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Il mensile britannico “The Burlington Magazine” ha riservato il numero di Marzo 2010 alla storia dell’arte senese. In particolare l’altare maggiore della chiesa di San Vigilio (Fig. 1), col dipinto raffi gurante Sant’Ignazio in gloria di Mattia Preti Cavalier Calabrese (Fig. 2), è oggetto dell’articolo a cura di Nello Barbieri e di Linda Brauer1. In esso si rende pubblica la scoperta di alcuni docu-

menti che permettono di confermare le informazioni sulla tela del Preti già note dalle fonti conosciute e aggiungono a queste ulteriori notizie sulle circostanze della commissione, sia della pala che dell’altare su cui è posta, sollevando inoltre altre questioni che gli autori non sembrano però interessati a risolvere. Le carte, pubblicate in appendice alla rivista, provengono dagli Archivi di Stato di Siena e Firenze e consistono rispettivamente nel contratto tra Lattanzio Biringucci e i fra- telli Mazzuoli2, scultori dell’altare maggiore, e in due memorie: la prima contiene

la critica dei padri gesuiti al dipinto del pittore calabrese3, mentre l’altra ricorda

che nel 1678, quando il Biringucci non aveva ancora sottoscritto l’accordo con i Mazzuoli, nella chiesa vi era già un altare maggiore che fu ornato con “il quadro di sant’Ignazio di mano del sacerdote Nasini”4.

I tre manoscritti hanno aiutato a comprendere le vicende della committenza Biringucci e a far conoscere l’impatto che il dipinto ebbe sui gesuiti senesi. Per chiarire la vicenda storico-artistica della chiesa di San Vigilio, attuale cappel- la universitaria, è tuttavia necessario commutare le scoperte d’archivio con un discorso leggermente più ampio e solo così sarà possibile desumere maggiori informazioni di carattere critico.

5 Cfr. J. T. SPIKE (a cura di), Mattia Preti, Catalogo ragionato dei dipinti, pubblicato in occasione

delle celebrazioni per il terzo centenario della morte di Mattia Preti al Museo Civico di Taverna, Firenze, Centro Di, 1999.

6 Cfr. R. LONGHI, Mattia Preti. Critica fi gurativa pura, in «La Voce», n. 41, 1913, pp. 171-175. 7 Sulla vita e sui viaggi di Mattia Preti, cfr. J. T. SPIKE, Mattia Preti, Catalogo ragionato dei dipinti

cit., pp. 13-21.

8 Sui rapporti tra Mattia Preti e i committenti gerosolimitani vedi J. T. SPIKE, Mattia Preti e l’Or- dine di San Giovani tra la Calabria e Malta, Napoli, Electa, 1999.

Mattia Preti e la commissione senese

Com’è noto, Mattia Preti (1613-1699) fu uno dei più stimati pittori del Seicento italiano. Nativo di Taverna, cittadina calabrese ai margini della scena culturalmente più viva del suo tempo, a neanche vent’anni si trasferì a Roma, ca- pitale indiscussa dell’arte, dove aderì entusiasticamente al naturalismo caravag- gesco5. Nel corso di pochi anni il talento del pittore crebbe notevolmente, tanto

da aprirgli le porte di illustri mecenati romani e, divenuto Cavaliere dell’Ordine di San Giovanni, fu uno dei protetti di papa Urbano VIII Barberini. Questa serie di eventi tra la quarta e la quinta decade del Seicento probabilmente incoraggia- rono lo sperimentalismo di Mattia Preti, come afferma il Longhi6, e nel suo stile

si addolcì il caravaggismo a favore di una maggiore sensibilità classicista. Alla metà del Seicento, quindi, il tocco pittorico del Cavalier Calabrese si ingentilì notevolmente e mutò anche in seguito ai numerosi spostamenti che egli compì nella Penisola italiana. Le mete documentate del pittore tra il 1644 e 1646 furono Venezia e Bologna, poi un breve ritorno a Roma, il tempo necessario per eseguire le Storie della vita di sant’Andrea nella chiesa dei teatini di Sant’Andrea della Valle, a cui seguirono le commissioni per il Duomo di Modena, e successivamen- te quelle per la città di Napoli7.

Le composizioni eseguite a partire dagli anni Ottanta esprimono una nuo- va ampiezza di veduta e una teatralità prima non così presenti. Questi caratteri rafforzano l’ipotesi che Preti avesse studiato l’opera dei grandi maestri del tardo Rinascimento veneziano, con particolare attenzione a Paolo Veronese, conobbe certamente la “gran macchia” del Guercino nel passaggio dall’Emilia, e durante il soggiorno a Napoli, alla fi ne degli anni Cinquanta, si conformò alla malinconia riberesca. Nel 1661, quando fu eletto Cavaliere di Grazia, Mattia Preti si trasferì a Malta per la decorazione della chiesa di San Giovanni alla Valletta e, nonostante i riconoscimenti del suo operato presso l’Ordine non fossero molto remunerativi, decise di stabilirsi sull’isola guadagnandosi da vivere con i lavori che gli ordina- vano i committenti stranieri, oltre a quelli per il Gran Maestro. L’appartenenza di Preti ai Cavalieri di Malta allargò infatti la sfera dei suoi estimatori e mecenati, soprattutto tra gli appartenenti all’Ordine, e negli anni Ottanta furono molte le tele che il pittore realizzò per i gerosolimitani italiani8.

9 Vedi P. BACCI, Il pittore Mattia Preti a Siena, in «Il Bullettino senese di storia patria», XXXVII,

1930-1931, pp. 71-84 e ibidem, XXXVIII, 1931, pp. 1-16.

10 P. BACCI, Il pittore Mattia Preti a Siena cit., p. 16. 11 Vedi J. T. SPIKE, Mattia Preti cit., p. 281.

12 Cfr. L. PASCOLI, Vite de’ pittori, scultori, ed architetti moderni, 1730-1736, Alessandro Marabot-

tini a cura di,II, Perugia, Electa Editori umbri associati, 1992, p. 111.

13 Cfr. B. DE DOMINICI, Vite de’ pittori, scultori, ed architetti napoletani non mai date alla luce da autore alcuno dedicate agli eccellentiss. signori, Eletti della fedelissima città di Napoli scritte da Bernar- do De Dominici napoletano, III, Bologna, Forni Editore, 1971, p. 19.

14 C. SERGARDI, E. TOTI a cura di, La descrizione della città di Siena di Curzio Sergardi, 1679,

Siena, Protragon Editori, 2008, p. 52. Questo testo contiene la trascrizione della prima versione del ma- noscritto di Sergardi del 1679, conservata presso l’Archivio di Stato di Siena, che è integrata in nota con

Nel decennio compreso tra il 1673 e il 1683, Mattia Preti realizzò tre opere per la città di Siena: La canonizzazione di santa Caterina oggi nella Cappella delle Volte della chiesa di San Domenico, ma nata per l’altare Piccolomini di San Francesco, La predica di san Bernardino per la chiesa di Santa Maria Assunta su commissione di fra Lorenzo de’Vecchi, Rettore dell’Opera del Duomo e com- mendatore dell’Ordine Gerosolimitano, e Sant’Ignazio in gloria (Fig. 2) per San Vigilio. I primi due dipinti ricordati costituirono argomento di studio per Peleo Bacci che pubblicò in questa rivista due articoli in cui, per primo, cercò di appro- fondire le vicende della committenza9.

Quanto invece alla terza tela, il Bacci si limitò a ricordarla come “l’ope- ra che segna il terzo momento della fortuna del Cavalier Calabrese a Siena”10,

rinviando la relativa trattazione a un saggio che non è mai stato pubblicato. Nel corso del Novecento la tela di San Vigilio è comparsa nelle pubblicazioni di storia dell’arte locale, corredata dalle poche informazioni che riportavano già le guide storiche e non è stata più argomento di studio fi no al recente articolo ricordato sopra.

Il Sant’Ignazio in gloria è, come abbiamo detto, l’ultima delle tre pale d’al- tare che Preti eseguì per la città di Siena. Per lungo tempo è stata custodita nella sagrestia della chiesa di San Vigilio e dal 2001, dopo un restauro eseguito dalla Soprintendenza per i Beni Storici e Artistici di Siena, è tornata a ornare l’altare maggiore, spazio per cui era nata11. Barbieri e Brauer hanno giustamente notato

che la tela è ricordata oltre che dal Pascoli12 e dal De Dominici13, biografi del pit-

tore, solo in alcune guide senesi. La prima fonte che fa conoscere il Sant’Ignazio

in gloria nella chiesa di San Vigilio, come nel caso delle altre due tele del Preti a

Siena, è l’aggiornamento del 1686 alla Descrizione della città di Siena di Curzio Sergardi, il quale ricorda che: «La chiesa è ornata con una bellissima soffi tta di fogliami messi a oro, che ripartiscono una mano di quadri vagamente dipinti dal cavaliere Raffaello Vanni»14 e la «tavola dell’altare maggiore è del Cavalier Cala-

i numerosi ampliamenti che l’autore stesso vi introdusse nel 1686, secondo il manoscritto conservato invece presso la Biblioteca Comunale di Siena. Ed è in nota che si trovano le informazioni sulla pittura di San Vigilio.

15 C. SERGARDI, E. TOTI a cura di, La descrizione della città di Siena cit., l’autore dello scritto dà

la collocazione e il nome del pittore, benché sbagli, dicendo che si tratti di una tavola e non di una tela.

16 Biblioteca Comunale di Siena (BCS), A. M. CARAPELLI, Notizie delle chiese e cose riguardevoli di Siena con il longo trattato trigesimo dell’origine, miracoli, visite dei popoli,celesti visioni, fabbri- ca della Madonna di Provenzano; come ancora l’origine d’altre chiese, loro altari, pitture e reliquie, e grandezza d’alcune basiliche, delle pubbliche feste fatte nella piazza e dell’entrate solenni d’alcuni personaggi fatti a porta Romana e Camollia con altri successi, opera del Padre P.Fr. Angelo Maria Carapelli de Predicatori, 1717-1722, B VII, c. 10r.

17 G. GIGLI, Diario Sanese in cui si vengono alla giornata tutte le cose importanti si allo spiritua- le, come al tempo della città, e però continente feste, stazioni, signorie, residenze di maestre, fi ere dello stato, fi ere, giorni per la posta e giorni per la partenza delle lettere, Siena, Tipografi a dell’Ancora, 1723,

p. 367.

18 L. PASCOLI, Vite de’ pittori cit., p. 110.

19 G. A. PECCI, Relazione della cose più notabili della città di Siena sì antiche, come moderne, descritta in compendio dal Cavalier Gio. Anton. Pecci, patrizio della medesima città. A benefi zio de’ forestieri e degli intendenti di tali materie, Siena, Stamperia Francesco Quirza e Agostino Bindi, 1752,

pp. 125-126.

20 G. FALUSCHI, Breve relazione delle cose notabili della città di Siena ampliata e corretta dal sa- cerdote Gioacchino Faluschi senese al nobile Guido Savini, Siena, Francesco Rossi Stamp., 1784, p. 155. 21 Cfr. E. ROMAGNOLI, Cenni Storico-Artistici di Siena e i suoi suburbi del maestro Ettore Roma- gnoli riveduti e nuovamente pubblicati con un breve discorso sulla vita e gli scritti dell’autore nel 1880,

Sala Bolognese, Arnaldo Forni Editore, 1990, p. 43.

22 Cfr. Idem, Nuova guida della città di Siena per gli amatori delle belle-arti, Siena, Stamperia

Guido Mucci, 1822, p. 118.

23 Cfr. L. LAZZERI, Siena e il suo territorio, Siena, Tipografi a Lazzeri, 1862, p. 255. 24 Vedi ASS, Sergardi Biringucci e Spannocchi cit.

brese»15. Pochi anni dopo il Carapelli ripete: «Si vede l’altare maggiore di marmo

misto eretto dal signor Lattanzio Biringucci e la pittura è l’opera del Calabrese»16

e il Gigli nel 1723, narra brevemente la storia della chiesa e ribadisce: «Il quadro è del Cavalier Calabrese»17. Nel 1729 il Pascoli, dopo aver rammentato le opere

del Preti già in San Francesco e in Duomo, ricorda: «Vedesi nella chiesa de’gesu- iti il quadro dell’altare maggiore, nel quale fi gurò Gesù con sant’Ignazio e ange- li»18. Ancora nel Settecento Giovanni Antonio Pecci, nel Ristretto delle cose più

notabili della città di Siena, menziona la chiesa di San Vigilio: «Alla quale non

manca se non la facciata, ma rimane così ben ordinata e rifi nita da render decoro alla città tutta, e da osservarsi con attenzione da Forestieri […] la tela dell’altare maggiore fu dipinta dal Cavalier Calabrese»19, la stessa indicazione si ritrova nel

Faluschi20, mentre nell’Ottocento il dipinto è ricordato dal Romagnoli, sia nel

181021 che nel 182222, e dal Lazzeri nel 186223.

Che l’altare maggiore fosse stato commissionato ai fratelli Mazzuoli era già noto agli scrittori di guide locali24, mentre la committenza della tela che lo orna

25 Vedi ASF, 1118, n. 499, c. 51v-52r.

26 Nello Barbieri e Linda Brauer, consultando l’Archivio di Stato di Siena, hanno trovato una

breve memoria dell’evento datata 1682, spiegabile come un errore da parte dello scrivente poiché tutte le notizie dello stesso faldone riportano fatti avvenuti nel corso del 1683, vedi N. BARBIERI e L. BRAUER, Some documents cit., pp. 172-175.

27 ASF, 1118, cit.

28 Vedi I. MARCELLI, L’Archivio Sergardi Biringucci. Personaggi e carte di una famiglia senese,

in M. R. DE GRAMATICA, E. MECACCI, C. ZARRILLI (a cura di), Archivi, Carriere e Committenze, Contributi per la storia del Patriziato senese in Età Moderna, Atti del Convegno tenutosi a Siena, 8-9 giugno 2006,

Siena, Ciclo degli Uniti, 2007, pp. 54-73.

29 Cfr. ASS, ms A 67, cit.

30 Vedi M. A. CEPPARI RIDOLFI, Elenco dei nomi dei “risieduti” in Siena nell’età medicea, tratti dal Libro dei Leoni, in M. ASCHERI (a cura di), I Libri dei Leoni, La nobiltà di Siena in età medicea (1557- 1737), Milano, Amilcare Pizzi Editore, 1997, p. 508.

31 Cfr. ASS, ms A 67, cit. 32 ASS, ms A 30 II, cit. 33 Vedi ASF, 1118, n 499.

34 In una lettera che Mattia Preti scrisse nel 1667 ai padri gesuiti messinesi, si legge che il pittore

è stata chiarita solo con la scoperta presso l’Archivio di Stato fi orentino25, dove,

tra i tanti documenti dei collegi soppressi in età lorenese da Pietro Leopoldo, si trovano alcuni che si riferiscono a quello di San Vigilio a Siena. Il documento del faldone numero 1118 ricorda che il 31 luglio 168326, giorno della festa di

sant’Ignazio, venne “scoperto fi nito tutto l’altare maggiore a spese del signor Lattanzio Biringucci, il quale tra marmi e quadro fatto fare a malta da Mattia Preti avrà speso verso quattromila scudi”27.

La famiglia senese dei Biringucci, che nel 1727 congiunse il proprio co- gnome a quello dei Sergardi28, nei documenti seicenteschi è menzionata tra le

casate appartenenti al ceto nobiliare senese29. Non casualmente Lattanzio e suo

fratello Giovanni sono nominati nel Libro dei Leoni per aver ricoperto entrambi il mandato di Capitano del Popolo della città di Siena, durante la seconda metà del Seicento30. All’Archivio di Stato di Siena il nome di Lattanzio di Giovanni

compare più volte come Dottore e Gonfaloniere31 e il manoscritto del Sestigiani

ricorda che: «Fra Marcello di Giovanni fu ricevuto Cavaliere di Malta il 15 ot- tobre 1632,[…]. Fu ricevitore di Siracusa, dove morì»32. Attraverso la conferma

che anche i Biringucci furono Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni33, si ha la

prova che tutte le tele senesi vennero ordinate al Cavalier Calabrese da parte di gerosolimitani, i quali molto probabilmente dovevano avere rapporti diretti con il Capitano dell’Ordine34.

La memoria dei gesuiti ricorda i costi dell’opera e prosegue con una lunga critica al modo in cui il pittore realizzò la fi gurazione. L’anonimo scrittore del documento, molto probabilmente un gesuita, censura il dipinto per la resa della

non aveva la possibilità di eseguire alcun lavoro senza il consenso del Gran Maestro, anche nel caso i committenti fossero stati gerosolimitani. Vedi in merito N. BARBIERI e L. BRAUER, Some documents cit.,

pp. 172-175.

35 L’anonimo scrittore lamenta nel sant’Ignazio di Mattia Preti che la barba arrivi fi no all’orec-

chio, la testa non sia calva e il volto poco amabile; inoltre l’esecuzione dell’anatomia è considerata poco realistica e alla pianeta manca la croce identifi cativa dei gesuiti, vedi ibidem.

36 Secondo il critico la bocca della Madonna è semi-aperta e il suo manto è troppo scuro, il volto

di Cristo è puerile, la carnagione è troppo chiara e la conformazione dei muscoli è sproporzionata alla fi gura, tutti elementi non in linea con i canoni della devozione, vedi ibidem.

37 Ibidem.

38 Cfr. G. A. PECCI, Relazione della cose più notabili della città di Siena, cit., pp. 125-126. 39 L. LAZZERI, Siena e il suo territorio, Siena, Tipografi a Lazzeri, 1862, p. 255.

40 Vedi P. TORRITI, Tutta Siena, Contrada per Contrada. Nuova Guida illustrata storico-artistica della città e dintorni, Firenze, Bonechi Edizioni “Il Turismo”, 2004, p. 324.

41 Nel resoconto si ricorda che l’opera presentava alcune deformazioni della superfi cie dovute

all’allentamento del supporto originale ed erano visibili alcuni tagli e lacerazioni del tessuto. In origine il dipinto non era stato rintelato, ma solo appoggiato su un’altra tela, ed entrambe erano state tensionate in maniera precaria su un vecchio telaio. La superfi cie pittorica era offuscata dall’alterazione delle vecchie

scena sacra, che defi nisce priva di devozione e poco realistica, elenca tutti i difetti nella restituzione della fi gura del santo, non coincidente coll’iconografi a tradizio- nale35, e critica come poco decorose le raffi gurazioni della Vergine e del Cristo36.

Il documento rispecchia dunque la reazione dei gesuiti nel momento in cui la tela fu scoperta e dimostra come il dissenso fu tale da proporre il ritocco delle parti poco conformi al culto. Dallo scritto emerge che i religiosi avrebbero voluto far correggere le fi gure allo stesso Mattia Preti, che non avrebbe potuto a causa della distanza che lo divideva da Siena, quindi rimproverano il committente per aver scelto di far eseguire il dipinto a un pittore troppo lontano a cui sarebbe stato impossibile «dire commodamente i suoi sentimenti»37.

La disapprovazione dei gesuiti verso la grande tela del Cavalier Calabrese non portò comunque alla sostituzione del dipinto, perché il Pecci nel 1762 lo ricorda ancora sull’altare principale38 e il Lazzeri, affermando che: «Il quadro

sull’altare maggiore è del Cavalier Calabrese»39, ci informa che nel 1862 la tela

non era ancora stata spostata. L’unico documento riguardante la lunga permanen- za del dipinto in sagrestia, quando al suo posto fu messa una Gloria del Sacra-

mento in rilievo dorato40, è la relazione di Stefano Scarpelli, il restauratore che ha

eseguito i lavori per conto della Soprintendenza per i Beni Storici e Artistici di Siena nel 2000. L’analisi del dipinto, svolta in occasione del ripristino, conferma anche quanto letto sui documenti d’archivio in merito alla vicenda del trasporto dell’opera da Malta a Siena. Dall’esame dei materiali e della tecnica pittorica si ha la prova che la tela fu prodotta nel Seicento e che inizialmente non fu tensio- nata su nessun supporto per poter essere piegata per il trasporto via mare41.

vernici e da depositi di polvere e nerofumo; inoltre erano visibili vecchi ritocchi alterati e piccole cadute di colore, soprattutto lungo i bordi. La pulitura ha permesso di osservare che l’opera fu dipinta su un te- laio molto esile, forse provvisorio, con una preparazione sottile ed elastica, in modo da poterla arrotolare e poi spedire da Malta a Siena senza danni alla superfi cie pittorica, e che, una volta giunta a destinazione, sia stata tensionato sul telaio defi nitivo grazie alle abbondanti cimase di tela appositamente lasciate lungo i bordi. In seguito, probabilmente nell’Ottocento, al telaio furono apportate alcune modifi che per poterlo ripiegare. Da quest’ultima informazione si può pensare che la modifi ca alla struttura lignea risalisse al momento in cui l’opera fu spostata dall’altare alla sagrestia dove è rimasta fi no al recente ripristino che ha provveduto infi ne a ritensionare il dipinto su un nuovo telaio estensibile tramite strisce di tela applicate lungo i bordi, a stuccare le lacune imitando la superfi cie pittorica originale, oltre che a ridipingere e a verniciare l’opera che si mostra oggi in tutta la sua qualità. Vedi in merito Relazione del Restauro con- dotto da Stefano Scarpelli, presso l’archivio della Soprintendenza per i Beni Storici e Artistici di Siena.

42 L’acronimo del nome di Gesù, JHS, è l’attributo di sant’Ignazio, vedi in merito R. GARCÍA VIL- LOSLADA, Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, santo, in P. CANNATA, M. L. CASANOVA,

M. C. CELLETTI (a cura di), Bibliotheca Sanctorum, VII, Roma, Città Nuova Editrice, 1966, pp. 674-706. 43 Sant’Ignazio aveva composto per i suoi confratelli un testo intitolato Gli Esercizi Spirituali,

regesto del periodo vissuto a Manresa, dove vestito di grezzi stracci rimase solo in penitenza per anni. Il libro raccoglie gli ideali del Santo e si propone come vademecum per il progresso spirituale dei fedeli. In merito vedi ibidem.

Ecco quindi che integrando i risultati delle ricerche di Barbieri e Brauer con altre informazioni, ricavate da antiche fonti e da altrettanti manoscritti d’ar- chivio, è possibile ricostruire in modo ancora più approfondito le vicende della tela pretiana.

Il Sant’Ignazio in gloria della tela e la problematica cimasa

Il personaggio principale della tela è sant’Ignazio di Loyola (Fig. 2), fi gu- ra frequentemente ritratta nelle pitture seicentesche a tema religioso che, com’è noto, fu il fondatore della Compagnia dei gesuiti e protagonista della Riforma che interessò la Chiesa cattolica nel Cinquecento.

Nella chiesa senese il Santo è raffi gurato nel momento in cui raggiunge il Regno dei Cieli, circondato da un gruppo di angeli, mentre riceve sul petto

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