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DIFFUSIONE DELLA CULTURA ESTETICA BAROCCA IN SARDEGNA: CONTRIBUTO DEI PROGETTISTI PIEMONTESI.

CON LA CULTURA ARCHITETTONICA PIEMONTESE, p. 69; LE FONTI DOCUMENTARIE. p. 118; I PROTAGONISTI, p. 119; Bibliografia, p. 122, Immagini fotografiche, p. 125.

DIFFUSIONE DELLA CULTURA ESTETICA BAROCCA IN SARDEGNA: CONTRIBUTO DEI

PROGETTISTI PIEMONTESI.

In seguito alla nuova configurazione politica del regno di Sardegna e al trasferimento dell’autorità governativa da Madrid a Torino, nel 1720, l’isola rientrò lentamente nella sfera culturale italiana1. L’avvenimento coincise con il progressivo radicamento dell’estetica barocca, contrapposta alla secolare tradizione gotica di matrice iberica. I progettisti piemontesi, per lo più ingegneri militari, giunti in Sardegna con l’incarico di attuare le direttive del governo, fornirono un contributo determinante al rinnovamento del panorama artistico e produttivo locale. Essi parteciparono attivamente alla modernizzazione delle infrastrutture territoriali, intervenendo con competenza in svariati settori della progettazione.

Come visto nel I capitolo, gli ingegneri sabaudi non furono i primi ad introdurre in Sardegna il linguaggio barocco: fin dalla seconda metà del XVI secolo, le curie vescovili affidarono la realizzazione di sculture e arredi lapidei ad imprese artigiane originarie della Liguria e della regione dei laghi. Gli splendidi corredi marmorei, tuttora presenti in numerose chiese sarde, testimoniano le notevoli qualità degli autori. E’ altresì evidente l’affinità tra il lessico espressivo degli autori e la tradizione artigianale di scuola genovese, arricchita da chiare influenze d’oltralpe2.

La vasta campagna edificatoria, promossa dalla monarchia sabauda, volta ad elevare la città di Torino al rango di capitale del nuovo stato, influenzò la successiva produzione edilizia in ogni angolo del paese. L’architettura sarda del tardo ‘700 denota profondi legami con il panorama architettonico subalpino, solo in parte mitigati dall’educazione vernacolare delle maestranze e dalle disponibilità economiche dei committenti. Il contributo dei progettisti sabaudi fu essenziale per la diffusione nell’isola dei nuovi canoni estetici, fino ad allora circoscritti agli ambienti corporativi degli scultori d’oltretirreno. Sebbene coinvolti, in primo luogo, nella costruzione e manutenzione di architetture militari, gli ingegneri piemontesi elaborarono progetti in campo religioso e civile, i quali riflettono, in forme semplificate, i caratteri formali e figurativi delle coeve opere piemontesi.

Le vicende storiche e architettoniche della Sardegna non consentono di proporre un confronto diretto con la realtà piemontese del XVIII secolo. In epoca moderna, nei territori sabaudi si registrò un notevole sviluppo edilizio ed immobiliare, sostenuto dalle finanze statali. Rinvigorito dai successi militari, il fenomeno fu parzialmente attenuato dagli eventi bellici a cavallo tra ‘600 e ‘700 e dalle congiunture economiche del ducato di Savoia, stato meno progredito delle grandi potenze europee.

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Per le vicende storiche e sociali della Sardegna nel XVIII secolo, si rimanda all’introduzione e alla relativa bibliografia.

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CAPITOLO III

I PALAZZI SIGNORILI NELLA SARDEGNA DEL XVIII SECOLO

Nei primi decenni del ‘700, mancavano, in Sardegna, impulsi edificatori su larga scala, come nelle regioni continentali del regno. I cantieri più prestigiosi furono promossi dalle curie vescovili e dagli ordini religiosi. I committenti privati non investirono risorse economiche nel mercato immobiliare, scoraggiati, per altro, dalla situazione politica internazionale; le fonti documentarie a riguardo fanno riferimento a semplici interventi di manutenzione o alla costruzione di edifici modesti.

Tale situazione mutò radicalmente nel XVIII secolo. Il regno di Sardegna investì ingenti risorse per potenziare il sistema produttivo dell’isola. Nel volgere di pochi decenni furono avviate diverse industrie minerarie, cartarie o legate alla produzione del tabacco e della polvere da sparo. In campo agricolo furono concessi finanziamenti per l’impianto di nuove colture, in particolare ulivo, vite e gelso. Intuito l’atavico limite delle infrastrutture interne, fu programmata la costruzione di strade, ponti e l’arginamento dei principali alvei fluviali. In sintonia con le moderne filosofie politiche e sociologiche, fu promosso l’incremento demografico attraverso la fondazione di nuovi centri abitati3. La responsabilità tecnica dei progetti governativi fu affidata agli ingegneri militari, inquadrati nel corpo d’artiglieria, protagonisti dello scenario architettonico sardo fino alla metà dell’800.

L’interesse delle autorità fu rivolto inizialmente al sistema difensivo dell’isola, costituito da alcune roccaforti costiere e da un circuito di torri di avvistamento e difesa. Nei primi decenni del XVIII secolo, l’instabilità sul fronte internazionale e la partecipazione del regno di Sardegna ad alcuni conflitti bellici non consentivano di ritenere definitiva la configurazione politica dello stato. Dato il timore di attacchi navali da parte delle grandi potenze, i primi ingegneri sabaudi giunti in Sardegna furono incaricati di rilevare le fortificazioni esistenti ed elaborare i necessari progetti di manutenzione. Nelle piazzeforti sarde furono allestiti nuovi circuiti difensivi, ispirati ai recenti sviluppi dell’arte bellica di scuola francese. Le opere principali furono realizzate sotto la direzione degli ingegneri militari Antonio Felice de Vincenti e Augusto de La Vallea4.

Sebbene il comparto difensivo fosse oggetto di particolari attenzioni, in altri ambiti furono realizzati interventi interessanti. Gli stessi ufficiali progettarono alcune architetture religiose a Cagliari, per le quali si rimanda ai paragrafi successivi.

Le fonti documentarie consultate non fanno alcun riferimento ad opere significative nel campo dell’architettura privata. Riteniamo lecito attribuire ad un’epoca più tarda l’imponente campagna edificatoria avviata nei principali centri dell’isola, come conseguenza di un inedito interesse per gli investimenti immobiliari. Il fenomeno fu innescato da profondi mutamenti nella società sarda: in particolare la nascita di un ceto nobiliare, di nuova investitura, e lo sviluppo di una classe imprenditoriale d’estrazione borghese5. Entrambe le realtà furono favorite dalla politica del governo, il quale sfruttò il contributo economico indotto dalla loro affermazione sociale. Data la necessità di reperire nuove risorse economiche da destinare al sistema produttivo, furono adottate soluzioni di compromesso, come la concessione condizionata delle patenti di nobilità6. Attraverso il finanziamento di nuove infrastrutture e attività produttive o il semplice impianto di un congruo quantitativo di alberi da frutto, alcune famiglie facoltose acquistarono titoli prestigiosi, fino ad allora riservati alla nobiltà di antico lignaggio7. Le famiglie Genoves, Vivaldi e Sanjust investirono i loro capitali nell’impianto di tonnare; gli Asquer e i Lostia parteciparono al popolamento di territori disabitati8.

Nella seconda metà del XVIII secolo, furono investiti ingenti capitali nella costruzione o ampliamento di palazzi signorili. Intuita l’opportunità di ottenere lauti guadagni da attività parallele allo sfruttamento agricolo dei

3 I progetti di pianificazione urbana si rivelarono, in gran parte, fallimentari. 4 CABRAS M., 1966. 5 SOTGIU G., 1986, p. 11. 6 SCARAFFIA L., 1987, p. 3. 7

Nell’introduzione sono stati citati i casi del sig. Antonio Martino Massidda, il quale finanziò la costruzione di un ponte presso Santu Lussurgiu, e del ricco possidente oristanese Antonio Vito Sotto, titolare di un vasto latifondo dove furono impiantati migliaia di ulivi.

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CAPITOLO III

I PALAZZI SIGNORILI NELLA SARDEGNA DEL XVIII SECOLO

latifondi, alcune casate nobiliari sopraelevarono gli immobili di proprietà destinando i piani alti a pigione9. Per altre famiglie, di recente investitura o appartenenti alla classe neoborghese, tali iniziative costituirono un valido espediente per raggiungere o consolidare un discreto potere economico.

Gli investimenti nel settore immobiliare determinarono l’apertura di numerosi cantieri privati, risalenti, per lo più, agli ultimi tre decenni del ‘700. Come testimoniano le fonti archivistiche, la produzione edilizia del periodo assunse dimensioni tali da modificare radicalmente la componente estetica del patrimonio architettonico nei maggiori centri dell’isola. Le iniziative imprenditoriali di maggior rilievo furono concentrate nei borghi storici di Cagliari, Sassari ed Oristano dove risiedeva gran parte dei feudatari sardi. I quartieri del capoluogo, ad esempio, sul finire del XVIII secolo, furono teatro di profonde trasformazioni dei fronti stradali, determinate dal ridisegno e dalla sopraelevazione dei prospetti d’affaccio.

Il fermento costruttivo interessò marginalmente i centri abitati dell’interno dove l’assenza di un ceto borghese intraprendente non consentì lo sviluppo di ricchi mercati immobiliari. I capitali investiti nel settore edilizio furono destinati alla trasformazione delle dimore signorili situate nelle grandi città. Non mancarono, tuttavia, le eccezioni: in alcune realtà rurali, sono tuttora conservate case padronali del tardo ‘700 ispirate ai palazzi nobiliari dei maggiori centri dell’isola.

Lo sviluppo del mercato immobiliare, nella Sardegna del XVIII secolo, non incise in maniera significativa sul tessuto storico delle città. Gli insediamenti medioevali costituirono un vincolo imprescindibile per i progettisti e i capimastri coinvolti nella trasformazione delle preesistenze. Alle già note differenze con la realtà sabauda, occorre aggiungere l’assenza di un progetto di pianificazione su scala urbana, tale da modificare la tipologia architettonica dei tessuti edilizi. Concentrate nell’arco di pochi decenni e condizionate da esigenze di profitto, le opere realizzate manifestano scarsa unitarietà formale. L’assenza del rigido controllo governativo non consentì di superare l’aleatorietà dell’iniziativa privata. Nella maggior parte dei casi, gli interventi programmati furono limitati alla ridefinizione grafica dei prospetti: sopraelevati di uno o più livelli, gli edifici furono sottoposti ad interessanti rielaborazioni estetiche, secondo i canoni formali ed iconografici dell’architettura tardobarocca piemontese.

La produzione edilizia privata fu influenzata dalla costruzione, nella seconda metà del ‘700, di grandi opere pubbliche. A tal proposito, riteniamo utile specificare la sequenza cronologica di alcuni avvenimenti significativi. Le dimore signorili oggetto del nostro studio furono costruite o rimodernate in epoca successiva ai cantieri governativi più prestigiosi del capoluogo, l’università degli studi e il palazzo viceregio, avviati tra il 1763 ed il 176910. L’introduzione di modelli figurativi inediti stimolò lo spirito emulativo della committenza privata. I nuovi canoni estetici incontrarono il favore delle autorità, data l’evidente antitesi con il repertorio iconografico tardogotico di ascendenza catalana. In sintonia con la politica riformatrice del governo, l’opera architettonica fu un valido strumento di diffusione della cultura classica, a discapito della secolare tradizione iberica e vernacolare. D’altra parte, tali iniziative, sebbene mirate ad aspetti squisitamente estetici, avevano una forte componente semantica. Non soggette al controllo diretto dell’autorità pubblica, esse costituivano ottime opportunità per educare la popolazione locale alle tradizioni subalpine. Sono evidenti le analogie con le campagne volte all’insegnamento e alla diffusione della lingua italiana, il cui utilizzo divenne obbligatorio alla fine del XVIII secolo.

9 Le famiglie nobiliari erano spesso proprietarie di più immobili. 10

SALINAS R., 1957, p. 437. CAVALLARI MURAT A., 1966, p. 286.

CAPITOLO III

I PALAZZI SIGNORILI NELLA SARDEGNA DEL XVIII SECOLO

LE OPERE: CARATTERI FORMALI E FIGURATIVI. AFFINITA’ CON LA CULTURA