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CAVALLARI MURAT A., 1957

L’EVOLUZIONE URBANA DI TORINO IN EPOCA MODERNA.

68 CAVALLARI MURAT A., 1957

GRITELLA G., Brani di architetture incompiute: Palazzo Madama a Torino, le residenze di Rivoli e Venria Reale, in “COMOLI MANDRACCI V., GRISERI A., 1995”, pp. 227-230.

CAPITOLO II

I TERRITORI SUBALPINI IN EPOCA MODERNA: ARCHITETTURA, PANORAMA PROFESSIONALE E TRADIZIONE COSTRUTTIVA

Lo spirito cartesiano del tessuto viario torinese determinò la maturazione di caratteri distributivi comuni in gran parte degli isolati. I canoni estetici elaborati dai progettisti rafforzarono l’unitarietà linguistica e geometrica dello schema ad assi ortogonali. I prospetti uniformi esaltano l’unità stereometrica degli edifici, connotati da uno specifico repertorio decorativo, differenziato a livello di dettaglio.

I primi ampliamenti diretti da Ascanio Vitozzi e Amedeo di Castellamonte furono un valido teatro per sperimentare tali ricerche compositive. All’interno degli isolati emerse la necessità di organizzare l’interrelazione fra cellule edilizie, dettata non tanto dall’elaborazione di un programma planimetrico comune, quanto dal vincolo scenografico dei prospetti70. Al pari di altre epoche storiche, si assiste alla genesi di un sistema urbano legato alla logica distributiva delle tipologie edilizie. Se consideriamo l’urbanistica medioevale, tuttavia, i rapporti sono ribaltati: la pianificazione di Torino procedette in senso inverso, in quanto la morfologia interna degli isolati fu subordinata al tracciamento della struttura viaria e all’esigenza di preservare l’immagine unitaria delle architetture.

Nella prima metà del ‘700, le sperimentazioni sulla riorganizzazione funzionale degli isolati urbani torinesi raggiunsero il loro apice. Gian Giacomo Plantery e Filippo Juvarra furono i protagonisti indiscussi in questo campo. Con il palazzo Saluzzo Paesana, situato nel cuore dell’ampliamento occidentale, il Plantery raggiunse la massima coerenza formale ed espressiva, potendo usufruire di un unico e vasto lotto di proprietà (fig. 5)71.

Pur nella rigorosa continuità lessico-formale degli ampliamenti, è possibile delineare l’evoluzione planimetrica degli isolati72. Nel progetto del Vitozzi, gli edifici hanno un accentuato sviluppo in profondità. In tal modo, fu possibile sfruttare l’intero lotto di proprietà e ridurre i costi di allestimento del prospetto principale, modulato da tre o quattro affacci per piano. Secondo un criterio ancora influenzato dall’urbanistica tardogotica e cinquecentesca, il fronte retrostante fu reso fruibile mediante l’apertura di piccoli vicoli di servizio. La viabilità secondaria facilitava il rifornimento delle botteghe localizzate ai piani inferiori e delle sovrastanti residenze private. L’ampliamento sud-orientale, pianificato da Amedeo di Castellamonte, non presentava sostanziali differenze negli isolati prossimi a piazza castello. In direzione del fiume Po e del cosiddetto vallo, si sviluppò una tipologia aperta con giardini antistanti, dovuta all’originaria presenza delle fortificazioni, in seguito demolite e portate oltre la riva opposta. Il proliferare di isolati aperti favorì la nascita di residenze privati di piacere, con giardino all’italiana, il cui archetipo è rappresentato dal castello del Valentino, ridisegnato nel ‘600 da Carlo e Amedeo di Castellamonte.

Il percorso evolutivo dell’urbanistica torinese culminò con i vasti lotti disegnati da Filippo Juvarra per l’ampliamento nord-occidentale. Gli isolati si presentano compatti e ben definiti nei caratteri distributivi, data l’assenza di preesistenze e gli ampi spazi a disposizione. Le proprietà, attribuite a nobili famiglie facoltose, furono arricchite da sontuose e scenografiche soluzioni architettoniche, ideate da Gian Giacomo Plantery. Con il progetto urbano di Filippo Juvarra si registra una sostanziale maturazione nella componente ideologica del tessuto viario. Gli interventi secenteschi furono influenzati dalle teorie cartesiane, le quali auspicavano il coinvolgimento di un solo progettista al fine di garantire la coerenza espressiva degli edifici. A partire dal XVIII secolo, le valutazioni di natura formale furono precedute da puntuali analisi di ordine funzionale, mirate all’allestimento di un tessuto viario adeguato al traffico veicolare. In contemporanea, furono istituiti appositi organi amministrativi con lo scopo di gestire le politiche urbane della capitale. La Francia non rappresentava più l’unica fonte d’ispirazione per la definizione dei modelli urbanistici, in quanto la cultura aperta dello Juvarra contemplava altre realtà europee quali l’Inghilterra, l’Austria e, in particolare, la Roma dei papi73.

70

CAVALLARI MURAT A. (vol. I, t. II), 1968, p. 1011.

71

CAVALLARI MURAT A., 1957, pp. 329-330.

72 CAVALLARI MURAT A (vol. I, t. II), 1968, pp. 1014-1017. 73

COMOLI MANDRACCI V., La dimensione urbanistica di Juvarra per l’idea delle città capitali, in “COMOLI MANDRACCI V., GRISERI A., 1995”, pp. 43-51.

CAPITOLO II

I TERRITORI SUBALPINI IN EPOCA MODERNA: ARCHITETTURA, PANORAMA PROFESSIONALE E TRADIZIONE COSTRUTTIVA

La progressiva coerenza distributiva all’interno dei lotti è testimoniata dall’organizzazione degli edifici singolari. Nei primi ampliamenti, le chiese, i conventi e le opere di carità occupavano un intero isolato o una porzione significativa, denunciando in termini volumetrici la propria presenza. Essi furono successivamente integrati nella logica planimetrica dei lotti, affidando a particolari espedienti, quali lo smusso angolare del prospetto e la relativa creazione di piazzette e slarghi, l’introduzione di un segno grafico atto a manifestarne la singolarità. Il progetto dello Juvarra accentuò il carattere stereometrico degli isolati allineando i profili di tali edifici alle architetture confinanti e evidenziandone la presenza attraverso il differente trattamento decorativo e materiale dei prospetti.

Accanto alle trasformazioni avvenute all’interno del contesto urbano, ebbero significative influenze i palazzi di piacere della monarchia sabauda, costruiti nelle campagne intorno alla capitale. Tali edifici furono realizzati secondo i principi estetici in voga nelle corti europee. Contornati da vasti latifondi e giardini scenografici, organizzati su disegni geometrici attentamente studiati, le dimore avevano un enorme prestigio e dimensioni tali da incidere sulle direttrici di sviluppo della città.

Con l’ampliamento nord.occidentale, l’isolato-tipo torinese raggiunse l’apice della compiutezza formale ed espressiva in rapporto alle esigenze dell’epoca. Nell’800, non furono apportate sostanziali modifiche alla struttura

compositiva dei lotti, nonostante la maggiore attenzione nei confronti dell’igiene pubblica74. L’aumento di

popolazione e all’industrializzazione, tuttavia, determinarono l’incremento degli alloggi e la necessità di introdurre alcune migliorie di carattere funzionale. La città di Torino crebbe progressivamente: le nuove espansioni, localizzate ai margini dei precedenti interventi, non intaccarono il tessuto urbano di epoca moderna, ma apportarono minime variazioni alla scala del singolo edificio.