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Il ciclo a condensazione a singolo flash è uno dei più efficienti meccanismi di generazione di energia elettrica da sorgente geotermica, e dunque uno dei più comuni. La figura seguente ne schematizza il funzionamento:

Figura 3.6 tipico schema di funzionamento del ciclo a condensazione a singolo flash i.

Il ciclo parte dall’individuazione di un serbatoio geotermico, al quale è possibile accedere tramite dei “pozzi di produzione”, ottenuti attraverso opportune perforazioni, da cui estrarre il vapore.

Il vapore in questione, al momento dell’estrazione, risulta essere in condizioni non consone all’utilizzo in impianti di produzione, in quanto, date le caratteristiche del sottosuolo, ha una forte componente acida che, se condensata, corroderebbe tutta la componentistica di impianto con la quale dovesse entrare in contatto, rendendo necessarie continue e costose azioni manutentive. Per questo motivo, i pozzi di produzione sono dotati, o con della componentistica di superficie o con soluzioni che intervengono direttamente nel sottosuolo, di sistemi progettati per “lavare” questo vapore, così da ridurre la componente acida e riportarlo a condizioni di pH non aggressive per l’impianto stesso. In pratica, il lavaggio consiste nell’apporto di una soluzione a base di acqua e soda caustica che reagisce con il cloro presente nel vapore; ciò porta alla generazione di sali che si disciolgono nell’acqua, che naturalmente condensa nel processo di lavaggio o nei vapordotti.

Una volta estratto e “lavato”, una fitta rete di chilometri di vapordotti porta il vapore ai vari siti produttivi. Tali vapordotti sono provvisti di scarichi per permettere alla condensa di essere rimossa, dato che durante il tragitto si può avere una parziale condensazione del vapore geotermico. Tale condensa viene poi raccolta nei bifasedotti, che sono delle tubazioni più piccole rispetto a quelle per il solo vapore, che si dispiegano parallelamente a quest’ultime in tutto il territorio, con il compito di trasportare l’acqua ai pozzi di reiniezione.

Raggiunto l’impianto, il primo elemento che si trova è un separatore ciclonico, che ha il compito innanzitutto di completare la separazione della componente liquida da quella aeriforme, formatasi per condensazione nel vapordotto. Inoltre, se necessario, completa la fase di lavaggio del vapore mediante degli appositi spruzzatori di soluzione acqua-soda. Il separatore è importante, in quanto alcuni pozzi di produzione estraggono vapore surriscaldato che non ha necessità di essere lavato direttamente in loco, dato che per l’alta temperatura non c’è rischio di ottenere la condensa, corrosiva per le tubazioni. Per questo, si prevede il suddetto componente anche per lavare il vapore, prima che entri in impianto e danneggi le apparecchiature.

Figura 3.7 separatore ciclonico.

Ora che il fluido è costituito dalla sola componente gassosa e con un pH accettabile, può evolvere in turbina, dopo una serie di valvole di regolazione e controllo (ridondate per questioni operative, di sicurezza e affidabilità del sistema). Il vapore passa quindi dalla temperatura di circa 190 °C e da 10 bar di pressione a circa 130 °C e 95 mbar (valori indicativi). La turbina è collegata all’alternatore per consentire la generazione di energia elettrica alla frequenza della rete.

A valle della turbina si ha il condensatore, che è mantenuto ad una temperatura di 40 °C, per raffreddare il vapore, ed a 95 mbar (valori indicativi), in modo tale da permettere un maggior salto di pressione alla turbina, che, in sostanza, si traduce in una maggiore e più efficiente produzione di energia. Il condensatore ha il compito di separare il vapore, che si raffredderà e diventerà acqua, dai gas incondensabili, presenti nel fluido in percentuale intorno al 5% (valore variabile in base all’area geotermica). Il raffreddamento avviene tramite l’utilizzo di acqua, proveniente dalle torri di raffreddamento, che viene direttamente spruzzata al suo interno. Dal condensatore si hanno due uscite principali.

Figura 3.8 condensatore.

Dalla prima, situata nella parte alta, si ha lo sfogo degli incondensabili che vengono immessi nella tubazione apposita grazie all’azione del compressore di aspirazione, collegato all’asse di rotazione della turbina attraverso un moltiplicatore.

Il compressore riporta i gas incondensabili in condizioni di pressione atmosferica e ad una temperatura di circa 170 °C, condizioni che permettono ai gas di essere efficientemente trattati dal sistema successivo, ovvero il sistema AMIS. L’AMIS (Abbattimento del Mercurio e dell’Idrogeno Solforato) è un impianto non funzionale alla generazione di energia elettrica, ma bensì obbligatorio ai fini di legge, per il rispetto di norme che limitano le emissioni in aria di sostanze nocive. Infatti, i gas incondensabili in uscita dal compressore, hanno forte presenza di mercurio e acido solfidrico (H2S), sostanze dannose per l’ambiente.

A seguito del trattamento, che consiste in un filtro ai carboni attivi, che trattiene il mercurio, e in una reazione di ossidazione catalitica, che trasforma in SO2 l’H2S, i gas possono essere inviati alle torri di

Figura 3.9 schema dell'impianto AMIS.

Dalla seconda uscita del condensatore, posta in basso, si estrae l’acqua di condensa attraverso l’utilizzo di una pompa PAE (Pompa Acqua di Estrazione), una macchina che ha lo scopo di elaborare la portata di acqua per spingerla nelle condutture, fino ad arrivare alle torri di raffreddamento.

Figura 3.10 pompa PAE.

Le torri di raffreddamento quindi, in numero variabile a seconda dell’impianto (comunemente 3 torri), permettono il raffreddamento dell’acqua e l’emissione in ambiente dei gas incondensabili trattati

dall’AMIS. L’acqua ricade, quindi, sotto forma di una vera e propria pioggia, all’interno di queste torri, alla temperatura di 19 °C (valori indicativi), e viene raccolta in una vasca.

Figura 3.11 torri di raffreddamento.

Infine, anche per garantire la rinnovabilità del processo, il fluido in uscita dall’impianto è a sua volta raccolto e riportato nel sottosuolo dove verrà nuovamente riscaldato, in maniera naturale, fino a tornare vapore. Questa reintroduzione di acqua nel sottosuolo avviene attraverso degli appositi pozzi, distinti da quelli di produzione, detti appunto “pozzi di reiniezione”, che consentono quindi un riutilizzo, seppur non totale, di quello che è il fluido in uscita dagli impianti di produzione di energia.