Donald F. McKenzie
B I B L I O G R A F I A E S O C I O L O G I A DEI TESTI
ed. orig. 1986, trad. dall'inglese di Isabella Amaduzzi e Andrea Capra,
con saggi di Renato Pasta e Roger Chartier, pp. 125, € 13,43, Sylvestre Bonnard, Milano 2003
IL P A S S A T O È IL P R O L O G O DUE SAGGI DI SOCIOLOGIA
DEI TESTI
trad. dall'inglese di Gianna Lonza e Remigio Allegri, introd. di Michael Suarez,
pp. 91, € 12,50, Sylvestre Bonnard, Milano 2003
S T A M P A T O R I D E L L A M E N T E E ALTRI S A G G I
trad. dall'inglese di Remigio Allegri e Riccardo Fedriga, introd. di Michael Suarez,
pp. 177, €22, Sylvestre Bonnard, Milano 2003
I
n un'epoca di grandi tra-sformazioni culturali in cui stiamo assistendo al trasferi-mento del patrimonio scritto da un supporto all'altro, da quello cartaceo a quello elet-tronico, gli studi del biblio-grafo neozelandese Donald McKenzie (1931-1999), per la prima volta presentati al pub-blico italiano, ci offrono una ri-flessione che va ben al di là del-la disciplina da cui muove. Per ampiezza di orizzonti, e per ca-pacità di far dialogare scienze diverse, tra cui la storia, l'antro-pologia, la critica testuale e la semiologia, "il più grande bi-bliografo del nostro tempo" (così l'ha definito Robert Darn-ton) offre un esempio di come la bibliografia, lungi dal limitar-si a un sapere aulimitar-siliario e docu-mentario, possa diventare al tempo stesso studio dei testi, analisi delle forme attraverso cui sono trasmessi e storia di come sono stati prodotti e letti.Dei volumi qui presentati il primo è una sintesi teorica di mirabile chiarezza (si tratta del-le Panizzi Lectures tenute alla British Library nel 1985 e pub-blicate nel 1986) e gli altri due contengono alcuni dei saggi che meglio esemplificano il percor-so dell'autore e in modo parti-colare il suo concetto di testo. Ciò che colpisce infatti nella proposta del bibliografo neoze-landese è l'estensione del con-cetto di testo non solo ai libri, ma a tutte le forme attraverso cui un testo può essere trasmes-so. Vi sono infatti delle produ-zioni orali, digitalizzate o infor-matizzate (non hook texts), che non si presentano sotto forma di prodotto scritto, ma che non per questo devono sfuggire al-l'attenzione del bibliografo. Vi sono poi testi che non fanno uso del linguaggio verbale (non
verbal texts) come le carte
geo-grafiche, le immagini di ogni ti-po, le partiture musicali. Come i testi-libri anche i testi-non-li-bri parlano attraverso un siste-ma simbolico che va descritto e interpretato, restituendo stori-cità alle condizioni in cui sono stati prodotti e recepiti. Per questo McKenzie discorre di bibliografia storica.
I
l secondo concetto che carat-terizza gli studi di McKenzie è l'idea che le forme attraver-so cui un testo è trasmesattraver-so non sono neutre, ma condiziona-no profondamente il processo di costruzione dei significati(forms e f f e c t meanings). Contro
una definizione puramente se-mantica del testo che permea non soltanto la critica struttu-ralista, ma anche le teorie lette-rarie della ricezione, McKenzie dimostra che un testo può cam-biare profondamente a seconda delle scelte materiali e formali dell'editore. Il terzo corollario è strettamente legato al secon-do: ponendo l'accento sulle va-riazioni di interpretazione di un testo nell'atto della lettura, l'autore sottolinea che il lettore è condizionato non soltanto dal proprio livello culturale, ma anche dalle forme
(impagina-zione, tipo di edi(impagina-zione, scelta del carattere e del formato) at-traverso cui il testo gli è pre-sentato. Di qui l'invito a tener conto sia delle modalità di let-tura dei singoli lettori, sia delle formule editoriali che non sem-pre coincidono con le strategie di scrittura e le intenzioni del-l'autore.
Vediamo ora come i principa-li elementi teorici trovino svi-luppo nei saggi contenuti nel secondo e terzo libro. Intanto va ricordato che McKenzie, an-che dopo essere diventato pro-fessore di critica testuale al Pembroke College di Oxford, non ha mai perso il legame con la sua terra d'origine, in cui pe-raltro aveva insegnato per molti anni lingua e letteratura inglese presso la Victoria University di Wellington. E proprio alla sua terra ha dedicato uno dei saggi più intensi, in cui l'impegno ci-vile convive con il sapiente uti-lizzo di metodologie proprie dell'antropologia simbolica, della ricerca storica e della lin-guistica. Si tratta di The
Socio-logy of a Text: Orality, Literacy and Print in Early New Zealand,
pubblicato nel 1984 e ora tra-dotto nel volume II passato è il
prologo.
Il saggio ricostruisce le con-dizioni in cui nel 1840 fu firma-to, tra i Maori e la corona in-glese, il trattato di Waitangi, con il quale si sanciva l'assog-gettamento politico e la sottra-zione delle terre alle popolazio-ni indigene. Per i Maori fu un
grande inganno: nella loro cul-tura il termine kawanatanga, che traduceva l'inglese
soverei-gnty, indicava solo
l'accettazio-ne dell'amministraziol'accettazio-ne inglese e non implicava la perdita delle loro terre. Il testo era lo stesso che firmarono gli inglesi, ma il significato attribuito era dram-maticamente diverso. Mentre nella cultura dei dominatori la scrittura aveva un significato politico, in quella dei Maori non lo aveva poiché ciò che contava era l'oralità: per loro la firma aveva un valore molto in-feriore a un impegno preso oralmente.
Se compito della bibliografia è la comprensione delle relazioni tra forma e senso dei testi, un ruolo fondamentale hanno tutti coloro che, con compiti diversi, contribuiscono alla produzione di un'opera. Ogni libro è il risul-tato del lavoro umano e come ta-le suscettibita-le di errori e di varia-zioni impreviste. McKenzie rim-provera ai bibliografi di non te-ner conto del fatto che le loro descrizioni dipendono dalle "strutture interpretative". In tal modo finiscono per oscurare "il ruolo degli agenti umani" e per negare "l'importanza di ogni ele-mento che si possa intendere co-me una storia del libro"
(Biblio-grafia e sociologia dei testi). In
ef-fetti gli "agenti umani" e il com-plesso lavoro in tipografia hanno
un ruolo di primo piano in un suo saggio del 1969, diventato un classico per gli storici del li-bro, Printers of the Mind, ora
di-sponibile in traduzione italiana. Si tratta di uno studio sulle mo-dalità di produzione all'interno, della Cambridge University Press, casa editrice che McKen-zie conosceva bene per aver pubblicato, dopo anni di ricerca, uno studio sull'attività della pre-stigiosa stamperia universitaria
(The Cambridge University Press, 1696-1712, 3 voli, 1966).
In Stampatori della mente prende in considerazione i regi-stri della tipografia di Cam-bridge dai quali emergono dati dettagliati sulla divisione del la-voro e sul ruolo delle diverse fi-gure sociali impegnate alla composizione e ai torchi. A tali fonti affianca la documentazio-ne sull'attività tipografica di William Bowyer attivo a Lon-dra tra il 1730 e il 1739. Ne ri-sulta che gli uomini lavoravano a cottimo e quindi la produtti-vità variava fortemente da un operaio all'altro. Dalt'analisi dei fogli tirati emerge poi che era molto diffuso il sistema di stampare simultaneamente più libri per poter sfruttare al me-glio i torchi e la manodopera. Dunque le "norme" della bi-bliografia analitica entrano in crisi nel momento in cui si di-mostrano le. "variabili collatera-li" di un modo di produzione in cui l'unica norma era, para-dossalmente, "la normalità del-la non uniformità".
S
olo a partire da una storiciz-zazione di tutto ciò che ri-guarda le condizioni di lavoro si possono, secondo McKenzie, ricostruire le condizioni in cui si creano i significati. Neglistu-di sul teatro inglese in età mo-derna, e in particolare nelle analisi delle opere di Congreve stampate da Tonson nei 1710 in presenza dell'autore, egli mostra come le trasformazioni formali e materiali (ad esempio nella scelta di un formato più piccolo, dall'in quarto all'in ot-tavo, la numerazione delle sce-ne, l'indicazione a margine del personaggio che sta parlando) abbiano avuto conseguenze im-portanti sullo statuto del-l'opera. Il testo restava lo stes-so, ma l'edizione di Tonson rendeva possibile una fruizione diversa da quelle precedenti, consentendo una lettura nella quale non si perdeva nulla del-la tipologia dell'opera.
E che il passaggio di un testo da una forma all'altra possa tra-sformare gli usi dello stesso te-sto e il modo in cui viene rece-pito lo si vede bene anche nella rivoluzione elettronica in cor-so. Rendersi conto di questo può aiutare forse a guardare con maggior consapevolezza al fatto che, accanto alle straordi-narie potenzialità, la rivoluzio-ne cui stiamo assistendo può comportare anche una forzatu-ra sui testi, dal momento che questi diventano fruibili sepa-ratamente dalle forme che han-no contribuito a costruire i loro
significati storici. •
lodovicabraìdaStiscalìnet.it
L. Braida insegna storia della stampa e dell'editoria all'Università di Milano