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Causalità e certezza scientifica

Sebbene non sia questa la sede per approfondire le diverse posizioni che hanno interessato lo studio della causalità nel diritto penale moderno, nondimeno sembra opportuno esaminare brevemente alcuni aspetti della materia causale nei suoi rapporti con la logica precauzionale, soprattutto alla luce di alcuni recenti approdi

interpretativi della giurisprudenza di legittimità227.

E’ noto che il codice penale, all’art. 40, sancisce il principio secondo cui nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione228.

La norma, nell’affermare il principio anzidetto, ha inteso richiamare la c.d. teoria condizionalistica, secondo la quale è causa (o condizione) di un evento, qualsiasi antecedente in assenza del quale l’evento stesso non si sarebbe verificato. La teoria è anche detta “dell’equivalenza”, poiché pone sullo stesso piano tutti quei fattori che,

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Il riferimento obbligato è a Cass. Pen., SS.UU., 10 luglio 2002, n. 30328, Franzese, il cui testo integrale può essere reperito in Riv. it. dir. e proc. pen., 2002, p. 1133 ss, con ampio approfondimento critico di F. STELLA dal titolo Etica e razionalità nel processo penale nella recente sentenza sulla causalità delle sezioni unite della suprema corte di cassazione, ivi, 767-816.

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La produzione scientifica in materia di causalità è vastissima, in questa sede si rinvia a F. ANTOLISEI, Il rapporto di causalità nel diritto penale, Padova, 1934; M. SINISCALCO, Causalità (rapporto di), in Enc. dir., VI, Milano, 1960, p. 639 ss.; nonché ai fondamentali contributi di F. STELLA, tra cui Leggi scientifiche e spiegazione causale in diritto penale, Milano, 1975; ID., La nozione penalmente rilevante di causa: condizione necessaria, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1988, p. 1217 ss.; ID., Rapporto di causalità, in Enc. giur. Treccani, XXV, Roma, 1991; ID.,Giustizia e modernità, Milano, 2002.

nel loro insieme, hanno contribuito a determinare la conseguenza pregiudizievole che integra l’illecito penale.

Per accertare la sussistenza del nesso causale, l’interprete è chiamato a seguire un procedimento che viene definito “di eliminazione mentale”. In altre parole, un’azione può essere definita propriamente causa di un evento penalmente rilevante, solo se essa non può essere mentalmente eliminata senza che, per l’effetto, venga meno la possibilità di verificazione dell’evento stesso.

La teoria condizionalistica è oggetto di una specifica scelta di politica legislativa da parte dell’ordinamento e da tale scelta deve muoversi ogni considerazione ermeneutica sulla categoria del nesso eziologico. E’ altrettanto vero che la teoria in

questione si presta ad alcuni rilievi critici229, alcuni dei quali di particolare attinenza

con il principio di precauzione.

Uno di questi sta nel fatto che la condicio sine qua non, da sola, non è in grado di definire quali sono le regole e le relazioni deterministiche che fanno conseguire a certe azioni (od omissioni) altrettante conseguenze. In altri termini, la condicio resta muta circa la spiegazione dei motivi scientifici e meccanicistici che presiedono al verificarsi degli eventi.

Il processo di eliminazione mentale, cui poc’anzi si è fatto riferimento, è utilmente esperibile solo se si conoscono, ex ante, le ragioni per cui ad un certo antecedente causale segue un determinato risultato. In mancanza di specifiche conoscenze teoriche, infatti, la mera osservazione dei fenomeni naturali non è in grado di chiarire le relazioni ed interconnessioni tra una causa A ed un evento B.

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Tra gli inconvenienti che la teoria condizionalistica presenta v’è quello del regresso ad infinito, alla stregua della quale potrebbero intendersi antecedenti causali di un determinato evento anche fattori molto distanti da esso in termini cronologici e deterministici (l’esempio di scuola è quello della madre dell’assassino che, proprio per aver messo al mondo un omicida, è ritenuta causalmente responsabile del fatto). Ancora, la teoria condizionalistica è stata ritenuta euristicamente insufficiente con riferimento alle ipotesi di causalità alternativa ipotetica. Si pensi al caso di un incendio dolosamente provocato da un individuo, che si sarebbe ugualmente verificato per cause naturali. In tale ipotesi, l’eliminazione mentale del fatto doloso non avrebbe comunque impedito il verificarsi del fatto pregiudizievole. Un altro motivo di critica alla tesi condizionalistica si palesa in merito alle ipotesi di causalità addizionale, nelle quali due antecedenti dello stesso tipo hanno entrambi concorso alla produzione dell’evento dannoso (due individui somministrano autonomamente dosi mortali di veleno allo stesso soggetto). In tal caso è impossibile, tramite il procedimento di eliminazione mentale, stabilire quale condotta ha provocato l’evento. Per una rassegna completa dei rilievi critici mossi alla teoria condizionalistica può confrontarsi G. FIANDACA E.MUSCO, Diritto penale, cit., p. 230 ss.

È risaputo che lasciar cadere un corpo nel vuoto ne provocherà la caduta sino all’incontro col terreno, essendo note le leggi sulla gravitazione universale teorizzate da Newton sul finire del XVII secolo.

Del pari, è noto che colpire un uomo sul cranio con un corpo metallico può provocarne la morte, essendo ciò confermato dalle scienze mediche ed anatomiche.

Da questi rilievi emerge incontrastata l’esigenza che, a monte dell’approccio condizionalistico, l’interprete si faccia carico di un’indagine ulteriore, concernente l’acquisizione di conoscenze specifiche le quali, in termini logici e razionali, possano spiegare il perché di determinati fenomeni.

Da qui un duplice ordine di possibilità.

Secondo un primo approccio, definito individualizzante, non è compito del giudice indicare la legge scientifica in grado di spiegare il perché di certi avvenimenti, bensì è lo stesso susseguirsi dei fatti nel loro ordine cronologico a far luce sul rapporto di causalità esistente tra condotta ed evento: post hoc ergo propter

hoc.

In altre parole, il giudice è chiamato a valutare la tenuta logica dell’impianto accusatorio secondo il proprio intuito e la propria capacità deduttiva, senza necessariamente poggiarsi su di un modello teorico di matrice scientifica che

avvalori le risultanze empiriche del fatto concreto230.

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Esempi di un simile approccio euristico sono riportati nell’opera di F. STELLA, Etica e razionalità nel processo penale nella recente sentenza sulla causalità delle sezioni unite della suprema corte di cassazione, cit., p. 771. L’autore richiama il celebre processo Talidomide, in cui i vertici della farmaceutica Grünenthal furono chiamati a rispondere di molti casi di morte o malformazione fetale, in seguito all’assunzione, da parte delle madri in gravidanza, del farmaco Talidomide. I giudici in quella sede affermarono: «noi usiamo nel processo penale un metodo del tutto particolare, il metodo delle scienze dello spirito, che ci consente di comprendere e di intuire l’essenza delle cose al di là e anche contro quanto può dirci il sapere scientifico che utilizza il metodo proprio delle scienze naturali». Un altro esempio citato da F. STELLA, oltre che nell’opera richiamata, anche in Leggi scientifiche, cit., p. 40 ss., è quello del disastro del Vajont. All’esito del relativo processo i giudici affermarono: «i fenomeni franosi non possono essere catalogati in schemi assoluti perché non obbediscono a leggi precise o, meglio, perché la scienza non ne conosce appieno il mistero»; «ogni frana sembra fare storia a sé, nel senso che non è possibile determinare l’esatta evoluzione dei fenomeni neppure attraverso l’esame dei casi similari»; «non si può negare l’incapacità della scienza di sciogliere il dubbio sulla natura e la portata del fenomeno franoso»; «i numerosi scienziati che hanno studiato il fenomeno sono stati tutt’altro che concordi nell’identificare le cause naturali e nel ricostruirne le modalità di svolgimento»; «ciononostante deve considerarsi del tutto pacifica la circostanza che dal punto di vista naturalistico, l’azione dell’uomo sia stata condizione necessaria della frana».

Questa impostazione, che fa del magistrato un produttore, più che un consumatore di leggi causali231, non sembra del tutto in armonia con l’idea che il processo penale debba essere, prima di ogni altra cosa, il luogo in cui si vuole verificare la realtà dei fatti. Il luogo in cui l’accertamento delle eventuali responsabilità penali non deve costituire l’obiettivo irrinunciabile dell’organo giudicante, ma piuttosto l’esito di riflessioni che la realtà processuale incontrovertibilmente suggerisce.

L’estremizzazione del metodo individualizzante ha condotto, in regimi autoritari del passato, al fiorire di dottrine coma quella del Vyšinskij secondo il quale le prove di colpevolezza possono essere trovate dal giudice senza accertamenti, «senza uscire dal suo ufficio, basandosi non solo sulla propria intelligenza, ma anche sull’intuito di

partito, sulle sue forze morali e sul suo carattere»232.

Ora, lasciando da parte le compromissioni storiche, conviene osservare che il modello individualizzante, oltre ad investire il magistrato di un munus che per certi versi non gli compete (quello di scienziato), non offre le stesse garanzie euristiche che un criterio di giudizio sensibile alle influenze del metodo scientifico può assicurare.

Ecco allora affermarsi, sulla scena del diritto penale moderno, un secondo approccio, definito “della spiegazione causale generalizzante”, il quale fonda l’accertamento del nesso eziologico sulla sussunzione del fatto concreto sotto leggi di copertura scientifica, al fine di assicurare un adeguato impianto teorico-esplicativo

alla ricostruzione dei fatti risultante dalla sentenza233.

La legge di copertura altro non è che l’astrazione di una regola teorica dedotta dall’osservazione ripetuta nel tempo di accadimenti concreti, secondo le dinamiche

231

In questi termini G. FIANDACA E.MUSCO, Diritto penale, cit., p. 234.

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Il passo è ripreso da F. STELLA, Etica e razionalità nel processo penale nella recente sentenza sulla causalità delle sezioni unite della suprema corte di cassazione, cit., p. 769.

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In tal senso Cass. Pen., SS.UU., 10 luglio 2002, n. 30328, cit., 1135, osserva: «E la spiegazione causale dell’evento verificatosi hic et nunc, nella sua unicità ed irripetibilità può essere dettata dall’esperienza tratta da attendibili risultati di generalizzazione del senso comune, ovvero facendo ricorso (non alla ricerca caso per caso, alimentata da opinabili certezze o da arbitrarie intuizioni individuali, bensì) al modello generalizzante della sussunzione del singolo evento, opportunamente ri- descritto nelle sue modalità tipiche e ripetibili, sotto leggi scientifiche esplicative dei fenomeni. Di talché, un antecedente può essere configurato come condizione necessaria solo se esso rientri nel novero di quelli che, sulla base di una successione regolare conforme ad una generalizzata regola di esperienza o ad una legge dotata di validità scientifica - legge di copertura -, frutto della migliore scienza ed esperienza del momento storico, conducano ad eventi “del tipo” di quello verificatosi in concreto».

proprie del metodo scientifico. Una regola che, proprio perché desunta e confermata dall’esperienza, resta passibile di revisioni e riscritture ove l’osservazione sperimentale suggerisca una differente spiegazione degli accadimenti naturali.

Per citare nuovamente l’esempio delle leggi sulla gravitazione universale (ritenute inattaccabili fino all’inizio del secolo scorso), la loro tenuta fu messa in crisi dalle intuizioni di Albert Einstein sul concetto di relatività e di Max Planck sulla meccanica quantistica, con riferimento a sistemi fisici immensamente grandi (pianeti ed astri) ed immensamente piccoli (atomi e particelle sub-atomiche).

L’utilizzo dell’approccio generalizzante consente all’interprete di ancorare la propria tesi ricostruttiva ad uno studio teorico dotato di un elevato grado di affidabilità logica e razionale, tale da integrare le conoscenze che il giudice già possiede ma che potrebbero risultare, da sole, insufficienti a raggiungere un accertamento incontrovertibile del fatto.

Una simile premessa mette in risalto l’importanza che, nel processo penale, riveste la sostenibilità scientifica dell’ipotesi accusatoria, sollevando dubbi di non poco momento in merito alla compatibilità di questo approccio con il principio di precauzione che, invece, fa dell’imponderabilità conoscitiva di certi accadimenti il suo carattere principale.