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Cercando una nuova identità mediterranea

Debora Giorgi

La Tunisia, oggi attraversata da grandi cambiamenti sociali, economici e politici, è uno dei paesi che, forse più di altri del- la riva sud del Mediterraneo, hanno vissuto il confronto con la modernizzazione in maniera particolarmente drammatica. Storicamente questo paese è stato teatro di invasioni e do- minazioni esterne, ma anche di accoglienza e di rifugio, basti pensare all’epoca di Sant’Agostino in cui la Tunisia era rifugio di molte sette cristiane apocrife, ai molti migranti italiani, oppure, ancora oggi, a come la Tunisia offra rifugio a molti libici in fuga dalla guerra, con tutto ciò che questo comporta. La Tunisia è un piccolo paese accogliente e tollerante; le scarse risorse naturali (rispetto ai vicini giganti Libia e Algeria) ed un’economia di base agricola e di pesca, hanno fatto sì che negli anni si sia rivolta in maniera forte al turismo. L’anelito verso la modernità e il conti- nuo confronto con l’alterità, ha comportato dei rischi in termini di perdita delle identità locali e di una certa dipendenza dall’e- sterno che oggi, soprattutto per quanto riguarda il turismo, a causa della crisi internazionale e dei drammatici eventi legati al terrorismo, mettono in grave pericolo l’economia nazionale e con essa lo stesso assetto sociale.

In questo confronto la salvaguardia del patrimonio culturale, materiale e immateriale, non è stata una priorità. La perdita di memoria patrimoniale comporta inevitabilmente un livella- mento ed un appiattimento che, al di là del valore storico o ar- tistico delle nuove produzioni, genera a sua volta un pericoloso senso di disorientamento e di perdita negando uno dei bisogni primari dell’essere umano, quello di sicurezza ed appartenenza. Anche per questo è importante trovare il modo di conservare questo patrimonio. Ma la conservazione purista, in considera- zione della complessità e della stratificazione di significati e valori di cui questo patrimonio è portatore, non è sufficiente e, soprattutto, non si è rivelata, ad oggi, la più adeguata. Il model- lo di conoscenza tradizionale ci insegna che la forza di queste tecniche sta proprio nella loro plasticità e nella capacità di rela- zionarsi con l’innovazione. L’innovazione e il confronto dialetti- co con la contemporaneità sono alla base di qualsiasi forma di salvaguardia, del resto è grazie alla capacità di accogliere e di incorporare gli elementi di innovazione che le conoscenze tra- dizionali ed il patrimonio immateriale sono arrivati fino a noi. Le opere d’arte, gli oggetti rituali e del quotidiano, così come l’organizzazione dello spazio costruito, riflettono e materializ- zano le molteplici vicende storiche, economie, relazioni, culture, pratiche e scambi che definiscono in realtà un patrimonio iden- titario molto più pervicace e resiliente di quello fisico, proprio perché immateriale. Il valore immateriale non è per definizione tangibile ma riesce ad esprimersi in forme che rispondono al pensiero analogico, in segni e simboli, in relazioni attraverso un linguaggio che deve essere interpretato e che richiede necessa- riamente un approfondimento, una immersione, la volontà di comprenderlo e di usarlo per esprimersi a sua volta.

Il valore immateriale delle tecniche, delle pratiche, degli ogget- ti, delle rovine archeologiche, costituisce l’elemento immanen- te, che sostanzia e conferisce identità, senso e significato alle cose. Così l’immaterialità costituisce in realtà un punto di forza, indistruttibile proprio in virtù della sua non evidenza e della sua forma essenziale, nella trasformazione continua che fa parte dell’esistenza del mondo. Il design ha sempre accompagnato questi cambiamenti, anzi spesso ne è stato l’interprete se non il precursore. Oggi dunque se il design vuole confrontarsi con le sfide della contemporaneità, deve provare a ridare senso alle cose, a riconoscerlo dove è celato, a interrogare e interrogarsi sui valori degli individui e delle comunità per e con cui lavora. Il patrimonio immateriale può costituire il punto di partenza per una nuova progettazione che sia contemporanea ma che al tempo stesso sia portatrice di identità e di senso.

91 Salvaguardare una tecnica non significa infatti riproporla o fis-

sarla così come è, ma ad esempio, può consistere nell’utilizzarla in modo creativo in un nuovo contesto o impiegando materia- li differenti. Questo permette di preservarne il significato più profondo, e, soprattutto permette agli individui di essere in grado di riproporsi in una nuova dimensione.

Un approccio Design driven consente di salvaguardare tecniche tradizionali attraverso l’innovazione ed al tempo stesso di rea- lizzare progetti che, per la loro connessione sia con la comunità produttrice che con la contemporaneità, hanno caratteristiche di sostenibilità sociale, culturale e ambientale.

Partendo dall’individuazione prima dei valori materiali ed im- materiali alla base dell’identità tunisina, si è proseguito con una ricerca approfondita delle tecniche e degli artefatti artigia- nali. Per fare questo ci si è avvalsi del contributo di discipline come l’antropologia, la sociologia, la storia, in un approccio for- temente interdisciplinare.

Si è trattato in effetti di una ricerca che ha toccato in prima per- sona gli studenti, attraverso di essa hanno potuto riconoscere in primo luogo i loro stessi valori identitari. Nella maggior parte dei casi, sono stati condotti a partire proprio dal significato che avevano per loro determinati oggetti o tradizioni, partendo dal- la famiglia d’origine, dal proprio territorio. Da questa consape- volezza sono partiti i progetti degli studenti, che si sono svolti sempre in Atelier con artigiani locali che hanno realizzato i pro- totipi. Il risultato più importante, è stato sicuramente quello di rendere consapevoli dei giovani futuri designer dell’importanza del loro stesso patrimonio, materiale e immateriale, di fornire loro una serie di strumenti per poter attingere ad esso in modo da perpetuarlo e quindi conservarlo.

In questo processo, il designer, nel farsi medium, ossia nel farsi attraversare e nel catalizzare le suggestioni e i valori che pro- vengono dalle diverse discipline, dalle comunità locali, dal mer- cato, lascia passare molto di sé. Il progetto comporta di per sé una trasformazione ed il prodotto ne diviene la sintesi, sintesi che non è mai la somma delle parti, ma qualcosa di completa- mente nuovo.

Così amuleti in ceramica e semi, che rimandano a rituali apotro- paici che affondano le loro radici nell’Africa subsahariana, ven- gono chiusi in sacchetti di seta in cui sono ricamate frasi bene- auguranti. Il gioco della trottola che accomuna i bimbi di tutte le terre che sia affacciano sul Mare di Mezzo, diviene l’ispirazione per una serie di lampade realizzate da un artigiano liutaio che utilizza la sua tecnica specialistica, che ormai sta scomparendo, per un nuovo tipo di oggetto. Le architetture misteriose di Tata- ouine — scenario, fra l’altro, di Star Wars — divengono un gioiello che mette insieme la ceramica ed il metallo. Un tipico dessert tunisino, il Balouza, suggerisce un servizio in ceramica e me- tallo in cui le piccole ciotole, che devono essere tenute in mano come una coppa, prendono straordinariamente la forma di un altro dolce siciliano, le minne di Santa Rosalia. E ancora, per sal- vaguardare la tradizione orale e i racconti regionali, un’allieva particolarmente dotata nel disegno, ha pensato di progettare un teatrino in legno con le scene ed i personaggi principali di ogni racconto, in cui genitori e bambini potranno rappresentare le storie con marionette.

Ognuno di questi progetti è un racconto in cui i giovani designer, nel concepirli, hanno tentato di esprimere la riflessione attorno alla loro stessa identità tunisina e mediterranea per dare vita a degli oggetti che rappresentassero questo percorso. Portare questo racconto in uno dei Musei più importanti del Mediterraneo, il Museo del Bardo, è sicuramente una sfida am- biziosa, come ambizioso è stato questo progetto nel cercare di far dialogare passato e presente dialetticamente, cercando i punti di contatto più che quelli in conflitto.

Di qui la scelta di affidare questo desiderio alle parole ed alle opere di uno fra i più grandi designer al mondo, Ettore Sottsass, che quasi cinquant’anni fa aveva intravisto nelle ceramiche, e

con esse negli straordinari oggetti della tradizione, un modo di portare luce in un mondo di tenebre: “Guardate le ceramiche e c’è tutto, come nelle poesie e nelle canzoni. C’è tutto e basta. Ci sono gli uomini senza divise e senza armi, seduti a chiacchierare con le ragazze, a bere il caffè, a mangiare la frutta, a guardare i fiori, a curare i pesci e anche a tenere nelle mani un oggetto pre- zioso — al tempo della primavera e al tempo dell’autunno, con la coscienza rara che è primavera e che è autunno”.

Al centro della sala punica, là dove sono esposti i capolavori dell’arte cartaginese, alle origini della civiltà mediterranea che ci accomuna tutti, allora, un totem in ceramica di Sottsass, che evocando archetipi arcaici o immaginari, sembra proprio voler simboleggiare questo dialogo tra antichità e presente scio- gliendo qualsiasi conflitto, sintetizzando le contraddizioni della modernità in una sottile ironia.

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Once upon a time…

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