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Studio del degrado di suoli sottoposti al pascolamento di diverse specie di interesse zootecnico.

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INTRODUZIONE... 2

1. Desertificazione: scenario politico e legislativo attuale... 4

1.1 Evoluzione del termine desertificazione... 4

1.2 Desertificazione e politiche: riflessioni sulla “Convenzione delle Nazioni Unite per la Lotta alla siccità e alla Desertificazione” (UNCCD), una risposta a livello mondiale. ... 6

2. LA DESERTIFICAZIONE NEL MONDO E NEL BACINO MEDITERRANEO... 11

2.1 I cambiamenti climatici su scala globale... 11

2.2 I dati della desertificazione nel mondo... 13

2.3 La qualità dei suoli in Europa e fattori d’interesse nella lotta alla desertificazione ... 15

2.4 Il fenomeno desertificazione in Italia... 20

2.4.1 La desertificazione in Italia: le azioni... 24

2.4.2 Il caso della Toscana... 24

3. FATTORI RESPONSABILI DELLA DESERTIFICAZIONE E PROCESSI DI DEGRADAZIONE DEL SUOLO... 28

3.1 Cause naturali di desertificazione ... 28

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INTRODUZIONE

La desertificazione è stata definita dalla United Nation Convention to Combat Desertification (UNCCD) come “degrado delle terre nelle aree aride, semi-aride, e sub-umide secche, attribuibile a varie cause, fra le quali le variazioni climatiche ed attività umane”.

Se la terra inizia a perdere fertilità occorre assumere iniziative concrete nei suoi confronti e quindi a favore dell’umanità che la abita.

Sarà necessario capirne le cause, osservarne accuratamente gli effetti, e quindi predisporre interventi legislativi e scientifici finalizzati ad un monitoraggio razionale del processo di desertificazione.

Se è vero che siamo spettatori e, in qualche modo, artefici di un inizio di cambiamenti climatici per l’intero pianeta, dobbiamo modificare in modo radicale i nostri modelli di vita. Il consumo esasperato, lo spreco delle risorse e per altro verso, una loro distribuzione ottimale, infatti, comportano cambiamenti significativi e razionali nella concezione stessa dell’essere umano.

Termini come “perdere terreno” o “degradarsi” o “desertificare”, sono termini in uso, anche nel linguaggio corrente, per indicare una sorta di decadimento umano o spirituale al quale gran parte della società occidentale sta progressivamente adeguandosi.

La terra sembra non appartenere più ad un rapporto vitale con gli esseri umani, soprattutto per coloro che abitano realtà urbane: ma ancora oggi, la terra produce il

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Occorre, innanzitutto, comprendere le coordinate di questo “sistema di riferimento” al quale noi tutti apparteniamo. Il ruolo principale della politica, attraverso l’emanazione di leggi, nella conduzione e nello sviluppo delle relazioni tra le differenti attività umane; l’importanza della ricerca scientifica nel processo di conoscenza della realtà; il controllo dell’andamento delle risorse finanziarie ed economiche per il miglioramento della qualità della vita nei suoi molteplici aspetti (Gagliardo P.2005).

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1. DESERTIFICAZIONE: SCENARIO POLITICO E

LEGISLATIVO ATTUALE

• 1.1 Evoluzione del termine desertificazione

Nel corso del tempo si sono succedute diverse definizioni di desertificazione. La paternità del termine, risalente al lontano 1927, si attribuisce all’ecologista francese Louis Lavauden. Fu, tuttavia, il suo connazionale Aubreville (1949) a renderlo popolare utilizzando tale espressione per descrivere il degrado territoriale delle regioni nord-occidentali dell’Africa. Secondo Aubreville, la desertificazione consiste nella “trasformazione di un terreno produttivo in deserto, quale risultato di una distruzione del terreno causata dall’erosione del suolo di origine antropica”. L’Autore non riconosceva altra causa per i fenomeni erosivi individuati nell’Africa tropicale, se non quella antropica, non essendoci stato, a suo dire, alcun significativo cambiamento climatico nei precedenti mille e più anni.

In un rapporto del 1977 del programma UNEP (United Nations Environmental Program), nel considerare il fenomeno desertificazione, si parla di “un aspetto della degradazione degli ecosistemi in seguito alla diminuzione consistente del loro potenziale biologico” (UNEP, 1977). L’approccio cambia in maniera già evidente. Si prende in considerazione il potenziale biologico che ogni terreno presenta, come un valore da preservare in vista della conservazione della fertilità.

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Nel 1984 invece venne fornita una definizione del concetto di desertificazione abbastanza vicina a quella attualmente accettata: “Espressione onnicomprensiva che indica i processi economici-sociali, naturali ed antropici che alterano l’equilibrio suolo, vegetazione, aria ed acqua in aree caratterizzate da aridità indotta da fattori edifici e climatici” (FAO/UNEP, 1984). In questa definizione il termine “espressione onnicomprensiva” implica il ridimensionamento del concetto di desertificazione come sintesi di veri fenomeni, non esclusivamente antropici.

Inoltre fino a questa data la definizione di desertificazione era stata unicamente attribuita alle aree propriamente aride.

Solo a partire dall’ultima decade del secolo scorso si è ritenuto opportuno estendere la definizione di desertificazione alle aree caratterizzate da clima sub-umido secco, che si pensava fino ad allora esenti da tali problematiche.

L’evoluzione del termine tuttavia, trova il suo culmine nel 1994, a Parigi, in occasione dell’adozione della Convenzione delle Nazioni Unite per la Lotta alla siccità e alla Desertificazione (UNCCD). L’articolo 1 del testo della Convenzione fornisce la definizione ormai universalmente accettata del fenomeno come “degrado delle terre aride, semi-aride e sub-umide secche attribuibile a varie cause, fra le quali le variazioni climatiche e le attività umane” (UNCCD, 1994).

Sempre la UNCCD riporta che la desertificazione si manifesta con la “diminuzione o la scomparsa della produttività e complessità biologica o economica delle terre coltivate, sia irrigate che non, delle praterie, dei pascoli, delle foreste o delle superfici boschive causate dai sistemi di utilizzo della terra, o da uno o più processi, compresi quelli derivanti dall’attività dell’uomo e dalle sue modalità d’insediamento, tra i quali l’erosione idrica, eolica, ecc; il deterioramento delle proprietà fisiche, chimiche e biologiche o economiche dei suoli; la perdita protratta nel tempo di vegetazione naturale”. La definizione moderna quindi si amplia ulteriormente prevedendo la possibilità del verificarsi di tale fenomeno su diversi tipi di aree. Non sono più

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essenzialmente le aree aride ad essere oggetto del problema, bensì ogni tipo di terreno, anche caratterizzato da abbondante copertura vegetale (superfici coltivate, praterie, pascoli, foreste, ecc.), può incorrere a problemi di desertificazione relazionati a sistemi di utilizzo della terra scorretti.

In questi ultimi due passaggi obbligati per l’evoluzione della definizione di desertificazione, sono state sottolineate le basi del concetto moderno.

Nel 1984 prende corpo la definizione di desertificazione come un espressione di una serie di fattori, antropici e naturali, ma collegati ad esigenze economiche e sociali. Ciò determina una diversa presa di coscienza che implica una responsabilità sociale, fino a quel momento non contemplata.

Nel 1994 invece l’attenzione viene posta soprattutto sugli stessi procedimenti che innescano il fenomeno desertificazione. Si riconosce quindi che tali meccanismi possano attivarsi su qualsiasi tipo di terreno, con conseguenze più o meno marcate a seconda delle caratteristiche intrinseche di ogni tipo di suolo, dei sistemi di utilizzo della terra, delle modalità di insediamento dell’uomo.

• 1.2 Desertificazione e politiche: riflessioni sulla “Convenzione delle

Nazioni Unite per la Lotta alla siccità e alla Desertificazione” (UNCCD), una risposta a livello mondiale.

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principi e sulle modalità di implementazione della Convenzione delle Nazioni Unite per la Lotta alla siccità e alla Desertificazione (UNCCD). Tale strumento internazionale, ratificato dall’Italia nel 1997, impegna i paesi firmatari a cooperare per ridurre le perdite di produttività dei suoli causate da cambiamenti climatici e attività antropiche.

La Convenzione delle Nazioni Unite sulla lotta alla Desertificazione ha una struttura che risponde ai criteri della sostenibilità ambientale, sociale, economica e politica ed è per questo che è stata ritenuta essere la prima Convenzione sullo sviluppo sostenibile. Anche l’approccio che la Convenzione propone nella gestione degli interventi di sviluppo sostenibile, denota il rispetto che la stessa ha per i principi di sostenibilità sociale. Invece, il rispetto dei principi di sostenibilità politica ed economica si può intravedere nella predisposizione e nell’attuazione dei Piani d’azione Nazionale (PAN), promossi dalla stessa Convenzione e che prevedono l’integrazione con gli strumenti di gestione territoriale come i Piani Operativi Nazionali (POR) nel caso italiano.

Il PAN individua i settori di intervento considerati prioritari, stabilendo che le Regioni e le Autorità di Bacino, indichino le aree vulnerabili individuate e le proposte di misure e interventi ritenuti prioritari.

L’apporto concreto al PAN da parte del MUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), particolarmente sensibile alle tematiche ambientali, avviene attraverso:

• Il coordinamento a livello nazionale internazionale delle attività di ricerca a carattere ambientale

• La disponibilità di risorse per l’attivazione di ricerche sulle problematiche inerenti la desertificazione (come quelle ad esempio del Programma Operativo Nazionale “Ricerca, Sviluppo Tecnologico, Alta Formazione” 2000-2006 per il tema “Le nuove tecnologie per il rilevamento,l’analisi ed il monitoraggio di

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parametri ambientali”), che ha avuto come risultati tra gli altri “L’identificazione di sistemi di rilevamento delle grandezze di interesse climatologico, anche ai fini della determinazione e dell’analisi delle cause e degli effetti dei processi di desertificazione e/o modificazione dell’ambiente mediterraneo” (Criscuoli L. 2007).

I progetti del Programma Operativo Nazionale devono essere caratterizzati dal forte impiego di tecnologie mirate alla definizione di prodotti e servizi come la costituzione di “fabbriche o piattaforme intelligenti”, “prodotti intelligenti” e “servizi innovativi” ad alta efficienza. I progetti devono inoltre rappresentare una possibile leva d’attrazione per investimenti produttivi che mirano all’insediamento di nuove imprese in territori ritenuti marginali.

La Convenzione promuove uno sforzo di carattere globale per conciliare lo sviluppo economico con la tutela dell’ambiente. I suoi principi cardine sono quelli di accrescere la conoscenza e la consapevolezza del problema oltre a garantire e sollecitare la piena partecipazione e rappresentanza di tutti i soggetti interessati, coinvolgendo direttamente sia le popolazioni dei paesi sviluppati, sia quelle dei paesi in via di sviluppo.

Lo scopo di questa convenzione non è soltanto combattere la siccità nelle zone a rischio ma anche di ristabilire tutte quelle aree che hanno gia subito la devastazione dell’ avanzamento del deserto e prevenirne le cause.

La strategia è articolata in due rami: le azioni con effetto immediato e le azioni con obiettivi a lungo termine. Come infatti abbiamo precedentemente accennato, le azioni partono da un comune programma internazionale per poi differenziarsi per gli

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La Convenzione infatti, si presenta come uno strumento innovativo che può essere considerato il punto di riferimento per tutti i paesi colpiti dal fenomeno. Essa, infatti:

• Evidenzia il legame tra sviluppo economico e tutela ambientale, sottintendendo che la desertificazione è un problema legato alle strategie di sviluppo economico;

• Stabilisce che è fondamentale la partecipazione piena delle popolazioni locali, delle organizzazioni non governative e delle comunità di base;

• Ha come riferimento un quadro di lungo periodo per integrare appieno la dimensione fisica e biologica del fenomeno di desertificazione con le realtà economiche e sociali, alle cui caratteristiche viene data particolare importanza; • Contiene la previsione di impegni precisi da parte dei Paesi contraenti. Questi

impegni sono specificati nel dettaglio degli annessi regionali per Africa, Asia, America Latina, Nord del Mediterraneo ed Europa Centro Orientale, per la preparazione dei Programmi Nazionali, sub regionali e regionali di lotta alla desertificazione;

• Propone programmi flessibili, modificabili in relazione alle risposte e alle diverse circostanze che si vengono a creare secondo quanto rilevato dagli appositi indicatori;

• Prevede processi consultivi per la definizione di accordi di partenariato tra paesi colpiti e comunità internazionale per la definizione di un nuovo impegno di cooperazione per la lotta alla desertificazione.

Con la ratifica della Convenzione, come detto, si può parlare più propriamente di “percorso istituzionale” della lotta alla desertificazione.

Le tappe di tale percorso sono descritte negli Earth Negotiation Bulletin che portano in rassegna tutte le attività svolte dalla Conferenza delle Parti (COP), il Comitato di Scienza e Tecnologia, l’INCD (Comitato Intergovernativo per combattere la

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desertificazione) i CRIC per la revisione della Convenzione ed il Meccanismo Globale per il reperimento delle fonti di finanziamento.

La COP è l’organismo tecnico-politico costituito per l’attuazione della Convenzione. Tale organismo istituisce e guida gli organismi sussidiari per i paesi che debbono provvedere al riconoscimento della Convenzione e, talvolta, ne adotta gli emendamenti. Con la ratifica, la Convenzione è riconosciuta come “la prima Convenzione sullo sviluppo sostenibile”, dato il suo approccio innovativo nel considerare aspetti fisici, biologici e socioeconomici. Le difficoltà di carattere economico e organizzativo, hanno però complicato il suo processo d’implementazione, che si può definire ancora in atto.

L’INCD, l’organo preposto all’implementazione della Convenzione, promosse un primo workshop nel Sudan, nel 1994 dove fu stabilita la realizzazione di un Centro studi sulle zone aride con particolare riferimento al monitoraggio degli ecosistemi e lo sviluppo di un database sul monitoraggio della desertificazione del Magreb.

Nel 1995 l’INCD cominciò una nuova fase di negoziazioni che produssero degli aggiornamenti alla Convenzione. Tali aggiornamenti riguardarono: l’attività d’implementazione a livello regionale e sub-regionale, il ruolo delle ONG, il ruolo del segretariato e dei governi dei paesi donatori e beneficiari e la cooperazione tecnico- scientifica tra questi ultimi.

Parallelamente all’INCD nacque l’UNDP (United Nations Development Programme), organismo simile al primo, con l’intento di diffondere esclusivamente le problematiche de sahel e coordinare le azioni intraprese dai paesi colpiti dalla

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l’azione dei decisions makers. Di qui le numerose discussioni in seno all’ottava sessione dell’INCD (1996) che portarono alla scelta della diffusione dei contenuti della Convenzione a livello locale.

A livello locale l’implementazione della Convenzione può essere misurata attraverso la realizzazione dei Piani di azione regionali e attraverso l’integrazione di questi con gli strumenti di sostegno territoriale quali i POR, da cui scaturisce l’elemento valutativo del rapporto “desertificazione e politiche”.

2. LA DESERTIFICAZIONE NEL MONDO E NEL BACINO

MEDITERRANEO

• 2.1 I cambiamenti climatici su scala globale

E’ ormai divenuto evidente che il clima del nostro pianeta sta cambiando con una velocità che sembra crescere di anno in anno. L’aumento sempre costante dei principali “forcings” del sistema atmosfera-oceano, essenzialmente le emissioni dei gas climaalteranti (o gas serra) sembra essere il principale candidato di questo cambiamento (IPCC, 2001). Il legame tra clima e desertificazione, ci induce dunque a spiegare i cambiamenti climatici su scala globale dovuti all’effetto serra.

Come tutti sappiamo l’effetto serra è l’innalzamento della temperatura terrestre dovuto all’aumento della concentrazione atmosferica dei gas serra (vapore acqueo, CH4, CO2, NO2). Tra questi il ruolo principale viene giocato proprio dall’anidride

carbonica che nel diciannovesimo secolo, per l’utilizzo spropositato di combustibili fossili quali carbone e petrolio e per il disboscamento, ha aumentato in modo esponenziale la sua concentrazione passando da 280 ppm agli attuali 350-360 ppm. Ciò ha determinato un “surplus” energetico che ha portato ad un aumento della temperatura media terrestre di circa 0,6 gradi centigradi. Dall’analisi del terzo report

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del WG1 dell’IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change) emergono le seguenti conclusioni:

• alla scala globale la temperatura media dell’aria è cresciuta di circa un grado dal 1860 ad oggi, ed il riscaldamento del 20° secolo è probabilmente il più alto degli ultimi dieci secoli.

Gli anni ‘90 e il 1998 sono stati rispettivamente il decennio e l’anno più caldi. L’incremento medio globale della temperatura dell’aria dal 1990 al 2100 è stimato da circa 1.5 a 6 °C, questo sarebbe un evento che non ha precedenti negli ultimi diecimila anni;

• Le precipitazioni sono aumentate tra lo 0.5 e l’1% (per ogni periodo di 10 anni) durante il ventesimo secolo soprattutto alle medie ed alte latitudini dei continenti dell’Emisfero Nord, ed è altrettanto evidente un aumento delle piogge nelle aree tropicali. Al contrario, nelle zone sub-tropicali (10°N-30°N), le precipitazioni sembrano essere drasticamente diminuite (-0.3% per decade). Anche per quanto riguarda le precipitazioni atmosferiche quindi, negli ultimi decenni abbiamo assistito ad una variazione dei cicli idrici che hanno determinato da un lato la diminuzione complessiva delle precipitazioni, e dall’altro un aumento della frequenza e dell’intensità dei periodi siccitosi (IPCC, 2001).

Un’analisi dettagliata della variabilità delle precipitazioni nell’Emisfero Nord (Dai et al., 1997), durante il periodo 1900-1988, ha evidenziato una tendenza negativa, a livello annuale e stagionale, a partire dal 1970 per tutte le latitudini a Sud di 60°N. L’intensità dei fenomeni è divenuta più intensa soprattutto alle medie ed alte latitudini (aumento dal 2 al 4% della frequenza di piogge intense).

• Il livello medio dei mari è cresciuto fra 10 e 20 centimetri nel corso del 20° secolo,

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mari dell’Asia, dell’Africa e dell’Europa. Questo evento non ha precedenti negli ultimi tremila anni.

I principali cambiamenti climatici che abbiamo accennato precedentemente contribuiscono in parte ad incrementare in maniera evidente il problema della desertificazione. Con il termine desertificazione infatti non si indica l’avanzamento del deserto, bensì si vuol definire un insieme di processi di degradazione di un terreno legati a molteplici cause, che investe ambienti non di esclusiva pertinenza delle zone già desertiche. La desertificazione infatti nel corso del tempo è andata via via perdendo lo status di problematica legata esclusivamente a cause ambientali e climatiche (Spooner e Mann, 1982), per riaffermare, invece, la sua dimensione di un fenomeno complesso in cui anche i fattori antropici risultano determinanti (Quaranta e Salvia, 2006). Se i fenomeni precedentemente descritti rappresentano una seria minaccia per l’ambiente, i loro effetti, a causa delle implicazioni di tipo sociale, economico ed istituzionale, sono una minaccia per il benessere dell’umanità. (Mainguet, 1994; Williams e Ballino, 1996; Reynolds e Stafford Smith, 2002).

• 2.2 I dati della desertificazione nel mondo

La desertificazione è attualmente una delle più gravi emergenze ambientali e minaccia circa un miliardo di abitanti degli oltre 100 paesi a rischio ed un quarto delle terre del pianeta. Ogni anno per questo fenomeno vanno perdute 24 miliardi di tonnellate di terreni coltivabili laddove, per la sempre più pressante domanda alimentare, si prevede un incremento del bisogno di terra ad uso produttivo del 27% nel 2015 e del 42% nel 2050 (UNCCD, 1994).

Durante gli ultimi venticinque anni infatti si è verificato un aumento drammatico del 300% nel tasso di perdita delle aree, tanto che, nel 1977, più della metà (il 55%) di tutte le terre potenzialmente atte allo sfruttamento erano ormai desertificate. In media la perdita è stata di 175 milioni di acri all'anno negli ultimi venticinque anni: ogni

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cinque anni diventa cioè inutilizzabile una porzione di territorio pari alla superficie totale della Gran Bretagna.

Se da una parte la tecnologia agraria ha fatto notevoli progressi permettendo una produzione sempre maggiore, dall’altra abbiamo una costante riduzione delle aree coltivate. Di seguito andiamo a mostrare uno schema delle zone che, a livello mondiale, sono interessate da fenomeni di degrado e desertificazione.

Fig 1- Aree sottoposte a desertificazione (www.segretariatosociale.rai.it).

Il problema della desertificazione, attirò l’attenzione del mondo con il Sahel, quando verso la fine degli anni ’70 avvenne addirittura un disastro ambientale a causa

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scarsa irrigazione. Ogni anno dodici milioni di Ha si deteriorano per queste ragioni e di questi il 40% è dovuto non tanto all’assenza di precipitazioni, ma al terreno che perde il suo strato fertile. Ogni anno scompaiono dalla faccia della terra per desertificazione circa 7 milioni di Ha. Le regioni più colpite sono quelle dove la popolazione non ha voce a livello politico ne peso sociale e dove dalle condizioni di disagio possono scaturire tensioni. Un esempio abbastanza evidente si è avuto in questi anni nella regione del Corno d’Africa. Qui alcune popolazioni d’Etiopia e di Somalia tentarono di migrare verso aree più ospitali, come quelle dell’Ogaden. Ne nacque una guerra di confine, spesso fratricida, che ha scosso l’equilibrio sociale in maniera irrimediabile.

• 2.3 La qualità dei suoli in Europa e fattori d’interesse nella lotta alla

desertificazione

La qualità dei suoli sta tendendo al deterioramento in tutta l'Europa. Nel nord Europa il deterioramento è provocato principalmente dal maggior dilavamento dei suoli ad opera dell’aumento delle precipitazioni e dei maggiori rischi di alluvione, mentre nel sud Europa, al contrario, dalla diminuzione delle precipitazioni e dai maggiori rischi di siccità.

L'area mediterranea, e soprattutto quella meridionale, è quella maggiormente a rischio di desertificazione. Oltre alle caratteristiche climatiche, ci sono altri fattori che giocano a favore del fenomeno desertificazione, come l’elevata erodibilità dei suoli, l’eccessiva antropizzazione delle coste, la frequenza degli incendi boschivi, l'abbandono dell'agricoltura e l'intenso sfruttamento delle riserve idriche delle falde. Il 6% del territorio europeo è arido ed il 2% delle terre (oltre 20 milioni di ha) è già desertificato e si stima che il 25% delle terre agricole ed il 35% di quelle a pascolo siano a rischio (IPCC, 2000).

L’Italia è considerata a livello europeo uno dei paesi a maggior rischio per la desertificazione. Si calcola che il 27% del territorio (3,7 milioni di ha) è interessato

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da inaridimento oppure coinvolto in fenomeni di erosione e di dissesto idrogeologico, impermeabilizzazione, salinizzazione e inquinamento che ne provocano la diminuzione della produttività.

Studi effettuati a livello europeo, concentrano l’attenzione sul problema dell’acqua e della relativa salinizzazione come una delle più importanti cause che partecipano alla concretizzazione del fenomeno desertificazione.

L’Agenzia Europea per l’Ambiente evidenzia come nel corso degli ultimi 30 anni sia diminuita la disponibilità di acqua nelle regioni meridionali del continente e sia contestualmente aumentato il relativo indice di sfruttamento (Iannetta et al., 2005).

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Fig 3 - Indice di sfruttamento dell'acqua in Europa (EEA, Eionet, IRENA).

In termini di gestione sostenibile degli ecosistemi e quindi di interventi di mitigazione ed adattamento ai processi di degrado quali-quantitativo della risorsa acqua, in europa, ma anche nello studio di certe zone “a rischio” italiane, sono stati presi in considerazione i seguenti aspetti:

• disponibilità della risorsa acqua e suo utilizzo, al fine di valutarne la relativa

compatibilità e l’uso competitivo sul territorio (civile, industriale, agricolo, turistico);

• conoscenza dei sistemi di stoccaggio e distribuzione di acqua (problema

infrastrutturale);

• ipotesi di ottimizzazione nell’uso dell’acqua: modalità, tempi e fabbisogni.

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• efficienza nell’uso dei fattori di produzione per la gestione sostenibile degli

ecosistemi;

• colture e varietà più tolleranti allo stress idrico e salino.

Con particolare riferimento a questo ultimo punto il Rapporto pubblicato dalla Commissione Europea il 10 gennaio 2007 “Limiting Global Climate Change to 2

degrees Celsius. The way ahead for 2020 and beyond”, nel capitolo 4 “Cost of action for Europe” attraverso il progetto PESETA del JRC si sottolineano gli impatti del

cambiamento climatico in relazione all’agricoltura.

In termini di produzione agricola i cambiamenti previsti al 2020 e al 2080 determinerebbero una diminuzione delle rese nelle aree del sud Europa variabili dall’1,9% al 22,4% circa, a causa soprattutto della “riduzione del periodo di crescita, eventi estremi più frequenti durante le fasi del ciclo produttivo, in particolare precipitazioni intense durante la semina, stress da calore durante la fioritura e periodi asciutti più lunghi”. Pertanto, le aree già attualmente affette da scarsità di acqua saranno sottoposte a condizioni sempre più critiche con processi accentuati di salinizzazione delle falde acquifere e conseguentemente dei suoli laddove l’acqua viene utilizzata per l’irrigazione (Iannetta et al., 2005).

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Fig 4 - Processi di salinizzazione in Europa (EEA 2002).

Relativamente alla scelta delle colture agrarie, gli elementi di maggiore criticità ed interesse sono quindi rappresentati da: maturazione precoce e resistenza o tolleranza alla carenza idrica e alla salinità dei suoli. Le colture erbacee più indicate per questi ambienti sono quelle a ciclo autunno-primaverile, periodo in cui la disponibilità di acqua di pioggia è massima e la domanda evapotraspirativa dell’ambiente è minima. Per quanto riguarda la resistenza alla scarsità di disponibilità idrica si possono riportare le seguenti indicazioni orientative:

• frumenti: i duri più resistenti dei teneri; i precoci più dei tardivi; • orzi: più resistenti dei frumenti;

• avene: le varietà precoci più resistenti delle tardive;

• legumi, in ordine decrescente: fava, lupino bianco, lenticchia, cece, pisello; • erbai: veccia, favetta, fieno greco, più resistenti del trifoglio incarnato;

• prati, in ordine decrescente di resistenza: sulla, medica, lupinella, trifoglio

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Una migliore comprensione degli effetti della siccità sulle piante è vitale per migliorare sia le pratiche agricole, in relazione ad un ottimale utilizzo delle risorse idriche, che gli sforzi di incrocio e selezione dei "breeders" per ottenere varietà sempre più adattate alle mutate situazioni climatiche. Molto lavoro in questo campo è stato fatto negli ultimi venti anni per individuare le strategie usate dalle piante, per controllare il bilancio idrico e i processi fisiologici e biochimici, alla base delle risposte in condizioni di deficit idrico e di stress ossidativo.

La lotta al degrado delle risorse naturali ad opera delle diverse attività produttive, deve rappresentare in tutta l’Europa un impegno sociale, un onere per tutti i soggetti interessati a mantenere un presidio vitale sul territorio. Tra le azioni da considerare con priorità vi è sicuramente l’ampliamento dei comprensori irrigui, nell’assunzione consapevole che una corretta gestione dell’acqua, che curi l’interesse della collettività, rappresenti un valido sistema di lotta alla desertificazione (Iannetta et al., 2005).

• 2.4 Il fenomeno desertificazione in Italia

Anche il territorio italiano è interessato da preoccupanti problemi di degradazione, caratterizzati da diversi livelli di reversibilità, da imputare soprattutto ad una gestione territoriale non sempre sostenibile. Di seguito (in Fig 5) mostriamo uno schema delle zone sensibili al fenomeno della desertificazione. Come possiamo facilmente vedere le regioni del Sud Italia, in particolare la Sicilia, sembrano essere le più colpite dal disagio.

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Fig 5 - Sensibilità alla desertificazione in Italia ( www.segretariatosociale.rai.it ).

L'Italia, insieme ad altri Paesi della riva nord del Mediterraneo, condivide un contesto di crisi ambientale i cui effetti rendono vulnerabile il territorio a molteplici processi di degrado. Quando la Comunità Internazionale ha rivolto, dal 1994, la sua attenzione verso il fenomeno desertificazione, anche in Italia tale problema ha suscitato interesse per la sua consistenza, che risiede nelle interazioni complesse tra fattori fisici e biologici, socio-culturali, politici ed economici. Anche qui, proprio come a livello

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globale, per mitigare le conseguenze nefaste generate dalla desertificazione e curare le criticità ambientali è indispensabile disinnescare il meccanismo dello sfruttamento attraverso una complessa rivoluzione culturale, che organizzi i saperi in un preciso percorso: quello della sensibilità e della responsabilità. La strada da percorrere comporta l'assunzione di competenze sempre più precise nelle tecniche di gestione e di monitoraggio del territorio( www.segretariatosociale.rai.it ).

Nell'ambito del progetto DISMED (Desertification Information System For The Mediterranean) è stato calcolato che circa il 30% del territorio italiano presenta caratteristiche tali da essere predisposto al rischio di desertificazione. I fenomeni di degradazione ambientale sono più accentuati in quelle aree ove è stata più forte l’attività antropica e dove si è espressa in modo non compatibile con i criteri fondamentali della conservazione del suolo. La modernizzazione dell’agricoltura degli ultimi 30 anni infatti se nell’immediato ha portato ad un aumento produttivo, nel lungo termine ha prodotto, in alcuni casi, preoccupanti fenomeni di degradazione del suolo e quindi dell’ambiente. D’altro canto anche la pianificazione “urbanistica” del territorio, in particolar modo in passato, (aree industriali e urbane con le relative infrastrutture), ha tenuto conto solo raramente dell’impatto ambientale prodotto soprattutto per quanto concerne il suolo, con conseguente innesco di fenomeni di degradazione e quindi anche di desertificazione.

Sul territorio nazionale sono state individuate diverse regioni a rischio in particolare, la Basilicata, la Calabria, la Puglia, la Sardegna e la Sicilia. Le indicazioni seguite alla Delibera CIPE n° 229/99, hanno ulteriormente confermato sia che le regioni particolarmente affette sono quelle del sud sopra citate, sia che i processi maggiormente diffusi sul territorio riguardano in generale il degrado del territorio stesso, la gestione sostenibile delle risorse idriche e del patrimonio forestale, la

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chimico-fisiche e biologiche dei suoli. E’ necessario comunque porre un accento al tema del cambiamento climatico.

Il rapporto “Evoluzione del clima ed impatti dei cambiamenti climatici” effettuato dell’istituto ENEA (2003) all’interno del programma “Progetto speciale, clima

globale” ci fornisce un quadro dell’evoluzione del clima italiano nel periodo

1865-1996, elaborato dalla documentazione storica sulle caratteristiche meteorologiche di molte località italiane. In particolare sono molto interessanti i dati che riguardano le variazioni di temperatura e di precipitazioni osservate nel periodo suddetto.

Per quanto riguarda la temperatura, il quadro generale dell’andamento osservato mostra caratteristiche analoghe a quelle medie osservate a livello globale ed europeo, ma con accentuazione dei fenomeni di riscaldamento e dei processi di aridità per le regioni centro-meridionali.

Per quanto riguarda le precipitazioni, gli andamenti osservati in Italia sono solo parzialmente analoghi con gli andamenti osservati a livello globale. In particolare è stato dimostrato che l’aumento dei fenomeni siccitosi riguarda tutte le regioni italiane, ma la persistenza dei periodi di siccità è diversamente distribuita: nelle regioni settentrionali la persistenza è maggiore in inverno, mentre nelle regioni meridionali la persistenza è maggiore in estate ( www.segretariatosociale.rai.it ). Le principali cause antropiche di desertificazione invece sono legate alle attività socio-economiche e ai loro impatti: agricoltura, zootecnia, gestione delle risorse idriche, incendi boschivi, industria, urbanizzazione, turismo, discariche, attività estrattive.

Queste attività determinano un uso competitivo delle risorse naturali (suolo, acqua e vegetazione/biodiversità) con il conseguente sovrasfruttamento rispetto alle reali disponibilità.

In Italia, il sovrasfruttamento delle risorse idriche sta compromettendo la ricchezza di acque sotterranee. In prossimità della costa, poi, può essere provocato il richiamo di acque marine, causando la salinizzazione delle falde. Introduciamo soltanto, in questa

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fase, le cause che danno luogo al fenomeno, per rimandarne la descrizione dettagliata al capitolo successivo.

• 2.4.1 La desertificazione in Italia: le azioni

L'Italia ha ratificato la Convenzione sotto una duplice veste: pur rientrando anche tra i cosiddetti "Paesi donatori" previsti dalla Convenzione, è considerata tra i Paesi affetti, quindi direttamente colpiti dal problema della siccità e desertificazione. Come abbiamo precedentemente accennato, a livello locale, gli sforzi per combattere la desertificazione sono stati intensificati grazie allo sviluppo e all'attuazione dei Programmi di Azione Nazionale (PAN), Sub-Regionale (SRAP) e Regionale (RAP), finalizzati alla riduzione delle perdite di produttività dei suoli, causate dalla variabilità climatica e dalle attività antropiche. A tal fine, il Comitato Nazionale per la Lotta alla Siccità e Desertificazione nel luglio 1999 ha elaborato le Linee Guida del Programma di Azione Nazionale di lotta alla siccità e desertificazione, approvate il 21 dicembre 1999 con la Delibera CIPE 299/99.

Il Comitato nazionale per la lotta alla siccità e alla desertificazione sta sviluppando una intensa attività finalizzata soprattutto al coinvolgimento attivo degli attori locali, delle istituzioni e degli organismi di ricerca, allo scopo di intrecciare l'azione politica per combattere la siccità e il degrado del suolo e gli aspetti sociali, economici, energetici, ambientali e culturali dell'area del Mediterraneo (www.segretariatosociale.rai.it).

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studio sono localizzati nella regione Toscana, vorrei fornire dei dati specifici relativi alla nostra regione, che ci diano un’idea della serietà del problema. Dalla mappa in Fig 6 possiamo infatti vedere come i segni di criticità abbondino.

Fig 6 – Livello di criticità del problema desertificazione in Toscana (APAT 2005-2006).

Secondo l' ”annuario dell’ambiente” dell'APAT, tutte le aree della Toscana sono sensibili alla desertificazione; in particolare il 37% del territorio è in una situazione fragile e il restante 63% in una situazione critica. La valutazione del rischio per la Toscana è stato fatto con una precisione maggiore che per la altre regioni (si è tenuto conto anche dell'indice di "pressione umana" e dei rischi di incendio). Ciò non implica certamente una sovrastima del rischio, ma significa che probabilmente esso è ancora sottostimato altrove.

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In Toscana sono a rischio desertificazione le zone costiere, la media valle dell’Arno e vaste zone interne tra le province di Siena ed Arezzo. In alcune zone, come la costa compresa tra Livorno e Orbetello prevalgono cause di natura climatica, dovute alla riduzione delle precipitazioni, ma in altre le cause sono da ricercarsi nell’aumento della popolazione, nella pressione turistica estiva e nella gestione non ottimale del suolo (www.ecoalfabeta.blogosfere.it ).

I dati climatici forniti dall’APAT dimostrano evoluzioni molto simili a quelle osservate a livello planetario, testimoniando il carattere globale dei processi di trasformazione del clima innescati dall’incremento di concentrazione dei gas serra nell’atmosfera. La temperatura media annuale infatti si è innalzata di circa 1°C negli ultimi 40 anni e le precipitazioni si sono ridotto, nello stesso arco temporale, del 18% (Meneguzzo et al, 2004). Questi importanti fattori determinano delle conseguenze negative sulla disponibilità idrica nel corso della stagione, con riferimento agli eventi siccitosi che spesso risultano difficili da arginare. La Fig 7 mostra la variazione percentuale degli eventi siccitosi in primavera-estate registrata tra il periodo 1961-1990 e 1961-1990-2000. Nella maggior parte del territorio la variazione è positiva, ossia l’indice di siccità è in aumento, mentre solo in alcune zone del Centro e del Sud la variazione è negativa.

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Fig. 7 – Variazione percentuale degli eventi siccitosi in primavera-estate tra il periodo 1961-1990 e il periodo 1990-2000 (IBIMET, 2003)

Dall’analisi ARPAT inoltre emerge che i periodi più critici per la Toscana sono la primavera e l’estate, che con l’andare del tempo (dal 1961 al 2000) hanno dimostrato un’intensificazione dei fenomeni siccitosi con conseguente aumento dell’area semi-arida.

In conclusione, attraverso l’utilizzo di indici di valutazione specifici, è stata fatta una stima delle aree critiche per fenomeni di degrado del suolo e desertificazione della regione. La metodologia MEDALUS offre un’idea della qualità del clima tramite l’incrocio di indici di aridità e di siccità ed i loro trand. Secondo questo indice, nei territori toscani, sebbene non ci siano zone fortemente critiche come nell’Italia meridionale, il clima è da considerarsi predisponente per i fenomeni di desertificazione, soprattutto nella parte centro-settentrionale e nella fascia costiera.

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3. FATTORI RESPONSABILI DELLA

DESERTIFICAZIONE E PROCESSI DI DEGRADAZIONE

DEL SUOLO

La desertificazione si instaura per cause, di tipo naturale e/o antropico, agenti sui territori interessati già dalla presenza di fattori predisponenti al degrado stesso, quali: ecosistemi fragili, caratteri neolitici sfavorevoli, criticità di tipo ideologico ed idrogeologico, caratteristiche podologiche sfavorevoli, morfologia predisponente, coperture vegetali insufficienti o depauperate, aree già compromesse per varie cause. Inoltre è da sottolineare che gli effetti del degrado territoriale, il più delle volte, diventano causa di incremento di situazioni di desertificazione, innescando quindi un processo di involuzione che può giungere a situazioni anche di tipo irreversibile (Coscarelli et al., 2007).

• 3.1 Cause naturali di desertificazione

Tra le cause naturali, sia predisponenti sia innescanti, quelle principali sono senza dubbio ascrivibili al clima, dato che come è stato più volte detto, questo regola le condizioni di vita della vegetazione, ed indirettamente, influisce sulla desertificazione attraverso altri fenomeni da esso causati o incrementati. Nello specifico, si considerano come cause quei fenomeni legati alle caratteristiche delle precipitazioni, in particolare la frequenza degli eventi siccitosi, l’incremento dell’erosività della pioggia stessa, le variazioni di temperatura, governati da mutamenti climatici a livello globale o locale (Coscarelli et al., 2007).

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Fenomeni climatici: Dal punto di vista naturale i fenomeni di tipo climatico che

caratterizzano maggiormente il processo di degrado di un territorio sono l’aridità, la

siccità e l’erosività della pioggia.

L’aridità è una caratteristica climatica determinata dalla contemporanea scarsità delle piogge (aree con precipitazioni annue dell’ordine dei 200-400 mm) e dalla forte evaporazione che sottrae umidità ai terreni. Si definiscono aride, semi-aride e sub-umide secche le zone in cui le piogge apportano al bilancio idrico un contributo inferiore al 65% di quanto potenzialmente sottratto al terreno dall’evaporazione. La siccità è invece un fenomeno che colpisce anche aree non aride quando le precipitazioni sono sensibilmente inferiori ai livelli normalmente registrati. La siccità può influire sul degrado del territorio principalmente apportando danni alle attività produttive agrarie e zootecniche. Gli ecosistemi naturali hanno infatti, generalmente, la necessaria resistenza nel superamento dei periodi di siccità mentre i settori produttivi che dipendono da un costante apporto di acqua possono essere danneggiati. La siccità nelle zone aride può rompere il delicato equilibrio fra risorse ambientali ed attività produttive, portando crisi alimentari, abbandono di territori e perfino migrazioni e conflitti.

L’erosività della pioggia è dovuta all’intensità delle precipitazioni. Quando precipitazioni brevi ed intense colpiscono terreni privi di copertura vegetale il ruscellamento rimuove dal terreno lo strato superficiale più ricco di materia organica. Le zone aride, semi aride e sub umide sono esposte al rischio di piogge brevi ma intense che, invece di mitigare gli effetti della scarsezza delle precipitazioni, provocano fenomeni erosivi e quindi desertificazione.

Un altro importante fattore climatico è il vento che, condizionando fenomeni quali la siccità, l’evaporazione ed il trasporto di sedimenti, può indurre condizioni di degrado e di erosione dei suoli. Inoltre, in prossimità delle coste possono facilmente accumularsi sali che arrivano con le gocce d’acqua, trasportate dai venti che soffiano dal mare (van der Molen, 1984; Hingston e Gailitus, 1976). Come più volte abbiamo accennato anche l’aumento delle temperature medie annuali influenzano fenomeni di

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desertificazione. Le elevate temperature favoriscono infatti i processi di mineralizzazione della sostanza organica e quindi tendono a diminuirne il contenuto totale di questa nel terreno.

Morfologia del territorio ed orografia: L’esposizione dei versanti e la pendenza del

terreno costituiscono un importante fattore di vulnerabilità del territorio nel contesto climatico e geomorfologico delle regioni soggette a condizioni di stress idrico. La pendenza riduce la capacità di assorbimento aumentando la percentuale di “runoff” rispetto alla quantità di precipitazione che si infiltra nel terreno. I versanti meridionali delle pendici di sistemi orografici sono inoltre esposti ad un flusso di radiazione solare che determina condizioni microclimatiche sfavorevoli alla rigenerazione della vegetazione naturale, una volta rimossa dall’azione diretta o indiretta dell’uomo. La pendenza e l’esposizione concorrono quindi a determinare la vulnerabilità del territorio a fenomeni erosivi di tipo idro-meteorico. Anche l’esposizione è un importante fattore nei processi di degradazione dei suoli in quanto influenza il microclima regolando l’insolazione. Nell’area mediterranea i suoli esposti a sud e ad ovest sono più caldi ed hanno maggiori tassi di esposizione e minore capacità di immagazzinamento idrico rispetto a quelli esposti a nord e ad est. Conseguentemente ci si aspetta di trovare minore vegetazione ed un più alto tasso di erosione nei versanti esposti a sud ed ad ovest confrontati a quelli esposti a nord ed ad est.

Copertura vegetale: Gli ecosistemi interessati dalla desertificazione presentano

bilancio idrologico negativo ossia la perdita di umidità attraverso l’evaporazione prevale rispetto agli apporti di acqua determinati dalle precipitazioni. La riduzione

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del suolo inizia con la degradazione della copertura vegetale, soprattutto nel caso della vegetazione mediterranea, e la qualità del suolo viene fortemente condizionata dalla vegetazione che supporta. Viceversa anche il degrado della copertura vegetale, ricalca quelle dinamiche di deterioramento del suolo, come ad esempio la riduzione della sostanza organica, che avvengono negli strati profondi di terreno. La continuità e la ricchezza di specie della copertura vegetale è essenziale in relazione alla capacità di protezione del suolo. Ad esempio, la macchia fitta, costituita da un elevato numero di specie e non frammentata, può offrire una buona protezione al suolo, superiore a quella che ne deriva da piantagioni artificiali monofitiche.

• 3.2 Cause antropiche di desertificazione

Per quanto concerne le cause antropiche, tra le attività produttive, quella che più di ogni altra può favorire accelerandolo o avviandolo, il processo di desertificazione, è sicuramente l’agricoltura. Il degrado del suolo infatti è legato soprattutto all’uso frequentemente erroneo dei mezzi di produzione, (fertilizzanti, acqua ecc.), alle pratiche non corrette di lavorazione del terreno e alle modifiche degli ordinamenti produttivi. L’agricoltura di tipo intensivo e la specializzazione delle colture sono tendenze in atto già dalla seconda metà del secolo ed hanno condotto a seri fenomeni di degradazione del suolo. L’intensivizzazione delle pratiche agricole ha riguardato principalmente le lavorazioni del suolo, l’ordinamento produttivo dei campi ed il ricorso all’irrigazione artificiale (Coscarelli et al., 2007). Le principali cause antropiche di desertificazione sono:

L’agricoltura: a livello agricolo i processi di degrado del suolo sono il risultato della

gestione erronea dei mezzi di produzione, delle superfici e delle modifiche degli ordinamenti produttivi. In questo senso deve porsi attenzione all’uso dei mezzi meccanici che influenzano pesantemente la costipazione e la compattazione del terreno e la fertilità chimico-fisica dello strato di terreno arato, che è andato aumentando in spessore negli ultimi anni, e all’utilizzazione di sistemazioni non

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tradizionali delle superfici collinari con evidenti effetti sui processi di ruscellamento delle acque. Le lavorazioni del terreno sono da sempre state lo strumento principe per l’idonea regimazione delle acque di deflusso sia superficiali che profonde e, se idoneamente realizzate in termini tecnici e temporali, evitano il ruscellamento e aiutano il mantenimento del tenore idrico dei suoli. Inoltre, le superfici irrigate sono andate aumentando negli ultimi anni con effetti sia sul tipo di produzione, cioè sulla coltivazione di specie diverse da quelle tradizionali, sia per quanto riguarda i pericoli di progressiva salinizzazione degli strati superficiali del terreno.

Aree diverse del paese presentano problemi specifici in relazione al tipo di acque utilizzate, alla natura locale dei terreni e ai sistemi prevalenti di distribuzione dell’acqua irrigua.

Negli ultimi 50 anni inoltre sono state realizzate risistemazioni di aree degradate, con specie vegetali non propriamente autoctone, a rapido accrescimento. Sono state impiegate anche specie esotiche ma non sempre suolo e clima sono risultate idonee alle loro esigenze. In questi casi non si è ottenuto il risultato atteso né dal punto di vista della produzione di legname, né riguardo al recupero degli ecosistemi. Dagli studi condotti in Sardegna risulta che con la diffusione delle coltivazioni di queste specie, nelle aree collinari e montane, si verifica un’erosione più elevata del terreno e si riduce drasticamente la varietà delle specie epigee ed ipogee con gravi ripercussioni della biodiversità locale.

Gestione delle risorse idriche: Per quanto riguarda le risorse idriche vediamo come

la ricchezza di acque sotterranee in alcune zone specifiche tra cui l’Italia, sia compromessa da un uso dissennato della risorsa stessa, caratterizzato da prelievi

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sotterranee è l’abbassamento del livello della falda, che a sua volta può produrre delle modificazioni ambientali: in acquiferi di pianura, per esempio, si può determinare il richiamo di acque superficiali inquinate; in prossimità della costa, può essere provocato il richiamo di acque marine, causando la salinizzazione delle falde. L’irrigazione con acque non sufficientemente desalinizzate o con quantità d’acqua troppo basse per mantenere la salinità a livelli minimi causa inevitabilmente la salinizzazione e conseguentemente fenomeni di desertificazione.

La deforestazione: Fra le pratiche di utilizzo del territorio che hanno determinato

un’influenza negativa, vi è quella della deforestazione ossia della trasformazione degli ecosistemi forestali in ecosistemi agricoli, spesso finalizzata ad un’utilizzazione zootecnica. L’eccessivo sfruttamento delle risorse forestali e la loro distruzione fa sì che una sempre crescente superficie di suolo venga esposta al rischio di degrado. Il disboscamento, fra le altre cose, provoca una forte riduzione della capacità di ritenzione dell’acqua da parte del suolo e può essere considerato, quindi, una delle cause antropiche di esaurimento dell’acquifero. Infatti con questi interventi si verifica l’asportazione degli orizzonti organici di superficie, ossia quelli maggiormente responsabili della regimazione dei deflussi idrici e dell’attività biologica del suolo (animale e vegetale). Le conseguenze della deforestazione sono meno gravi nelle zone umide dove la ricostituzione dell’ambiente forestale, in assenza di incendi, avviene in tempi relativamente brevi.

Gli incendi: Il fuoco può influire sulla composizione e sulla struttura delle comunità

vegetali ed animali, condizionandone la loro evoluzione e la loro perpetuazione. Le alte temperature dovute al fuoco possono avere effetti negativi anche sulle proprietà fisico-chimiche del suolo. Possono, ad esempio, cambiare la struttura del terreno rendendolo meno permeabile e, quindi, più esposto a processi erosivi. Con l’incendio si formano sostanze idrorepellenti che accelerano lo scorrimento superficiale e quindi

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il trasporto solido. Infatti problemi idrologici si sviluppano pressoché sistematicamente nelle aree bruciate acclivi nella prima stagione piovosa immediatamente successiva all’incendio. Tuttavia gli ecosistemi mediterranei hanno sviluppato meccanismi e strategie di resistenza in grado di ricostituirsi in tempi relativamente brevi. Ma, sotto la pressione delle attività umane, gli incendi hanno spesso raggiunto dimensioni catastrofiche e frequenze così alte da non provocare alcun beneficio dal punto di vista ecologico. Gli incendi costituiscono una piaga che interessa molte aree d’Italia, anche a danno della macchia mediterranea, che rappresenta, specialmente per le regioni meridionali, una difesa naturale nei confronti dei processi di desertificazione.

Gli inquinanti: l’attività agricola costituisce una fonte di immissione nell’ambiente

di quantità massive di prodotti chimici organici ed inorganici che una volta entrati nell’ambiente possono permanervi e portare ad una alterazione profonda degli equilibri chimici e biologici del suolo. Più del 10% dei fungicidi e degli insetticidi utilizzati, ad esempio, apportano al suolo Cu, Hg, Mn, Pb e Zn.

Altri inquinanti possono arrivare al terreno tramite riciclaggio di fanghi derivanti dalla depurazione di acque reflue, di effluenti di allevamenti zootecnici o di scarti industriali. Si tratta in genere di residui che comportano come elemento positivo apporto di sostanza organica e di elementi nutritivi ma possono presentare alcuni problemi in relazione alla presenza di metalli e di sostanze indesiderate. Ad esempio i liquami di suini contengono notevoli quantità di Zn e Cu, che entrano nella dieta alimentare come integratori e si accumulano nelle feci.

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fattore di riduzione della copertura vegetale e dell’erosione del suolo (Coscarelli et al, 2007). Questo tipo di attività ha modificato l’uso stesso del territorio. La maggior parte delle problematiche di intenso pascolamento sono dovute ad una irrazionale gestione faunistica del territorio e ad una non appropriata utilizzazione dei pascoli parte degli animali.

Da una parte, prevalentemente in pianura, si assiste a fenomeni di inquinamento ambientale a causa della necessità di smaltimento delle deiezioni animali su superfici spesso troppo limitate (il caso limite è rappresentato dagli allevamenti senza terra). Dall’altra, in zone collinari e montane marginali, si ricorre in maniera sempre più incisiva all’utilizzo di aree pascolive, sulle quali si sono spesso riscontrati carichi animali eccessivi con conseguenti fenomeni di degrado della vegetazione, compattazione ed erosione dei suoli fino ad arrivare a processi di desertificazione. Rimandiamo al capitolo successivo la trattazione di questi aspetti che rappresentano una delle tematiche base di questo lavoro.

• 3.3 Processi di degradazione del suolo

I processi di degradazione vanno distinti in processi che determinano l’inaridimento del suolo e processi che determinano la perdita della risorsa in termini di sottrazione di volume e di superficie.

• 3.3.1 Perdita di sostanza organica

La sostanza organica è un fattore centrale nel funzionamento degli agroecosistemi: da essa, in quanto punto di partenza e di arrivo della evoluzione ciclica della materia, dipende la fertilità del suolo, cioé la sua attitudine a sostenere nel tempo le colture. Attualmente, per l’intensificazione delle produzioni, il ciclo della sostanza organica risulta nettamente sbilanciato verso il consumo e la fase di mineralizzazione, a netto svantaggio della fase di accumulo dei residui organici e della fase di umificazione. Risulta invece necessario mantenere nei sistemi agrari il delicato equilibrio tra

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accumulo e consumo della sostanza organica, indispensabile per non compromettere le condizioni di fertilità dei terreni. Per questi motivo è necessario comprendere tutti gli aspetti legati alla sostanza organica del suolo, con riferimento sia alle sue proprietà e funzioni che alle tecniche agronomiche che ne influenzano il contenuto nel terreno. Tutte le proprietà fisiche del terreno sono in stretta relazione con la

quantità e la qualità della sostanza organica: variazioni anche piccole del suo contenuto, provocano mutamenti consistenti delle caratteristiche fisiche del suolo. Il possesso e la conservazione di una buona struttura del suolo sono aspetti connessi al fenomeno dell’erosione. Questa, praticamente inesistente in condizioni normali in un suolo forestale, inizia dopo un’eventuale distruzione dello strato organico di residui vegetali parzialmente decomposti.

5.INDICI DI VALUTAZIONE DEI DANNI

In questo capitolo verranno descritti alcuni parametri analitici che ci hanno fornito un’indicazione sullo stato di degrado del terreno (parametri chimici, biochimici, fisici e fisico-strutturali). Inoltre verrà introdotta la descrizione di alcuni parametri fitoecologici che riguardano i danni derivanti dalla pressione zoogena sul cotico erboso.

Parametri Caratteristiche rilevate

Suolo % suolo alterato

Parametri

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5.1 Parametri fitoecologici

• Stima dei danni al suolo

La stima dei danni al suolo si basa sulla valutazione della percentuale di superficie alterata (Fabbio et al., 2004), ovvero totalmente priva di copertura vegetale. La perdita di vegetazione risulta essere uno dei parametri più importanti tra quelli che regolano la degradazione del suolo. La correlazione tra il fattore zoogeno e la perdita di copertura vegetale è evidente; Fabbio et al. (2004) dimostrano una correlazione tra questi due fattori. La perdita di copertura vegetale risulta essere del 38 % e del 56 % rispettivamente per densità di 1 capo/ha e 3 capi/ha.

• Stima dei danni alla fitocenosi

Con tale stima si intende quantificare l’impatto degli animali sul cotico erboso. Viene infatti calcolata la percentuale di piante che hanno superato la fase di ricaccio nel periodo successivo al pascolamento.

5.2 Parametri analitici del suolo 5.2.1Parametri chimici

• Sostanza organica

Molti scienziati sono concordi nel ritenere che il contenuto di sostanza organica sia tra i migliori indicatori della qualità del suolo, in quanto la sua presenza si riflette sulle proprietà chimiche, fisiche e biologiche del terreno.

La sostanza organica include residui di piante, di animali e di microrganismi, ai vari stadi di decomposizione, e sostanze sintetizzate dalla popolazione vivente del terreno. La frazione organica è quindi costituita:

 dalle biomasse vegetali, animali e microbiche;

 dalle necromasse integre o in fase di demolizione delle strutture cellulari;  da molecole semplici che si liberano dalle biomasse o dalle necromasse;

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 da molecole umiche che si originano dalle unità organiche più semplici per effetto di una serie di reazioni biochimiche.

Quando la sostanza organica è molto ben decomposta costituisce l’humus, un materiale di colore bruno scuro, poroso, di consistenza spugnosa.

Escludendo i cosiddetti terreni organici, generalmente il contenuto di sostanza organica nei suoli oscilla tra l’1 e il 2%. In suoli spagnoli degradati da processi di erosione verificatisi in seguito alla perdita di copertura vegetale, si riscontrano concentrazioni di carbonio organico che variano da 0,4% ad 1,7%, mentre per suoli naturali si hanno valori del 2,0% (Garcia et al., 2000).

La sostanza organica influisce positivamente anche su molti dei parametri che sono stati analizzati in questo lavoro.

 La presenza della sostanza organica, attraverso l’interazione con gli altri componenti del suolo, determina le condizioni per una buona struttura del suolo. Ciò produce un efficace ricambio di aria tellurica ed una maggiore facilità di drenaggio; inoltre comporta un miglioramento delle possibilità di penetrazione delle radici, nonché una maggiore resistenza del suolo alla compattazione o alla polverizzazione; infine favorisce le condizioni ottimali per lo sviluppo e la funzione attiva della biomassa.

 La sostanza organica influisce fortemente sulla densità apparente del suolo: infatti una variazione anche piccola del suo contenuto (ad esempio dall’1 al 3%), comporta una diminuizione della densità apparente del suolo di circa il 50%. Ciò è dovuto all’aumento di porosità determinato dalla formazione di nuovi aggregati.

 La sostanza organica influenza la capacità di ritenzione idrica del terreno, non solo perché condiziona l’aggregazione strutturale e quindi la porosità, ma

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costituiscono una riserva potenzialmente assimilabile, la cui quantità nel suolo è tale da soddisfare le esigenze delle colture per numerosi anni.

 La sostanza organica presenta una elevata capacità di scambio cationico, per la quale contribuisce in media, rispetto ai costituenti minerali, nella misura di circa il 50%. Tale percentuale varia a seconda del tipo di copertura vegetale, delle condizioni climatiche e del tipo di suolo.

 La sostanza organica è estremamente importante come fattore di controllo della disponibilità di microelementi: la solubilità di metalli come ferro, zinco, nichel, cobalto e manganese è regolata dalla formazione di complessi tra gli ioni metallici e le frazioni solubili della sostanza organica. Talvolta possono formarsi complessi caratterizzati da elevata stabilità (chelati), che hanno un effetto regolatore sulla disponibilità del metallo per le piante.

Nella composizione della sostanza organica, si riconosce, una componente più labile, costituita da composti prontamente metabolizzabili (sostanze non umiche) ed una componente più stabile, molto più resistente alle degradazione chimica e biologica, costituita dalle sostanze umiche propriamente dette (Tate, 1987).

La componente labile della sostanza organica è costituita principalmente da acidi alifatici ed aromatici, carboidrati, aminoacidi e loro derivati polimerici come proteine, polipeptidi, polisaccaridi, lipidi ed altre sostanze organiche a basso peso molecolare (Schnitzer, 1991). Tale componente costituisce un pool di sostanze facilmente mineralizzabili e rapidamente disponibili come substrato per i microrganismi del suolo. A livello di questa componente, labile e reattiva, avviene l’accumulo, lo scambio ed il riadattamento delle innumerevoli sostanze prodotte dalle popolazioni batteriche, dagli organismi animali e dagli essudati radicali delle piante (Ceccanti et al., 1994; Ceccanti et al., 1997).

La mineralizzazione perciò indica la conversione dei nutrienti da forme organiche a inorganiche; tale processo include numerose reazioni ed il passaggio a numerosi prodotti intermedi. L’intensità dei processi di mineralizzazione non è uniforme nel

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suolo: infatti è maggiormente evidente in prossimità delle radici (rizosfera) dove l’attività dei microrganismi, stimolati dagli essudati organici radicali, permette il rilascio di azoto, fosforo e zolfo.

La componente stabile della materia organica del terreno è costituita dalle sostanze umiche. Queste sostanze, convenzionalmente, vengono definite come una serie di sostanze organiche eterogenee ad alto peso molecolare, di derivazione naturale, colorate da marrone a nero e formate attraverso una serie di reazioni secondarie di sintesi (Stevenson, 1982; Aiken, 1985). Tali sostanze sono prodotte a seguito della decomposizione di residui di origine animale o vegetale (Mac Carthy, 2001), pertanto sono considerate una delle più abbondanti forme di sostanza organica presenti sulla superficie terrestre (Woodewell and Houghton, 1977; Woodewell et al., 1978, Anderson, 1979).

• Azoto totale

L’azoto rappresenta il macroelemento più importante per la crescita delle piante. Una buona disponibilità di azoto per tutto il ciclo biologico infatti fa sì che la pianta sviluppi al massimo l’apparato vegetativo, mentre una deficienza di azoto provoca un accrescimento stentato e una scarsa produzione di clorofilla. L’azoto nel terreno è contenuto nei composti umici colloidali, nei residui organici indecomposti e nella biomassa microbica e, essendo presente per lo più in forma organica (90−98%), può essere considerato un ottimo indicatore della sostanza organica del terreno così come il carbonio organico.

L’azoto totale assume concentrazioni intorno allo 0,2% in suoli naturali mentre nei terreni agrari il contenuto medio di questo elemento oscilla tra 0,1 e 0,15%. In suoli

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composti più stabili, soprattutto fenoli ed acidi fulvici (Kuiters and Mulder, 1993). Il valore di questo parametro è importante dal punto di vista ecologico in quanto, il Carbonio idrosolubile, può essere definito come quella parte del Carbonio totale che entra immediatamente a disposizione dei microrganismi nella catena alimentare del microambiente (Garcia et al., 1992). Inoltre, può essere causa di contaminazione delle falde acquifere. Le frazioni labili, benché rappresentino solo una piccola porzione del totale, sono largamente dinamiche e rendono conto della maggior parte delle fluttuazioni della materia organica nel tempo (Cambardella and Elliott, 1992).

Essendo il carbonio idrosolubile per sua natura molto variabile, anche la sua concentrazione in suoli degradati mostra notevoli differenze, da valori di 22,5 mg/kgss a valori di 95,8 mg/kgss. In suoli naturali si hanno invece valori mai inferiori a 290 mg/kgss (Garcia et al., 2000).

5.2.2 Parametri biochimici

Gli enzimi sono i catalizzatori biologici di innumerevoli reazioni che si svolgono nel suolo e sono parte integrante del ciclo dei nutrienti. L’estrazione di enzimi dal terreno è resa complicata dai molteplici microhabitat nei quali essi possono agire; è per questo che gli enzimi del suolo vengono studiati mediante la determinazione della loro l’attività. L’attività di un determinato enzima nel suolo è, in realtà, la risultante di diverse attività che possono essere associate con la componente biotica e abiotica del terreno. Gli enzimi del suolo sono stati proposti come potenziali indicatori della qualità e della condizione metabolica di terreni stressati (Masciandaro et al., 1999) grazie alla loro stretta relazione con la componente microbica del terreno (Frankenberger et al. 1983), alla relativa facilità di misura ed alla loro capacità di rispondere rapidamente ai cambiamenti indotti nelle proprietà del terreno dalle diverse pratiche di gestione del suolo (Dick, 1994; Dick et al., 1996; Monreal et al. 1998; Warketin, 1995). Gli enzimi, inoltre, possono essere utilizzati per monitorare gli effetti di inquinanti organici ed inorganici sulla funzionalità microbiologica del terreno, nonché per valutare l’efficacia dei processi di recupero biologico dei suoli

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inquinati (Nannipieri and Bollag, 1991; Perucci, 1992). Anche la degradazione del suolo dovuta ad erosione, compattazione o altro tipo di disturbo può essere diagnosticata mediante la determinazione delle attività enzimatiche (Dick et al., 1998).

• ββββ-glucosidasi

La β-glucosidasi, è un enzima relazionato con il ciclo del carbonio: è una idrolasi coinvolta nella degradazione microbica della cellulosa a glucosio (Alef e Nannipieri, 1995).

In particolare, la β-glucosidasi idrolizza i gruppi terminali non riducenti del β-D-cellobiosio (dimero del glucosio derivante dalla degradazione della cellulosa), liberando β-D-glucosio. La degradazione e la mineralizzazione della cellulosa sono i principali processi del ciclo del carbonio nel suolo e quindi l’attività β-glucosidasica può essere considerata un valido indicatore del processo di mineralizzazione della sostanza organica ed è strettamente legata alla presenza di composti del carbonio nel suolo (Cook e Allan, 1992).

O CH2OH OH OH OH OH O OH OH CH2OH O B-glucosidasi O CH2OH OH OH OH β− D-glucosio Cellobiosio

2

OH H2O

Figura 0.1 Reazione catalizzata dalla β-glucosidasi.

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catalizzano l’ossidazione di composti organici con la rimozione di due atomi di idrogeno che sono trasferiti alla molecola del NAD+ o NADP+ (Nannipieri et al., 1990).

L’attività deidrogenasica globale del suolo è la sommatoria delle attività di varie deidrogenasi, che sono parte integrante dei sistemi enzimatici di tutti i microrganismi. L’attività enzimatica della deidrogenasi risulta essere quindi un buon indicatore dei sistemi microbiologici redox e può essere considerata una buona misura dell’attività microbica ossidativa del suolo (Casida, 1977; Benedetti e Gianfreda, 2004).

L’attività della deidrogenasi è considerata un indicatore delle attività microbiche nel loro complesso perchè questo enzima è necessario a livello intracellulare in tutte le cellule microbiche ed è legato ai processi di respirazione dei microrganismi (Bolton et al., 1985).

5.2.3 Parametri fisici

• Crepacciamento

Le forze che producono il crepacciamento derivano dalle tensioni che si formano all’interfaccia aria-acqua sulle superfici del sistema acqua-terreno (Gillot, 1968). L’evaporazione impoverisce progressivamente di acqua tutta la massa del terreno provocando una contrazione di volume e causando in diversi punti la rottura dello strato superficiale del suolo che dà luogo ad una serie di crepe o fessurazioni più o meno estese e profonde. Le crepe formate aumentano notevolmente la superficie di contatto tra suolo e atmosfera e tendono quindi a favorire ulteriormente la disidratazione. Anche per questo motivo generalmente l’entità del crepacciamento appare in relazione diretta al volume di acqua evaporata (Harris, 1961).

• Porosità

La porosità esprime il volume degli spazi vuoti del terreno come rapporto percentuale sul volume totale P = (D - d)/D . Questa proprietà fisica influenza direttamente la dinamica della fase liquida e di quella aeriforme nel terreno e, indirettamente, la

Figura

Fig 1- Aree sottoposte a desertificazione (www.segretariatosociale.rai.it).
Fig 3 - Indice di sfruttamento dell'acqua in Europa     (EEA, Eionet, IRENA).
Fig 4 - Processi di salinizzazione in Europa (EEA 2002).
Fig 5 - Sensibilità alla desertificazione in Italia (  www.segretariatosociale.rai.it  )
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Riferimenti

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