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Prima ancora di passare in rassegna le problematiche e l’analisi dei modi di guasto e delle criticità dei componenti di impianto, dato che per l’implementazione di modelli diagnostici e prognostici ci baseremo in gran parte sui dati real-time provenienti dai sensori di impianto, si rende necessario costruire un modello analitico che permetta di validare le misure dei sensori presenti sul campo.

Tutto questo permette di ottenere due importanti risultati: 1. Definire preventivamente malfunzionamenti dei sensori;

2. Evitare di effettuare analisi diagnostiche e prognostiche su misure non valide, evitando quindi il problema del “Garbage In Garbage Out” (GIGO), ovvero dell’elaborazione di dati “spazzatura” che chiaramente forniranno in uscita informazioni fuorvianti.

Solitamente, nei punti critici dell’impianto si prevede l’utilizzo di sensori ridondati in modo tale che la misura sia calcolata sfruttando i dati provenienti dalle 3 fonti. Nel caso in cui uno dei sensori fornisca una misura significativamente differente da quella che risulta dagli altri 2, allora è previsto un algoritmo che esclude dal calcolo tale dispositivo, che si potrebbe essere guastato, passando ad una logica di misura su 2 valori anziché su 3.

Il problema sorge però nel momento in cui devo valutare la bontà di questi 2 sensori rimasti, dal momento che, in caso forniscano dati discordanti, non potrò mai sapere quale dei 2 stia effettivamente

dicendo il vero. La probabilità però che si guastino contemporaneamente 2 sensori su 3 con modi di guasto indipendenti è in pratica molto remota. La probabilità invece che ci sia un modo di guasto comune ai 3 sensori può non esserlo.

Decisamente più complicato è il caso in cui i sensori sono ridondati solo una volta, ovvero che da progetto ci siano 2 soli sensori con lo stesso scopo, oppure quando non è proprio stata prevista la ridondanza. In questi casi risulta evidentemente molto più complicato e allo stesso tempo critico capire la bontà della misura.

2.5.1.1 Sensori ridondati

In letteratura sono presenti varie tecniche che vanno dall’applicazione di principi statistici basati sullo storico dei dati, metodi che sfruttano modelli predittivi e controllano quanto la misura reale va a discordarsi da quella prevista, o anche tecniche che sfruttano le potenzialità delle reti neurali e del machine learning (Dorr et al., 1997; Sharma et al., 2010). Noi abbiamo raccolto la conoscenza presente ma abbiamo deciso di rivisitarla per creare un metodo che fosse computazionalmente non complesso e potesse avere una buona efficacia di riconoscimento dei guasti.

Prima di procedere con la spiegazione del metodo che intendiamo applicare per riconoscere le anomalie ai sensori ridondati, si osservi che:

• tra questi sensori, la probabilità di subire guasti per cause indipendenti tra loro è bassa, mentre è molto più probabile che ci sia un modo di guasto comune a tutti e 3

• i sensori, che sono identici, misurano lo stesso fenomeno e, perciò, si può supporre che il loro valore di output dipenda solo dalla grandezza osservata, dalla taratura del dispositivo e dal suo segnale di disturbo casuale.

La conclusione, quindi, è che ci si aspetta che due dispositivi funzionanti diano luogo in media allo stesso valore.

A causa delle osservazioni appena fatte, il nostro metodo di riconoscimento anticipato delle anomalie ai sensori prevede di studiare la differenza tra i valori rilevati, verificando che questa si mantenga statisticamente inalterata nel tempo.

Un possibile guasto viene identificato ad ogni istante 𝑡 in cui la differenza tra due sensori esce fuori da un range stabilito. Trattandosi di variabili continue a media e varianza stazionarie, il range viene imposto a priori uguale alla media della misura più 3 volte la deviazione standard di questa misura, calcolate

durante un regime di funzionamento senza anomalie. Questa scelta aiuta a contenere gli errori di I specie, ovvero il rischio di rifiutare l’ipotesi nulla anche quando è vera.

In ogni istante, devono essere verificate le relazioni seguenti, dove il valore a destra dell’equazione rappresenta il limite di controllo superiore (UCL):

(A − B)

t

≤ A − B̅̅̅̅̅̅̅ + 3s

A−B

(A − C)

t

≤ A − C̅̅̅̅̅̅̅ + 3s

A−C

(B − C)

t

≤ B − C̅̅̅̅̅̅̅ + 3s

B−C

Quando si hanno dei superamenti di soglia, l’obiettivo diventa quello di capire quale/i siano i dispositivi che in quell’istante stanno fornendo la lettura più verosimile per la grandezza osservata. Quindi, per mezzo di una tabella della verità (Tabella 2.2), abbiamo distinto delle categorie di situazioni degradate, dove ciascuna indica il valore da prendere come valore finale.

Tabella 2.2 La tabella della verità mostra 4 categorie di situazioni degradate, che si hanno in base a quante coppie di sensori superano la soglia. Per ogni caso, è riportato il valore da preferire come finale e lo stato di qualità di tale valore.

Se nell’istante di valutazione:

1. Tutte e le 3 coppie di differenze non superano il limite imposto, allora si ritiene che la mediana tra le 3 pressioni sia il valore più verosimile di output.

2. Due coppie di differenze sono al di sopra della soglia, allora la loro intersezione identifica chiaramente il sensore difettoso e la pressione viene calcolata come media tra i 2 sensori “sopravvissuti”.

3. Una sola coppia esce fuori dal range, allora si fa una media pesata tra le tre pressioni, assegnando peso maggiore al sensore che non appartiene alla coppia fuori controllo: in modo empirico prendiamo 0,6 per il peso più grande e 0,2 per gli altri due.

4. Tutte le coppie superano contemporaneamente il limite superiore, allora non disponiamo di informazioni sufficienti per identificare il sensore che sta avendo un comportamento diverso da quello dei “fratelli”.

Un esempio del caso due può essere quando sia la differenza (A – B) che (A – C) eccedono il valor limite. Il sensore A, dato dalla loro intersezione, probabilmente si è guastato e, perciò, esso viene escluso dal calcolo della pressione finale. Supponiamo, invece, che solo la coppia AC stia registrando un valore fuori controllo, allora la nostra tecnica suggerisce di calcolare il valore acquisito come segue:

Valore

f

= 0,2 ∗ Sensore

A

+ 0,6 ∗ Sensore

B

+ 0,2 ∗ Sensore

C

Il modello di monitoraggio proposto, oltre a specificare quale valore di output debba essere considerato il più rappresentativo per la grandezza misurata, gli attribuisce un certo livello di qualità. In questo modo, l’utente può essere informato tramite misurazioni on-line sia del valore che della bontà del valore ottenuto, il quale in alcuni casi sarà anche corredato da uno ‘warning’ o da un allarme.

In particolare, ad ogni categoria abbiamo assegnato i seguenti stati di qualità (e aggiunto eventuali notifiche per gli operatori):

1. Healthy: la misura risultante può essere ritenuta affidabile. Infatti, tutti e 3 i sensori stanno restituendo dei valori all’interno della regione di controllo;

2. Healthy + Error: la misura è ancora buona, ma è necessario produrre un allarme che indichi quale sensore è difettoso e la perdita di ridondanza che ne comporta;

3. Healthy + Warning: questo caso meriterebbe maggior attenzione dal punto di vista teorico, tuttavia dando un peso maggiore al sensore che non fa parte della coppia fuori soglia, si può continuare a ritenere l’output buono con l’aggiunta di una segnalazione sul fatto che 2 dispositivi su 3 stanno avendo un comportamento stranamente diverso tra loro;

4. No Output: tutti e 3 i sensori presentano un comportamento anomalo. Non vi sono informazioni sufficienti per identificare quale sia la misura corretta.

Prima di concludere la trattazione sulla tecnica di diagnostica utilizzata, è doverosa una precisazione. Le casistiche affrontate dal nostro metodo sono tutte riconducibili ad una situazione in cui ogni sensore sta producendo una risposta per la misura. Il modello, perciò, non tiene conto del fatto che i dispositivi potrebbero non funzionare di per sé stessi nel momento in cui si trovano sconnessi dal loro connector al campo. Il risultato è che il sensore sconnesso non fornirà ovviamente alcun dato, ma mancherà proprio. Si aggiungono, allora, altri 3 sotto casi: Il primo si ha quando un solo sensore viene meno e, quindi, resta solo una correlazione tra 2. Se quest’ultima è all’interno dell’intervallo di accettazione dell’ipotesi nulla, si può prendere la media tra i 2 sensori come valore di pressione finale. Se invece, anche la correlazione rimasta va al di fuori del limite di controllo, bisognerà considerare inaffidabile il dato. Infine, l’ultimo caso che vale la pena considerare, è quello in cui mancano 2 sensori su 3. Possiamo decidere di restituire comunque il valore fornito dal terzo sensore, ma la misura sarà del tutto dubbia. Infatti, non avendo abbastanza elementi né per rifiutare né per accettare l’ipotesi nulla, ci troviamo in una situazione di incertezza totale.