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Cfr G Filippetta, L’estate che imparammo a sparare Storia partigiana della Costituzione,

(1832-1867) Fulvio Cammarano

8. Cfr G Filippetta, L’estate che imparammo a sparare Storia partigiana della Costituzione,

1948. L’affermazione della rappresentanza

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partitizzazione delle bande, lungi dall’essere il progressivo e rapido trasformarsi delle bande in eserciti di partito, è in realtà un processo lungo e complesso. I partiti provano (promettendo armi, denaro, appoggio logistico e nei rap- porti con gli Alleati) a intestarsi le bande partigiane per fare proselitismo, per radicarsi nel territorio e per appropriarsi della legittimazione che le bande hanno presso la popola- zione in quanto protagoniste della guerra ai nazifascisti.

I partiti provano a intestarsi le bande per penetrare, come ‘partiti partigiani’ tra la gente, per acquistare come ‘partiti partigiani’ la fiducia degli italiani che vivono nelle zone non ancora liberate. Provano cioè a proporsi essi stessi come portatori della sovranità partigiana, e lo fanno mentre agiscono, nei rapporti con la corona, come portatori di una sovranità rappresentativa.

È questa la doppiezza dei principali partiti antifascisti. Una doppiezza che si scioglie nell’immediato postliberazio- ne, quando gli Alleati impongono la pressoché immediata smobilitazione delle bande partigiane. A quel punto, scom- parso il contenitore (la banda) in cui aveva trovato colloca- zione la sovranità partigiana come sovranità dei singoli che si autogovernano, si ha una disseminazione delle sovrani- tà individuali. Una disseminazione che rende inquiete le sovranità tanto di quelli che avevano scelto la Resistenza quanto di quelli che non l’avevano scelta, ma ai quali la scel- ta degli altri aveva mostrato la possibilità di essere sovrani. All’interno di questa disseminazione ci sono partigiani che consegnano il fucile e tornano semplicemente a casa a dedicarsi ai loro affari privati considerando la Resistenza una parentesi ormai chiusa della loro vita. Ci sono partigia- ni che consegnano il fucile e lo sostituiscono con la tessera di un partito; si iscrivono a un partito e pensano che ora si sia aperto il tempo della sovranità popolare come rappre- sentanza attraverso i partiti. Ci sono poi tanti partigiani che nascondono il fucile e non lo consegnano perché i partiti nei quali si riconoscono hanno deciso di dotarsi di un ap- parato militare clandestino da attivare in caso di colpo di stato monarchico o di nuova guerra civile.

Ci sono infine tantissimi partigiani che il fucile non lo consegnano e lo tengono nascosto perché vedono nel pro- prio fucile la garanzia della propria sovranità, di quella so- vranità popolare come sovranità del singolo che si è imposta

Inquietudini della sovranità 1943-1948

Giuseppe Filippetta

155 con la Resistenza e che per loro è irreversibile e irrevocabi- le: il fucile deve restare a disposizione perché è il simbolo e la garanzia della sovranità partigiana.

Nell’estate e nell’autunno del 1946 numerose bande par- tigiane spontaneamente riprendono armate la via dei monti e delle colline spinte dal disgusto per come i compromessi dei partiti stanno gestendo il dopo liberazione (dall’amnistia Togliatti all’espulsione dei partigiani dalle forze di polizia al fallimento dell’epurazione al ritorno negli apparati statali di fascisti conclamati)9. Al di là della consistenza numerica

delle bande che entrano in azione in tantissime zone del centro-nord, occorre considerare che dietro quelle bande rimane in attesa dello sviluppo degli eventi un imponente movimento partigiano armato che fa riferimento ai coman- danti di banda e non ai partiti.

Le rivolte (delle quali la più celebre è quella di Santa Li- bera), e il larghissimo consenso partigiano che le circonda, mostrano che ancora nella seconda metà del 1946 la sovra- nità popolare rappresentativa di cui sono portatori i partiti deve confrontarsi con una sovranità popolare partigiana che ripropone i caposaldi dell’autogoverno partigiano: so- vranità del singolo e partecipazione diretta. Ancora in quel momento a essere in campo sono due sovranità, ovvero due modi diversi di intendere e praticare la sovranità popolare.

La stessa vicenda dei ‘triangoli della morte’, delle vio- lenze nell’immediato dopoguerra e della ‘doppiezza del Pci’ meriterebbe una lettura anche giuridico-istituzionale. Perché, al netto dei rancori privati e della natura delin- quenziale di alcuni fatti e di alcuni soggetti, quella vicenda esprime la difficoltà di tanti ex partigiani a credere che la politica possa farsi senza armi e che la sovranità popolare possa essere una sovranità disarmata.

A questo proposito non si dovrebbe mai dimenticare che la Resistenza è soprattutto un movimento di giovani e di giovanissimi, per i quali iniziare a interessarsi di politi- ca coincide con il prendere le armi contro i nazifascisti, di giovani per i quali la costruzione della nuova Italia è legata all’uso del fucile, di giovani che dal fascismo e dalla sua fine

9. G. De Luna, La Repubblica inquieta cit., pp. 157 sgg.; L. Lajolo, I ribelli di Santa Libera.

Storia di un’insurrezione partigiana, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995; P. Tripodi, Per sempre partigiano. L’insurrezione di Santa Libera, DeriveApprodi, Roma 2016.

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hanno imparato che chi ha poco o nulla deve saper essere violento per non subire la violenza di chi ha molto.

I primi anni dell’Italia liberata sono dunque anni di in- quietudine della sovranità, sono anni in cui nella società e dentro le singole persone si confrontano, si agitano sovra- nità diverse. E questa inquietudine è parte integrante del processo costituente, che è un processo sociale (e non solo partitico) di produzione del nuovo ordine democratico10;

un processo che si svolge nella società e di cui sono prota- gonisti gli italiani.

Questa inquietudine della sovranità è anche dentro la Costituente, e trova una sistemazione e una razionalizzazio- ne grazie alle scelte dei costituenti. Perché è indubbio che i partiti sono i protagonisti assoluti dei lavori della Costi- tuente e che la Costituzione repubblicana nasce da compro- messi e mediazioni tra i partiti, ma è altrettanto indubbio che l’autonomia, l’autogoverno, la sovranità popolare come sovranità dei singoli cittadini – cioè i principi fondamenta- li dell’ordine giuridico instaurato dalle bande durante la Resistenza – non rimangono fuori della Costituente, ma entrano e camminano nella Costituente sulle gambe dei singoli costituenti, tanti dei quali hanno fatto la Resistenza e sono rimasti segnati, dentro di sé e nella loro coscienza, da quei principi, dalla rottura che quei principi hanno marcato rispetto al passato dello Stato liberale e di quello fascista.

Nella Costituente i valori e i principi dell’ordine giuri- dico delle bande partigiane fanno da sfondo alle posizioni e alle mediazioni dei partiti, ma su un punto fondamentale le sovrastano: la Costituzione repubblicana deve essere un progetto di liberazione e di autoemancipazione degli uo- mini e delle donne e di promozione della loro autonomia, della loro libertà e della loro responsabilità.

La cittadinanza repubblicana, che la Costituzione defi- nisce come insieme di diritti e di doveri in cui si esprime la sovranità popolare quale sovranità del singolo cittadino11,

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