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3. FATTORI RESPONSABILI DELLA DESERTIFICAZIONE E PROCESSI D

3.2 Cause antropiche di desertificazione

Per quanto concerne le cause antropiche, tra le attività produttive, quella che più di ogni altra può favorire accelerandolo o avviandolo, il processo di desertificazione, è sicuramente l’agricoltura. Il degrado del suolo infatti è legato soprattutto all’uso frequentemente erroneo dei mezzi di produzione, (fertilizzanti, acqua ecc.), alle pratiche non corrette di lavorazione del terreno e alle modifiche degli ordinamenti produttivi. L’agricoltura di tipo intensivo e la specializzazione delle colture sono tendenze in atto già dalla seconda metà del secolo ed hanno condotto a seri fenomeni di degradazione del suolo. L’intensivizzazione delle pratiche agricole ha riguardato principalmente le lavorazioni del suolo, l’ordinamento produttivo dei campi ed il ricorso all’irrigazione artificiale (Coscarelli et al., 2007). Le principali cause antropiche di desertificazione sono:

L’agricoltura: a livello agricolo i processi di degrado del suolo sono il risultato della

gestione erronea dei mezzi di produzione, delle superfici e delle modifiche degli ordinamenti produttivi. In questo senso deve porsi attenzione all’uso dei mezzi meccanici che influenzano pesantemente la costipazione e la compattazione del terreno e la fertilità chimico-fisica dello strato di terreno arato, che è andato aumentando in spessore negli ultimi anni, e all’utilizzazione di sistemazioni non

tradizionali delle superfici collinari con evidenti effetti sui processi di ruscellamento delle acque. Le lavorazioni del terreno sono da sempre state lo strumento principe per l’idonea regimazione delle acque di deflusso sia superficiali che profonde e, se idoneamente realizzate in termini tecnici e temporali, evitano il ruscellamento e aiutano il mantenimento del tenore idrico dei suoli. Inoltre, le superfici irrigate sono andate aumentando negli ultimi anni con effetti sia sul tipo di produzione, cioè sulla coltivazione di specie diverse da quelle tradizionali, sia per quanto riguarda i pericoli di progressiva salinizzazione degli strati superficiali del terreno.

Aree diverse del paese presentano problemi specifici in relazione al tipo di acque utilizzate, alla natura locale dei terreni e ai sistemi prevalenti di distribuzione dell’acqua irrigua.

Negli ultimi 50 anni inoltre sono state realizzate risistemazioni di aree degradate, con specie vegetali non propriamente autoctone, a rapido accrescimento. Sono state impiegate anche specie esotiche ma non sempre suolo e clima sono risultate idonee alle loro esigenze. In questi casi non si è ottenuto il risultato atteso né dal punto di vista della produzione di legname, né riguardo al recupero degli ecosistemi. Dagli studi condotti in Sardegna risulta che con la diffusione delle coltivazioni di queste specie, nelle aree collinari e montane, si verifica un’erosione più elevata del terreno e si riduce drasticamente la varietà delle specie epigee ed ipogee con gravi ripercussioni della biodiversità locale.

Gestione delle risorse idriche: Per quanto riguarda le risorse idriche vediamo come

la ricchezza di acque sotterranee in alcune zone specifiche tra cui l’Italia, sia compromessa da un uso dissennato della risorsa stessa, caratterizzato da prelievi

sotterranee è l’abbassamento del livello della falda, che a sua volta può produrre delle modificazioni ambientali: in acquiferi di pianura, per esempio, si può determinare il richiamo di acque superficiali inquinate; in prossimità della costa, può essere provocato il richiamo di acque marine, causando la salinizzazione delle falde. L’irrigazione con acque non sufficientemente desalinizzate o con quantità d’acqua troppo basse per mantenere la salinità a livelli minimi causa inevitabilmente la salinizzazione e conseguentemente fenomeni di desertificazione.

La deforestazione: Fra le pratiche di utilizzo del territorio che hanno determinato

un’influenza negativa, vi è quella della deforestazione ossia della trasformazione degli ecosistemi forestali in ecosistemi agricoli, spesso finalizzata ad un’utilizzazione zootecnica. L’eccessivo sfruttamento delle risorse forestali e la loro distruzione fa sì che una sempre crescente superficie di suolo venga esposta al rischio di degrado. Il disboscamento, fra le altre cose, provoca una forte riduzione della capacità di ritenzione dell’acqua da parte del suolo e può essere considerato, quindi, una delle cause antropiche di esaurimento dell’acquifero. Infatti con questi interventi si verifica l’asportazione degli orizzonti organici di superficie, ossia quelli maggiormente responsabili della regimazione dei deflussi idrici e dell’attività biologica del suolo (animale e vegetale). Le conseguenze della deforestazione sono meno gravi nelle zone umide dove la ricostituzione dell’ambiente forestale, in assenza di incendi, avviene in tempi relativamente brevi.

Gli incendi: Il fuoco può influire sulla composizione e sulla struttura delle comunità

vegetali ed animali, condizionandone la loro evoluzione e la loro perpetuazione. Le alte temperature dovute al fuoco possono avere effetti negativi anche sulle proprietà fisico-chimiche del suolo. Possono, ad esempio, cambiare la struttura del terreno rendendolo meno permeabile e, quindi, più esposto a processi erosivi. Con l’incendio si formano sostanze idrorepellenti che accelerano lo scorrimento superficiale e quindi

il trasporto solido. Infatti problemi idrologici si sviluppano pressoché sistematicamente nelle aree bruciate acclivi nella prima stagione piovosa immediatamente successiva all’incendio. Tuttavia gli ecosistemi mediterranei hanno sviluppato meccanismi e strategie di resistenza in grado di ricostituirsi in tempi relativamente brevi. Ma, sotto la pressione delle attività umane, gli incendi hanno spesso raggiunto dimensioni catastrofiche e frequenze così alte da non provocare alcun beneficio dal punto di vista ecologico. Gli incendi costituiscono una piaga che interessa molte aree d’Italia, anche a danno della macchia mediterranea, che rappresenta, specialmente per le regioni meridionali, una difesa naturale nei confronti dei processi di desertificazione.

Gli inquinanti: l’attività agricola costituisce una fonte di immissione nell’ambiente

di quantità massive di prodotti chimici organici ed inorganici che una volta entrati nell’ambiente possono permanervi e portare ad una alterazione profonda degli equilibri chimici e biologici del suolo. Più del 10% dei fungicidi e degli insetticidi utilizzati, ad esempio, apportano al suolo Cu, Hg, Mn, Pb e Zn.

Altri inquinanti possono arrivare al terreno tramite riciclaggio di fanghi derivanti dalla depurazione di acque reflue, di effluenti di allevamenti zootecnici o di scarti industriali. Si tratta in genere di residui che comportano come elemento positivo apporto di sostanza organica e di elementi nutritivi ma possono presentare alcuni problemi in relazione alla presenza di metalli e di sostanze indesiderate. Ad esempio i liquami di suini contengono notevoli quantità di Zn e Cu, che entrano nella dieta alimentare come integratori e si accumulano nelle feci.

fattore di riduzione della copertura vegetale e dell’erosione del suolo (Coscarelli et al, 2007). Questo tipo di attività ha modificato l’uso stesso del territorio. La maggior parte delle problematiche di intenso pascolamento sono dovute ad una irrazionale gestione faunistica del territorio e ad una non appropriata utilizzazione dei pascoli parte degli animali.

Da una parte, prevalentemente in pianura, si assiste a fenomeni di inquinamento ambientale a causa della necessità di smaltimento delle deiezioni animali su superfici spesso troppo limitate (il caso limite è rappresentato dagli allevamenti senza terra). Dall’altra, in zone collinari e montane marginali, si ricorre in maniera sempre più incisiva all’utilizzo di aree pascolive, sulle quali si sono spesso riscontrati carichi animali eccessivi con conseguenti fenomeni di degrado della vegetazione, compattazione ed erosione dei suoli fino ad arrivare a processi di desertificazione. Rimandiamo al capitolo successivo la trattazione di questi aspetti che rappresentano una delle tematiche base di questo lavoro.

• 3.3 Processi di degradazione del suolo

I processi di degradazione vanno distinti in processi che determinano l’inaridimento del suolo e processi che determinano la perdita della risorsa in termini di sottrazione di volume e di superficie.

• 3.3.1 Perdita di sostanza organica

La sostanza organica è un fattore centrale nel funzionamento degli agroecosistemi: da essa, in quanto punto di partenza e di arrivo della evoluzione ciclica della materia, dipende la fertilità del suolo, cioé la sua attitudine a sostenere nel tempo le colture. Attualmente, per l’intensificazione delle produzioni, il ciclo della sostanza organica risulta nettamente sbilanciato verso il consumo e la fase di mineralizzazione, a netto svantaggio della fase di accumulo dei residui organici e della fase di umificazione. Risulta invece necessario mantenere nei sistemi agrari il delicato equilibrio tra

accumulo e consumo della sostanza organica, indispensabile per non compromettere le condizioni di fertilità dei terreni. Per questi motivo è necessario comprendere tutti gli aspetti legati alla sostanza organica del suolo, con riferimento sia alle sue proprietà e funzioni che alle tecniche agronomiche che ne influenzano il contenuto nel terreno. Tutte le proprietà fisiche del terreno sono in stretta relazione con la

quantità e la qualità della sostanza organica: variazioni anche piccole del suo contenuto, provocano mutamenti consistenti delle caratteristiche fisiche del suolo. Il possesso e la conservazione di una buona struttura del suolo sono aspetti connessi al fenomeno dell’erosione. Questa, praticamente inesistente in condizioni normali in un suolo forestale, inizia dopo un’eventuale distruzione dello strato organico di residui vegetali parzialmente decomposti.

5.INDICI DI VALUTAZIONE DEI DANNI

In questo capitolo verranno descritti alcuni parametri analitici che ci hanno fornito un’indicazione sullo stato di degrado del terreno (parametri chimici, biochimici, fisici e fisico-strutturali). Inoltre verrà introdotta la descrizione di alcuni parametri fitoecologici che riguardano i danni derivanti dalla pressione zoogena sul cotico erboso.

Parametri Caratteristiche rilevate

Suolo % suolo alterato

Parametri

5.1 Parametri fitoecologici

• Stima dei danni al suolo

La stima dei danni al suolo si basa sulla valutazione della percentuale di superficie alterata (Fabbio et al., 2004), ovvero totalmente priva di copertura vegetale. La perdita di vegetazione risulta essere uno dei parametri più importanti tra quelli che regolano la degradazione del suolo. La correlazione tra il fattore zoogeno e la perdita di copertura vegetale è evidente; Fabbio et al. (2004) dimostrano una correlazione tra questi due fattori. La perdita di copertura vegetale risulta essere del 38 % e del 56 % rispettivamente per densità di 1 capo/ha e 3 capi/ha.

• Stima dei danni alla fitocenosi

Con tale stima si intende quantificare l’impatto degli animali sul cotico erboso. Viene infatti calcolata la percentuale di piante che hanno superato la fase di ricaccio nel periodo successivo al pascolamento.

5.2 Parametri analitici del suolo 5.2.1Parametri chimici

• Sostanza organica

Molti scienziati sono concordi nel ritenere che il contenuto di sostanza organica sia tra i migliori indicatori della qualità del suolo, in quanto la sua presenza si riflette sulle proprietà chimiche, fisiche e biologiche del terreno.

La sostanza organica include residui di piante, di animali e di microrganismi, ai vari stadi di decomposizione, e sostanze sintetizzate dalla popolazione vivente del terreno. La frazione organica è quindi costituita:

 dalle biomasse vegetali, animali e microbiche;

 dalle necromasse integre o in fase di demolizione delle strutture cellulari;  da molecole semplici che si liberano dalle biomasse o dalle necromasse;

 da molecole umiche che si originano dalle unità organiche più semplici per effetto di una serie di reazioni biochimiche.

Quando la sostanza organica è molto ben decomposta costituisce l’humus, un materiale di colore bruno scuro, poroso, di consistenza spugnosa.

Escludendo i cosiddetti terreni organici, generalmente il contenuto di sostanza organica nei suoli oscilla tra l’1 e il 2%. In suoli spagnoli degradati da processi di erosione verificatisi in seguito alla perdita di copertura vegetale, si riscontrano concentrazioni di carbonio organico che variano da 0,4% ad 1,7%, mentre per suoli naturali si hanno valori del 2,0% (Garcia et al., 2000).

La sostanza organica influisce positivamente anche su molti dei parametri che sono stati analizzati in questo lavoro.

 La presenza della sostanza organica, attraverso l’interazione con gli altri componenti del suolo, determina le condizioni per una buona struttura del suolo. Ciò produce un efficace ricambio di aria tellurica ed una maggiore facilità di drenaggio; inoltre comporta un miglioramento delle possibilità di penetrazione delle radici, nonché una maggiore resistenza del suolo alla compattazione o alla polverizzazione; infine favorisce le condizioni ottimali per lo sviluppo e la funzione attiva della biomassa.

 La sostanza organica influisce fortemente sulla densità apparente del suolo: infatti una variazione anche piccola del suo contenuto (ad esempio dall’1 al 3%), comporta una diminuizione della densità apparente del suolo di circa il 50%. Ciò è dovuto all’aumento di porosità determinato dalla formazione di nuovi aggregati.

 La sostanza organica influenza la capacità di ritenzione idrica del terreno, non solo perché condiziona l’aggregazione strutturale e quindi la porosità, ma

costituiscono una riserva potenzialmente assimilabile, la cui quantità nel suolo è tale da soddisfare le esigenze delle colture per numerosi anni.

 La sostanza organica presenta una elevata capacità di scambio cationico, per la quale contribuisce in media, rispetto ai costituenti minerali, nella misura di circa il 50%. Tale percentuale varia a seconda del tipo di copertura vegetale, delle condizioni climatiche e del tipo di suolo.

 La sostanza organica è estremamente importante come fattore di controllo della disponibilità di microelementi: la solubilità di metalli come ferro, zinco, nichel, cobalto e manganese è regolata dalla formazione di complessi tra gli ioni metallici e le frazioni solubili della sostanza organica. Talvolta possono formarsi complessi caratterizzati da elevata stabilità (chelati), che hanno un effetto regolatore sulla disponibilità del metallo per le piante.

Nella composizione della sostanza organica, si riconosce, una componente più labile, costituita da composti prontamente metabolizzabili (sostanze non umiche) ed una componente più stabile, molto più resistente alle degradazione chimica e biologica, costituita dalle sostanze umiche propriamente dette (Tate, 1987).

La componente labile della sostanza organica è costituita principalmente da acidi alifatici ed aromatici, carboidrati, aminoacidi e loro derivati polimerici come proteine, polipeptidi, polisaccaridi, lipidi ed altre sostanze organiche a basso peso molecolare (Schnitzer, 1991). Tale componente costituisce un pool di sostanze facilmente mineralizzabili e rapidamente disponibili come substrato per i microrganismi del suolo. A livello di questa componente, labile e reattiva, avviene l’accumulo, lo scambio ed il riadattamento delle innumerevoli sostanze prodotte dalle popolazioni batteriche, dagli organismi animali e dagli essudati radicali delle piante (Ceccanti et al., 1994; Ceccanti et al., 1997).

La mineralizzazione perciò indica la conversione dei nutrienti da forme organiche a inorganiche; tale processo include numerose reazioni ed il passaggio a numerosi prodotti intermedi. L’intensità dei processi di mineralizzazione non è uniforme nel

suolo: infatti è maggiormente evidente in prossimità delle radici (rizosfera) dove l’attività dei microrganismi, stimolati dagli essudati organici radicali, permette il rilascio di azoto, fosforo e zolfo.

La componente stabile della materia organica del terreno è costituita dalle sostanze umiche. Queste sostanze, convenzionalmente, vengono definite come una serie di sostanze organiche eterogenee ad alto peso molecolare, di derivazione naturale, colorate da marrone a nero e formate attraverso una serie di reazioni secondarie di sintesi (Stevenson, 1982; Aiken, 1985). Tali sostanze sono prodotte a seguito della decomposizione di residui di origine animale o vegetale (Mac Carthy, 2001), pertanto sono considerate una delle più abbondanti forme di sostanza organica presenti sulla superficie terrestre (Woodewell and Houghton, 1977; Woodewell et al., 1978, Anderson, 1979).

• Azoto totale

L’azoto rappresenta il macroelemento più importante per la crescita delle piante. Una buona disponibilità di azoto per tutto il ciclo biologico infatti fa sì che la pianta sviluppi al massimo l’apparato vegetativo, mentre una deficienza di azoto provoca un accrescimento stentato e una scarsa produzione di clorofilla. L’azoto nel terreno è contenuto nei composti umici colloidali, nei residui organici indecomposti e nella biomassa microbica e, essendo presente per lo più in forma organica (90−98%), può essere considerato un ottimo indicatore della sostanza organica del terreno così come il carbonio organico.

L’azoto totale assume concentrazioni intorno allo 0,2% in suoli naturali mentre nei terreni agrari il contenuto medio di questo elemento oscilla tra 0,1 e 0,15%. In suoli

composti più stabili, soprattutto fenoli ed acidi fulvici (Kuiters and Mulder, 1993). Il valore di questo parametro è importante dal punto di vista ecologico in quanto, il Carbonio idrosolubile, può essere definito come quella parte del Carbonio totale che entra immediatamente a disposizione dei microrganismi nella catena alimentare del microambiente (Garcia et al., 1992). Inoltre, può essere causa di contaminazione delle falde acquifere. Le frazioni labili, benché rappresentino solo una piccola porzione del totale, sono largamente dinamiche e rendono conto della maggior parte delle fluttuazioni della materia organica nel tempo (Cambardella and Elliott, 1992).

Essendo il carbonio idrosolubile per sua natura molto variabile, anche la sua concentrazione in suoli degradati mostra notevoli differenze, da valori di 22,5 mg/kgss a valori di 95,8 mg/kgss. In suoli naturali si hanno invece valori mai inferiori a 290 mg/kgss (Garcia et al., 2000).

5.2.2 Parametri biochimici

Gli enzimi sono i catalizzatori biologici di innumerevoli reazioni che si svolgono nel suolo e sono parte integrante del ciclo dei nutrienti. L’estrazione di enzimi dal terreno è resa complicata dai molteplici microhabitat nei quali essi possono agire; è per questo che gli enzimi del suolo vengono studiati mediante la determinazione della loro l’attività. L’attività di un determinato enzima nel suolo è, in realtà, la risultante di diverse attività che possono essere associate con la componente biotica e abiotica del terreno. Gli enzimi del suolo sono stati proposti come potenziali indicatori della qualità e della condizione metabolica di terreni stressati (Masciandaro et al., 1999) grazie alla loro stretta relazione con la componente microbica del terreno (Frankenberger et al. 1983), alla relativa facilità di misura ed alla loro capacità di rispondere rapidamente ai cambiamenti indotti nelle proprietà del terreno dalle diverse pratiche di gestione del suolo (Dick, 1994; Dick et al., 1996; Monreal et al. 1998; Warketin, 1995). Gli enzimi, inoltre, possono essere utilizzati per monitorare gli effetti di inquinanti organici ed inorganici sulla funzionalità microbiologica del terreno, nonché per valutare l’efficacia dei processi di recupero biologico dei suoli

inquinati (Nannipieri and Bollag, 1991; Perucci, 1992). Anche la degradazione del suolo dovuta ad erosione, compattazione o altro tipo di disturbo può essere diagnosticata mediante la determinazione delle attività enzimatiche (Dick et al., 1998).

• ββββ-glucosidasi

La β-glucosidasi, è un enzima relazionato con il ciclo del carbonio: è una idrolasi coinvolta nella degradazione microbica della cellulosa a glucosio (Alef e Nannipieri, 1995).

In particolare, la β-glucosidasi idrolizza i gruppi terminali non riducenti del β-D- cellobiosio (dimero del glucosio derivante dalla degradazione della cellulosa), liberando β-D-glucosio. La degradazione e la mineralizzazione della cellulosa sono i principali processi del ciclo del carbonio nel suolo e quindi l’attività β-glucosidasica può essere considerata un valido indicatore del processo di mineralizzazione della sostanza organica ed è strettamente legata alla presenza di composti del carbonio nel suolo (Cook e Allan, 1992).

O CH2OH OH OH OH OH O OH OH CH2OH O B-glucosidasi O CH2OH OH OH OH β− D-glucosio Cellobiosio

2

OH H2O

Figura 0.1 Reazione catalizzata dalla β-glucosidasi.

catalizzano l’ossidazione di composti organici con la rimozione di due atomi di idrogeno che sono trasferiti alla molecola del NAD+ o NADP+ (Nannipieri et al., 1990).

L’attività deidrogenasica globale del suolo è la sommatoria delle attività di varie deidrogenasi, che sono parte integrante dei sistemi enzimatici di tutti i microrganismi. L’attività enzimatica della deidrogenasi risulta essere quindi un buon indicatore dei sistemi microbiologici redox e può essere considerata una buona misura dell’attività microbica ossidativa del suolo (Casida, 1977; Benedetti e Gianfreda, 2004).

L’attività della deidrogenasi è considerata un indicatore delle attività microbiche nel loro complesso perchè questo enzima è necessario a livello intracellulare in tutte le cellule microbiche ed è legato ai processi di respirazione dei microrganismi (Bolton et al., 1985).

5.2.3 Parametri fisici

• Crepacciamento

Le forze che producono il crepacciamento derivano dalle tensioni che si formano all’interfaccia aria-acqua sulle superfici del sistema acqua-terreno (Gillot, 1968). L’evaporazione impoverisce progressivamente di acqua tutta la massa del terreno provocando una contrazione di volume e causando in diversi punti la rottura dello strato superficiale del suolo che dà luogo ad una serie di crepe o fessurazioni più o meno estese e profonde. Le crepe formate aumentano notevolmente la superficie di contatto tra suolo e atmosfera e tendono quindi a favorire ulteriormente la disidratazione. Anche per questo motivo generalmente l’entità del crepacciamento appare in relazione diretta al volume di acqua evaporata (Harris, 1961).

• Porosità

La porosità esprime il volume degli spazi vuoti del terreno come rapporto percentuale sul volume totale P = (D - d)/D . Questa proprietà fisica influenza direttamente la dinamica della fase liquida e di quella aeriforme nel terreno e, indirettamente, la

fertilità chimica. La porosità totale determina la capacità d'invaso del terreno ed è correlata alla tessitura. In generale aumenta con il tenore in particelle fini e finissime,

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