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Segue: l’evoluzione del dovere impeditivo, in relazione al progresso delle

6. Responsabilità colposa e logica precauzionale: i termini della questione

6.1. Segue: l’evoluzione del dovere impeditivo, in relazione al progresso delle

Accogliendo l’idea che un certo margine di rischio, nello svolgimento di molte attività socialmente utili, sia ineliminabile, resta il dubbio se la continua evoluzione del sapere scientifico in settori particolarmente “esposti” ad eventi di rilievo penale (infortuni sul lavoro, responsabilità medica, esposizione professionale), possa ridefinire il concetto di prevedibilità alla luce di approdi conoscitivi di natura postuma278.

Ci si domanda, in altre parole, se la colpa operi anche laddove la regola cautelare si sia definita, nella sua fisionomia perfetta, dopo il compimento dell’azione od omissione cui l’evento dannoso o pericoloso sia causalmente riconducibile.

modello, condensato di umane virtù(1), al cospetto all'evoluzione della società industriale e delle innovazioni tecnologiche e alla continua, affannosa ricerca delle conoscenze scientifiche necessarie per fronteggiare i pericoli della modernità, rischia oggi di trasformarsi in quell'uomo senza qualità(2), preda di una intelligenza affascinata dall'esattezza scientifica, in eterno conflitto con l'infinita indeterminatezza del reale».

277

Ex multis, si vedano le considerazioni di G. FIANDACA E. MUSCO, Diritto penale, parte generale, cit., p. 555 «l’utilizzazione di un tipo oggettivo di agente modello non impedisce in certi casi di individualizzare ulteriormente la misura della diligenza imposta: così, se per avventura l’agente reale possiede conoscenze superiori rispetto a quelle proprie del tipo di appartenenza, queste dovranno essere tenute in conto nel ricostruire l’obbligo di diligenza da osservare». Si vedano altresì le considerazioni svolte da F. CONSORTE, Tutela penale e principio di precauzione, cit., p. 191; e da G. FORTI, Colpa ed evento nel diritto penale, cit. p. 234 ss.

278

Di particolare interesse le considerazioni svolte sul punto da C.PERINI, Il concetto di rischio nel diritto penale moderno, cit., p. 559, che osserva: «il limite esterno del concetto di rischio fisiologicamente presente nel giudizio di prevedibilità dell’evento sembrerebbe segnato dal principio di precauzione. È chiaro che, su un piano non strettamente penalistico, lo scenario di incertezza scientifica evocato dal principio di precauzione è compatibile (soltanto) con il significato lato del termine rischio: tale principio opera, infatti, in contesti in cui si avanzano serie congetture di gravi pericoli per beni fondamentali, pur in assenza di consolidate evidenze scientifiche circa l’effettiva pericolosità di date condotte, prodotti o sostanze, o in presenza di dati scientifici discordanti o comunque non pienamente corroborati». L’autrice effettua un richiamo all’opera di C. RUGA RIVA, Principio di precauzione e diritto penale, Genesi e contenuto della colpa in contesti di incertezza scientifica, cit., p. 1743. Alle medesime pagine si rinvia per una compiuta disamina del concetto di rischio consentito, su cui, più in generale si veda G. FIANDACA E. MUSCO, Diritto penale, parte generale, cit., p. 556.

E se, di primo acchito, una risposta in senso negativo al quesito sembra quasi obbligata, giacché la natura del comportamento alternativo lecito deve essere nota al momento della condotta realizzata, le certezze vacillano quando ci si avvicini a materie in cui il rischio (sebbene non scientificamente provato) sia ugualmente percepibile in un determinato settore di attività.

Ciò, fermo restando che nessuna imputazione di responsabilità potrà essere operata nel caso in cui l’ipotesi di rischio si basi su elementi non conoscibili da nessuno al tempo della condotta, e nonostante i fattori di potenziale pregiudizio

fossero effettivamente sussistenti279.

La società del rischio espone le acquisizioni della scienza e della tecnica ad un aggiornamento così rapido da generare quello che molti hanno definito un vero e proprio paradosso: più si progredisce in ogni campo del sapere umano e maggiori

saranno le incognite conseguenti ad ogni nuova scoperta280. E così, ogni nuovo passo

verso una più matura conoscenza del mondo, ne impone altri cento nelle direzioni più disparate, secondo una logica di propagazione del sapere virtualmente illimitata.

In tutto ciò, il parametro dell’agente modello (al quale ancorare il giudizio di diligenza nelle fattispecie colpose) è esposto ad una evoluzione che va di pari passo

con l’aumentare delle conoscenze scientifiche, imponendo una “corsa verso l’alto”281

cui l’agente del caso concreto è chiamato a partecipare.

Il bagaglio culturale dell’homo eiusdem condicionis et professionis è soggetto ad incrementi marginali costanti nel tempo, e tali da richiedere un incessante sforzo di adeguamento a chiunque si avvicini al settore di interesse.

Un simile (sebbene necessario) sforzo, peraltro, risulta spesso difficile da produrre laddove lo stratificarsi delle conoscenze è rapido ed incessante, come ad esempio nel campo della tutela ambientale o della salute umana.

279

F. CONSORTE, Tutela penale e principio di precauzione, cit., p. 194; M. DONINI, Imputazione oggettiva dell’evento, cit., p. 52.

280

F. ATTILI, L’agente-modello nell’era della complessità: tramonto, eclissi o trasfigurazione?, cit., p. 1244: «la conoscenza scientifica e la sua evoluzione aprono la strada a nuove forme di attività, innescando nuovi rischi, spesso insondabili, oscuri, che pongono il duplice problema di come riconoscerli e, successivamente, di come decidere della loro gestione: si staglia, così, la prospettiva post-moderna, che pone l'uomo dinanzi ad un interrogativo oramai ricorrente: va privilegiato lo sviluppo (navigare necesse) o si deve assumere un approccio precauzionale e, dunque, cautelativo (vivere necesse)?».

281

F. ATTILI, L’agente-modello nell’era della complessità: tramonto, eclissi o trasfigurazione?, cit., p. 1247. Si veda altresì C. RUGA RIVA, Il principio di precauzione e diritto penale, cit., p. 1753.

In questo quadro, sono evidenti le difficoltà cui l’interprete va incontro nell’accertamento della responsabilità penale, trovandosi a fare i conti con una nozione fortemente instabile di diligenza, da un lato, e con la compiuta crisi del

concetto classico di agente modello dall’altro282.

Tutto questo genera l’impossibilità di stabilire con chiarezza i confini del

comportamento doveroso283, con il rischio di indulgere ad inversioni metodologiche

difficilmente accettabili, in base alle quali il modello comportamentale dovuto non è stabilito ex ante, secondo le conoscenze disponibili al momento della condotta, ma ex

post, sulla base degli accadimenti concretamente verificatisi.

Il giudice partirebbe, così, dall’evento pregiudizievole per ricostruire a posteriori il modello cautelare ideale, riempiendo di contenuti ogni volta diversi il dovere di diligenza atteso dal soggetto agente, secondo una logica in tutto e per tutto retrospettiva284.

La crisi dell’agente modello, in buona sostanza, diviene conclamata proprio laddove il principio di precauzione comincia ad affermarsi ed a porre un interrogativo: è possibile prescrivere, agli operatori di un determinato settore, doveri comportamentali più gravosi di quelli suggeriti dall’esperienza e dalle conoscenze disponibili al momento dell’agire?

282

Per una compiuta nozione del concetto di agente modello si veda quanto affermato da C. PIERGALLINI, La regola dell’oltre ragionevole dubbio al banco di prova di un ordinamento di civile law, in Impugnazioni e regole di giudizio nella legge di riforma del 2006. Dai problemi di fondo ai primi responsi costituzionali, M. Bargis e F. Caprioli (a cura di), Torino 2006, secondo cui «L’agente- modello integra un criterio normativo calato sul terreno della tipicità colposa, che impersonifica le pretese dell’ordinamento nel modo seguente: il soggetto avrebbe dovuto rappresentarsi la pericolosità della condotta allorché questa avrebbe potuto essere riconosciuta da un uomo ragionevole, coscienzioso ed avveduto, sulla scorta delle conoscenze nomologiche disponibili».

283

F. ATTILI, L’agente-modello nell’era della complessità: tramonto, eclissi o trasfigurazione?, cit., p. 1241 «l'agente-modello si sfalda e propende verso una iperindividualizzazione che, accampando mire 'deontiche', finisce con il ritagliare un comportamento doveroso privo di stabilità: la cautela, cioè, diventa inesorabilmente elastica, atteggiandosi come una clausola destinata ad essere riempita di contenuto dal giudice, con una logica interamente ed impropriamente 'retrospettiva'. Esito: un inversione metodologica, che pone nel nulla il criterio della copertura del rischio tipico; il rischio diventa sempre tipico ex post. L'agente-modello, dunque, ben lungi dal rivelare una piattaforma precostituita del dovere esigibile, si trasforma in 'cattivo' consulente, che rilascia essenzialmente, come si è posto giustamente in luce, propensioni colpevoliste».

284

Sul punto C. PIERGALLINI, Danno da prodotto e responsabilità penale, cit., p. 447 rileva che «La cognizione del rischio, proprio perché di stampo intuizioni stico, si rivela altresì sostanzialmente evanescente. Questa caratteristica esprime l’incompletezza della cognizione: la mera possibilità di rendersi conto di una situazione foriera di rischi non permette ancora di apprezzarne le dimensioni, di distinguerne e di selezionare, cioè, una sfera di pericoli rispetto ai quali attivare misure di profilassi. La sussistenza di qualche evento dannoso costituisce nulla più che un sintomo, spesso insuscettibile di rimandare nitide informazioni sull’origine e sulle modalità di causazione del danno».

La domanda risulta estremamente problematica, poi, laddove, nei reati causalmente orientati, sussistano due circostanze contestuali: 1) il trascorrere di un considerevole lasso di tempo tra l’insorgere della lesione all’interesse tutelato e l’esposizione al fattore causale che l’ha prodotta; 2) la presenza di segnali e riscontri empirici che suggeriscono l’eventualità di un potenziale pericolo per l’interesse

tutelato, senza che tuttavia ne sia offerta una conferma univoca285.

Il che porta ad ulteriori questioni.

Se anche si ammetta la rilevanza dei suddetti indici di rischio ai fini del giudizio di responsabilità per colpa, dovrà anche stabilirsi qual è il momento a partire dal quale è esigibile che l’agente concreto sia consapevole del potenziale danno discendente dalla sua condotta.

Si dovrà poi definire il parametro alla stregua del quale valutare il rispetto dell’obbligo di diligenza e conoscenza, come arricchito dall’affermarsi, sulla scena del diritto penale moderno, del principio di precauzione.

La risposta a tali quesiti non può che passare per l’esame di alcune emblematiche pronunce in materia di rischio, di incertezza scientifica e di colpa professionale.