Le origini
Nel dibattito sull’emigrazione e sul suo governo, uno dei temi più ricorrenti nell’agenda politica del primo decennio del dopoguerra fu la creazione di una struttura istituzionale in grado di accentrare le competenze in materia. Venne invocata da più parti la rinascita del Commissariato generale dell’emigrazione, sciolto dal regime fascista nel 1927, e il dibattito si concentrò sulla necessità di costruire un organo che funzionasse sia come punto di smistamento delle varie istituzioni periferiche che seguivano il fenomeno sia come spazio di elaborazione e di realizzazione di politiche in grado di governare la ripresa dell’emigrazione di massa. Come ho già sottolineato, l’emigrazione – a partire dal 1945 – era una materia monitorata e governata da un insieme articolato di istituzioni, che, nel sovrapporre le proprie competenze e le proprie specificità, tendevano a far prevalere le rispettive letture del fenomeno e i rispettivi interessi politici ed economici. E’ difficile dare un giudizio complessivo sul comportamento dei numerosi attori che si mossero sul terreno dell’emigrazione, perché le iniziative furono davvero molte e diverse tra loro, come pure i risultati ottenuti, sul breve e sul lungo periodo.
Una storia delle politiche migratorie italiane nel secondo dopoguerra non può prescindere dal protagonismo dei Ministeri degli Esteri e del Lavoro e dal dualismo che caratterizzò le loro stesse politiche, ma per capire le ragioni e le origini di questo dualismo occorre interrogarsi sul fallimento dei progetti di accentramento delle competenze. Quali furono, quindi, i progetti che proposero la creazione di una struttura unica? Chi e perché li propose? Perché questi progetti andarono incontro a un generale fallimento, proprio in un periodo in cui in altri ambiti – basti pensare alla sanità – nacquero istituzioni nuove e complessivamente innovative?
Prima di procedere all’esame delle varie proposte che si susseguirono è utile ricordare come i conflitti di competenze per la gestione dell’emigrazione siano stati una costante dell’Italia repubblicana, con significativi precedenti anche in periodi passati e in flussi di emigrazione radicalmente differenti tra loro.
Nel pieno della seconda guerra mondiale, ad esempio, il ministro degli Esteri, Ciano, dovette precisare l’esclusività del Ministero degli Esteri e del Commissariato per le migrazioni e la colonizzazione nella gestione dell’emigrazione dei lavoratori italiani nella Germania nazista. In una lettera inviata al ministro delle corporazioni, Ricci, il ministro Ciano affermava:
Il Ministero degli Affari Esteri, quindi, non riconoscerà altro organismo all’infuori del “Commissariato per le migrazioni e la colonizzazione” che sia autorizzato, d’intesa con esso Ministero, a trattare con le Autorità germaniche ed a stabilire tutti gli accordi, sia di natura tecnica che economica, ed a provvedere, sia nel Regno, sia nel territorio del Reich, a tutte le questioni interessanti il lavoro italiano (…). Le Confederazioni Sindacali dei Lavoratori devono intendersi organi esecutivi per le operazioni di trasferimento degli operai e per la applicazione degli accordi e devono agire in conformità delle direttive che il Commissariato avrà ad esse impartite (…). Ritengo che regolata così la materia con organismi aventi piena autorità e piena responsabilità si otterrà un’organicità di indirizzo ed una disciplina unitaria di tutta la materia stessa che eviterà al massimo ogni spiacevole inconveniente118.
Andando ancora indietro nel tempo – prima delle numerose polemiche di età giolittiana - possiamo arrivare fino al periodo crispino, quando, dopo l’approvazione della legge sull’emigrazione nel 1888, il governo Crispi cercò prima di fondare una nuova istituzione sul modello dell’“Emigrants’ Information Office” inglese e poi, ridimensionando i progetti iniziali, un ufficio speciale presso il Ministero degli Interni. Ma “anche questo progetto minimale trovò un’opposizione da parte della diplomazia, gelosa garante delle funzioni del Ministero degli Esteri”119.
Dal punto di vista politico-amministrativo l’attribuzione delle competenze in materia di emigrazione aveva subito una brusca svolta durante il fascismo. Mussolini infatti, come abbiamo già accennato, il 28 aprile 1927 dichiarò sciolto il Commissariato generale dell’emigrazione, trasferendo le sue mansioni alla neonata Direzione generale degli italiani all’estero istituita presso il Ministero degli Affari Esteri. Il Commissariato era
118
Acs, Pcm 1940-41, Fasc. 3/2-4, “Scambio di lavoratori italo-germanici (accordi – reclutamento – relazione – risparmi rimpatrio, ecc.)”. La lettera di Ciano è del 4 giugno 1941. Per la corrispondenza Ciano-Ricci si vedano anche: A. Raspin, The Italian War Economy 1940- 43, Garland, New York & London, 1986, pp. 288-9; B. Mantelli, Camerati cit., pp. 197-205. 119
F. Grassi Orsini, Per una storia del Commissariato Generale dell’Emigrazione, in “Le carte e la storia”, 1, 1997, p. 112. Sul dibattito politico e le iniziative legislative nel periodo 1881- 1901 si veda F. Manzotti, La polemica sull’emigrazione nell’Italia Unita. Fino alla prima guerra mondiale, Società editrice Dante Alighieri, Milano-Roma-Napoli-Città di Castello 1962, pp. 66-140.
stato istituito il 31 gennaio 1901: durante i suoi ventisei anni di vita aveva rappresentato il punto di riferimento centrale per la politica migratoria italiana. Per coordinare, dal punto di vista finanziario e politico, i lavori del Cge, erano stati istituiti anche il Consiglio dell’emigrazione, il fondo per l’emigrazione e la Commissione parlamentare di vigilanza. La struttura del Commissariato non ebbe però vita facile, sottoposta com’era al fuoco incrociato dei Ministeri dell’Interno, della Marina e degli Esteri (in particolare della Direzione generale affari privati), che continuarono a rivendicare alle rispettive amministrazioni le attribuzioni nella gestione delle politiche migratorie120. Soltanto con la prima guerra mondiale il Commissariato, secondo gli studi di Maria Rosaria Ostuni, ebbe la possibilità di espletare tutte le funzioni che la legge del 1901 gli aveva affidato.
Per tornare a noi, dobbiamo innanzitutto sottolineare che, terminata la seconda guerra mondiale, la ripresa dell’emigrazione attirò l’attenzione di numerosi enti pubblici e privati, sindacati, banche, uomini politici, camere di commercio, agenzie di navigazione, cooperative, che iniziarono ben presto a contendersi i differenti ambiti di intervento. L’emigrazione “faceva gola” sia a coloro che ne intravedevano le potenzialità in termini di risorsa economica e finanziaria sia a coloro che erano interessati alle sue implicazioni politiche. I molteplici interessi in gioco venivano a galla proprio quando occorreva stabilire le regole della gestione pubblica dei flussi emigratori, e i conseguenti conflitti non si fecero attendere.
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Secondo Maria Rosaria Ostuni “erano i “poteri forti” ad avversare il Cge: agrari e liberisti innanzitutto. I primi sempre preoccupati di arrestare l’emorragia di forza lavoro che faceva crescere i salari nelle campagne; i secondi, sostenitori dell’abolizione dei noli di Stato, finivano per sposare, in nome dei loro principi, la causa delle compagnie di navigazione”: M. R. Ostuni, Leggi e politiche di governo nell’Italia liberale e fascista in Storia dell’emigrazione italiana vol. I, cit., p. 313. L’autrice ricorda anche che tra i più strenui avversari del Cge ci fu Jacini, che come molti cattolici temeva l’influenza socialista sul Commissariato e sul mondo dell’emigrazione più in generale. Sul tema si vedano anche: F. Grassi Orsini, Per una storia cit., pp. 112-38; M. R. Ostuni, Momenti della “contrastata vita” del Commissariato Generale dell’Emigrazione, in B. Bezza (a cura di), Gli italiani fuori d’Italia. Gli emigrati italiani nei movimenti operai dei paesi di adozione, Franco Angeli, Milano 1983, pp. 101-18; Id., Il fondo archivistico del Commissariato Generale dell’emigrazione, in “Studi emigrazione”, 51, 1978, pp. 411-40; Id., Giuseppe De Michelis, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1990, pp. 639-44.
Il dibattito sull’accentramento delle competenze
La ripresa dell’emigrazione nel periodo post-bellico venne seguita dal Ministero degli Affari Esteri - presso il quale nel 1946 la Direzione generale italiani all’estero venne soppressa e nacque la Direzione generale per l’emigrazione - al quale si affiancò ben presto il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, ricostituito nell’agosto 1945 da uno sdoppiamento del Ministero dell’Industria, Commercio e Lavoro. Nel dibattito politico - già durante i lavori dell’assemblea costituente – si confrontarono ripetutamente i pareri favorevoli al decentramento delle competenze sull’emigrazione presso differenti strutture e i pareri orientati invece a un loro maggiore accentramento, possibilmente in un’unica istituzione di nuova realizzazione.
La relazione della Sottocommissione per i problemi economici diede un parere molto netto, auspicando la rinascita del Commissariato e di un organo consultivo:
In prevalenza si ritiene necessaria ed urgente la ricostruzione dell’antico commissariato generale per l’emigrazione. L’accentramento di tutti i servizi e di tutte le attività molteplici e multiformi che hanno attinenza con l’emigrazione in un organo unico snello e dotato di grande autonomia eviterebbe gli inconvenienti che si manifestano attualmente (…). Tale organo potrebbe più facilmente coordinare gli aspetti esterni e quelli interni del problema (…). Tanto da coloro che ritengono opportuna la ricostituzione del Cge quanto da coloro che sono d’avviso che l’attuale organizzazione sia sufficiente, viene ritenuta utile la costituzione di un organo consultivo per l’emigrazione121.
Interrogato sull’argomento, lo stesso Giuseppe De Michelis (già a capo del Cge al momento del suo scioglimento) affermò la necessità di ricostituire la struttura, ribadendo la necessità che come in passato dovesse dipendere dal Ministero degli Esteri e non dal dicastero del Lavoro122.
Le voci che si levarono a favore di una ricostituzione del Commissariato furono molte e vennero da differenti parti politiche. I comunisti si espressero a favore, con un discorso parlamentare di Antonio Giolitti, come pure le riviste specializzate, come “Italiani nel
121
Ministero per la Costituente, Atti cit., pp. 75-6. 122
“A suo tempo io ebbi una discussione con l’ottimo amico Arturo Labriola, il quale mi voleva convincere dell’opportunità di trasferire il Commissariato al Ministero del Lavoro, creando un sottosegretariato. Risposi che in tal modo non solo si sarebbe fatto un danno al Commissariato, perché si sarebbe distrutta una buona organizzazione, ma che dopo se mesi ci saremmo trovati nella necessità di ricostituire il Commissariato, perché il Ministero del Lavoro non è aggiornato su quel che succede all’estero”: Ministero per la Costituente, Atti cit., p. 211.
mondo” e il “Bollettino quindicinale dell’emigrazione”123, e la Cgil, in occasione del suo primo congresso nel 1947124. Il già citato Mario Tedeschi, sul fronte dell’estrema destra, parlò della necessità di un “organo” unico125.
Il tentativo di ridefinire le competenze sull’emigrazione da parte delle istituzioni repubblicane provocò però tensioni anche piuttosto dure. Il presidente della Coldiretti, ad esempio, scrisse il 5 settembre 1946 una lettera al Ministro del Lavoro Ludovico D’Aragona – socialista – in cui criticava la scelta di affidare alla Cgil alcune mansioni nell’organizzazione del reclutamento degli emigranti:
Questa confederazione deve far rilevare che l’emigrazione interessa in particolare moltissimi piccoli coltivatori diretti e che non può ammettere che venga esclusa da ogni intervento per la loro sistemazione all’estero. Né le è dato di comprendere che di tale compito siano stati privati gli Uffici del lavoro126.
La stessa Commissione per il riordinamento delle leggi in materia di emigrazione, presieduta da Pasquale Schiano, aveva avuto problemi di legittimità istituzionale addirittura prima di iniziare i propri lavori127. Anche se i flussi erano ripresi nel 1945 e i governi avevano deciso di invertire la rotta rispetto alle politiche fasciste, il contesto legislativo e amministrativo venne aggiornato con estrema lentezza. La nuova legge sui passaporti venne approvata soltanto il 28 marzo 1952 e perché gli emigranti potessero accedere gratuitamente al rilascio del passaporto occorrerà aspettare la legge del 9 aprile 1959. Il tentativo di comporre le posizioni dei due ministeri, coinvolgendo anche la Cgil, si concretizzò nella nascita di un Comitato di coordinamento per l’emigrazione, che si riunì in più occasioni nel corso del 1947 ma che non portò a risultati concreti sul piano legislativo128.
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A. Giolitti, Valorizzazione del lavoro italiano all’estero, in M. Degl’Innocenti (a cura di), L’emigrazione cit., pp. 268-79.
124
P. Salvatori, Politica cit., p. 133. 125
M. Tedeschi, Le prospettive cit., p. 43. 126
Acs-Minlav, Div. VIII, b. 384, “Nulla osta” cit. 127
Schiano attribuì tali problemi alle “pregiudiziali inizialmente poste dai rappresentanti del Ministero del Lavoro”: Propositi e difficoltà nel lavoro della Commissione per il riordinamento delle leggi in materia di emigrazione, in “Bollettino quindicinale dell’emigrazione”, 25 luglio 1948, p. 275.
128
Si veda P. Zanetti Polzi, Lavoro straniero cit., pp. 16-17. Sul ruolo dei ministeri economici negli anni della ricostruzione si veda L. Segreto, I ministeri economici e le sfide della liberalizzazione e dell’integrazione, in U. De Siervo, S. Guerrieri, A. Versori (a cura di), La prima legislatura cit., pp. 119-131
Erano solo le forme di conflittualità interistituzionale a paralizzare le possibili riforme o c’erano anche problemi di volontà politica? Gli addetti ai lavori non avevano dubbi: più passava il tempo e più i governi mostravano di non voler affrontare il problema. Il 10 giugno 1948 l’editoriale del “Bollettino quindicinale dell’emigrazione” faceva il punto sui precedenti “tre anni di irrazionali tentativi” sostenendo che “la necessità della costituzione di un unico ente preposto alle questioni migratorie è ormai tanto generalmente sentita, che non si tratta più di esaminare se sia conveniente o meno di creare un tale organo, bensì di studiarne concretamente struttura e funzionamento”. L’intervento commentava le dichiarazioni fatte il 1 giugno 1948 da De Gasperi alla Camera, in cui il Presidente del consiglio affermava che “esamineremo se convenga creare un ente autonomo propulsore”129.
Il 12 ottobre 1948, nella relazione al Senato sullo stato di previsione della spesa del Ministero degli Affari Esteri, il senatore Celeste Bastianetto, per conto del governo, descrisse le linee generali della politica dell’emigrazione seguita dal ministero. Nella relazione, Bastianetto sentì l’esigenza di ribadire - in una digressione al suo discorso - che la nascita di un “organismo unico” sarebbe stata dannosa, perché “avrebbe praticamente l’effetto di un nuovo frazionamento”:
Per poter costituire un organismo che accentri in sé tutte le attività relative al fenomeno emigratorio, occorrerebbe o ricostituire in esso organi già esistenti nelle altre due amministrazioni (…) oppure creare, in fatto, un terzo organo in aggiunta ai due preesistenti, il che – è opinione del sottoscritto relatore – anziché un perfezionamento, costituirebbe un peggioramento della situazione attuale130.
Il ministero metteva in questo modo le mani avanti, dichiarando esplicitamente che non intendeva rinunciare alle sue prerogative e alle sue funzioni a favore di altre strutture. Il tema era però molto sentito e Stefano Jacini, nella sua risposta a Bastianetto, rilanciò sulla questione:
Io non credo che lo stato attuale dei servizi di emigrazione in Italia sia soddisfacente; credo che i servizi dell’emigrazione in Italia divisi tra i due Ministeri non contribuiscano a una buona politica di insieme131.
129
“Bollettino quindicinale dell’emigrazione”, 10 giugno 1948, p. 209. 130
Senato della Repubblica, Relazione cit., p. 7. 131
Jacini propose la nascita di un Consiglio superiore dell’emigrazione e in un secondo tempo di un Commissariato generale dell’emigrazione dipendente dalla Presidenza del consiglio e non dal Ministero degli Esteri, perché secondo il suo punto di vista occorreva non mettere in secondo piano il ruolo del Ministero del lavoro, che rappresentava la vera novità del dopoguerra. Nella stessa discussione parlamentare la proposta del commissariato venne ripresa da Giacinto Bosco (già funzionario del disciolto Commissariato generale per l’emigrazione) che affermò anche l’esigenza di separare l’emigrazione dalla politica estera. Bastianetto nella sua replica ribadì più duramente la sua posizione di contrarietà.
Il 15 ottobre 1948 venne presentata una proposta di legge che esplicitamente veniva intitolata “Per la ricostituzione del Commissariato generale dell’emigrazione”, primo firmatario era il deputato socialista Giovanni Giavi. La novità principale della legge, all’interno delle proposte del periodo, era la dipendenza dell’ente non dal Ministero degli Esteri ma dalla Presidenza del Consiglio. La proposta venne sostenuta, tra gli altri, anche da Ezio Vigorelli132.
Nel frattempo, si muovevano gli ambienti governativi. Il 30 marzo 1949 veniva presentato un disegno di legge per l’istituzione del Consiglio superiore dell’emigrazione. Il progetto era presentato dal presidente del consiglio De Gasperi di concerto con i ministri del tesoro (Giuseppe Pella), degli esteri (Carlo Sforza) e del lavoro (Amintore Fanfani). Nella relazione di presentazione De Gasperi evidenziava lo spazio entro il quale il consiglio avrebbe dovuto operare, facendo emergere tra le righe la delicatezza del suo ruolo all’interno dei precari equilibri esistenti tra le istituzioni che si occupavano di emigrazione:
Si intendono così le funzioni del consiglio: quella del coordinamento e quella del libero e aperto dibattito delle idee in una sede tecnica veramente autorevole. Con tale struttura il consiglio superiore dell’emigrazione appare idoneo ad armonizzare, ancor meglio che non si possa nei normali quotidiani contatti degli uffici, l’attività svolta, nell’ambito della competenza propria di ciascuno, dal ministero degli esteri e da quello del lavoro. (…) Esso rappresenterà il luogo naturale delle più feconde e serene discussioni sui problemi dell’emigrazione, impegnando tutte le forze e correnti di idee che a questo fenomeno si riferiscono, interponendosi quale sede
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Per una politica dell’emigrazione, in “L’umanità”, 13 settembre 1949, p. 3. La proposta venne riportata integralmente, con tutti i firmatari, sul numero del 25 novembre 1948 del “Bollettino quindicinale dell’emigrazione”. Sui progetti di riforma si veda V. Briani, La legislazione emigratoria italiana nelle successive fasi, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1978, pp. 143-9.
tecnica altamente qualificata tra l’azione propria del governo ed il dibattito nel quale si esprime il controllo politico del parlamento133.
Il consiglio superiore venne proposto come organo consultivo, come previsto dall’articolo 1 del disegno di legge. A sovrintenderlo come presidente sarebbe stato il ministro del lavoro e come segretario il direttore generale dell’emigrazione presso il Ministero degli esteri. Di esso avrebbero fatto parte altri rappresentanti di ministeri (marina mercantile, industria, pubblica istruzione e commercio con l’estero), rappresentanti sindacali e imprenditoriali ed esperti della materia. L’articolo 4 del disegno di legge prevedeva che i governi e il parlamento avrebbero avuto l’obbligo di ascoltare il parere del consiglio prima di emanare provvedimenti legislativi sull’emigrazione o firmare accordi e trattati internazionali in materia.
Il disegno di legge era il frutto di una mediazione lunga e complessa, riguardante soprattutto il ruolo dei ministeri del lavoro e degli esteri. Il consiglio dei ministri aveva infatti approvato già il 10 agosto 1946 e il 6 dicembre 1947 due schemi di decreto legislativo, che però erano vincolati alle modifiche da concordare tra la presidenza del consiglio e i due ministeri interessati. Nelle bozze preparatorie del disegno il problema emerge con chiarezza, soprattutto in merito alla presidenza dell’organo, che in una prima fase avrebbe previsto la turnazione dei due ministeri. La stessa proposta di un consiglio superiore rappresentava comunque un ridimensionamento dei progetti di accentramento dei servizi per l’emigrazione. In una lettera inviata pochi giorni prima della pubblicazione del disegno di legge da Aldo Moro (sottosegretario agli esteri) a Beniamino Leoni, capo ufficio studi e legislazione della presidenza del consiglio, il problema veniva esplicitato a chiare lettere:
Tengo a farle presente l’opportunità che il predetto disegno di legge sia presentato prima alla Camera dei deputati, dato che al Senato vi è una certa opposizione da parte dei senatori che caldeggiano la costituzione del Commissariato dell’emigrazione, alla quale invece si oppongono i ministeri degli esteri e del lavoro134.
L’istituzione del Commissariato sarebbe stata naturalmente una proposta più forte, tanto più che un consiglio superiore dell’emigrazione già era esistito, ma alle dipendenze del
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Acs-Pcm 1948-50, 30550/…. 1-1-2, fasc. “Consiglio superiore dell’emigrazione”. 134
vecchio Commissariato generale dell’emigrazione135. Alcuni commentatori non mancarono di sottolineare che la proposta di legge governativa relativa al Consiglio avrebbe di fatto affossato la precedente proposta di ricostituzione del Commissariato136. Lo stesso Moro, nei mesi precedenti, aveva avvertito in una lettera inviata al presidente del consiglio De Gasperi (19 novembre 1948) che il Ministero degli esteri non avrebbe gradito una presidenza super partes del consiglio superiore dell’emigrazione, perché essa avrebbe definitivamente fatto emergere la necessità di regolare il conflitto tra i due ministeri.
Il consiglio dell’emigrazione deve essere un organo consultivo agile, non appesantito da sovrastrutture idonee ad inceppare le amministrazioni normalmente competenti (…). Sottolineo all’attenzione dell’E.V. quanto sopra, perché si tratta di materia suscettibile di creare in questo ambiente una forte reazione137.
Per la presidenza era stato fatto il nome del sottosegretario alla presidenza del consiglio