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La libertà del pensiero fuori dagli schemi

Attraverso la strategia di estrarre l’aspetto fantastico delle idee filosofiche, Borges operò il miracolo di riconciliarsi con il meraviglioso. Tuttavia, questa opzione per la bellezza prima ancora che per la verità ontologica, oltre ad essere uno degli aspetti più significativi del pensiero e della produzione borgesiana, costituisce anche il motivo della permanente ambiguità intorno alla sua posizione.

Il suo deliberato abbandono della pretesa di conoscere la realtà stessa, dovuto alla sua sfiducia in tale possibilità, non lo condusse (come nel caso degli antichi scettici) alla sospensione del giudizio, ma a prendere la parola nel terreno della finzione e del saggio letterario. In questi ultimi, come abbiamo detto, Borges recuperò e commentò le diverse prospettive con le quali gli uomini hanno interpretato il mondo senza avere la necessità di aderire a nessuna di esse. Egli rielaborò, in sostanza, le soluzioni filosofiche che l’umanità ha proposto per comunicare il dramma del suo destino, pur sapendo che qualsiasi sistema interpretativo dell’universo è ambiguo, momentaneo e destinato all’insuccesso. E poiché la verità è sfuggente, Borges affidò alla letteratura fantastica le sue inquietudini metafisiche, i suoi dubbi e le sue perplessità dinnanzi al reale. Vari sono stati i sistemi filosofici ai quali si è cercato di vincolare questo scrittore, dal platonismo al nichilismo panteista - o la sua variante del panteIsmo spinoziano - al nominalismo di Berkeley, incorrendo puntualmente nel grave errore di circoscrivere la sua opera a una determinata scuola di pensiero.

Tuttavia, il suo cammino fu talmente singolare che non appare possibile collocarlo all’interno di una determinata visione del mondo. Come nel caso di Lewis Carrol o di Chesterton, egli lasciò il pensiero libero di fluire fuori da schemi precostituiti scegliendo di ragionare attraverso paradossi ed arrivando così a creare situazioni intellettuali che lasciavano sconcertato il lettore, ma che, allo stesso tempo, rivendicavano con forza l’originalità di tutto ciò che appariva strano ed insolito. A partire da questo, Borges scriveva. Ciò che lo affascinava di una determinata dottrina filosofica erano le sue possibilità letterarie, come abbiamo sostenuto fino ad ora.

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Qualsiasi pensiero che gli procurasse una sensazione di appagamento intellettuale o anche solo di curiosità, egli lo faceva suo. Borges credeva che il filosofo, per adattare i fatti al suo sistema di pensiero, dovesse creare trappole attraverso le parole. Per questa ragione, resistette alla tentazione di schierarsi a favore di un sistema filosofico particolare e scelse di “venerare” il potere creativo della filosofia. Fu indubbiamente un profondo conoscitore delle diverse scuole di pensiero e in ognuno dei suoi racconti sperimentò una diversa direzione filosofica, eppure non partecipò vitalmente a nessuna di esse.

Durante un incontro con lo scrittore, Maria Esther Vázquez gli fece notare che tutti coloro che si rispecchiavano in una determinata dottrina filosofica, sia quella idealista, strutturalista, materialista, stoica, ecc., erano entusiasti delle sue opere e lo consideravano un vero e proprio “leader”, cioè come colui che aveva portato la letteratura verso le loro posizioni filosofiche.193 Borges controbattè tale

affermazione sostenendo che queste persone erano in errore: «Se fossi idealista, avrei molte certezze ed io non ho certezze; piuttosto ho molti dubbi».194 «Se ho participato a questa filosofia», disse riferendosi poi all’idealismo e al racconto Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, «è stato per i particolari propositi del racconto e perchè essa mi ha ispirato mentre lo scrivevo. Ebbene, Hume – il quale risvegliò Kant dal suo sogno dogmatico - diceva: sono un filosofo quando scrivo».195

L’eclettismo filosofico di Borges non è la conseguenza, come egli volle spesso farci credere, del suo non riuscire a dare alla luce delle idee personali, bensì quella di un «radicale e poetico scetticismo»,196 che comporta anch’esso una presa di

posizione. «Essere veramente scettici», come sottolinea Fernando Savater, «significa giudicare il percorso della filosofia in base ai presupposti della filosofia stessa. Lo scetticismo borgesiano non assolutizza neppure la propensione al dubbio: l’acuta capacità di diffidare non lo porta a invalidare oziosamente la proposta della credenze empiriche e neppure a rifiutare la relativa validità – rispetto alle altre - di alcune di esse».197

193

Maria Esther Vázquez, Borges, su díaz y su tiempo, Javier Vergara Editor, Buenos Aires 1984, p. 118. 194 Ibidem. 195 Ibidem. 196

Fernando Savater, Borges, Op. Cit., p. 116.

197

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In effetti, nel saggio Avatares de la Tortuga (Discusión), che è dedicato agli affascinanti paradossi di Zenone di Elea, Borges evidenziò che: «È azzardato pensare che una coordinazione di parole (altro non sono le filosofie) possa assomigliare di molto all’universo. È anche azzardato pensare che di quelle coordinazioni illustri, qualcuna - seppur in modo infinitesimale – non sia alquanto più somigliante alle altre».198 L’autore conclude il suo saggio con queste parole:

«Noi (l’indivisa divinità che opera in noi) abbiamo sognato il mondo. Lo abbiamo sognato resistente, misterioso, visibile, ubiquo nello spazio e fermo nel tempo; ma abbiamo ammesso nella sua architettura tenui ed eterni interstizi di assurdità, per sapere che è finto».199

In questo caso, il termine “finto”non vuol dire brutalmente “non vero”, ma “diverso e sovrapposto rispetto alla realtà”; quello di Borges non è pertanto un invito più o meno esplicito a prescindere completamente dall’impegno filosofico, bensì il suggerimento a sottoporre quest’ultimo ad un’essenziale cura di saggezza per mezzo dell’ironia, del gioco e soprattutto della finzione. Spoudàios pàizein: giocare seriamente. Con questa curiosa espressione Platone caratterizzava il mestiere del filosofo. Il filosofo gioca “seriamente” così come fanno i bambini i quali «non giocano mai per distrarsi, ma per concentrarsi».200

Non è un caso che Ezequiel de Olaso, uno dei filosofi argentini più importanti degli ultimi decenni (che mantenne tra l’altro un’affettuosa relazione intellettuale con lo scrittore argentino), abbia intitolato Jugar en serio un suo libro di saggi su Borges. Con questo titolo emblematico, Olazo intende sottolineare come Borges si sia confrontato direttamente con la filosofia attraverso il gioco della finzione riproponendo certi concetti sotto la veste della letteratura fantastica.201 Anche per Olaso la filosofia e la letteratura sono due aspetti di un’unica vocazione; così, munito di un evidente talento analitico e del dominio dell’esegesi filosofica, egli s’impegna a leggere l’opera di Borges e ad interpretarla a fondo, fin nei dettagli. Jugar en serio è un libro che fornisce alcune chiavi di lettura dell’opera borgesiana e che conduce un’analisi minuziosa ed ermeneutica di tre diversi

198

Luis Borges, Obras Completas, Emecé Editores, Buenos Aires 2004, vol. I, p. 258.

199

Ibidem.

200

Fernando Savater, Borges, Op. Cit., p. 117.

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racconti: Pierre Menard, autor del Quijote, El otro e El Congreso. Dei sei saggi che compongono il volume di Olazo, il più significativo ai fini della nostra analisi è quello intitolato significativamente La poesía del pensamiento che si apre con un aneddoto che permette all’autore di dare un’efficace definizione della relazione tra Borges e la filosofia e che ricorre poi nel resto del volume. L’aneddoto è proprio quello del giocare seriamente, cioè del giocare a nascondere e ad occultare profondi ed impegnativi temi filosofici dietro la veste decisamente meno impegnativa della letteratura fantastica.

Questa la conclusione del saggio di Olaso: «In questo momento non avvertiamo, né la delicata filosofia invisibile né io, che l’alternativa era non di cercare il pensiero di Borges dietro le sue finzioni, ma, al contrario, di scoprire certi criteri poetici occulti che orientavano la sua attrazione verso determinati pensieri. Secondo questa ipotesi, Borges celebra la speculazione come un’ammirevole possibilità letteraria. Quello che cerca è la poesia del pensiero».202Poco più avanti

l’autore aggiunge: «Non deve allarmarci troppo il fatto che Borges fosse un genio intuitivo totalmente interessato ad evitare le spiegazioni anche a costo di apparire incoerente […] Borges amava le avventure del pensiero e questo è raro tra gli intellettuali. La sua opera è completamente esposta alle rettifiche dei pedanti, perché non si curò mai di loro».203

Il ricorso di Borges alla finzione letteraria è, in definitiva, una fuga dalle strutture filosofiche sistematiche, un modo per oltrepassare i limiti di qualsiasi sistema e speculazione teorica. Ogni filosofia organizzata opprime il pensiero impedendogli di raggiungere quella libertà che è indispensabile e necessaria per l’esercizio dell’immaginazione e del ragionamento stesso. «Il volo spirituale di ogni creatore, imprescindibile nell’avventura interpretativa dell’universo, deve muoversi nell’atmosfera limpida delle alte vette. E Borges è un creatore».204

La letteratura fantastica gli permette una fuga verso territori molto più vasti in cui le sue idee, non essendo imbrigliate in alcun sistema precostituito, possono perseguire quella libertà che è propria dell’atto creativo. Il pensiero fluisce senza possibilità di sistematizzarsi, senza arrestarsi in alcuna ideologia e questo fluire è 202 Ibidem, p. 18. 203 Ibidem, p. 20. 204

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fondamentalmente di tipo etico in quanto nasce dalla speranza e dal desiderio di scoprire un mondo che sia qualcosa di più che caos e artificio.

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Capitolo II

Variazioni filosofiche in Borges

Sommario: 1. Il tempo; 2. Le caratteristiche del tempo rappresentato; 2. 1. La reversibilità; 2.2. La