principali elementi di cui si compone tale profilo (liquidità, tasso di sviluppo, solidità patrimoniale, grado di redditività).

b) Evoluzione nel tempo del profilo di cui sopra

A tal riguardo si studia l’andamento storico e prospettico dei citati elementi nonché di quei fattori, opportunamente pesati, idonei a condizionare l’evoluzione futura dell’impresa (congiuntura economica, evoluzione del settore, ecc.).

c) Attitudine dell’azienda a soddisfare gli impegni di pagamento nell’immediato futuro

Tale attitudine dipende dai seguenti fattori:

1) impegni già assunti all’inizio del periodo o destinati a sorgere nel corso del medesimo;

2) strumenti di regolamento delle obbligazioni (già sorte o destinate a sorgere) utilizzati;

3) riserve di credito disponibili.

I fattori di cui ai punti 1) e 2) derivano, in parte, dai fattori determinanti la dimensione e la composizione del Capitale Circolante Netto.

I fattori di cui al punto 3) derivano invece dall’ammontare degli affidamenti totali (attuali e potenziali) a disposizione dell’azienda nonché dalla dimensione di quelli già utilizzati.

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Capitolo 2: Il processo di Turnaround

2.1. Cambiamento strategico, ristrutturazione e Turnaround

Nell’ambiente contemporaneo la regola non è la stabilità, ma il cambiamento. Tecnologia, concorrenza e domanda cambiano rapidamente e costringono le imprese ad adattare le loro strategie e le loro strutture organizzative per rafforzare i propri vantaggi competitivi. Per cambiamento strategico si intende il complesso di azioni che un’impresa avvia per muovere dalla situazione in cui si trova attualmente verso una situazione futura desiderata, con lo scopo di mantenere e incrementare vantaggi competitivi49. Lynch definisce il cambiamento strategico come la realizzazione di nuove strategie che comportano cambiamenti sostanziali rispetto alla normale attività dell’organizzazione e sottolinea la distinzione tra cambiamento organizzativo, che avviene in ogni organizzazione ed è inevitabile e cambiamento strategico, che può essere gestito, ma è radicale50 (attenzione le premesse del cambiamento strategico non necessariamente sono

connesse ad una crisi dell’azienda). A tal fine è indispensabile verificare la presenza e l’ottimizzazione di risorse che siano potenzialmente capaci di generare valore. La scelta del risanamento trova, infatti, la sua origine nella presenza, all' interno del patrimonio aziendale, di risorse o potenzialità inespresse.51 In questo senso sarà necessario individuare quelle risorse e competenze distintive, che finora non siano state adeguatamente valorizzate, da cui ripartire e su cui fondare le basi del rilancio; per essere definite tali, esse devono presentare alcune specifiche caratteristiche: valore per il mercato, unicità, durevolezza, estensibilità.52 La strategicità di una risorsa è correlata al contributo che essa è in grado di sviluppare nel processo di creazione del valore per il cliente, di conseguenza, è tanto più di valore quanto maggiormente è percepita come vitale dai clienti stessi.53 Inoltre, una risorsa critica, ma in possesso della maggior parte delle imprese operanti in un settore o facilmente replicabile, non può ritenersi distintiva

49Candelo E., Le strategie di Turnaround, EGEA, Milano, 2005 50Lynch R., Corporate strategy, 1997

51Mazzola P., La diagnosi strategica dell’impresa, Egea, Milano,1996, pag. 124. 52Garzella S., Il sistema d' azienda,op.cit., pag. 91.

53 Barney afferma che le risorse distintive sono quelle: in grado di generare valore (contribuiscono a mantenere rilevante il divario di produttiva tra azienda e i suoi concorrenti in termini di maggiore capacità di creare valore e/o d superiore capacità di contenere i costi), rare o comunque non diffuse tra i concorrenti attuali o potenziali, non perfettamente imitabili dai concorrenti, organizzate (cioè l’azienda ne fa un elemento competitivo centrale nel suo sistema di offerta). J.B. Barney, Firm resourced and sustained competitive advantage, Journal of Management, 17, n. 1, pag. 99

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35

sotto il profilo economico.54 La caratteristica della durevolezza esprime il processo di decadimento degli altri due requisiti: da un alto si fa riferimento al periodo di tempo nel quale fornisce un contributo al valore per il cliente, dall' altro, al periodo di tempo che occorre ai concorrenti per riprodurre la risorsa stessa.55Infine, per estensibilità s' intende

la capacità (della risorsa) di incorporare e liberare opzioni reali,56cioè, la possibilità di

consentire lo sviluppo in altri settori, combinandosi in maniera sinergica con altre risorse, di poter essere abbandonata o riconvertita a costi contenuti.57Le sinergie diventano quindi determinanti per la realizzazione di un vantaggio competitivo difendibile e durevole oltre che per impostare un piano di turnaround sostenibile. Esse si esprimono nel maggior valore del sistema aziendale, in virtù delle interrelazioni che ne caratterizzano i principali processi e le principali aree strategiche, rispetto al valore della sommatoria dei singoli elementi atomisticamente considerati.58 L'effetto incrementativo sul valore complessivo si collega alla flessibilità e all'estensibilità di risorse che palesano la capacità di agire contemporaneamente sul flusso di ricavi e costi attuali e/o prospettici di più aree di business.59

54 Qualora tutte le risorse fossero facilmente acquisibili attraverso transazioni di mercato, le differenze nei profili di efficienza ed unicità delle combinazioni medesime potrebbero essere facilmente

riequilibrati, con il solo limite della disponibilità di mezzi finanziari atti ad ottenere le risorse medesime. F. Buttignon, Processi, risorse, competenze e produzione economica, in Aidea-Giovani, Le risorse immateriali, Giuffrè, Milano, pag. 382.

55 La probabilità di replicare le condizioni che hanno determinato una situazione di vantaggio competitivo è tanto minore quanto maggiori sono le risorse e le attività coinvolte da riprodurre. La probabilità di riprodurre una determinata attività sono spesso inferiori ad uno. Pertanto, la probabilità di copiare un intero sistema sono ancor di meno (0,9*0,9* 0,9=0,66 e così via). M. Bruni, Strategia a livello di Asa, Egea, Milano, 1998, pag. 51.

56 Le risorse e le strategie non generano solo ritorni diretti, ma altresì opportunità future. G. Donna, La valutazione economica delle strategie di impresa, Milano, Giuffrè, 1992, pag. 258.

57 Grant sottolinea come la difesa dall' imitazione di una risorsa dipenda dalle sue caratteristiche di durevolezza (ossia la capacità di rimanere tale nel tempo), mobilità (cioè l’acquisibilità da parte dei concorrenti), replicabilità (si riferisce alla possibilità che essa sia riprodotta in altre aziende). R. Grant,Analisi strategica per le decisioni aziendali, Il Mulino, Bologna, 1999, pag. 97

58S. Garzella, Il governo delle sinergie, Torino, Giappichelli, 2006, pag. 71.

59 Obiettivo principale dell’analisi strategica è pertanto quello di studiare i caratteri dell’azienda e dell'ambiente per individuare i percorsi di governo che possono consentire di dispiegare le

potenzialitàeconomiche delle risorse, osservate nella loro unitarietà sistematica e nella prospettiva dinamica, del contesto competitivo, operativo e sociale. Si tratta cioè di una analisi che approfondisce le caratteristiche aziendali ed ambientali, si orienta a favorire la diagnosi della formula imprenditoriale in atto, cerca di individuare i percorsi di intervento per orientare l’azienda al dispiegamento delle potenzialità economiche, si impegna ad interpretare i trend di cambiamento del settore e del contesto ambientale ed aziendale per meditare l’opportunità di rinnovare la formula in atto. S. Bianchi Martini, Introduzione all' analisi strategica, Giappichelli, Torino, 1993, pagg. 16 e ss.

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