• Non ci sono risultati.

Introduzione

Il ragazzo, Ceraseno Amedeo, ha avuto la mano stritolata nella macchina delle barbabietole. “Me l’hanno dovuta tagliare p…Dio! Lei questo lo capisce?” Sta in piedi con il braccio fasciato, appoggiato alla sedia, con quel moncherino finale che mi dà un leggero brivido. La sua voce rauca per aver strillato e sicuramente anche pianto, si fa dolorosamente sommessa per dire: “Io ne faccio fuori tre o quattro di svizzeri prima di tornare al paese!”. (…) Il collega tace per il momento, ma le mani in continua agitazione mostrano quanto il tutto lo innervosisca. “Io…Me lo dice lei come faccio a tornare al paese in queste condizioni! A farmi vedere dalla fidanzata con questo braccio qua? Lei questo lo capisce?” “Ohé! Ohé! Guarda che qui se c’è n’è uno che non vuol capire sei proprio tu, Ceraseno Amedeo! L’assicurazione prevede per la perdita della mano sinistra 7000 franchi, un po’ più di un milione di lire! Caspita! Quando mai vedresti una somma così tutta insieme!” Il ragazzo che tiene la testa reclinata gli rivolge da sotto in su sguardi di fuoco storcendo talmente la bocca che ci aspettiamo uno scarico d’insulti. Scuote nervosamente testa e spalle, e, come uno che ci avesse ripensato, dice pacatamente: “Io ho ventitrè anni, lo sa lei quanti ne avrei guadagnati di milioni in dieci anni di lavoro e ritrovandomi con la mano, la moglie e anche i figli!” “Eeeh Cerasé! Uno bello guaglione come te! Ma che vieni a dire! Tu la moglie e i figli ce li avrai e avrai anche, con questa bella sommetta, magari un piccolo esercizio, che so io…una bancarella di frutta…” Ma si fa subito indietro, il collega, quando Ceraseno, ora minaccioso, si china sul suo tavolo: “Una bancarella di frutta?! Ma bravo lei! E io torno al paese per farmi ridere dietro dagli amici, sto a vendere la frutta per strada! No! Mi devono dare quattro volte di più questi signori delle assicurazioni, se no qui ne succede un’altra di disgrazia!”. (…) Torna il collega dicendo che il capufficio non c’è e che il ragazzo torni domani. Che farà nel frattempo il capo, che invece c’era?Il capufficio stamane non ha la sua solita faccia giallastra e fegatosa, mentre mi detta un rapporto. Mi dice, con un sorriso di buonumore: “Sarà contenta di sapere che l’abbiamo spuntata per quel Ceraseno Amedeo!”. “Davvero?” “Abbiamo ottenuto 500 franchi in più, una bella sommetta no?” (…). Tutti felici sotto e sopra; non si parla che di quello che ha “ottenuto” il fortunato Ceraseno. Della sua mano non si fa parola, sembra che abbia vinto alla lotteria1.

1

Il 7 aprile 1956 Liliana Fuggi, impiegata del Ministero degli Esteri, giunse a Berna, in Svizzera, per prendere servizio presso la segreteria dell’ufficio emigrazione dell’ambasciata italiana, lo stesso ufficio al quale si rivolse Amedeo Ceraseno dopo l’incidente. Alla donna vengono riservate una scrivania e una macchina da scrivere che si trovano esattamente in mezzo alle postazioni di due impiegati: uno ha il compito di ricevere i connazionali, l’altro ha il compito di ricevere i “casi particolari”. Liliana Fuggi capisce subito di trovarsi in una posizione delicata ma – da un certo punto di vista – assolutamente privilegiata, dalla quale poter raccontare minuto per minuto le innumerevoli vicende che gli emigranti descrivono ai due funzionari. Inizia quindi ad appuntarsi tutto ciò che vede, stando attenta a non farsi accorgere dai colleghi. Il diario – che l’impiegata mette insieme in pochi mesi – rappresenta una testimonianza unica e importantissima della vita quotidiana all’interno dell’ufficio e apre uno squarcio molto interessante sull’attività concreta di quelle istituzioni che avevano il compito di assistere, oltreconfine, gli emigranti italiani.

Dall’ufficio emigrazione transitano i casi più diversi: un contadino che chiede di mettere sotto sorveglianza la moglie perché teme che abbia una relazione col suo datore di lavoro, una ragazza licenziata ingiustamente dall’albergo dove lavorava, gruppi di operai che denunciano le trattenute spropositate alla loro busta paga. Vengono denunciati soprusi piccoli e grandi, abusi di ogni genere, che gli emigrati raccontano con fiducia ai funzionari italiani. Questi però reagiscono sistematicamente in maniera ambigua: cercano di verificare le responsabilità del lavoratore e non quelle del datore di lavoro, si rivolgono agli emigrati con tono di sufficienza e sussiego, si occupano realmente dei propri assistiti soltanto in caso di episodi gravissimi, e comunque trattando le soluzioni sempre “al ribasso”. Se – ad esempio – proprio si devono impegnare per trovare un’occupazione a qualcuno rimasto ingiustamente disoccupato, ecco che alzano il telefono e chiamano il signor Jost. Ma chi è costui?

Il signor Jost è un illegale piccolo padreterno che opera con la complicità della polizia che, “per fortuna”, dice R., chiude un occhio. Senza di lui che cosa si farebbe, si chiedono disperati i nostri. E’ lui che avvia i clandestini, che procura, in caso di contestazione, il nuovo posto, che verrebbe rifiutato dalla polizia regolare, quello che interviene presso i datori di lavoro per aggiustare una controversia e fa altri piccoli servizi, tutti clandestini2.

2

Ibidem, p. 48. Sulla figura di Jost, che a quanto pare era il segretario locale dell’unione degli agricoltori, si espresse in termini più positivi un articolo del “Bollettino quindicinale

Il quadro che emerge dai racconti di Liliana Fuggi è quindi desolante. D’altronde, altre fonti documentano l’impreparazione della legazione italiana di Berna e del suo personale a gestire le delicate questioni legate all’assistenza degli emigranti3 e, evitando generalizzazioni, si può comunque affermare che gli uffici diplomatici italiani nel secondo dopoguerra attivarono in ritardo un sistema organizzato ed efficace di monitoraggio e intervento di sostegno ai gruppi di italiani residenti all’estero. Soprattutto in Europa, i nuovi immigrati ponevano questioni che i funzionari italiani non erano in grado di affrontare, sia perché non erano stati adeguatamente formati e informati sulle caratteristiche e le esigenze delle nuove migrazioni, sia perché tradizionalmente le vicende migratorie erano percepite negli ambienti diplomatici non come una questione strutturale da affrontare con metodo, ma come una serie di episodi eccezionali da gestire in maniera improvvisata ed emergenziale.

Pare poi che il consigliere per l’emigrazione C. si conformi ai gusti dell’ambasciatore, il quale non s’interessa neanche lontanamente di emigrazione. “Non si può toccare questo tasto con lui” dice C. il capufficio. Ne va così degli ambasciatori, ci sono quelli che si interessano di politica, o di musica o di mostre artistiche e cose varie. L’emigrazione diventa quindi per loro un problema lontanissimo dai loro interessi; piccoli microbi che si agitano inutilmente sotto la lente che rende il connazionale una formichina, un microbo. E lungo tutta la scala in discesa le cose saranno viste con lo stesso metro di giudizio4.

dell’emigrazione”: La casa dell’orso, in Bollettino quindicinale dell’emigrazione”, 10 settembre 1953, pp. 241-46.

3

Si veda Acs-Minlav, Dgcm, Div. IX, b. 484, fasc. “Emigrazione italiana in Svizzera, informazioni e notizie, 1945-57».

4

L. Fuggi, Elfenstrasse cit., p. 20. Anche l’ambasciatore Ludovico Incisa di Camerana – che dà un giudizio sostanzialmente positivo sull’operato della diplomazia italiana nei confronti degli emigrati nel secondo dopoguerra – riconosce che “nonostante tutto, sia l’emigrazione sia il rapporto con le nostre collettività all’estero sono state considerate come una competenze della diplomazia minore»: L. Incisa di Camerana, La diplomazia, in Storia dell’emigrazione italiana, vol. II, cit., p. 478. Si veda anche Id., Il grande esodo. Storia delle migrazioni italiane nel mondo, Corbaccio, Milano 2003, pp. 297-369.

In realtà le scrivanie dell’ufficio emigrazione di Berna erano l’ultimo anello di una catena ben più ampia e ramificata. I lavoratori italiani che si rivolgevano all’ufficio, dove era impiegata Liliana Fuggi, erano infatti già entrati in contatto in più occasioni con le istituzioni italiane nel corso della loro esperienza migratoria, sia oltreconfine sia in Italia.

L’oggetto di questo capitolo è proprio la ricostruzione dell’attività e del ruolo svolto da alcuni organismi pubblici nella pianificazione, nell’organizzazione e nell’assistenza nei confronti di coloro che espatriavano. La nuova politica migratoria italiana – di cui ho diffusamente parlato nel capitolo precedente – per poter essere messa in pratica aveva evidentemente bisogno di una fitta rete di istituzioni, capaci – soprattutto a livello locale – di mettere in moto un sistema organizzativo ramificato ed efficiente. A cosa doveva servire questo sistema organizzativo? In poche parole, a far partire il maggior numero di persone nel minor tempo possibile (in Italia) e a ridimensionare (all’estero) le conflittualità derivanti dalle contraddizioni del percorso migratorio.

Come ho già avuto modo di spiegare, l’organizzazione dell’emigrazione seguì all’indomani della seconda guerra mondiale un doppio binario: in Italia venne demandata alle competenze del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, mentre fuori dai confini nazionali al Ministero degli affari esteri. In questo capitolo mi soffermerò principalmente sulla rete organizzativa interna ai confini nazionali, successivamente – in relazione agli accordi bilaterali firmati dall’Italia con alcuni paesi europei – verranno prese in esame anche alcune questioni riguardanti l’articolazione all’estero di tale sistema. Ciò che mi preme però sottolineare fin dall’inizio è che i due versanti di intervento (dentro e fuori l’Italia) erano figli della medesima politica migratoria e per questo possono essere compresi più a fondo se studiati come un sistema integrato e, in pratica, come due facce della stessa medaglia. La documentazione consultata – prodotta direttamente dagli organismi coinvolti – conforta d’altronde questa impressione, evidenziando tra l’altro le forme e i modi con cui le amministrazioni centrali e periferiche cercavano di mettere in pratica gli indirizzi governativi.

L’emigrazione doveva rappresentare un antidoto alla conflittualità sociale prodotta dalla disoccupazione? Ecco allora che i direttori generali dei due ministeri si scambiano notizie e informazioni sulle situazioni più delicate, sulle quali occorreva intervenire con urgenza e per le quali conveniva mobilitare i rispettivi apparati organizzativi.

Mi viene segnalata e raccomandata caldamente la situazione della Società metallurgica italiana (…) che possiede in Campo Tizzoro (S. Marcello Pistoiese) uno stabilimento dove si producono semilavorati (lamiere, tubi) in rame e sue leghe (…). La maestranza, che durante il periodo bellico aveva raggiunto le 3800 unità, è attualmente di 1200 unità, delle quali la Società è venuta nella determinazione di licenziarne 500 (…). E’ d’uopo far presente che l’allontanamento di questo elevato numero di operai presenta delle difficoltà notevoli in quanto il paese di Campo Tizzoro, dove risiede la maggior parte degli operai, non ha altre possibilità di collocamento di manodopera, non essendovi nella zona altre attività industriali. Vi è perciò la certezza che il personale licenziato, unitamente alle loro famiglie, con manifestazioni e agitazioni, impedirà la normale ripresa del lavoro (…). Il caso mi sembra meritevole di particolare considerazione e di esso si interessa vivamente il segretario generale di questo ministero. Le sarei pertanto grato, caro Angelelli, se Ella volesse ricercare una possibilità di collocamento all’estero della maestranza sopra specificata, la cui operosità, a quanto mi viene assicurato, è ben nota a varie ditte svizzere, le quali hanno già altre volte assorbito operai dello stabilimento in parola, rimanendo pienamente soddisfatte5.

Dalla fase di pianificazione dei flussi – che come è evidente da questa lettera non seguiva soltanto indicatori demografici – all’organizzazione delle partenze il passo era molto breve.

Ma una persona che avrebbe voluto emigrare a chi si doveva rivolgere? Quale percorso avrebbe dovuto seguire? Con chi sarebbe entrata in contatto? Innanzitutto, in caso di utilizzo dei canali pubblici di reclutamento, con gli uffici del lavoro e della massima occupazione, dai quali prende avvio la prima fase del viaggio che ricostruiremo in questo capitolo.

Prima tappa: gli uffici del lavoro e della massima occupazione

Gli uffici del lavoro vennero istituiti dall’amministrazione militare alleata in coincidenza con la liberazione del territorio italiano, a partire dal settembre 1943. Gli uffici di fatto sostituirono l’ordinamento corporativo voluto dal regime fascista e fino al 1948 restarono particolarmente indefiniti sul piano giuridico e dal punto di vista delle competenze e delle responsabilità. Distinti in regionali e provinciali, inizialmente

5

Acs Minlav, Dgcm, Div. VIII, b. 383, fasc. “ Richieste di espatrio da parte di profughi”: la lettera venne inviata a Angelelli, direttore generale al collocamento della manodopera del ministero, il 17 settembre 1948, dal direttore generale all’emigrazione del Ministero degli Affari Esteri, Luigi Vidau.

seguirono la divisione geografica voluta dagli alleati6. Il decreto legge n. 381 del 15 aprile 1948 ne modificò il nome in “uffici del lavoro e della massima occupazione” e stabilì che si dovessero occupare anche dell’emigrazione, oltre che del collocamento, della conciliazione delle vertenze di lavoro, della raccolta di dati statistici, del perseguimento della massima occupazione. Una successiva legge (264/1949) estese ulteriormente le competenze degli uffici, che si allargavano alla formazione professionale, ai sussidi per la disoccupazione, alla riqualificazione dei lavoratori, alle opere di rimboschimento, ai cantieri-scuola.

Negli anni del dopoguerra, gli uffici del lavoro rappresentarono una pedina fondamentale nell’articolazione delle nuove politiche migratorie volute dai governi repubblicani. Dipendenti dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, gli uffici ricevevano periodicamente circolari ministeriali dove erano specificate competenze, modalità e destinazioni relative alle possibilità occupazionali all’estero. Ogni ufficio aveva il compito innanzitutto di pubblicizzare tali offerte di lavoro, in secondo luogo di fornire tutte le informazioni di carattere burocratico necessarie alla preparazione della partenza, in terzo luogo smistare gli espatriandi verso i centri di emigrazione. Gli uffici del lavoro dovevano anche registrare le domande di emigrazione e sottoporre gli aspiranti a un primo esame medico e professionale.

Gli uffici del lavoro, insomma, rappresentavano la prima tappa del percorso migratorio, dove acquisire le informazioni fondamentali e avviare le pratiche amministrative. Più in generale, rappresentarono una sorta di “termometro” della conflittualità sociale e, nello specifico, della percezione dell’emigrazione tra i lavoratori e i disoccupati. Presentando l’attività svolta nel 1950, ad esempio, l’ufficio del lavoro di Modena mise a punto il seguente schema riassuntivo sull’atteggiamento nei confronti delle offerte di lavoro provenienti dall’estero:

6

Questa suddivisione non corrispondeva del tutto alle regioni italiane, ad esempio l’ufficio regionale di Roma aveva competenza anche sull’Umbria e quello di Bari sulla Basilicata. Questa la distribuzione territoriale degli uffici: Piemonte (Torino, Cuneo, Aosta, Novara, Vercelli, Alessandria, Asti), Lombardia (Milano, Como, Bergamo, Sondrio, Brescia, Mantova, Cremona, Pavia, Varese), Liguria (Genova, Savona, Imperia, La Spezia), Veneto (Venezia, Verona, Padova, Rovigo, Udine, Belluno, Vicenza, Treviso, Bolzano, Trento, Gorizia), Emilia- Romagna (Bologna, Ferrara, Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza, Ravenna, Forlì), Toscana (Firenze, Pisa, Livorno, Grosseto, Siena, Arezzo, Massa, Pistoia, Lucca), Marche (Ancona, Macerata, Ascoli Piceno, Pesaro), Lazio (Roma, Viterbo, Latina, Frosinone, Rieti, Perugia, Terni), Abruzzo (Aquila, Campobasso, Chieti, Pescara, Teramo), Campania (Napoli, Benevento, Caserta, Avellino, Salerno), Puglia (Bari, Foggia, Taranto, Brindisi, Lecce, Potenza, Matera), Calabria (Reggio Calabria, Cosenza, Catanzaro), Sicilia (Palermo, Trapani, Agrigento, Caltanissetta, Ragusa, Siracusa, Catania, Enna, Messina), Sardegna (Cagliari, Sassari, Nuoro).

a) favorevole ad adesioni di massima e di principio all’emigrazione all’estero, sia individualmente che collettivamente;

b) naturale desiderio degli operai ammogliati, specie se operai agricoli, di espatriare con tutta la famiglia;

c) richiesta di buone condizioni economiche contrattuali;

d) timori sulla efficacia all’estero dell’intervento a tutela delle condizioni contrattuali; e) disagio per l’onere relativo al rimborso del viaggio;

f) riscontrata scarsa qualificazione della manodopera aspirante all’emigrazione; g) poca probabilità di reperimento di manodopera specializzata;

h) sentita necessità di accordi suppletivi alle condizioni contrattuali;

i) difficoltà e disagi derivanti dai servizi di comunicazione in occasione di partenze urgentemente disposte7.

Un primo elemento che emerge con forza dalla documentazione attualmente disponibile sull’attività degli uffici è relativo alle domande di emigrazione8. La tendenza generale delle richieste di emigrazione infatti era diretta non all’Europa ma ai paesi d’oltreoceano: principalmente Canada, Usa, Argentina, Australia. L’ufficio di Cremona segnalava ad esempio che al 30 giugno 1950 erano giacenti ben 1297 domande per l’Argentina, a fronte delle 84 per la Francia, 67 per la Svizzera, 53 per l’Inghilterra e sole 7 per il Belgio. La domanda, però, non corrispondeva necessariamente all’offerta e così anche se il desiderio era quello di recarsi nei paesi transoceanici gli aspiranti emigranti si “accontentavano” di partire per l’Europa.

In genere le richieste degli aspiranti all’emigrazione, in maggior parte lavoratori agricoli e manodopera comune, si orientano verso i paesi dell’America del nord e del sud9.

Nella maggior parte della regione persiste la tendenza negli aspiranti all’espatrio a voler considerare con favore unicamente i paesi extraeuropei10.

7

Acs-Minlav, Dgpag-Dulmo, b. 17, Ufficio del lavoro e della massima occupazione (d’ora in poi Ulmo) di Modena, relazione per il primo semestre 1950.

8

Presso l’Archivio centrale dello Stato sono depositate le relazioni semestrali inviate dagli uffici provinciali del lavoro al Ministero del lavoro e della previdenza sociale. Il materiale copre in maniera sistematica il periodo 1950-1954.

9

Acs-Minlav, Dgpag-Dulmo, busta 10, Ulmo di Asti, relazione per il primo semestre 1950. 10

Acs-Minlav, Dgpag-Dulmo, busta 19, Ufficio regionale del lavoro di Firenze, relazione per il 1950.

L’Europa come “seconda scelta”, insomma: un elemento molto interessante ai fini di questa ricerca, sul quale d’altronde si sono già soffermati gli studiosi, che hanno individuato la stessa caratteristica consultando fonti differenti, come ad esempio i sondaggi di opinione11.

La domanda di emigrazione, indipendentemente da dove si orientavano le preferenze, era comunque superiore di gran lunga all’offerta e inevitabilmente negli uffici si accumulavano migliaia di domande inevase, con punte che in alcuni periodi superavano le sei-sette mila domande giacenti (è il caso di Catania, segnalato al ministero nella relazione del primo semestre 195112).

Gli uffici, avendo il compito di pubblicizzare i possibili canali occupazionali all’estero, segnalavano l’esito degli appelli diffusi sui singoli programmi di reclutamento. L’esito era in alcuni casi positivo – anzi anche troppo positivo, nel senso che i posti disponibili erano inferiori alle richieste dei lavoratori italiani13 – ma gli uffici segnalavano costantemente anche l’esito negativo di determinate proposte. E’ il caso, ad esempio, dell’ufficio di Asti, che in più occasioni denuncia la mancanza di donne disposte a partire come lavoratrici tessili per la Gran Bretagna14 o delle notizie negative provenienti da Alessandria in merito al reclutamento di personale alberghiero femminile diretto anch’esso in Gran Bretagna15. Più in generale, sono segnalati dagli uffici numerosi casi di rinuncia o campagne di reclutamento con esito negativo per motivi

11

Si veda ad esempio S. Rinauro, Politica e geografia dell’emigrazione italiana negli anni della ricostruzione, in L. Ganapini (a cura di), L’Italia alla metà del XX secolo. Conflitto sociale, Resistenza, nascita di una democrazia, Guerini e associati, Milano 2005, pp. 257-60. L’autore analizza materiale della Doxa prodotto nei primi anni cinquanta nell’ambito dei programmi di sondaggio d’opinione (si veda ad esempio, Doxa, Problemi dell’emigrazione, 1953, Doxa, Milano 1953). Sul “mito dell’America” nella società rurale italiana nei primi anni del dopoguerra si veda E. Bernardi, La riforma agraria cit., p. 202.

12

Acs-Minlav, Dgpag-Dulmo, busta 29, Ulmo di Catania, relazione per il secondo semestre 1950. Un caso simile è segnalato a Viterbo: Acs-Minlav, Dgpag-Dulmo, busta 24, Ulmo di Viterbo, relazione per il primo semestre 1950.

13

“Per un reclutamento di 100 manovali destinati alla costruzione di dighe idroelettriche nella valle Maggia, sono affluite circa 2000 domande. La successiva riduzione del contingente a sole 35 unità ha messo l’ufficio in grave difficoltà e ha creato un senso di sfiducia nella massa degli aspiranti”: Acs-Minlav, Dgpag-Dulmo, busta 27, Ulmo di Reggio Calabria, relazione per il primo semestre 1950. Da Avellino invece comunicavano seccamente che “il numero dei partenti è irrilevante rispetto al numero degli aspiranti” (Acs-Minlav, Dgpag-Dulmo, busta 25, Ulmo di Avellino, relazione per il secondo semestre 1950).

14

Nelle relazioni viene fatto riferimento al fatto che le donne sarebbero dovute partire da sole e per questo non avrebbero accettato la proposta. Il fallimento del reclutamento di donne per la Gran Bretagna è segnalato in tutta Italia, con particolare attenzione presso gli uffici del lavoro di Cremona e Alessandria. C’erano anche zone in cui erano più numerose le proposte che suscitavano scarso interesse rispetto a quelle che riscuotevano successo, come la provincia di

Documenti correlati