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la CeSSione dei riPoSi e delle Ferie

Nel documento Guida al Jobs Act (pagine 142-146)

Una evidente differenza rispetto alla normativa francese riguarda l’eventuale necessità dell’esplici-to consenso del dadell’esplici-tore di lavoro, espressamente richiesdell’esplici-to dall’art. L 1225-65-1 del Code du travail francese ma non dalla norma italiana. Il punto è se, dando la possibilità ai lavoratori di “cedere i riposi e le ferie” maturati senza prevedere l’esplicito assenso del datore di lavoro, il legislatore italiano abbia inteso disciplinare tale possibilità a prescindere dalla volontà del datore di lavoro, con un richiamo neanche tanto velato all’istituto della cessione del credito di cui all’art. 1260 c.c., che non richiede normalmente l’assenso del debitore ceduto, oppure se il consenso del datore di lavoro sia in ogni caso richiesto, richiamando ad esempio necessità di carattere organizzativo ovvero il carattere strettamente personale del credito. L’impressione è che la norma abbia inteso proprio superare qualsiasi dubbio circa la natura personale del credito da ferie o da riposo, introdu-cendo la possibilità che sia possibile una cessione dei riposi o delle ferie da un lavoratore, o da un insieme di lavoratori, a colui che ne necessita per i motivi previsti dalla legge, senza che il datore di lavoro possa opporsi.

Una volta che i riposi o le ferie aggiuntive siano entrate nella sfera giuridica del lavoratore biso-gnoso, l’accordo del datore di lavoro appare però necessario nell’ambito della collocazione tempo-rale delle ferie o dei riposi ceduti. In assenza di una esplicita previsione derogatoria, infatti, sembra difficile ritenere del tutto superato il principio di cui all’art. 2109 cc, strettamente correlato al potere direttivo ed organizzativo dell’imprenditore, che ha portato la giurisprudenza a ritenere unanime-mente che “il periodo di godimento delle ferie annuali non può essere autodeterminato dal lavo-ratore, configurandosi l’atto di concessione delle stesse come prerogativa riconducibile al potere organizzativo del datore di lavoro, in relazione alle esigenze di ordinato svolgimento dell’attività d’impresa” (Cass. 26.11.2014 n. 25159). È però evidente che trattandosi di un periodo ulteriore di assenza retribuita previsto per un fine specifico tutelato dalla norma, l’interesse del prestatore, richiamato dallo stesso art. 2109, appare rafforzato, con la conseguenza che un’eventuale colloca-zione temporale differente da una richiesta correlata alle esigenze di cura andrebbe ampiamente motivata dal datore di lavoro, pena una violazione quantomeno dei principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cc, posto che il potere riconosciuto all’imprenditore nella scelta del periodo feriale “non può essere esercitato in modo da vanificare le finalità cui è preordinato l’istituto” (Corte cost. 345/1990).

Non tutti i riposi e le ferie maturati da un singolo lavoratore sono cedibili, ma soltanto quelli che eccedono i limiti irrinunciabili previsti dalla legge. Come è noto il d.lgs 66/2003, introducendo nell’ordinamento interno i periodi minimi di riposo previsti dalla direttiva 93/104/CE, fissa alcuni limiti invalicabili: un riposo giornaliero consecutivo di almeno 11 ore ogni 24 ore; un riposo set-timanale di almeno 24 ore consecutive, normalmente coincidente con la domenica; un periodo minimo inderogabile di ferie retribuite di quattro settimane. Saranno quindi oggetto della cessione prevista dalla norma i riposi o le ferie eccedenti tali limiti, previsti dai contratti collettivi o da accordi individuali.

Il fermo richiamo contenuto nella norma a limiti, condizioni e modalità stabilite dai contratti collet-tivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale applicabili al rapporto di lavoro, rende plausibile ritenere che la disciplina contenuta nell’art. 24

possa trovare applicazione soltanto dal momento della stipulazione del contratto collettivo. Qual-che dubbio si pone sul tipo di contratto collettivo richiamato dalla norma. Tanto il contenuto del precetto, riferito a principi di rango costituzionale, quanto il riferimento alle associazioni comparati-vamente più rappresentative sul piano nazionale, senza alcun richiamo alle rappresentanze azien-dali come invece fa il novello art. 51 dello schema di decreto sui contratti di lavoro, porterebbero a ritenere che sia necessaria la stipulazione di un contratto collettivo nazionale.

la CeSSione dei riPoSi e delle Ferie

“A mani nude. Così il governo chiede alle Consigliere di Parità di svolgere la propria funzione”. Il Consiglio dei Ministri ha recentemente approvato uno schema di decreto legislativo che, tra le altre cose, interviene modificando alcune disposizioni del Codice delle pari opportunità e ridefini-sce, a nostro avviso in senso peggiorativo per le motivazioni che verranno illustrate, il ruolo delle Consigliere di Parità.

È possibile analizzare le modifiche apportate prendendo in considerazione sei ordini di interventi: - La prima necessaria modifica consiste nella sostituzione in tutto il provvedimento dell’espressio-ne “provinciale” con la locuziodell’espressio-ne “delle città metropolitadell’espressio-ne e degli enti di area vasta di cui alla legge 7 luglio 2014, n. 56”. Tale modifica comporta una ridistribuzione delle aree di competenza sul territorio nazionale delle Consigliere di Parità, necessitata dal più ampio disegno di “Aboli-zione delle Province”.

- Altre modifiche riguardano il Comitato Nazionale per l’attuazione dei principi di parità di tratta-mento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici di cui all’articolo 8 del Codice. Si assiste ad una ridefinizione dei soggetti istituzionali partecipanti come membri non votanti alle riunioni di tale organo che è deputato a formulare “indirizzi in materia di promozione delle pari opportunità” ed indicare i “progetti di azioni positive che intende promuovere”. La sostanza della modifica consiste nell’assegnare ad una “Commissione di valutazione dei progetti di azione po-sitiva” ogni decisione in tema di progetti di azioni positive da promuovere. Prima della modifica era il Comitato al suo interno ad assumere decisioni definitive su tali tematiche. Oggi questo potere viene tolto al Comitato per essere assegnato alla Commissione di Valutazione, la cui com-posizione e il cui funzionamento saranno determinati con un successivo decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. In ogni caso questo nuovo organismo, al posto del Comitato, oltre a valutare i progetti, dovrà anche predisporre l’erogazione dei finanziamenti. L’attuazione dei progetti di azione positive quindi sembrerebbe essere sottratta al Comitato e riservata ad altri organismi da definire. In capo al Comitato, invece, viene posta un’attività di monitoraggio e controllo dei progetti ad oggi già predisposti che non era prevista in passato.

- Significative appaiono due modifiche all’articolo 12 del Codice, il quale disciplina la nomina delle Consigliere di parità. Come previsto dalla normativa vigente fino ad oggi le Consigliere venivano nominate con Decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentite le commissioni tri-partite di cui agli articoli 4 e 6 D.lgs. 469/1997. Oggi viene previsto in maniera espressa che tale parere, pur obbligatorio, non sia vincolante. In secondo luogo il nuovo comma 5 del medesimo articolo 12 prevede che i decreti di nomina e il curriculum professionale delle Consigliere siano pubblicati sul sito del Governo e non più sulla Gazzetta Ufficiale.

- Il mandato della Consigliera di parità è ridotto da 4 a 3 anni ed è rinnovabile solo una volta. Par-ticolarmente significativa è poi la precisazione che nell’ambito di tale mandato non trova applica-zione il c.d. “meccanismo di spoil system” di cui all’articolo 6 comma 1 della legge 145/2002. In questo modo si riconosce che le Consigliere di Parità non ricoprono un ruolo politico. Al contrario questi soggetti svolgono un compito che richiede adeguate competenze tecniche e perciò il loro operato va valutato da un punto di vista della promozione delle pari opportunità nel territorio di competenza e dell’attività di controllo dell’applicazione della normativa antidiscriminatoria e

tatiana biagioni

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