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2.1 – Il «commercio invisibile»

Il commercio del sale può essere considerato uno degli esempi più significativi di quello che si potrebbe definire «commercio invisibile», cioè uno di quei traffici che sono particolarmente difficili da descrivere e ricostruire per le epoche più antiche, dato che le tracce materiali lasciate dal loro passaggio sono estremamente labili, se non addirittura inesistenti1. Oltre ad essere un prodotto deperibile di per sé, infatti, il sale non sembra poter essere associato a specifici contenitori legati al suo trasporto e non può pertanto essere ‘rintracciato’ neppure indirettamente, affidandosi al rinvenimento di recipienti la cui tipologia rimandi ad un dato contenuto, immediatamente identificabile con il sale.

Le testimonianze relative all’ambito mediorientale suggeriscono che il sale fosse trasportato soprattutto per mezzo di contenitori di pelle, come sacchi od otri2; in alcuni casi, come si è visto, poteva essere immagazzinato anche in forma di blocchi o mattoni, che probabilmente non richiedevano l’uso di un ulteriore recipiente3.

E’ probabile che anche in ambito mediterraneo si debba ipotizzare il trasporto per mezzo di sacchi di tela o di cuoio, la cui sostanza, altrettanto deperibile di quella del sale, non può certo aver lasciato tracce rilevabili. A titolo d’esempio si consideri che, secondo Arriano, i grani di salgemma scavati presso l’oasi di Ammone erano portati in dono dai sacerdoti ai sovrani egizi in canestri intrecciati di foglie di palma (An. III, 4, 3: ej" koitivda" plekta;" ejk foivniko").

Quanto alla circolazione di blocchi di sale gli unici esempi noti dalle fonti sono chiaramente associati all’estrazione di salgemma, come quello della Cappadocia o di Egelesta, o il il cosiddetto «sale ammoniaco» della Cirenaica4; anche le tecniche di produzione del sale tramite il ricorso al calore artificiale, descritte dagli autori antichi in relazione a popolazioni dell’interno, avevano – a

1 Cfr. D’ERCOLE 2002, 311.

2 Cfr. POTTS 1985, 255-257 (Mesopotamia, II millennio); HKM 114 con DEL MONTE 1995, 136

(regno ittita, prima metà del XIV secolo).

3 Cfr. ancora POTTS 1985, 259, nota 100; DEL MONTE 1995, 134-135 e nota 122; DURAND 1987,

201. Per i casi di briquetage in ambito mesopotamico si vedano i già citati POTTS 1985, 258-267;

BUCCELLATI 1991; per i ‘mattoni’ di sale di Deir-el-Medineh, LUCAS 1948³, 305.

quanto se ne deduce – la finalità di ottenere sale in polvere o soluzioni saline fortemente concentrate, mai blocchi di sale5.

Al momento l’unico esempio di un contenitore ceramico per il quale è stato ipotizzato un legame con il sale è rappresentato da un frammento di anfora attica del tipo SOS, rinvenuto nella necropoli di S. Montano a Ischia. Su tale frammento, corrispondente alla spalla, è incisa un’iscrizione sinistrorsa in lingua greca, ˙a, datata tra il 725 ed il 650, che gli editori suggeriscono di interpretare come un’indicazione del contenuto, cioè aJ(l"), «sale»6. Ammesso che la proposta possa essere accettata, tuttavia, è opportuno sottolineare che l’iscrizione, essendo stata incisa dopo la cottura, potrebbe non avere alcuna relazione con l’originaria destinazione del contenitore7.

Come si vede, per delineare un quadro della circolazione del sale è necessario fare appello ancora una volta alle notizie tramandate dalle fonti scritte. In questo più che in altri contesti, tuttavia, è necessario tenere presente che la scarsità di elementi disponibili e la loro eterogeneità consentono soltanto di impostare un discorso generale e inevitabilmente generico su alcune dinamiche che sembrano aver caratterizzato la circolazione del sale a livello del Mediterraneo antico; al momento risulta invece impossibile isolare e delineare con precisione il tema nei diversi ambiti spaziali e temporali compresi all’interno di questo quadro.

5 Cfr. Arist. Mete. II, 3; Antig. Mir. 143; Plin. n.h. XXXI, 82 (Caonia); Arist. Mete. II, 3; Plin. n.h.

XXXI, 83 (Umbri); Varr. De re rus. I, 7, 8; Plin. n.h. XXXI, 83; Tac. Ann. XIII, 57 (Gallia e Germania). I casi di briquetage mediterranei di cui si è avuto modo di parlare risalgono tutti ad epoche anteriori alla menzione del sale nelle fonti scritte: cfr. MORÈRE 1994, 240-243; MORÈRE

2002; PASQUINUCCI,MENCHELLI 2002; ancora incerta la natura del rinvenimento di Zakros (cfr. KOPAKA,CHANIOTAKIS 2003).

6 Cfr. BARTONĔK,BUCHNER 1995-1996, n. 30 (SEG XLVII, n. 1488).

7 Tra il vasellame da tavola esiste una tipologia nota nella letteratura moderna con il nome di

«saltcellar», che indica solitamente una tazza di piccole dimensioni e di capacità limitata, di cui si ipotizza l’impiego come recipiente per condimenti da porre sulla mensa (cfr. SPARKS,TALCOTT

1970, 132-138); non esiste tuttavia alcun legame acclarato tra questa tipologia e il sale. Gli unici utensili da cucina menzionati nelle fonti in relazione al sale sono costituiti, a mia conoscenza, da un contenitore di legno in cui il sale veniva triturato, la aJliva, citato da due comici attici di V secolo (Archipp. fr. 13 Kassel-Austin; Stratt. fr. 15 Kassel-Austin; cfr. Poll. X, 169), e da un pestello ‘a doppia testa’, citato in un epigramma dell’Antologia Graeca (VI, 306, v. 7: dikavranon aJlotrivba).

2.2 – Circolazione del sale dal litorale verso l’entroterra

Descrivendo il massiccio del Caucaso Strabone riferiva che le popolazioni che ne abitavano le zone più inaccessibili convergevano spesso a Dioscurias, il principale centro della Colchide, per procurarsi il sale (XI, 5, 6: sunevrcontai de; to; plei'ston aJlw'n cavrin). E’ singolare rilevare come molti secoli più tardi, nel 1672, il battello su cui viaggiava P. Chardin tra la penisola di Kerch e Sebastopoli, l’antica Dioscurias, fece sosta 50 miglia ad est di Caffa per imbarcare ingenti quantità di sale da trasportare a destinazione, proprio nella Colchide1.

Sulla base della suggestiva consonanza tra queste due testimonianze ritengo verosimile ipotizzare che Dioscurias – nell’antichità come in età moderna – costituisse il principale mercato da cui il sale proveniente dal Chersoneso Taurico, o da altre zone del litorale settentrionale del Mar Nero provviste di ingenti risorse, si diffondeva verso l’entroterra della Colchide.

Si ricordi, del resto, che alla fine del I d.C. Dione di Prusa osservava che nella vasta area paludosa formata dalle foci del Borysthenes e dello Hypanis erano presenti numerose saline, presso cui si rifornivano la maggior parte delle popolazioni indigene, come anche i Greci e gli Sciti che abitavano il Chersoneso Taurico (XXXVI, 3). Benché il fatto che gli abitanti del Chersoneso Taurico acquistassero sale presso il Borysthenes risulti un po’ sorprendente, se si considera che la penisola di Crimea doveva essere dotata per proprio conto di vaste aree destinate alla produzione di sale, è interessante riscontrare che le popolazioni barbariche dell’interno della Scizia si procuravano il sale presso quelle stesse saline, che ancora nel XVIII secolo costituivano un centro di approvvigionamento per i Cosacchi provenienti dal nord2.

In entrambi i casi è impressionante notare come le dinamiche di diffusione del sale dal litorale settentrionale del Mar Nero, particolarmente ricco di saline, verso le aree dell’entroterra, che non potevano contare sulla stessa disponibilità di risorse, sembrano essersi mantenute costanti tra l’epoca antica e quella moderna.

1 Si veda BALADIÉ 1994, 163. 2 Cfr. ancora BALADIÉ 1994, 158-160.

Una situazione analoga sembra aver riguardato anche le zone centrali della Tracia. Secondo una nota contenuta nel testo del grammatico Polluce, infatti, il termine aJlwvnhtoi, ovvero «acquistati con il sale», veniva impiegato per indicare gli schiavi di scarso valore e derivava dal fatto che i Traci della mesogaia erano soliti acquistare sale in cambio di schiavi (VII, 14): aJlwvnhtoi dæ ejkalou'nto oiJ mhdeno;" a[xioi tw'n oijkevtwn, o{ti tw'n Qrakw'n oiJ mesovgeioi aJlw'n ajntikathllavttonto tou;" oijkevta". La stessa etimologia è riportata anche nel lessico di Suida, s.v. aJlwvnhto", dove si faceva ancora una volta riferimento allo scambio tra sale e schiavi praticato dai Traci e dove il termine veniva impiegato come sinonimo di bavrbaro".

Può essere interessante, a questo proposito, richiamare il commento dell’anonimo autore del De Mirabilibus Auscultationibus, che, nel riferire il funzionamento della sorgente salata sfruttata dalle tribù illiriche degli Autariati e degli Ardiei, rilevava come tali popolazioni potessero disporre solo di questa fonte di approvvigionamento, dal momento che vivevano lontano dal mare e non si mescolavano con gli altri (138: ouj ga;r eijsavgontai pro;" aujtou;" a{le" dia; to; katoikei'n povrrw aujtou;" th'" qalavssh" kai; ei\nai aujtou;" ajmivktou"). Nel contesto di un’economia di tipo autarchico, in cui l’uso di sale importato dal litorale era prescluso dall’assenza di relazioni commerciali, il controllo della sorgente, come sottolineava Strabone, non poteva che costituire un motivo di tensione e scontri continui tra le due popolazioni confinanti (VII, 5, 11)3.

Non è un caso, probabilmente, che le poche testimonianze che fanno esplicitamente riferimento al traffico di sale riguardino popolazioni dell’interno, che, abitando lontano dal mare, erano costrette a procurarsi il sale o tramite tecniche di produzione alternative rispetto all’evaporazione delle acque marine o intrattenendo relazioni commerciali con il litorale.

3 Cfr. ALEXIANU (c.d.s.). Non è fuori luogo richiamare anche il racconto di Tacito a proposito

degli scontri tra le tribù germaniche dei Chatti e degli Hermunduri: essendo impossibilitati a produrre il sale attraverso l’evaporazione dell’acqua marina, infatti, le due popolazioni si davano costantemente battaglia per il controllo di un fiume salato da cui estraevano sale – come si è già avuto modo dire – attraverso una tecnica piuttosto complessa (Ann. XIII, 57). Secondo Ammiano Marcellino anche i Burgundi e gli Alamanni si scontravano frequentemente a causa dei confini e delle saline, identificabili probabilmente con sorgenti salate (XXVIII, 5, 11: Burgundi… salinarum

La profezia di Tiresia sul destino di Odisseo, a cui si è più volte accennato (Od. XI, 122-137; XXIII, 269-284), ben esemplifica il nesso tra conoscenza del mare e disponibilità di sale che emerge con chiarezza dall’analisi dei testi antichi; si è già ampiamente insistito, del resto, sulle condizioni ambientali e climatiche particolarmente favorevoli che il bacino del Mediterraneo nel suo insieme offriva all’evaporazione delle acque marine. In un contesto in cui la produzione di sale – almeno per quanto concerne il consumo base delle singole realtà locali – doveva essere diffusa su quasi tutti i litorali, non sorprende che il traffico del sale si svolgesse soprattutto lungo direttrici che dalla costa portavano verso l’interno e che in taluni casi rappresentasse una moneta di scambio tutt’altro che trascurabile con le popolazioni dell’entroterra.

In questo senso deve essere interpretata la notizia riferita da Strabone a proposito dei Fenici di Gades e dei loro rapporti con le famose e misteriose isole Cassiteridi (Strabo III, 5, 11):

aiJ de; Kattiterivde" devka mevn eijsi, kei'ntai dæ ejggu;" ajllhvlwn, pro;" a[rkton ajpo; tou' tw'n ∆Artavbrwn limevno" pelavgiai: miva dæ autw'n e[rhmov" ejsti, ta;" dæ a[lla" oijkou'sin a[nqrwpoi... zw'si dæ ajpo; boskhmavtwn nomadikw'" to; plevon. mevtalla de; e[conte" kattitevrou kai; moluvbdou kevramon ajnti; touvtwn kai; tw'n dermavtwn diallavttontai kai; a{la" kai; calkwvmata pro;" tou;" ejmpovrou". provteron me;n ou\n Foivnike" movnoi th;n ejmporivan e[stellon tauvthn ejk tw'n Gadeivrw'n, kruvptonte" a{pasi to;n plou'n.

«Le isole Cassiteridi sono dieci e giacciono l’una accanto all’altra, verso nord, al largo del porto degli Artabri. Una di esse è deserta, mentre le altre sono abitate da uomini… che vivono di pastorizia, perlopiù nomadi. Posseggono miniere di stagno e di piombo e scambiano nei mercati questi prodotti e le pelli con vasellame, sale e manufatti in bronzo. Anticamente solo i Fenici praticavano questo scambio partendo da Gades e tenendo segreta a tutti la rotta (trad. it. di F. Trotta)».

Segue il racconto di come i Romani avessero tentato di seguire una nave fenicia per scoprire quale fosse la rotta per le isole Cassiteridi e di come il capitano della nave avesse protetto il segreto attirando gli inseguitori in un naufragio. In seguito tuttavia, Publio Crasso, pretore della Hispania Ulterior nel

96-94, vi sarebbe sbarcato per proprio conto ed avrebbe fornito a tutti le informazioni utili per sfruttare al meglio la rotta.

Anche questa testimonianza, come si vede, collega il commercio del sale a popolazioni che – pur abitando in un contesto insulare e non continentale – si trovavano comunque al di fuori dell’orizzonte mediterraneo, in un’area del tutto marginale del mondo civilizzato, lontane dalle principali fonti di approvvigionamento del sale.

Senza entrare nel lungo dibattito sull’esistenza o meno delle isole Cassiteridi e sulla loro eventuale collocazione, è opportuno ricordare che una delle principali vie attraverso cui il Mediterraneo riceveva lo stagno proveniente dall’Atlantico – dalle coste iberiche, così come da quelle armoricane e britanniche – era proprio la rotta marittima a cui faceva allusione Strabone, appannaggio esclusivo dei navigatori fenicio-punici, sino a che la conquista romana della penisola iberica e poi della Gallia non aprirono strade alternative verso l’Atlantico4.

E’ interessante rilevare che nel testo di Strabone si accenna ad uno scambio diretto tra il sale e gli oggetti d’artigianato portati dai Fenici da una parte e lo stagno ed il piombo di cui le isole Cassiteridi erano ricche dall’altro. Lo stesso tipo di dinamica sembra potersi ipotizzare anche a proposito degli insediamenti fenici sulle coste meridionali della penisola iberica: come è stato già rilevato, infatti, questi insediamenti si pongono in posizione strategica non solo in rapporto alle vie di comunicazione con le zone minerarie dell’interno – in particolare la valle del Guadalquivir e la Sierra Morena, ricche in piombo argentifero –, ma anche rispetto allo sfruttamento delle lagune e degli stagni costieri che caratterizzavano le foci dei fiumi, come il Guadiana, il Tinto, il Guadalquivir, e il litorale basso inondato dalle alte maree, come nella baia di Cadice.

E’ possibile, quindi, che il sale ottenuto in grandi quantità grazie al ricorso all’evaporazione delle acque marine fosse utilizzato come uno dei prodotti di scambio nelle transazioni commerciali con le popolazoni dell’interno, il cui territorio era ricco dei minerali a cui i Fenici insediati sulla costa erano

4 Sul problema dell’identificazione delle isole Cassiteridi si vedano, tra gli altri, DION 1952 e

particolarmente interessati5. Questa coincidenza tra la ricerca di minerali e lo sfruttamento del sale, del resto, può essere messa in relazione anche con il ruolo che il sale probabilmente giocava in alcuni procedimenti chimici base della metallurgia: in questo caso, infatti, il sale non avrebbe costituito solo un prodotto di scambio con le popolazioni dell’interno, ma anche un mezzo essenziale per lo sviluppo della metallurgia connessa all’estrazione dei minerali, di cui si è già avuto modo di mettere in rilievo l’importanza6.

Una situazione analoga può essere ipotizzata per gli insediamenti greci sulla costa meridionale della Francia: è possibile, infatti, che anche in questo contesto il sale – al pari del vino e di altri prodotti del litorale – servisse da merce di scambio con le popolazioni dell’interno, presso cui i coloni Greci si procuravano i preziosi minerali provenienti dal Massiccio Centrale o, attraverso le vie fluviali, dalle coste nord-occidentali della Francia e dalla Cornovaglia7.

Benché la principale funzione delle fondazioni massaliote lungo il litorale meridionale della Francia debba essere individuata, come già affermava Strabone (IV, 1, 9), nella necessità di difendersi dai barbari dell’interno e di mantenere libero l’accesso al mare, non si può ignorare che la maggior parte di quegli insediamenti corrispondevano non solo agli sbocchi delle principali vie di comunicazione con l’interno, ma anche a siti in cui lo sfruttamento del sale marino era particolarmente favorito8. In questo senso è probabile che la facilità di procurarsi il sale abbia giocato un qualche ruolo nella scelta dei siti in cui furono

5 Cfr. CHAVES TRISTAN,GARCÍA VARGAS 1991, 144-146. 6 Cfr. MORERE 2001, 525-527; MORERE (c.d.s.)b.

7 Cfr. MOREL 1966, 409. Sull’arrivo dello stagno dalle isole britanniche a Massalia e Narbona si

veda Diod. V, 38: polu;" de; kai; ejk th'" Brettanikh'" nhvsou diakomivzetai pro;" th;n katæ ajntikru; keimevnhn Galativan, kai; dia; th'" mesogeivou Keltikh'" ejfæ i{ppwn uJpo; tw'n ejmpovrwn a[getai parav te tou;" Massaliwvta" kai; eij" th;n ojnomazomevnhn povlin Narbw'na «Molto stagno giunge anche dall’isola Britannica nella Gallia di fronte ed è trasportato dai mercanti su cavalli, attraverso l’interno della Gallia, fino a Marsiglia e alla città chiamata Narbona (trad. it. di D.P. Orsi)». Anche Posidonio, citato da Strabo III, 2, 9, riferiva dello stesso commercio: genna'sqai (sc. to;n kattivteron) dæ e[n te toi'" uJpe;r tou;" Lusitanou;" barbavroi" kai; ejn tai'" Kattiterivsi nhvsoi", kai; ejk tw'n Prettanikw'n de; eij" th;n Massalivan komivzesqai «Si produce (sc. lo stagno) tra i barbari che abitano oltre i Lusitani e nelle isole Cassiteridi; viene anche portato fino a Massalia dalle isole della Britannia (trad. it. di F. Trotta)». In generale sull’importanza delle vie di comunicazione fluviale tra la costa meridionale della Francia e quella settentrionale si veda Strabo IV, 1, 14.

fondati e che uno sfruttamento sistematico di quella risorsa sia stato sollecitato dalle esigenze del mercato interno9.

Anche in ambito italico, come si è visto, l’accesso ai luoghi di produzione del sale sul litorale e la possibilità di controllarne il commercio verso l’entroterra devono aver costituito un fattore non trascurabile nella formazione e nello sviluppo di alcuni importanti centri.

Si è già avuto modo di rilevare come la prosperità di alcuni insediamenti del

Latium Vetus, come Castel di Decima, Acqua Acetosa Laurentina e Ficana, tra il

IX e l’VIII secolo, possa essere stata raggiunta grazie alla loro partecipazione al commercio del sale, in funzione subordinata rispetto a Veio10. E’ innegabile, del resto, che questa città etrusca fosse divenuta una delle più ricche dell’Italia centrale anche grazie al controllo della rete stradale attraverso cui il sale prodotto alla foce del Tevere veniva trasportato verso l’entroterra11.

Non è un caso, quindi, che la rivalità tra Roma e Veio, che Dionigi di Alicarnasso faceva risalire già al tempo di Romolo, sia gravitata, come indicano chiaramente le fonti, attorno al possesso delle saline alla foce del Tevere12. E’ chiaro, infatti, che il ruolo di primo piano che questa derrata rivestiva nell’economia delle popolazioni dell’interno, dedite soprattutto all’allevamento ed alla trasformazione dei prodotti derivati, rendeva il controllo della produzione di sale sul litorale e delle sua vie di transito nell’entroterra un passaggio fondamentale per affermare la propria egemonia sulle regioni limitrofe.

Il fatto che il commercio del sale abbia costituito uno dei principali fattori di sviluppo della Roma arcaica, del resto, è ben esemplificato dal nome e dalla funzione della più antica strada romana, la via Salaria, attraverso cui il sale convogliato a Roma dal litorale veniva trasportato verso la Sabina13.

9 Cfr. BATS 1986; ARCELIN 1986, 17-19. 10 Cfr. CORDANO 2002.

11 Cfr. GIOVANNINI 1985, 383. E’ stato ipotizzato, come si ricorderà, che anche la città di

Tarquinia avesse esteso la propria sfera d’influenza sulla piana costiera antistante già a partire dal X secolo allo scopo di gestire il commercio del sale prodotto sul litorale in direzione dell’Etruria centro-meridionale: cfr. MANDOLESI 1999, 193-194, 200-202; BONGHI JOVINO 2002.

12 Si vedano Dion. Hal. II, 55, 5; III, 41, 3; Liv. I, 33, 9; Plu. Rom. 25, 5.

13 E’ possibile, come si è visto, che il possesso delle saline sul litorale, connesso all’importanza

che il sale rivestiva nell’allevamento e nelle attività derivate, abbia costituito anche per Pompei un fattore determinante nello sviluppo come centro emporico e come polo di attrazione per i movimenti di transumanza dell’area tra VII e VI: cfr. MUROLO 1995, 119-122.

Benché sia forse eccessivo, come è stato proposto, leggere tutto il processo di espansione della città nell’Italia centro-meridionale, tra IV e III secolo, solo come un tentativo di impadronirsi delle principali saline delle coste tirreniche ed adriatiche (Canusium, Atri, Nuceria, Taranto), per avere uno strumento di pressione nei confronti delle aree interne, resta innegabile che Roma si sia posta in precoce concorrenza con Veio sia per il controllo delle saline del Tevere sia come centro di redistribuzione del sale verso l’interno, tanto che persino dopo la distruzione della città, nel 396, le saline – evidente nodo strategico dell’area – rimasero al centro degli scontri con le restanti popolazioni etrusche14.

Sul versante adriatico è opportuno considerare, infine, la posizione dei due insediamenti di Adria e Spina, collocati proprio sulla vasta zona paludosa formata dalla foce del Po. Se nel V secolo i due centri poterono contare sui prodotti d’esportazione provenienti dalla Grecia, ed in particolare da Atene, come moneta di scambio con il proprio entroterra, nel periodo precedente ed in quello successivo la loro sopravvivenza come empori – se pure su un livello più modesto – può essere in parte attribuita, come è stato ipotizzato, al commercio del sale. Se

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