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Catalogo delle opere (CI)

Nel documento La pittura a L'Aquila : 1560-1630 (pagine 186-200)

1.Lorenzo Torresani e Donato di Maturino(?),

Sacra Famiglia con San Giovannino e San Francesco, 1550-1560,Olio su tavola, Ø cm. 105.

Proveniente dal Museo d’Arte Sacra, Museo Nazionale d’Abruzzo, Chiesa di Santa Maria della Concezione, L’Aquila.

Il dipinto è ricordato nelle fonti aquilane più antiche con diverse attribuzioni, seppur sempre stilisticamente coerenti tra loro. Nel 1585 Pico Fonticulano riporta l’esistenza in città di dipinti di tal Donatello di Maturino, suggerendo esiti della seconda generazione raffaellesca che si muove tra Roma e Napoli nel quinto decennio del ‘500; nel 1585-90 l’Alfieri lo descrive a c. 92 r. nella Chiesa della Concezione: “un tondo con l’immagine della Madonna ed altre figure di bel disegno

di Maestro Cola dell’Amatrice”. Nel Ms Dragonetti de Torres, miscellanea di carte, si torna più

volte sullo stesso dipinto: a c.35 r. è l’attribuzione a “Donatello di Maturino, compagno e scolaro di Polidoro” già in Pico; a c.40 r. dello stesso manoscritto si ripete l’attribuzione a Donatello di Maturino, a cui viene attribuita un’altra Sacra Famiglia su tavola nella Chiesa di Santa Maria del Carmine nella cappella della famiglia Oliva “nel quale è rappresentato San Giuseppe e la Madonna con il Bambino con architettura in prospettiva molto bella.” (Fondo Dragonetti De Torres, b 1/48 fasc.2 1763-1831.c. 40 r.(1820 ca.)” identificabile con La Sacra Famiglia oggi al Museo con la corretta attribuzione del Bologna al fiammingoVermejin, , in cui la quinta architettonica ricorda il dipinto di Giulio Romano in Santa Maria dell’Anima a Roma. Tra il 1703-1718 l’op.ms. segnala il tondo in questione in San Francesco di Paola con una più veritiera attribuzione a Pompeo Cesura, plausibile almeno per il Santo inginocchiato di destra, attribuibile

ad un cesuriano. Bindi (1889) Serra (1934) riprendono l’attribuzione a Maturino ; l’insistenza sul misconosciuto Maturino deriverebbe dalla citazione che fa Pico, forse in base a documenti da lui visti, di questo tal Donatello di Maturino. Cannatà (1981), pur riportando l’attribuzione iniziale dell’Alfieri a Cola dell’Amatrice giustamente la rifiuta, ma non segue neanche l’indicazione morettiana comparsa nel catalogo del Museo Nazionale (1968) in cui si specifica la “composizione raffaellesca fra Giulio Romano, Raffaellino dal Colle e Francesco Penni”, rimandando al dipinto di Cava de’Tirreni di quest’ultimo, sostenendo un generico raffaellismo difficilmente attribuibile ad una personalità precisa.

Il dipinto è in realtà un particolarissimo pastiche di stilemi cesuriani e più antichi, dove la capigliatura scolpite del San Giuseppe, la Vergine in trono con il Bambino ed il San Giovanni Battista sono del veronese naturalizzato reatino Lorenzo Torresani, su un impianto monumentale memore delle creazioni Vasariane del quarto decennio a Napoli (si pensi alle monumentali Giustizia e Prosperità, ai putti della Carità) e la figura di San Francesco prelude a turgori di incarnati e panneggi cesuriani. L’attribuzione al Torresani si basa sull’immagine della Vergine, gemella di quella affrescata nella lunetta del portale principale di Sant’Agostino a Cittàducale e firmata dal pittore nel 1548 (C.Verani 1953 pp.9-11) ed è confermata dalla familiarità tra la pittura dei Monrealesi Francesco e Pierfrancesco, dei Torresani e di Cola dell’Amatrice, giustificando l’attribuzione dell’Alfieri. Al Torresani si attribuisce l’esecuzione di questa parte della composizione, mentre il disegno progettuale, il restante San Francesco e l’ apertura paesistica può attribuirsi ad un cesuriano, forse Giovan Paolo Cardone. Il restauro del 1966 a cura della sovrintendenza ha rinsaldato la struttura lignea gravemente compromessa dall’insolita apposizione delle farfalle sotto la pittura che aveva sofferto dei loro movimenti.

Bibliografia

Pico Fonticulano 1575 p.78;G.G.Alferi, Isoria sacra delle cose dell’Aquila (Biblioteca Apostolica Vaticana) p.92 r.;V. Bindi 1889 p.827;L.Serra 1934 p.39 ;M.Moretti 1968 pp.98-99;Cannatà 1981 p.73 n.77.

3.Pompeo Cesura e Francesco da Montereale (?)

Deposizione dalla croce, olio su tela, m.n.r.1540-1550 ca.

Oratorio San Luigi Gonzaga, L’Aquila

L’Oratorio di San Luigi venne interamente ricostruito nel Settecento, facendo sorgere il dubbio che l’attuale possa essere la collocazione originaria di quest’inedito cesuriano ancora acerbo; la presenza di monache ne fa presumere la provenienza da uno dei numerosi conventi femminili in città. L’anonimo compilatore del Ms. De Torres (Memorie di belle arti 1761-1831) riporta che in Santa Caterina Martire esistevano pitture del Cesura.

La Chiesa di Santa Caterina fu tra quelle che Paolo III Farnese nel 1536 ordinò di ricostruire per risarcire la città della perdita subita a causa dello “sventramento urbanistico” imposto da Carlo V per la costruzione del Castello e che aveva comportato la

perdita del Monastero di Santa Caterina alle Mura, della Chiesa di Santa Maria di Tempera e di Santa Maria la Nova (O.Antonini 1997). Nel 1555 il monastero doveva essere terminato (G.Pansa…) e dotato dei suoi corredi pittorici; dopo il rifacimento Settecentesco del Fuga della Chiesa il dipinto potrebbe essere stato spostato in San Luigi dove si trova oggi.

Compositivamente e stilisticamente il dipinto è interamente attribuibile ad un giovane Pompeo Cesura, già a conoscenza dei fatti perineschi di San Marcello, forse per essere entrato nell’orbita di Daniele da Volterra in occasione del completamento della Cappella del Crocifisso e capace di individuare la fonte parmigianinesca da cui attingere. Al nucleo centrale del San Giovanni che sorregge il corpo di Cristo e la Vergine addolorata che sfonda lo spazio con la mano tragicamente protesa in avanti si può già accostare l’ultima elaborazione del tema da parte del pittore, il Compianto di Sant’Amico ( C.I.?). In questa versione è sicuramente maggiore l’aderenza della raffigurazione all’incisione del De Santis per la presenza del San Giovanni dalle spalle possenti, ritratto di profilo.

Bibliografia -inedito

4.Pompeo Cesura (qui attr.)

Vergine e Bambino, olio su tela, m.n.r.

Museo Nazionale d’Arte sacra della Marsica, Celano (Aq) Prov.Chiesa di Sant’Angelo, Celano (Aq)

Il dipinto, proveniente dalla Chiesa di Sant’Angelo di Celano, è assolutamente ignoto, ne la storia dell’edificio ecclesiastico da cui proviene, ignota anch’essa, offre spunti d’indagine visto che se ne

conoscono solo la data di costruzione tra i Trecento ed il Quattrocento ed un rifacimento barocco dei 5 altari interni. Priva di figure mediatrici, la Vergine si libra in volo sul paesaggio azzurrino e terso dove gli alberi, eseguiti con tocchi minuscoli, quasi un puntinato, ricordano aperture paesaggistiche peruzziane e sodomesche, mentre gli speroni rocciosi visibili in basso sono gli stessi dell’incisione del Battesimo di Cristo. Madre e Figlio, raffigurati in un unico volume compatto e così sospesi, richiamano immediatamente le soluzioni adottate nel comporre la grandiosa incisione del De Santis della Ttraslazione della Santa Casa di Loreto databile ai primi anni Quaranta del Cinquecento e sicuramente riferibile ad una richiesta del Cirillo.

Il panneggio rosso e blu della manica e del velo della Vergine presenta già il tipico frammentarsi in mille pieghe fittissime e sottili che qui sono enfatizzate dalle lumeggiature in oro: il bimbo biondo e ricciuto ha già trasparenze nella pennellata dell’incarnato che sono nuove, mentre l’ovale polito della Vergine è il precedente diretto del disegno dei Funerali di Santa Caterina del British e l’evoluzione delle fisionomie dal disegno affilato dei Torresani e di Cola dell’Amatrice da cui pur Pompeo dovette partire nel suo percorso (si veda la sc.1).

Bibliografia -inedito

Maestro del 1557 (Pierfrancesco di Francesco di Montereale?) e Pompeo Cesura(?),

Trinità, olio su tela, cm 185x125, 1557.

Sagrestia Chiesa della SS.Trinità,altare dell’oratorio, Popoli (Pescara)

Il soggetto rappresentato fa supporre che oggi si trova in quella che fu la sua collocazione originale in un bell’altare ligneo ma le notizie molto confuse e contraddittorie della letteratura locale sulla chiesa non permettono un ragionevole margine di certezza: la chiesa, costruita nel 1550, venne distrutta completamente nel terremoto del 1703, ricostruita nel 1716 e riaperta al culto nel 1734 come testimonia la lapide nella dedicata a Clemente XII Altieri. Un incendio nel 1738 distrusse tutte le memorie archivistiche della chiesa e della confraternita (Setta 1926 p.95) .

La datazione 1557 in basso a destra permette di datare con certezza l’opera agli anni del potere di Giovan Bonaventura Cantelmo, marito di Porzia Colonna, eseguita in un lasso temporale di sicuro rapporto del Duca di Popoli con L’Aquila: stilisticamente pare confermarsi il rapporto con L’Aquila ritenendo assolutamente accettabile la proposta di Cannatà che vorrebbe identificare il Maestro del 1557 con Pierfrancesco di Montereale, figlio del pittore aquilano Francesco. Della pittura dei monrealesi sono tipiche le ciocche scultoree e rilevate dell’Onnipotente di sapore peruzziano, gli angioletti paffuti di cui quello più in basso deriva dallo stesso nella tavoletta con la

Vergine ed il bambino della Walters Art Gallery di Baltimora pubblicata da Zeri (1978) .

L’iconografia del dipinto colpisce per la singolare assonanza compositiva con la Trinità del pittore belga Jan Cornelijsz Vermeyen conservata al Prado (Dacos 1995 p.306) in cui il gruppo trinitario che occupa verticalmente la scena, memore della raffaellesca Visione di Ezechiele, è circonfuso di luce dorata e attorniato di angioletti di cui uno reca la colonna, simbolo cristiano; il dipinto del Vermeyen è ritenuto frutto di un suo viaggio in Italia da collocarsi intorno al 1540, ma il cui percorso resta ignoto: a questa stessa data potrebbe collocarsi anche il dipinto che F.Bologna

attribuisce giustamente al pittore belga, oggi al Museo Nazionale d’Abruzzo proveniente dalla Cappella Oliva in Santa Maria del Carmine. Il dipinto del Prado è ricomparso sul mercato antiquario madrileno nel 1970 (Dacos 1995) senza alcun dato utile a ricostruirne la provenienza, ma conviene rammentare che il Vermeyen fu pittore di corte di Margherita d’Austria a Malines nel 1527, dopodiché seguì Carlo V in giro per l’Europa fino alla Guerra di Tunisi, negli anni in cui Carlo V veniva inseguito dall’Aquilano Mariangelo Accursio e Alessandro Oliva per porre fine alla questione delle taglie per la costruzione del castello aquilano, permettendo di ipotizzare una provenienza aquilana del dipinto.

L’ideatore del dipinto di Popoli mostra di non condividere appieno l’inquietudine della tavola madrilena e l’immagine viene acquietata in una composizione intima e dolorosa, quasi più prossima ad un Compianto che ad una Trinità. Alcuni passaggi pittorici rimasti integri nei volti del Padre e del Figlio, nella mano del Padre, rivelano una mano più sicura, che specie per il volto del Figlio, nella forma ovoide solida, chiusa e caratterizzata dalla forma solidamente geometrizzata del naso , potrebbero indurre ad ipotizzare un’ esecuzione del Cesura, che ben collimerebbe cronologicamente con la Madonna di Celano (sc.2), seguendola di poco.

Il dipinto è stato restaurato nel 1974 a cura della Sovrintendenza ed è in condizioni discrete: presenta un leggero allentamento della tela, vernice invecchiata e depositi di polvere.

Bibliografia

Pompeo Cesura

Deposizione al sepolcro

Affresco, 1550 ca. Santa Giusta, L’Aquila

La lunetta affrescata non è ricordata da alcuna fonte ed è ricomparsa dopo lavori di manutenzione del 1926 ad opera del restauratore Ventura (Murri 1997) che l’hanno portata alla luce, senza tuttavia alcuna attenzione. È in realtà un vero incunabolo cesuriano databile alla fine degli anni ’40- inizi ’50 del Cinquecento: rispetto alle tele datate con certezza, in quest’affresco, all’insistenza disegnativa che può aver appreso in patria dagli esponenti della pittura tardo 400sca ancora attivi in città, si affiancano gli esiti della recente esperienza romana da cui paiono trasparire echi fiorentini saturnini nel pathos del Battista che sorregge il corpo di Cristo, dal modellato e dall’allungamento emiliano che caratterizza tutte queste oepre della rpima fase di autonomia cesuriana. I due uomini in secondo piano, dal modellato raffinato, per questa loro caratteristica sono fratelli del San Giuseppe della deliziosa tavoletta pubblicata dalla Pouncey come di Cesura. L’affresco è ricordato da Murri (1996 p.82) che cita l’ incisione di De Santis

menzionata da Rivera (1920 p.302; 1931) con la Deposizione dedicata all’arcivescovo di Monreale De Torres

Bibliografia -inedito

4.Autore ignoto,

Sacra Famiglia con San Giovannino, olio su tela, m.n.r. 1557-1560 ca.

Chiesa di San Marco, L’Aquila

Il dipinto, in pessime condizioni conservative è conservato nel primo altare a sinistra della Chiesa di San Marco a L’Aquila. Leosini lo attribuisce al Cardone, in nome del raffaellismo che avrebbe caratterizzato la scuola pittorica aquilana; Cannatà(1981) più correttamente lo attribuisce al

Maestro del 1557-Pierfrancesco da Montereale.

La composizione è data dalla somma di varie citazioni raffaellesche: il gruppo piramidale della Vergine con i due Bambini presi in un unico abbraccio riprende la Madonna Aldobrandini (Garvagh) di Raffaello con la variante del capo della Donna, non più verso San Giovannino ma fisso avanti con lo sguardo basso, mentre alle sue spalle si intravede un San Giuseppe, vago richiamo alla preziosa tavoletta del Cesura in collezione Wallace (sc.n?). La particolarità che mi preme segnalare è che nel corpus incisorio tratto dalle opere dell’Urbinate, la Madonna

Aldobrandini manca , ne vi compare uno stato per lo meno confrontabile con il dipinto aquilano

Questo potrebbe indicare che l’invenzione sia stata del Cesura (di cui si può ipotizzare un intervento nel San Giuseppe), forse a conoscenza del dipinto Aldobrandini, , il resto è attribuibile a Pierfrancesco di Montereale .

A.Leosini 1848 p.161;R.Cannatà 1981 p.74.

Pompeo Cesura e aiuto

Crocifissione con la Vergine e Santi, affresco, 1550-1560

Chiesa di San Flaviano, L’Aquila

Ignoto alle fonti, l’affresco è ricomparso durante i restauri che hanno interessato la chiesa nel secolo scorso, in pessime condizioni conservative dovute all’azione corrosiva della calce sotto cui era celato senza tuttavia che se ne tentasse un’attribuzione, descrivendo sinteticamente la composizione, che all’epoca venne scoperta affiancata da una Deposizione non più visibile. (Elenco…1927 p.82;G.B.Manieri 1932).

L’Antinori (Ms.XVIII sec.) riporta alcuni dati documentari che aiutano la datazione dell’opera: nel 1551 registrò la prima dotazione di una cappella del Crocifisso dovuta a Maria, moglie di Pietro di Giovan Francesco di Barisciano, alla quale si aggiunse nel 1555 quella di Laura, vedova di Marino di Valle di Bagno e nel 1581 Giovanni di Antonio del Pezzo ne riserbò il patronato agli eredi. Al sesto decennio del ‘500 può datarsi la Crocifissione, che può essere considerata autografa del Cesura: elementi stilistici ( l’ampiezza dei panneggi,il turgore rosso delle labbra ancora visibile ed originale, la figura della Vergine) e compositivi (la Maddalena e la pia donna ai piedi della croce sono tipiche del repertorio del

pittore, la Maddalena ripetuta nel Noli me tangere e la pia donna nel Compianto affrescato in Santa Giusta, nel bozzetto per Santo Spirito in Sassia in coll. Pica Alfieri; si vedano schede nn.), permettono di sostenerla. All’aiuto (forse Cardone) può attribuirsi la semplificazione strutturale ancora evidente nel corpo della dolente di destra e dell’esecuzione più sommaria dell’acconciatura.

Fino ad oggi era nota l’incisione del De Santis (si veda scheda n.?) di una

Crocifissione del Cesura completa di angeli a latere della Croce, la Vergine e San

Giovanni dolenti, senza la Maddalena e la pia donna, in diretta relazione con il piccolo dipinto su rame del Museo di Arezzo (sc.n?) e le varie copie presenti in città della sua Crocifissione inviata in Spagna come dono alla casa reale (sc.n?). Nel patrimonio del Print and drawing department del British Museum ho rinvenuto un’inedita Crocifissione incisa da Hieronimus Wiericx-1553-1619- (Sadeler excudit) su disegno di Pompeo Cesura (nel 2005 è comparso un altro esemplare sul mercato antiquario-Bubb Kuiper, Haarlem 1 dicembre 2005, lotto 2689): questa nuova Crocifissione disegnata da Cesura è in relazione con l’affresco di San Flaviano per la posizione ruotata frontalmente della Vergine, già sperimentata da Cesura nel Compianto sul Cristo in Sant’Amico (seppur qui con maggior enfasi dolente, si veda sc.n?) e memore della Crocifissione e dolenti di Cola dell’Amatrice del Museo Diocesano di Ascoli.

La posizione della Vergine e la presenza della Maddalena segnano la differenza rispetto all’incisione già precedentemente nota della Crocifissione cesuriana in relazione al dipinto di Arezzo (si vd.sc.n?). Uno schizzo (con ogni probabilità di mano del Cesura per analogia con i fogli recentemente ricomparsi del Codice Resta) che ha il carattere dell’idea compositiva e che possa mettersi in relazione a questa Crocifissione ed alla relativa incisione è nell’Album Tessin di Stoccolma, NM/708/1863 (Leone De Castris 1984), dove mancano i consueti angeli ma è presente la Maddalena che caratterizza questa versione.

Pompeo Cesura (attr.a), Crocifissione e dolenti, gessetto nero acquerellato su carta, Nationalmuseum, Stoccolma

Il disegno (a gessetto nero acquerellato con inchiostro per lo più azzurrino, violetto o seppia, tipici del Cesura) è inserito nell’ Album tradizionalmente attribuito al Curia, e pur dubitando dell’autografia del pittore, Di Majo (2002) sostiene che la presenza della Maddalena e la posizione ruotata della Vergine rendano incerto il rapporto con la già nota Crocifissione di Arezzo su rame.L’affresco e l’ incisione scoperti oggi permettono di aumentare la certezza sulla paternità cesuriana del disegno di Stoccolma e soprattutto sulla notorietà dell’aquilano tra i sui contemporanei e sulle generazioni seguenti.

Bibliografia

A.L.Antinori XX,484 s.v. San Flaviano; Elenco edifici monumentali 1927 p.82;G.B. Manieri 1932 p.7.

Nel documento La pittura a L'Aquila : 1560-1630 (pagine 186-200)

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