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il Contratto di lavoro a teMPo ParZiale

Nel documento Guida al Jobs Act (pagine 104-108)

le condizioni che legittimano il ricorso alle clausole elastiche, i limiti massimi e le condizioni che consentono al lavoratore di revocare il consenso all’applicazione di tali clausole.

Nel decreto è inoltre previsto che le clausole debbano essere pattuite in forma scritta, con facoltà per il lavoratore di chiedere l’assistenza di un rappresentante sindacale o di un avvocato in sede di stipulazione.

Una volta dato il suo consenso alle clausole in esame, il lavoratore non lo può revocare, se non in ridottissimi casi, che riguardano i lavoratori studenti e quelli affetti da patologie oncologiche o che assistano persone con patologie oncologiche o con disabilità grave.

L’eventuale applicazione di clausole elastiche senza il consenso del lavoratore o al di fuori dei limiti legali o contrattuali comporta il diritto ad un risarcimento del danno.

Si intende per lavoro supplementare quello reso in aggiunta all’orario (ridotto) di lavoro concor-dato.

La normativa prevedeva che per l’effettuazione di lavoro supplementare fosse richiesto il consenso del lavoratore “ove non prevista e regolamentata dal contratto collettivo”; il nuovo Decreto Le-gislativo si limita invece a precisare che, ove non sia disciplinato dal contratto collettivo, il lavoro supplementare può essere richiesto al lavoratore, in misura non superiore al 25% (il precedente schema di decreto fissava il limite al 15%).

Ancora, la legge precedente prevedeva che i contratti collettivi potessero stabilire una maggiora-zione da applicarsi alle ore di lavoro supplementare prestate, fissassero il numero massimo di ore supplementari effettuabili e le conseguenze del superamento di tale soglia, oltre ad individuare le causali, ovvero le ragioni oggettive che potessero giustificare l’utilizzo di tali prestazioni. Tutti questi rinvii alla contrattazione collettiva sono stati aboliti, a conferma dell’intenzione del legislatore di ridurre la rilevanza della contrattazione collettiva nella regolamentazione del part time; come detto è ora possibile fare ricorso al lavoro supplementare anche in assenza di previ-sioni contrattuali collettive; in questo caso la legge prevede solo, oltre alla citata soglia massima, il pagamento di una maggiorazione della retribuzione, omnicomprensiva, del 15%.

Non prevedendo più il consenso del lavoratore, la nuova normativa si limita ad indicare i casi in cui il lavoratore può opporsi alla richiesta di lavoro supplementare, ossia per esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale.

Il rapporto di lavoro può essere trasformato da tempo pieno a tempo parziale, e viceversa. La norma che disciplinava questo aspetto era intitolata “Tutela ed incentivazione del lavoro a tem-po parziale”; nella nuova normativa (art. 8) si parla solo di “Trasformazione del raptem-porto”; questa può avvenire solo su accordo tra le parti, non potendo mai il rifiuto a tale trasformazione costituire valido motivo di licenziamento; L’unica ipotesi in cui vi è un diritto di ottenere la trasformazione da tempo pieno a part time è quella del lavoratore affetto da patologie oncologiche con ridotta capacità lavorativa; per il resto lo schema di decreto si limita a ribadire una serie di ipotesi al ri-correre delle quali è riconosciuta la “priorità” nella trasformazione del contratto da tempo pieno a tempo parziale: patologie oncologiche che riguardino familiari; assistenza a familiare portatore di handicap grave; assistenza a figlio convivente portatore di handicap.

il Contratto di lavoro a teMPo ParZiale

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riguarda la possibilità di richiedere (per una sola volta), in luogo del congedo parentale previsto dal D. Lgs. 151/2001, la trasformazione del rapporto a tempo parziale, per un periodo corrispondente a quello dell’aspettativa spettante e con un limite di riduzione dell’orario del 50%.

La legge prevede inoltre che, in caso di assunzione di lavoratori a tempo parziale, il datore di lavoro è tenuto a darne comunicazione ai lavoratori in servizio ed a “prendere in considerazione” le eventuali domande di trasformazione a tempo parziale.

Per quanto riguarda l’ipotesi inversa (conversione del rapporto a tempo pieno), la legge prevede un diritto di priorità nelle assunzioni a tempo pieno per i lavoratori che abbiano trasformato il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, purchè si tratti di assunzioni relative a man-sioni quanto meno equivalenti; è stato invece eliminato il riferimento alla necessità che le nuove assunzioni avvengano nello “stesso ambito comunale”.

Il nuovo decreto non prevede poi più la possibilità di inserire nel contratto individuale di lavoro a tempo parziale una clausola che attribuisca un diritto di prelazione in caso di nuove assunzione a tempo pieno.

Infine, la legge stabilisce, come già in passato, che il lavoratore a tempo parziale ha diritto ad un trattamento non meno favorevole rispetto a quello a tempo pieno con analogo inquadramento, fatto salvo ovviamente il riproporzionamento della sua retribuzione all’orario effettuato.

Il lavoro intermittente, dopo un difficile percorso legislativo (segnato dall’abrogazione integrale dell’istituto nel 2007, dal suo integrale ripristino nel 2008 e da diverse modifiche apportate nel 2012 e nel 2013), viene ora interamente disciplinato dal decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 81, che ha previsto anche l’abrogazione delle disposizioni di legge che fino ad oggi hanno regolato la materia.

Il decreto legislativo, dunque, agli articoli da 13 a 18, sostituisce integralmente la fonte norma-tiva del lavoro intermittente, la cui disciplina resta peraltro sostanzialmente invariata. In buona sostanza, il lavoro intermittente resta il contratto (stipulato per iscritto ai fini della prova) che il datore di lavoro può utilizzare per lo svolgimento di prestazioni discontinue o intermittenti, e ciò secondo le esigenze individuate dalla contrattazione collettiva. In ogni caso, il contratto di lavoro intermittente può essere stipulato con soggetti di età superiore a 55 anni o inferiore a 24 o, ancora, per un periodo complessivamente non superiore a 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari (quest’ultima ipotesi non è però applicabile nei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo).

Se, come si diceva, l’impianto dell’istituto resta invariato, il decreto in esame prevede anche alcune modifiche.

In primo luogo, viene introdotto in modo esplicito il divieto di utilizzo del contratto intermittente nelle pubbliche amministrazioni. Al contrario, nella normativa precedentemente vigente questo limite non veniva esplicitato.

L’ulteriore modifica del decreto legislativo riguarda le conseguenze del rifiuto ingiustificato di ri-spondere alla chiamata del datore di lavoro (nel caso in cui il lavoratore abbia contrattualmente l’obbligo di rispondere alla chiamata). Infatti, non è più prevista l’eventualità che il lavoratore venga chiamato a risarcire il danno derivante dalle conseguenze del rifiuto di ottemperare alla chiamata; rimangono quindi come uniche conseguenze possibili il licenziamento e la restituzione di quanto dovuto a titolo di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo al rifiuto. Il D. Lgs. 81/2015 ribadisce poi il principio di non discriminazione, disponendo che il lavoratore intermittente non debba ricevere, per i periodi lavorati, un trattamento economico e normativo differente e meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello che svolga mansioni equivalenti. Rispetto alla normativa precedente scompare l’esplicito riferimento ai “divieti di discriminazione diretta e indiretta previsti dalla legislazione vigente”, comunque applicabili in virtù della normativa generale in materia.

Come si vede, il D. Lgs. 81/2015 ha sostanzialmente lasciato inalterato l’istituto, e forse questo è proprio l’aspetto più negativo. In altre parole, un governo che proclama il suo intento di sconfig-gere il precariato, meglio avrebbe fatto ad abolire un istituto che, appunto, rappresenta il simbolo della precarietà e che già aveva indotto il legislatore, in passato, ad abrogarlo.

Federica Zironi

Nel documento Guida al Jobs Act (pagine 104-108)