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La categoria della finzione e del fantastico come criter

4. La filosofia come letteratura fantastica

4.2. La categoria della finzione e del fantastico come criter

Considerare la metafisica, e per estensione la filosofia, come un ramo della letteratura fantastica comporta una tesi rischiosa per il settore più dogmatico della disciplina. Ciononostante, considerando i presupposti che abbiamo indicato anteriormente, la posizione filosofica si caratterizza anche come una posizione aperta al sapere, circostanza che nel caso di Borges implica un attacco ai pilastri sui quali si poggiano tanto la realtà quanto la conoscenza che abbiamo di essa. Nel già menzionato racconto della raccolta Finzioni intitolato Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, Borges immagina che una setta di filosofi del Settecento, volendo prendersi gioco dei propri lettori, abbia inventato un pianeta chiamato Tlön e che ne abbia descritto accuratamente gli usi e i costumi in un volume dell’Enciclopedia Britannica. A proposito dei metafisici che vivono in questo pianeta, Borges scrive: «Il fatto che ogni filosofia non possa essere, in partenza, che un gioco dialettico, una Philosophie des Als Ob, ha contribuito a moltiplicarle […] I metafisici di Tlön non cercano la verità, e neppure la verosimiglianza, ma la sorpresa. Giudicano la metafisica un ramo della letteratura fantastica. Sanno che un sistema non è altro che la subordinazione di tutti gli aspetti dell’universo a uno qualsiasi degli aspetti stessi».161

La categoria della finzione e del fantastico, alla quale nel passo precedente Borges allude attraverso l’opera più nota di Hans Vaihing, Philosophie des Als Ob (La filosofia del come se, 1911), che rappresenta una delle maggiori opere sulla finzione nella storia del pensiero occidentale, acquisisce un’importanza ontologica fondamentale ai fini della nostra analisi.162

161

Jorge Luis Borges, Obras Completas, Emecé Editores, Buenos Aires 2004, vol. I, p. 436.

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Ne La filosofia del come se, Vaihinger proclamò il carattere fittizio di concetti come “punto”, “superficie”, “infinito”, “materia o “cosa in sé” in quanto considerate entità alle quali non possiamo attribuire un’esistenza reale, anche se da esse ci facciamo guidare nella conoscenza della realtà. Se tutta la conoscenza umana non è che “finzione”, nel senso del fingo latino, tra le varie finzioni saranno utili quelle che rispondono alle esigenze pratiche. Pertanto, anche le credenze o le teorie contraddittorie possono avere un loro valore di utilità e possono essere usate “come se” fossero verità. Da questo punto di vista, non c’è differenza tra teorie scientifiche e conoscenza comune perché si tratta pur sempre di “finzioni” che possono convivere in virtù della loro utilità. Nell’elaborare questa sua teoria, Vaihinger (che fu un insigne studioso di Kant e fondò le riviste

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Nell’appendice della sua opera, infatti, Vaihinger analizza le fonti dell’idea di finzione in Nietzsche, analisi che può risultare chiarificatrice per comprendere meglio la “posizione filosofica” di Borges. Questo perché le teorie di Nietzsche si coniugano perfettamente con i presupposti filosofici degli immaginari abitanti del pianeta Tlön, facendo emergere anche insospettati parallelismi tra il filosofo tedesco e lo scrittore argentino. È possibile incontrare punti di contatto non solo nella resistenza ad essere considerati filosofi nell’accezione tradizionale del termine, ma anche, come tenteremo di chiarire, nella forza delle intuizioni artistiche di entrambi e in particolare nella presenza dell’illusione e della finzione come condizione ineludibile dell’umano.163

Come abbiamo accennato, l’illusione nel contesto nietzscheano è commentata da Vaihinger nell’appendice del suo libro La filosofia del come se; in quest’ultimo l’autore segnala la forte impressione che su Nietzsche ebbe la teoria di Lange il quale considerava la metafisica come una forma di poesia. Inoltre, egli evidenzia il gusto di Nietzsche per le apparenze e l’importanza che questi attribuiva all’invenzione e alla falsificazione, inclusa la funzione falsificatrice della poesia e del mito. Riferendosi a Nietzsche, Vaihinger sottolinea come «dinnanzi al mondo del cangiante e dell’evanescente divenire si stabilisce, nell’interesse della conoscenza e della soddisfazione estetica della fantasia, un mondo dell’essere nel quale tutto appare rotondo e completo; che da questa forma nasce un’antitesi, un conflitto tra conoscenza e arte, tra scienza e saggezza, conflitto che si risolve solo riconoscendo che questo mondo inventato è un mito giustificato e indispensabile; per cui finalmente ne deriva che vero e falso sono concetti relativi».164

Kant Studien e Kant-Gesellschaft) prende le mosse proprio dall’affermazione kantiana secondo cui le idee della ragione, esposte nella Dialettica trascendentale, possono avere soltanto un uso regolativo e mai costitutivo pur non creando conoscenze teoricamente valide.

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Il concetto dell’illusione, nell’ambito dell’opera nietzscheana, segnala una modalità della vita dell’uomo, una dimensione decisiva dell’umano nel quale si nasconde un’attività di gioco. Nietzsche usa spesso il termine “illusione” nei suoi scritti; con essa allude ad uno stato dell’uomo nel quale questi non ha consapevolezza della sua vera situazione e del nesso che lo unisce al mondo, all’io, al tempo. Grazie all’illusione, l’individuo considera il reale nel suo livello più profondo, stabile e permanente.

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Hans Vaihinger, Die Philosophie des Als Ob. System der theoretischen, praktischen und religiosen Fiktionen der Menschheit auf Grund eines idealistischen Positivismus. Mit einem Anhang über Kant und Nietzsche, Reuther und Reichardt, Berlin, 1913, p. 772. Per quanto riguarda l’edizione italiana dell’opera di Hans Vaihinger, si rimanda a: Id., La filosofia del come se: sistema delle finzioni scientifiche, etico-pratiche e religiose del genere umano, Ed. Ubaldini, Roma 1967.

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Vaihinger rimanda poi il lettore ad un frammento che Nietzsche scrisse nel 1873 intitolato Ueber Wahrheit und Lüge im aussermoralischen Sinne (Sulla verità e la menzogna nel senso extramorale) nel quale si sostiene che tanto il pensiero quanto il linguaggio hanno origine da un’operazione di falsificazione e alterazione della realtà. Mentire nel senso extramorale equivale per Nietzsche ad una deviazione cosciente della realtà, la stessa che s’incontra nel caso del mito, dell’arte e della metafora. L’adesione intenzionale all’illusione, anche se si ha coscienza della sua natura fittizia, è una forma del mentire in un senso extramorale e mentire è semplicemente lo stimolo, l’impulso cosciente ed intenzionale all’illusione. Parallelamente, i filosofi che hanno inventato e costruito la storia del pianeta chiamato Tlön sono stati spinti da un “impulso mitico” e, come scrive Borges, se «al principio si credette che Tlön fosse un puro caos, una irresponsabile licenza dell’immaginazione; si sa ora che è un cosmo e le intime leggi che lo reggono sono state formulate anche se in modo provvisorio».165

Borges sembra assumere il presupposto nietzscheano, riportato fedelmente da Vaihinger nel suo libro, secondo cui affinché nel mondo ci possa essere qualche grado di conoscenza deve sorgere un mondo irreale: «Fino a quando non è sorto un mondo immaginario, in contraddizione con il flusso assoluto, non è stato possibile erigere sopra tali fondamenti una struttura di conoscenza; adesso finalmente possiamo vedere l’errore fondamentale [la credenza nella permanenza] sul quale si fonda tutto il resto».166 L’immaginario pianeta Tlön è basato sui principi dell’idealismo e i suoi metafisici vanno al di là della credenza nella continuità, per cui questo mondo è un concentrazione di atti indipendenti che si basano unicamente sulle coordinate temporali. Di fatto, la credenza nella continuità in un mondo che si fonda su un concetto del temporale immerso in un continuo presente è considerata eresia. Ogni intento di dimostrare la continuità va incontro al fallimento, come nel caso dell’argomento delle nove monete che è un inconcepibile per un abitante di Tlön per il quale, tra l’altro, i sostantivi possiedono esclusivamente valore simbolico, non reale.167

165

Luis Borges, Obras Completas, Emecé Editores, Buenos Aires 2004, vol. I, p. 435.

166

Hans Vaihinger, Die Philosophie des Als Ob..., Op. Cit., p. 775.

167

«Il martedì, X tornando a casa per un sentiero deserto, perde nove monete di rame. Il giovedì, Y trova sul sentiero quattro monete, un poco arrugginite per la pioggia del mercoledì. Il venerdì, Z scopre tre monete sullo stesso sentiero e lo stesso venerdì, di mattina, X ne ritrova due sulla soglia

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In quanto al linguaggio, Vaihinger sostiene che anche in esso si trovano nascosti dei presupposti mitici e fittizi che però gli individui devono necessariamente adoperare, pur avendo consapevolezza della loro assoluta falsità; nel caso del pianeta Tlön, abbondano invece gli oggetti ideali e fantastici che vengono creati esclusivamente per soddisfare le necessità poetiche dei suoi abitanti. In base a tali argomentazioni, dunque, la conoscenza è possibile soltanto se accettiamo la sua natura fittizia, il suo essere una pura e semplice invenzione. Nietzsche, come sottolinea Vaihinger, presuppone l’esistenza di «finzioni regolatrici»168, ossia di invenzioni utili e necessarie sia per lo sviluppo della vita umana (l’intelletto umano, specialmente le sue categorie pragmatico-logiche, è proprio un «apparato falsificatore»169) che per l’acquisizione delle conoscenze da parte dell’uomo; queste finzioni regolatrici sono l’esistente, la cosa in sé e la conoscenza dell’assoluto.

Analogamente, per Jorge Luis Borges «non v’è esercizio intellettuale che non sia finalmente inutile. Una dottrina filosofica è al principio una descrizione verosimile dell’universo; passano gli anni, ed è un semplice capitolo – quando non un paragrafo o un nome – della storia della filosofia».170 Tanto Borges quanto Nietzsche, quindi, condividono che «ciò che può essere pensato deve essere, certamente, una finzione […] Da questo punto di vista, l’apparenza non deve essere censurata o attaccata dai filosofi com’è stato fino ad ora e l’illusione, mentre dimostra di essere utile e preziosa e, allo stesso tempo, esteticamente incontestabile, deve essere affermata, desiderata e giustificata».171 Il pericolo che Nietzsche ravvisa in tali finzioni regolatrici consiste nella dimenticanza della loro natura fittizia, dimenticanza che permette loro di ottenere un valore di verità. Ne deriva che il ruolo della finzione in generale (e del fantastico in particolare) nel XX secolo è consistito nel mostrare l’alternativa ad una conoscenza scientifica

di casa sua. [Da questa storia l’eresiarca pretendeva dedurre la realtà – cioè la continuità – delle nove monete recuperate]. È assurdo (affermava) immaginare che quattro delle monete non siano esistite dal martedì al giovedì, tre dal martedì al venerdì pomeriggio, e due dal martedì al venerdì mattina. È logico pensare che esse siano esistite – anche se in un certo modo segreto, di comprensione vietata agli uomini – in tutti i momenti di questi tre periodi». Jorge Luis Borges, Obras Completas, Emecé Editores, Buenos Aires 2004, vol. I, p. 437.

168

Hans Vaihinger, Die Philosophie des Als Ob..., Op. Cit., p. 782.

169

Ibidem.

170

Jorge Luis Borges, Obras Completas, Emecé Editores, Buenos Aires 2004, vol. I, p. 449.

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come modello d’interpretazione della realtà. Il fantastico mette in luce la mancanza di validità assoluta del razionale e la possibilità dell’esistenza, sotto la realtà stabile e delimitata dalla ragione, di una realtà differente e incomprensibile e, pertanto, estranea a quella logica razionale che garantisce la nostra sicurezza e tranquillità. La letteratura fantastica mostra la relativa validità della conoscenza razionale ed illumina una zona dell’umano in cui la ragione e la logica sono condannate inevitabilmente al fallimento.172

Secondo Borges, la funzione del fantastico è quella d’incontrare gli interstizi della falsità, ossia del mondo che «abbiamo sognato resistente, misterioso, visibile […] per sapere che è finto».173 Jaime Alazraki, noto studioso di Borges, propone una nuova definizione del fantastico coniando il termine “neofantastico”, ossia trasformando il concetto di “finzione regolatrice” proposto da Nietzsche in quello di “metafora epistemologica”, formula inventata da Umberto Eco al fine di esprimere il carattere complementare dell’arte in relazione al sapere scientifico.174 Da questa prospettiva, l’arte fornisce nuovi contenuti agli argomenti della scienza poiché il neofantastico sorge a partire da uno statuto scientifico determinato da una concatenazione di cause ed effetti.175

Le metafore sono gli strumenti che strutturano il neofantastico perché intendono afferrare un ordine che sfugge alla nostra logica razionale con la quale abitualmente misuriamo la realtà o l’irrealtà delle cose.176 Il neofantastico è presentato come un’alternativa gnoseologica che ha come oggetto l’uomo e la sua condizione nel mondo; come scrive Alazraki, parafrasando Sartre, «Il fantastico ha smesso di dipendere da esseri straordinari […] non c’è che un solo oggetto fantastico: l’uomo».177 La relazione tra reale e fantastico implica che il reale debba servire da cornice al fantastico affinché quest’ultimo lo insidi e crei l’inquietudine che la realtà empirica possa svanire. La funzione del fantastico è quella di penetrare nel reale per ipotizzare, nel terreno dell’irrealtà, le caratteristiche della realtà stessa.

172

D. Roas, Teoría de lo fantástico, Arco/libro, Madrid 2001, p. 28.

173

Luis Borges, Obras Completas, Emecé Editores, Buenos Aires 2004, vol. I, p. 258.

174

Jaime Alazraki, ¿Que es lo neofantástico? In D. Roas, Teoría de lo fantástico, Op. Cit. , p. 278.

175

Jaime Alazraki, En busca del unicornio: los cuentos de Julio Cortázar, Ed. Gredos, Madrid 1983, p. 19.

176

Ibidem, p. 35.

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I racconti di Borges combaciano perfettamente con tale profilo poiché la volontà dello scrittore argentino è proprio quella di mostrare che il mondo che ci sembra reale non lo è affatto, così come non lo sono le esplicazioni e le interpretazioni che formuliamo sulla realtà nelle sue distinte manifestazioni: filosofia, scienza, religione. Nel creare un nuovo mondo per spiegare l’universo, tanto la realtà quanto le spiegazioni che abbiamo di essa acquisiscono un significato fittizio: «per vedere una cosa bisogna comprenderla […] se vedessimo realmente l’universo, forse lo comprenderemmo»,178 scrive Borges sottolineando implicitamente come ciò sia assolutamente precluso agli individui.

Il fantastico illumina «gli abissi dell’inconoscibile che esiste fuori e dentro l’uomo e pertanto crea un’incertezza in tutta la realtà»,179 in modo che trovare una soluzione ad uno dei racconti fantastici di Borges o ad uno degli enigmi dell’universo rimanda inevitabilmente all’impossibilità umana di trovare delle soluzioni certe e definitive. Tuttavia, il fantastico borgesiano non è contrario al razionale né pretende di sconfiggerlo o di eliminarlo, piuttosto accetta ciò che la logica respinge. Per questo motivo il fantastico si alimenta del paradossale, dello scetticismo e del relativismo che fa riferimento alla precarietà dell’esistenza e alla limitatezza della nostra conoscenza, ma che, allo stesso tempo, si richiama all’intenzione di raggiungere una realtà che vada al di là di quella attuale in un intento di superare l’ordine esistente, dominante, oppressivo ed imperfetto.

Dallo scetticismo Borges ricrea un universo fantastico; il suo “sistema” di finzioni, che ha le sue radici nel peso e nella costrizione che lo scrittore prova nei confronti di un mondo che gli appare troppo reale, ha l’obiettivo di demistificare le basi fondamentali della realtà: la temporalità, l’individuo, l’universo.180 A

questo punto dobbiamo distinguere tra «le fantasie derivanti da una forma di pensiero di tipo religioso o magico che tracciano la possibilità di un’unione tra il soggetto e l’altro»181

e «le fantasie estranee a questi sistemi di credenze che non possono raggiungere la verità o l’unità assoluta benché la loro aspirazione di alterità si percepisce come qualcosa d’impossibile, eccetto nella forma parodistica

178

Jorge Luis Borges, Obras Completas, Emecé Editores, Buenos Aires 1996, vol. IV, pp. 37-38.

179

D. Roas, Teoría de lo fantástico, Op. Cit. p. 191.

180

Ana Maria Barrenechea, La expresion de la irrealidad en la obra de Borges, Op. Cit., p. 16.

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e tragica».182 D’altra parte, non è obbligatorio differenziare il fantastico dal reale

meraviglioso perché in questa corrente il sovrannaturale è inserito nella realtà quotidiana, cioè non incontriamo una contrapposizione tra reale ed irreale. Il fantastico in Borges, ovvero la sua letteratura fantastica, è opera dell’immaginazione ragionata alla quale lo scrittore allude nel prologo ad un romanzo dell’amico Adolfo Bioy Casares intitolato La invencíon de Morel.183

Un’immaginazione che riflette e ci offre ipotesi, pseudoteorie, argomenti fallaci che cercano una spiegazione che non può essere trovata nel reale. È fantastico ciò in cui l’impossibile trova un’interpretazione e un chiarimento, intendendo per “impossibile” ciò che intende Ana Maria Barrenechea: quello che è in contraddizione con qualsiasi legge della nostra realtà empirica o razionale e ciò che non si riduce al «“possibile secondo il relativamente verosimile” voluto dai sistemi teologici e dalle credenze religiose dominanti».184

Domenico Porzio, nell’introduzione all’edizione italiana dell’opera completa di Borges, sostiene che per quest’ultimo «non si dà altra letteratura che non sia fantastica: lo stesso tentativo naturalistico di afferrare una realtà che non esiste, per trasferirla nell’inesistente realtà della pagina mediante l’uso di una scrittura soggettiva, è un’operazione “fantastica”. Il fantastico di Borges non è abitato da fantasmi […] ma è fatto d’immaginazione ragionata, ha un timbro anche allucinatorio, ma mai soprannaturale: si serve del codice simbolico, si affida al plusvalore della scrittura, all’irrealtà dei destini evocati, all’ambigua logica della magia e ha radici sia in un’inestricabile ricerca d’identità, sia nella disperazione di non poter comunicare l’emozione di ogni intuizione».185 Finzioni è

significativamente il titolo del libro più celebre di Jorge Luis Borges, ma per lo scrittore finzione è soprattutto ogni forma di scrittura.

“Finzione” (che rispecchia l’origine etimologica del termine: dal latino fingere, plasmare) è ogni creazione umana di un poeta-artefice condannato al grido universale che rivive il protagonista del racconto El Aleph: «Arrivo, ora, all’ineffabile centro del mio racconto; comincia, qui, la mia disperazione di

182

Ibidem, p. 151.

183

Jorge Luis Borges, Obras Completas, Emecé Editores, Buenos Aires 1996, vol. IV, p. 25.

184

D. Roas, Teoría de lo fantástico, Op. Cit., p. 196.

185

Jorge Luis Borges, Tutte le opere, a cura di Domenico Porzio, Ed. Meridiani Mondadori, Milano 2001, vol. I, p. XC.

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scrittore. Ogni linguaggio è un alfabeto di simboli il cui uso presuppone un passato che gli interlocutori condividono; come trasmettere agli altri l’infinito Aleph, che la mia timorosa memoria a stento abbraccia?».186

Finzione è il linguaggio, è l’universo di teorizzazioni sull’Universo che da esso scaturisce. Tuttavia, se ogni sforzo conoscitivo è vano, se ogni tentativo di costruzione sistematica di una teoria sul reale e ogni creazione letteraria non può dar vita che ad un moltiplicarsi di altre finzioni, se per quanti sforzi facciamo restiamo comunque intrappolati nell’immanenza (nel nostro essere-al-mondo, nel nostro essere per natura finiti) di uno scetticismo che nega la possibilità di uscire dalla parvenza che ci impedisce di conoscere la realtà, allora per quale motivo Borges inventa artifici e compone finzioni? La risposta è che, paradossalmente, costruire delle parvenze, creare delle “ficciones” (giocare in fondo un gioco in cui la letteratura e la metaletteratura sono una cosa sola) è probabilmente l’unico strumento (o comunque quello che lo scrittore argentino predilige) per sfiorare la realtà più profonda del nostro essere uomini, l’unico modo per non abdicare a noi stessi e alla nostra infinita ed instancabile ricerca di verità.

Il discorso sul fantastico in Borges che abbiamo condotto fino a questo momento si è incentrato sulla relazione ontologica che esiste tra le categorie della finzione e della realtà, partendo dal presupposto che il fantastico per Borges non è scisso dalla realtà, ma è in stretta relazione con essa: senza la realtà risulta impossibile la postulazione di un altro tipo di categoria ontologica. Con l’intento di concludere, mi riallaccio alla questione della relazione tra la filosofia e la letteratura in Borges. Jiménez Noguerol considera il pensiero di Borges come una «risposta periferica al discorso dell’Illustrazione»187 che utilizza la filosofia per spiegare il

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Jorge Luis Borges, Obras Completas, Emecé Editores, Buenos Aires 2004, vol. I, p. 624.

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Jiménez F. Noguerol, Revista Interamericana de Bibliografía, 46: 1-4 (1996), p. 49. Le caratteristiche che Noguerol conferisce al racconto nella sfera del postmoderno possono essere applicate ai racconti fantastici di Borges. Le seguenti caratteristiche condensano, secondo lo studioso, l’essenza della finzione attuale: 1) Scetticismo radicale, conseguenza della sfiducia nel metaracconto e nell’utopia. Per dimostrare l’inesistenza di verità assolute, si ricorre frequentemente al paradosso e al principio di contraddizione. 2) Testi eccentrici che privilegiano i margini rispetto ai centri canonici della Modernità. Questa tendenza conduce alla sperimentazione di temi, personaggi, registri linguistici e forme letterarie che finora erano stati relegati ad un