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Il sale nel mondo greco (VI a.C. - II d.C.) : luoghi di produzione, circolazione commerciale, regimi di sfruttamento nel contesto del Mediterrano antico

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Scuola Normale Superiore

Tesi di perfezionamento in discipline storiche classiche

Cristina Carusi

Il sale nel mondo greco (VI a.C. – II d.C.)

Luoghi di produzione, circolazione commerciale, regimi di

sfruttamento nel contesto del Mediterraneo antico.

Relatori

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Indice

Introduzione 5

Tavola delle abbreviazioni 13

1 – I luoghi di produzione del sale nel Mediterraneo antico

15

1.1 – Le fonti scritte 17 1.2 – La ricerca archeologica 33 1.3 – Attica 41 1.4 – Megaride 52 1.5 – Argolide 57 1.6 – Delfi 60 1.7 – Eubea e Tessaglia 63 1.8 – Macedonia 62 1.9 – Mar Nero 68

1.10 – Asia Minore ed isole dell’Egeo 81

1.11 – Creta 95

1.12 – Cipro 105

1.13 – Siria, Fenicia, Palestina 108

1.14 – Egitto 112 1.15 – Africa settentrionale 119 1.16 – Iberia 127 1.17 – Francia meridionale 137 1.18 – Sardegna 141 1.19 – Sicilia 144 1.20 – Italia 149 1.21 – Illiria e Dalmazia 166

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2 – Circolazione commerciale del sale nel Mediterraneo antico 169

2.1 – Il «commercio invisibile» 171

2.2 – Circolazione del sale dal litorale verso l’entroterra 173 2.3 – L’approvvigionamento di sale nel bacino del Mediterraneo 180

2.4 – Valore economico del sale nelle fonti antiche 193

2.5 – Circolazione commerciale delle salagioni nel Mediterraneo antico 197

3 – Regimi di sfruttamento del sale nel Mediterraneo antico

213

3.1 – Poleis greche di età classica ed ellenistico-romana 215

3.2 – Egitto greco-romano 222

3.3 – Regno Seleucide 242

3.4 – Rapporti tra sovrani ellenistici e poleis greche 255

3.5 – Province romane 262

3.6 – Quadro conclusivo 281

Sintesi finale 287

Bibliografia 291

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Introduzione

Il sale ha trovato sino a questo momento spazi piuttosto limitati nell’ambito degli studi sull’antichità: si consideri che le uniche trattazioni sistematiche dedicate al ruolo della produzione e del commercio del sale nel mondo greco e romano restano ancora la voce Sal del Dictionnaire des antiquités grecques et

romaines e la voce Salz della Real-Encyclopädie, risalenti rispettivamente al 1911

ed al 19201.

Ciò può risultare sorprendente se si considera come in molti testi antichi e nella moderna letteratura la fondamentale importanza di questa derrata sia esplicitamente sottolineata, non solo, come si vedrà a breve, in relazione all’alimentazione quotidiana, ma anche a numerosi altri settori dell’attività umana.

Nonostante la rilevanza di questo tema non sia quindi in discussione, è indubbio che gli studi moderni si sono scontrati con l’oggettiva difficoltà di delineare un quadro coerente e sistematico della produzione e del commercio del sale nel mondo antico, dovuta soprattutto alla scarsità di dati disponibili ed alla loro ‘dispersione’ in un arco cronologico ed in uno spazio geografico piuttosto ampi.

Non a caso nel presentare il famoso Questionnaire pour une enquête sur le

sel dans l’histoire au moyen age et aux temps modernes, che enunciava i principi

metodologici essenziali per affrontare una ricostruzione del ruolo del sale nella storia, Jeannin e Le Goff osservavano che una tale ricerca poteva partire soltanto dall’XI-XII secolo, dal momento che le lacune della documentazione e la mancanza di dati quantitativi impedivano di mettere in luce l’importanza politica ed economica del sale nell’antichità e nell’alto medioevo2.

I sempre più numerosi lavori e convegni che sono stati consacrati al sale nel corso del secolo scorso, ed in particolare a partire dagli anni Sessanta, si sono

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concentrati soprattutto sulla produzione ed il commercio del sale nel basso medioevo ed in età moderna e contemporanea3. A ciò si è aggiunto, negli ultimi anni, un interesse crescente per le forme di sfruttamento del sale nelle epoche preistoriche e protostoriche, sollecitato dai recenti studi archeologici che hanno permesso – come dirò meglio più avanti – di approfondire il funzionamento delle tecniche di produzione del sale e le loro implicazioni economiche e sociali nell’ambito delle civiltà coeve4.

In questo contesto il ruolo del sale nel mondo greco e romano è rimasto un tema d’indagine sostanzialmente inesplorato, tanto che nelle opere generali sulla storia del sale lo spazio dedicato a questo settore è solitamente marginale e si limita spesso a ripetere alcuni luoghi comuni, forse suggeriti da analogie con fenomeni che sembrano aver riguardato piuttosto altre realtà o altri periodi storici.

Mi riferisco, ad esempio, all’idea che lo sfruttamento intensivo del sale fosse praticato soltanto in pochi centri che possedevano le caratteristiche necessarie e che tale concentrazione delle risorse avesse dato luogo a traffici a lunga distanza di importanza considerevole; oppure, alla convinzione che la produzione ed il commercio del sale fossero spesso sottoposti al controllo delle singole entità politiche, se non organizzati in veri e propri monopoli statali, e che il sale rappresentasse un oggetto privilegiato di tassazione. Tali nozioni, spesso date per scontate e ripetute anche in molta letteratura sul mondo antico, necessitano ormai di una revisione o almeno di una verifica.

3 Nel XIX secolo sono apparsi alcuni studi ‘pionieristici’ sulla storia generale del sale come V.

Hehn, Das Salz, eine kulturhistorische Studie, Berlin 1873; A. Schmidt, Das Salz, eine

volkswirtschaftliche und finanzielle Studie, Leipzig 1874; M. J. Schleiden, Das Salz. Seine Geschichte, seine Symbolik und seine Bedeutung in Menschenleben. Eine monographische Skizze,

Leipzig 1875. In seguito tra i contributi più significativi e determinanti mi preme ricordare il volume colletivo curato da M. Mollat, Le rôle du sel dans l’histoire, Paris 1968, nel quale è comparso il famoso Questionnaire di Jeannin e Le Goff. La monografia di HOCQUET 1982²,

benché dedicata al commercio veneziano del sale tra basso medioevo ed età moderna, costituisce uno dei punti di riferimento fondamentali in ogni bibliografia sulla storia del sale; si vedano inoltre le monografie generali di BERGIER 1982 e di ADSHEAD 1992. Nell’impossibilità di menzionare i

numerosi studi apparsi negli ultimi decenni, mi limito a ricordare che nel 1988, proprio su impulso di J.-C. Hocquet, è stata fondata la Commission internationale d’histoire du sel, che riunisce periodicamente in convegni d’interesse generale gli studiosi di storia del sale di tutte le epoche e di tutto il mondo ed i cui atti costituiscono dei contributi essenziali per la comprensione delle tematiche relative alla produzione ed al commercio del sale.

4 Basti fare riferimento in questa sede al volume curato da O. Weller, Archéologie du sel:

techniques et sociétés dans la Pré- et Protohistoire européenne. Actes du Colloque 12.2 du XIVe

Congrès de UISPP, Liège, 4 septembre 2001 et de la Table Ronde du Comité des Salines de France, Paris, 18 mai 1998, Rahden/Westf 2002, che riunisce i più recenti contributi sull’archeologia del sale. Per l’area vicino-orientale si vedano POTTS 1985 e BUCCELLATI 1991.

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Da questa constatazione nasce l’intenzione di proporre una nuova rassegna ed una nuova analisi delle fonti letterarie, dei documenti epigrafici e papirologici e dei dati forniti dalla ricerca archeologica riguardanti i luoghi di produzione, la circolazione commerciale ed i regimi di sfruttamento del sale.

Purtroppo, come si è detto, il tipo di documentazione disponibile presenta diversi inconvenienti. Per quanto riguarda le fonti letterarie, oltre alla scarsa reperibilità di informazioni riguardanti il sale, è necessario tenere presente che la maggior parte delle indicazioni non provengono quasi mai da opere in cui il sale costituiva l’interesse principale dell’autore, ma sono generalmente ricavate da contesti estremamente eterogenei, in cui il sale veniva menzionato perlopiù casualmente.

A ciò si aggiunga che nel caso di opere a carattere compilativo è spesso difficile ricostruire da quale fonte precedente fosse stata dedotta la singola notizia: ne consegue che risulta talora impossibile attribuire una precisa datazione alle diverse informazioni disponibili e collocare in una successione cronologica attendibile i diversi dati da esse ricavati.

Anche se il numero dei testi epigrafici in cui si fa riferimento al sale è estremamente ridotto, i dati da essi forniti sono perlopiù di grande interesse, dal momento che provengono generalmente da documenti di carattere ufficiale, spesso databili con una certa precisione. Ciò non toglie, tuttavia, che anche in questo caso lo scopo ed il contenuto del singolo documento sono talora difficili da ricostruire e non sempre permettono di trarre conclusioni definitive sulle problematiche da essi sollevate.

Decisamente più consistente è l’entità della documentazione papiracea, che costituisce una miniera di preziosi ragguagli su molti aspetti sia pubblici che privati della produzione e del commercio del sale. Si consideri, tuttavia, che oltre a presentare questioni interpretative analoghe a quelle della documentazione epigrafica, i testi su papiro – salvo rare eccezioni – forniscono soltanto informazioni circoscritte all’ambito dell’Egitto tolemaico e romano.

Ancora piuttosto modesti sono invece i dati derivati dalla ricerca archeologica, dal momento che un’indagine di questo tipo sulle strutture e sui materiali funzionali allo sfruttamento ed al commercio del sale presenta – come si

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vedrà – non poche difficoltà inerenti all’oggetto stesso della ricerca. Da non sottovalutare, in ogni caso, il contributo che possono fornire in via indiretta i dati relativi alla produzione ed al commercio di salagioni, la cui entità e il cui rilievo sono al momento più consistenti.

Come specificato nel titolo, il principale oggetto di questo studio deve essere considerato il mondo greco, indagato non solo nell’ambito delle singole

poleis e dei regni greco-macedoni di età ellenistica, ma anche nell’impatto che le

strutture provinciali romane ebbero sullo sfruttamento delle risorse locali. Ciononostante nel corso della ricerca si è reso indispensabile allargare il quadro geografico sino a comprendere l’intero bacino del Mediterraneo con il suo

hinterland e le formazioni politiche ad esso pertinenti.

Allo stesso modo, benchè le testimonianze e i documenti analizzati siano compresi tra il VI secolo a.C. ed il II secolo d.C., in taluni casi si è avvertita l’esigenza di estendere l’arco cronologico, in modo da fare riferimento, da un lato, allo sfruttamento del sale nelle società preistoriche e protostoriche europee e nell’area vicino-orientale successivamente occupata dai Persiani, dall’altro, al regime della produzione e del commercio del sale vigente nel basso impero romano.

Ciò è avvenuto non solo per assecondare i vincoli imposti dalla documentazione, la cui ‘dispersione’ avrebbe reso estremamente improduttivo limitare l’indagine al solo mondo greco, ma anche perché si è acquisita la consapevolezza che solo trattando queste tematiche all’interno di una più ampia prospettiva e di una serie di confronti sarebbe stato possibile tentare di restituire un senso ed una dimensione storica a notizie riferibili ad epoche ed aree molto lontane tra loro, che rimanendo isolate nel loro contesto non avrebbero potuto offrire alcun elemento di riflessione.

Per quanto riguarda l’individuazione dei luoghi di produzione del sale sono state prese in esame – suddivise per aree geografiche – tutte le testimonianze scritte che in modo diretto od indiretto potessero segnalare l’esistenza di saline, miniere di salgemma, sorgenti o laghi salati. Oltre a ciò, le osservazioni suggerite dai dati archeologici, dalla toponomastica o dalla conformazione del paesaggio non solo hanno spesso confermato le conclusioni tratte dalla documentazione

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scritta, ma in taluni casi hanno anche consentito di localizzare con più precisione i siti in cui avveniva lo sfruttamento del sale.

Benché siano stati presi in considerazione esclusivamente i luoghi di produzione segnalati dalle fonti, il quadro che ne è emerso induce a credere che lo sfruttamento del sale forse largamente diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo: se è probabile, infatti, che siano esistiti centri in cui la produzione deve aver raggiunto livelli quantitativi ragguardevoli – spesso in relazione al funzionamento di altre attività, come la lavorazione di salagioni –, è altrettanto verosimile ipotizzare che l’installazione di piccoli impianti o la raccolta di sale formatosi spontaneamente – destinato perlopiù agli usi quotidiani – abbiano trovato condizioni particolarmente favorevoli lungo tutto il litorale mediterraneo.

Per quanto riguarda la circolazione commerciale, le testimonianze analizzate sembrano confermare che l’approvvigionamento di sale non costituisse un problema per la maggior parte delle comunità e degli stati antichi che si affacciavano sul Mediterraneo o che avevano immediato accesso ad esso. Al contrario, le poche notizie in cui si fa esplicito riferimento al traffico di sale riguardano soprattutto popolazioni dell’entroterra, costrette – in mancanza di altre risorse – a procurarsi questa derrata intrattenendo scambi commerciali con il litorale.

Ciò non significa, naturalmente, che la circolazione di sale fosse completamente insignificante nel bacino del Mediterraneo: l’esistenza di tipi di sale particolarmente rinomati tra gli autori antichi o la necessità, da parte di alcuni centri, di disporre di surplus destinati a sostenere attività di altro tipo rendono verosimile che almeno a livello regionale il traffico di sale avesse raggiunto in taluni contesti una certa rilevanza. E’ stato possibile constatare, inoltre, che la redistribuzione delle risorse di sale per il consumo alimentare doveva avvenire soprattutto attraverso la mediazione di prodotti che ne contenevano in grande quantità, quali le salagioni, la cui intensa circolazione è ben documentata all’interno del Mediterraneo.

Il fatto che un prodotto così diffuso e d’importanza così rilevante come il sale abbia lasciato relativamente poche tracce nella documentazione disponibile sembra in parte potersi spiegare – aldilà degli accidenti della trasmissione –

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proprio con la sua facile ed immediata reperibilità e con il valore economico decisamente modesto che sembrano attribuirgli le fonti.

Tenendo conto del quadro delle risorse e dei traffici che è stato possibile ricostruire – pur con molti limiti – a livello mediterraneo, è verosimile ipotizzare che molte poleis greche e molti governi locali non abbiano considerato il sale un prodotto strategico e non abbiano manifestato – salvo giustificate eccezioni – un particolare interesse nei confronti del suo sfruttamento e delle sue eventuali implicazioni fiscali. La questione si pone in termini diversi, come si vedrà, a proposito delle più vaste e complesse formazioni politiche di età ellenistica e con il successivo avvento del dominio romano, che si sovrapposero e talvolta entrarono in contrasto con le realtà locali.

Anche nel caso dei regimi di sfruttamento delle risorse, quindi, si è ritenuto opportuno proporre un confronto con altre entità politiche, precedenti o contigue, che aiutasse a rendere conto non solo dei diversi atteggiamenti in relazione alla produzione ed al commercio del sale ed alla fiscalità ad essi connessa, ma anche della complessità di situazioni che sembrano aver caratterizzato lo statuto giuridico ed il sistema di gestione delle risorse nei diversi ambiti presi in considerazione.

L’auspicio è che l’analisi della documentazione qui proposta riesca almeno in parte a chiarire la maggiore o minore validità di quegli schemi e di quelle nozioni generalmente applicati all’interpretazione del ruolo del sale nel mondo greco ed i limiti – storici, geografici, concettuali – entro cui tali schemi e tali nozioni devono essere intesi, con l’ambizione – apertamente confessata – che un lavoro di questo genere possa contribuire in qualche modo a scrivere un capitolo della più generale «storia del sale».

Desidero ringraziare in primo luogo i miei relatori, Ugo Fantasia e Carmine Ampolo, che hanno subito accolto con entusiasmo la mia idea di dedicare la tesi di perfezionamento al tema del sale nel mondo greco e che in seguito l’hanno sostenuta con decisa convinzione e con la loro salda guida scientifica, soprattutto nei momenti in cui io stessa ne ho più fortemente dubitato. Spero che l’impegno profuso in questo lavoro possa rispondere alle loro aspettative e far perdonare i miei ritardi.

Sono estremamente grata a Léopold Migeotte e a Nuria Morère, che, accettando di leggere questo testo e di partecipare alla discussione, hanno mostrato interesse per la mia ricerca ed hanno messo a mia disposizione la loro esperienza e le loro preziose critiche.

Il lavoro di ricerca e l’elaborazione del manoscritto hanno preso avvio durante il triennio di perfezionamento presso la Scuola Normale Superiore. In questo periodo il mio principale appoggio

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– logistico, umano, scientifico – è stato il Laboratorio Informatico per le Lingue Antiche «G. Nenci»; non posso far altro, quindi, che confessare apertamente il mio debito verso tutte le amiche e gli amici che hanno lavorato letteralmente al mio fianco dentro il LILA: Anna Santoni, Antonella Russo, Anna Magnetto, Donatella Erdas, Gianluca Casa, e tutti gli altri, ai quali ho fatto pesare in molti modi i miei dubbi, i miei errori e la mia impazienza, ricevendo sempre in cambio aiuti e consigli.

Tra gennaio e giugno 2003, durante un soggiorno a Parigi presso l’École Normale Superieure – dove sono stata ricevuta con grande gentilezza da Jean-Paul Thuillier, Directeur du département des sciences de l’Antiquité – ho incontrato per la prima volta Olivier Weller, con il quale si è subito avviato uno stimolante dialogo sull’archeologia e la storia del sale. A lui sono grata, inoltre, per avermi introdotto nel mondo degli halologues e dei loro interessanti convegni, durante i quali ho potuto finalmente conoscere e confrontarmi con studiosi di storia del sale di ambiti e provenienze molto diversi tra loro: tra questi mi preme menzionare Jean-Claude Hocquet, Antonio Malpica, Marius Alexianu, Valdo d’Arienzo, Nuria Morère, Alfons Figuls.

Se nel 2004, grazie alla Fondazione Giorgio Pasquali, ho potuto far decantare a Pisa, di nuovo nel familiare ambiente della SNS, tutte le nuove conoscenze ed esperienze acquisite, nel 2005 ho ripreso finalmente a viaggiare. Nel mese di aprile ho avuto l’opportunità di soggiornare presso la Casa de Velázquez, di cui ringrazio ancora il Direttore, Gérard Chastagnaret, e Pierre Moret, Directeur des études de la section Antiquité et Moyen-Âge, per la cordiale accoglienza e per la grande attenzione mostrata al mio lavoro. Presso la Casa ho approfondito in maniera determinante le mie ricerche sulla penisola iberica e sulla Francia meridionale, grazie anche al continuo scambio d’idee con gli altri membri e borsisti della Casa, tra i quali ricordo in particolare Valentina Porcheddu e Alexis Gorgues. Durante questo periodo ho avuto la possibilità di lavorare a contatto con Nuria Morère, alla quale non sarò mai abbastanza riconoscente non solo per il fondamentale appoggio scientifico, ma anche per l’amichevole ospitalità e la continua sollecitudine, senza i quali il mio soggiorno madrileno non sarebbe stato né così proficuo, né così piacevole.

A partire dal mese di maggio sono infine approdata alla Scuola Archeologica Italiana di Atene, dove ho potuto finalmente rielaborare e distillare nel testo finale i risultati delle mie ricerche. Ringrazio il Direttore della SAIA, Emanuele Greco, e tutto il personale della Scuola, per avermi accolto con grande disponibilità ed avermi consentito di lavorare in un ambiente così stimolante. Sono particolarmente grata alle mie colleghe del corso di perfezionamento, Valeria Meirano, Laura Ficuciello, Maria Emanuela Alberti, che mi hanno elargito importanti suggerimenti, non solo scientifici, in più campi ed in più occasioni. Un ringraziamento speciale ad Elena Carando, Alessandra Inglese, Laura Gasparri e Barbara Montecchi, nel cui appoggio ho sempre potuto confidare. A questi intensi mesi ateniesi ed al fervore della scrittura devo forse lo shock di ritrovarmi non certo più saggia, ma di sicuro più imbiancata.

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Tavola delle abbreviazioni

AE L’Année épigraphique, Paris 1888–

Agora XIX G.V. Lalonde, M.K. Langdon, M.B. Walbank, Horoi.

Poletai records. Leases of Public Lands (The Athenian Agora XIX), Princeton 1991.

ARM X G. Dossin, Correspondance féminine. Archives Royales de

Mari X, Paris 1978.

BE Bullettin épigraphique, in «REG», 1888–

CIL Corpus Inscriptionum Latinarum, consilio et auctoritate Academiae litterarum regiae Borussicae editum, Berolini

1863–

CIS Corpus Inscriptionum Semiticarum, ab Academia

inscriptionum et litterarum humaniorum conditum atque digestum, Parisiis 1881–

DEI Dizionario Enciclopedico Italiano, Istituto della

Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma 1970-1984.

DS Ch. Daremberg, É. Saglio, Dictionnaire des antiquités

grecques et romaines, Paris 1877-1919.

FD III Fouilles de Delphes. III. Épigraphie, Paris 1909-1985. FGrHist F. Jacoby, Die Fragmente der griechischen Historiker, I-III

C 2, Berlin-Leiden 1923-1958.

HKM S. Alp, Hethitische Keilschrifttafeln aus Maşat Höyük,

Ankara 1991.

I.Iasos W. Blümel, Die Inschriften von Iasos, Bonn 1985.

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I. Delos Inscriptions de Délos, Paris 1926-1972.

I. Ephesos Ia H. Wankel, Die Inschriften von Ephesos, Ia, Bonn 1979.

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IGR Inscriptiones Graecae ad res Romanas pertinentes, Paris

1906-1927.

I.Magnesia O. Kern, Die Inschriften von Magnesia am Meander, Berlin 1900.

IOSPE B. Latyšev, Inscriptiones antiquae orae septentrionalis Ponti Euxini Graecae et Latinae, Petersbourg 1885-1901. IP F. Hiller von Gaertringen, Inschriften von Priene, Berlin

1906.

Kbo Keilschrifttexte aus Boghazköi.

Kleine Schriften U. von Wilamowitz-Moellendorf, Kleine Schriften, I-VI,

Berlin 1935-1972.

KUB Keilschrifturkunden aus Boghazköi.

LSJ H. G. Liddel, R. Scott, H. S. Jones, A Greek-English

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OGIS W. Dittenberger, Orientis graeci inscriptiones selectae, Lipsiae 1903-1905.

PL J.P. Migne, Patrologia Latina, 1844-1855.

PRU III J. Nougayrol, Textes accadiens et hourrites des Archives

Est, Ouest et Centrales. Le Palais Royal d’Ugarit III, Paris

1955.

PRU IV J. Nougayrol, Textes accadiens des Archives Sud (Archives

internationales). Le Palais Royal d’Ugarit IV, Paris 1956. PRU V C. Virolleaud, Textes en cunéiformes alphabétiques des

Archives Sud, Sud-Ouest et du Petit Palais. Le Palais Royal d’Ugarit V, Paris 1965.

PRU VI J. Nougayrol, Textes en cunéiformes babyloniens des

Archives du Grand Palais et du Palais Sud d’Ugarit. Le Palais Royal d’Ugarit VI, Paris 1970.

RE G. Wissowa (a cura di), Paulys Real-Encyclopädie der

classichen Altertumswissenschaft. Neue Bearbeitung,

Stuttgart – München 1893-1980.

SEG Supplementum Epigraphicum Graecum, Lugduni

Batavorum 1923–

Syll.³ G. Dittenberger, Sylloge inscriptionum Graecarum, Lipsiae 1915-1924.

Per i titoli dei periodici sono state utilizzate le abbreviazioni dell’Année Philologique. Per gli autori greci si è adottato, con qualche modifica, il sistema di abbreviazioni del LSJ; per gli autori latini, invece, quello del Thesaurus Linguae Latinae. Per le abbreviazioni delle raccolte di papiri greci si veda l’edizione on-line della Checklist of Editions of Greek and Latin Papyri, Ostraca and

Tablets; per le raccolte di documenti demotici si veda invece il Lexicon der Ägyptologie IV,

Wiesbaden 1982, s.v. Papyri, Demotische.

La traduzione italiana adottata per il XXXI libro della Naturalis Historia di Plinio è quella di I. Garofalo. Per i rimanenti testi, salvo diversa indicazione, le traduzioni sono state realizzate dall’autrice. In tutti i casi la grafia italiana dei toponimi e dei nomi propri greci e latini è stata uniformata ai criteri seguiti nel resto del lavoro: quelli per cui esiste una tradizione consolidata sono stati impiegati nella forme comunemente in uso, per gli altri è stata usata la traslitterazione. Tutte le date, salvo diversa indicazione, sono da intendersi avanti Cristo.

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1 – I LUOGHI DI PRODUZIONE DEL SALE

NEL MEDITERRANEO ANTICO

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1.1 – Le fonti scritte

Per ricostruire un quadro dei luoghi di produzione del sale nel bacino del Mediterraneo attraverso le testimonianze scritte è necessario fare affidamento, come si è detto, su indicazioni piuttosto concise, provenienti da contesti molto diversi tra loro, in cui l’esigenza principale non è mai costituita dalla necessità di fornire elementi precisi sulla produzione del sale1.

In questa situazione pesa particolarmente la perdita dell’unico trattato greco interamente dedicato al sale di cui si abbia notizia, ovvero il peri; tw'n aJlw'n, nivtrou, stupthriva" di Teofrasto, il cui titolo è riportato da Diogene Laerzio nel catalogo delle opere attribuite al filosofo di Ereso (Vit. Phil. V, 42, 15). Molte delle informazioni in esso contenute, tuttavia, dovrebbero essere confluite nei paragrafi 73-105 del XXXI libro della Naturalis Historia di Plinio, che costituisce la principale trattazione antica dedicata al sale oggi conservata2.

L’importanza dell’excursus pliniano non deriva solo dalla sua unicità nel panorama delle fonti antiche sul sale, ma anche dal fatto che al suo interno sono probabilmente reperibili notizie ricavate da numerosi autori precedenti. Date queste circostanze conviene darne in questa sede una rapida panoramica.

I primi paragrafi illustrano i diversi modi in cui il sale si forma spontaneamente in natura ed in cui può essere prodotto artificialmente (n.h. XXXI, 73): Sal omnis aut fit aut gignitur, utrumque pluribus modi, sed causa

gemina, coacto umore vel siccato «Tutto il sale o viene fatto o si forma da sé, in

entrambi i casi in moltissimi modi, ma per due sole cause, per condensazione o per essiccamento del liquido».

Nel primo caso – l’evaporazione spontanea di acque salmastre – vengono citati numerosi esempi di laghi e fiumi salati in cui il sale si condensa spontaneamente sulla superficie al sopraggiungere del calore estivo (XXXI,

1 Anche nella Geografia di Strabone, che pure contiene una serie di utilissime indicazioni sullo

sfruttamento del sale, non è riscontrabile un interesse specifico per questa tematica ed è quindi inevitabile che le notizie in essa riportate non possano costituire una trattazione coerente dell’argomento. Un’attenta analisi dell’opera di Strabone alla ricerca di informazioni sul sale è stata condotta da MORÈRE 2001. Sul sale nella storiografia latina si veda CHEVALLIER 1991.

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76); a questa categoria appartiene anche il sale che si forma naturalmente ai bordi del mare, quando l’acqua marina ristagna sulla spiagge e sugli scogli (aliud genus

ex aquis maris sponte gignitur spuma in extremis litoribus ac scopulis relicta). Il

secondo caso riguarda invece le miniere di salgemma presenti in natura (XXXI, 77-80), la cui origine, secondo Plinio, sembra fosse da attribuire alla condensazione di depositi d’acqua sotterranei (effoditur et e terra, ut palam est

umore densato).

Per quanto riguarda la produzione artificiale il sistema più diffuso veniva indicato nell’installazione di saline: Facticii varia genera. Volgaris plurimusque

in salinis mari adfuso non sine aquis dulcibus riguis, sed imbre maxime iuvante ac super omnia sole multo [ ]que, aliter non inarescens «Vari sono i tipi del sale

artificiale. Quello più comune e più abbondante si forma nelle saline in cui si fa entrare acqua di mare, non senza afflusso d’acqua dolce; quella che aiuta di più è però l’acqua piovana e soprattutto molto sole [ ], altrimenti non secca».

Dopo aver elencato vari esempi di questo tipo (XXXI, 81), Plinio citava anche una serie di casi in cui l’acqua fatta evaporare nelle saline non proveniva dal mare, ma da sorgenti (XXXI, 82-83). In quest’ultimo paragrafo venivano riportate alcune notizie riguardanti la produzione di sale tramite il ricorso al calore artificiale: a parte la Caonia, dove si faceva bollire l’acqua di una fonte, probabilmente salata, gli altri esempi riguardavano la Gallia e la Germania, dove si versava acqua salata su legna lasciata a bruciare, e la popolazione degli Umbri, che usava bollire in acqua la cenere della canna o del giunco fino ad ottenere una sorta di salamoia. Il sistema della cottura poteva essere utilizzato anche come espediente casalingo: Quin et muria salsamentorum recoquitur iterumque

consumpto liquore ad naturam suam redit, vulgo e menis iucundissimus «Inoltre

si ricuoce il sale della salamoia dei cibi sotto sale e, fatto di nuovo consumare il liquido, il sale ritorna al suo stato naturale; il migliore è comunemente considerato quello recuperato dalle menole».

I paragrafi successivi sono dedicati alla descrizione delle caratteristice di alcuni tipi particolari di sale ed all’uso che ne veniva fatto nella medicina o nella conservazione dei cibi (XXXI, 84-87); poi Plinio passava ad illustrare con alcuni

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esempi l’importanza del sale non solo nella vita quotidiana, ma anche nella storia, nelle vicende politiche e militari, nei riti sacri (XXXI, 88-89).

Dopo la breve trattazione dedicata alle caratteritiche ed agli impieghi del

flos salis e della salsugo o salsilago (XXXI, 90-92), la sezione successiva si

occupa della fabbricazione del garum, dei suoi principali luoghi di produzione e di altre salse a base di pesce e sale (XXXI, 93-95). Gli ultimi paragrafi, infine, sono dedicati agli usi in campo medico del garum e delle altre salse (XXXI, 96-97) e soprattutto del sale (XXXI, 98-105).

Per quanto riguarda Teofrasto, Plinio lo aveva inserito nella ‘bibliografia’ elencata all’inizio della Naturalis Historia tra gli autori stranieri da lui utilizzati per la compilazione del XXXI libro. Nel corso della sezione sul sale, inoltre, Teofrasto veniva esplicitamente citato come fonte della notizia riguardante gli Umbri (XXXI, 83): Apud Theophrastum invenio Umbros harundinis et iunci

cinerem decoquere aqua solitos, donec exiguum superesset umoris «In Teofrasto

trovo che gli Umbri usavano bollire in acqua la cenere della canna e del giunco finché restava poca acqua». E’ interessante rilevare che la stessa notizia è riportata con maggiori dettagli nei Metereologica di Aristotele (II, 3): e[sti gavr ti" tovpo" (sc. ejn ∆Ombrikoi'") ejn w/| pefuvkasi kavlamo" kai; scoi'no": touvtwn ou\n katakaivousi, kai; th;n tevfran ejmbavllonte" eij" u{dwr ajfevyousin: o{tan de; livpwsiv ti tou' u{dato", tou'to yucqe;n aJlw'n givgnetai plh'qo" «Esiste un luogo presso gli Umbri in cui crescono canna e giunco; li fanno bruciare e ne gettano la cenere in acqua a bollire; quando resta un po’ d’acqua, lasciata raffreddare, si ottiene una certa quantità di sale».

Nello stesso testo è descritto il procedimento con cui gli abitanti della Caonia, lo stato tribale che occupava la parte meridionale dell’attuale Albania, ottenevano il sale da una sorgente che Eracle, di passaggio con i buoi di Gerione, aveva reso salata (II, 3): touvtou ga;r tou' u{dato" ajfevyontev" ti mevro" tiqevasi, kai; givgnetai yucqevn, o{tan ajpatmivsh/ to; uJgro;n a{ma tw'/ qermw'/, a{le", ouj condroi; ajlla; cau'noi kai; levptoi; w{sper ciwvn. eijsi; de; th;n duvnamin ajsqenevsteroi tw'n a[llwn kai; pleivou" hJduvnousin ejmblhqevnte", kai; th;n crovan oujc oJmoivw" leukoiv «Mettono a bollire una certa quantità dell’acqua di questa sorgente; poi, divenuta fredda, quando la parte umida evapora con il calore, si forma un sale non granuloso, ma inconsistente e leggero come la

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neve. Ha un sapore più insipido degli altri sali e solo mettendone molto rende piacevoli gli alimenti; anche il colore non è altrettanto bianco». La notizia è riportata in maniera analoga, anche se con minori dettagli, dallo stesso Plinio (XXXI, 83): In Chaonia excocunt aquam e fonte refrigerandoque salem faciunt

inertem nec candidum «In Caonia si fa bollire l’acqua di fonte e col

raffreddamento si ottiene un sale insipido e neppure bianco».

In base a questi elementi non è fuori luogo ipotizzare che Teofrasto avesse utilizzato per la propria opera sul sale informazioni circolanti all’interno della cerchia aristotelica – come quelle sugli Umbri e sulla Caonia – e che tali informazioni fossero giunte a Plinio attraverso il peri; tw'n aJlw'n, nivtrou, stupthriva".

Si consideri, inoltre, che la sezione successiva della trattazione pliniana, quella relativa al nitro, si apre con l’affermazione che Teofrasto era stato l’autore che aveva notato con più cura le caratteristiche del nitro (XXXI, 106): se Plinio conosceva ed utilizzava l’opera di Teofrasto a proposito del nitro è plausibile che sia ricorso ad essa anche per la precedente sezione sul sale, rispettando lo stesso ordine di argomenti che, secondo il titolo fornito da Diogene, anche il suo predecessore doveva aver seguito.

Tra le fonti latine citate a proposito del XXXI libro è probabile che anche Varrone sia stato utilizzato da Plinio per la trattazione relativa al sale: il suo nome, in effetti, viene associato ad un proverbio sul sale a cui si fa allusione in XXXI, 89. Si consideri poi il passaggio in cui Plinio descriveva in che modo in Gallia ed in Germania si otteneva il sale dalla cenere di certi alberi (XXXI, 83): Galliae

Germaniaeque ardentibus lignis aquam salsam infundunt… Illi quidem et lignum referre arbitrantur. Quercus optima, ut quae per se cinere sincero vim salis reddat, alibi corylus laudatur. Ita infuso liquore salso arbor etiam in salem vertitur. Quicumque ligno confit sal niger est «In Gallia e in Germania versano

acqua salata su legna che brucia… Quelli ritengono che abbia importanza anche il legno. La quercia è la migliore, perché con la sua cenere pura riproduce le proprietà del sale, altrove viene apprezzato il nocciolo. Così, per infusione di acqua salata, anche l’albero si muta in sale! Qualsiasi sale ottenuto dalla legna è nero».

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Questa digressione sembra richiamare una notizia di prima mano fornita da Varrone (De re rus. I, 7, 8): in Gallia transalpina intus, ad Rhenum cum

exercitum ducerem, aliquot regiones accessi… ubi salem nec fossicium nec maritimum haberent, sed ex quibusdam lignis combustis carbonibus salsis pro eo uterentur «In Gallia transalpina, quando guidavo l’esercito verso il Reno, giunsi

ad alcune regioni… dove non avevano né salgemma né sale marino, ma usavano al posto del sale dei carboni salati ottenuti dalla combustione di certa legna»3.

E’ possibile riscontrare una sostanziale identità tra le informazioni sugli usi medici del sale contenute nell’opera di Plinio e l’analoga sezione del V libro del peri; u{lh" ijatrikh'" di Dioscoride di Anazarbo, trattato ‘farmacologico’ pubblicato probabilmente tra il 50 ed il 70 d.C. circa (V, 109: tw'n aJlw'n; 110: aJlo;" a[cnh; 111: a{lmh; 112: a[nqo" aJlov")4. E’ verosimile, data la coincidenza cronologica delle due opere, che entrambi gli autori avessero attinto ad una o più fonti comuni: è difficile dire, tuttavia, se questa fonte vada effettivamente identificata, come si suole ripetere, con l’opera perduta di Sestio Nigro, autore di un trattato di medicina in greco, pubblicato probabilmente tra il 10 ed il 40 d.C. circa5.

3 Si tenga presente che Plinio, a differenza di noi, poteva consultare tutta la vasta produzione

varroniana: non è escluso, quindi, che potesse aver tratto molte altre notizie anche da opere oggi perdute; in particolare si devono segnalare le monumentali Disciplinae, il cui libro ottavo, dedicato alla medicina, è possibile che contenesse una sezione dedicata al sale. Se Varrone abbia costituito la fonte principale da cui mediare anche l’opera di Teofrasto è molto più difficile da accertare: è certo che Varrone conosceva ed aveva utilizzato per il De re rustica le opere botaniche del filosofo di Ereso (I, 1, 8; 5, 1-2), ma non è possibile dire se si fosse servito altrove anche del trattato sul sale. Nella ‘bibliografia’ del XXXI libro della Naturalis Historia compare anche Celso, che Plinio pare aver utilizzato soprattutto per altre sezioni del libro; non compare invece Columella, che Plinio citava invece come fonte di altri libri. Per le informazioni che riecheggiano le opere di questi due autori si veda il commento al testo di SERBAT 1972.

4 Sulla figura e l’opera di Dioscoride si veda RIDDLE 1985.

5 WELLMANN 1889 è stato il primo a sostenere la tesi secondo cui il trattato di Dioscoride sarebbe

stato largamente debitore di Sestio Nigro, autore frequentemente citato nelle ‘bibliografie’ pliniane con la notazione qui Graece de medicina scripsit. Tale ipotesi si basa sul fatto che Sestio viene menzionato come fonte in un certo numero di passi pliniani – nessuno in relazione al sale – che si ritrovano quasi identici nell’opera di Dioscoride. Che quest’ultimo, come Plinio, conoscesse Sestio è assicurato non solo dai suddetti passi, ma dal prologo stesso dell’opera, in cui il trattatista latino viene indicato dall’autore come uno dei suoi predecessori (I, 2-3). Più difficile è capire se l’opera di Sestio abbia costituito la principale fonte di Dioscoride per l’uso del sale in campo medico e se, di conseguenza, anche l’analoga sezione pliniana sia da riportare allo stesso autore. Si consideri che il nome di Sestio non compare né nella bibliografia pliniana del XXXI libro, né all’interno del libro stesso; a questo si aggiunga che Dioscoride conosceva e citava correttamente le opere di Teofrasto: non si può totalmente escludere, quindi, che la fonte comune dei due autori sia da ricercare piuttosto in Teofrasto o in un suo mediatore. Le pochissime testimonianze sulla persona e l’opera di Sestio sono raccolte in WELLMANN 1958, 146-154.

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Una breve ma interessante analisi dell’importanza del sale, solitamente ignorata negli studi specifici, è presente anche nelle Quaestiones conviviales di Plutarco (V, 10 = Mor. 684e-685f). Il dialogo tra i dotti a banchetto prendeva avvio dall’esegesi dell’espressione oiJ peri; a{la kai; kuvamon, utilizzata per indicare gli amici intimi, coloro che erano così legati da poter mangiare insieme del sale e una fava (684e-f)6.

Si passava poi a discutere dei motivi per cui il sale godeva di una così alta reputazione, tanto che Omero nell’Iliade lo aveva definito divino (IX, 214: aJlo;" qeivoio) e Platone aveva sostenuto che, secondo l’opinione degli uomini, era la sostanza fisica più amata dagli dei (tw'n aJlw'n sw'ma kata; novmon ajnqrwvpwn qeofilevstaton ei\nai).

Dal punto di vista alimentare, secondo Plutarco, il sale non era che un condimento che rendeva più piacevoli gli altri cibi (kinduneuvousi ga;r oiJ a{le" tw'n a[llwn o[ywn o[yon ei\nai kai; h{dusma) e che trasformava il nutrimento da necessario ad allettante (th'" trofh'" to; ajnagkai'on hJdu; poiou'sin). Questa funzione, tuttavia, non doveva essere affatto sottovalutata, perché rispondeva ad uno dei bisogni essenziali dell’uomo (685b): oiJ ga;r a[nqrwpoi ta; koina; kai; dihvkonta tai'" creivai" ejpi; to; plei'ston ejkqeiavzousin, wJ" to; u{dwr, to; fw'", ta;" w{ra": th;n de; gh'n ouj movnon qei'on, ajlla; kai; qeo;n uJpolambavnousin: w|n oujdeno;" leivpetai creiva/ to; tw'n aJlw'n, qrivgkwma th'" trofh'" ginovmenon eij" to; sw'ma kai; parevcon eujarmostivan aujth/' pro;" th;n o[rexin «Gli uomini considerano divino tutto ciò che è di interesse comune e che pertiene nel più alto grado alle loro necessità, come l’acqua, la luce, le stagioni; la terra non solo la considerano divina, ma come una vera e propria divinità. A niente di tutto ciò l’apporto del sale è inferiore per utilità: coronamento del cibo per il corpo, instaura la giusta armonia tra il nutrimento e l’appetito».

6 Il consumo di sale era considerata un’abitudine così essenziale ed allo stesso tempo così rilevante

della vita quotidiana che la sua condivisione poteva essere presa a simbolo di un legame profondo ed intimo come l’amicizia: un proverbio menzionato da Aristotele alludeva al fatto che non si poteva dire di conoscere bene una persona sino a che non si era consumato insieme ad essa una quantità rilevante di sale come un medimno (Eth. Eud. 1238a: ouj ga;r ejstin a[neu peivra" oujde; mia'" hJmevra" oJ fivlo", ajlla; crovnou dei'. dio; eij" paroimivan ejlhvluqen oJ mevdimno" tw'n aJlw'n). Già in un frammento di Archiloco, del resto, il giuramento fatto sul sale e sulla mensa era considerato un atto di grande rilevanza (fr. 173 West: o{rkon dæ ejnosfivsqh" mevgan/ a{la" te kai; travpezan).

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mare e non mangiano cibi conditi con il sale (oi} oujk i[sasi qavlassan/ ajnevre" oujde; qæ a{lessi memigmevnon ei\dar e[dousin)9.

Nel dialogo plutarcheo la qualità divina del sale veniva attribuita anche alla sua funzione di agente conservante: impedendo la putrefazione dei corpi, infatti, il sale si opponeva alla morte e svolgeva un ruolo del tutto analogo a quello dell’anima – l’elemento divino della persona umana – mantenendo intatta la materia mortale e legando le parti costituitive del corpo in un’armonia reciproca (685b-c).

A sottolineare questo concetto veniva richiamato un noto detto stoico secondo il quale il porco non sarebbe stato altro che carne morta, dal momento che l’anima non gli sarebbe stata data se non per la conservazione delle carni, al posto del sale (685c: tw'n Stoikw'n e[nioi th;n u|n savrka nekra;n gegonevnai levgousi, th'" yuch'", w{sper aJlw'n, paresparmevnh" uJpe;r tou' diamevnein)10.

L’ultima analogia del sale con l’essenza divina veniva individuata dai dotti a banchetto nella sua funzione generatrice: dal momento che il sale, in quanto stimolante sessuale, favoriva la procreazione, si poteva affermare che ciò lo rendeva paragonabile alla divinità, principio di tutte le cose (685d-f). A questo proposito si ipotizzava che l’epiteto aJligenhv" di Afrodite e la leggenda della sua nascita dal mare facessero in realtà allusione al potere generatore del sale (685e).

L’analisi delle fonti antiche indica senza ombra di dubbio che il sale veniva generalmente considerato un prodotto legato al mare: non a caso nel linguaggio poetico la parola greca a{l", «sale», veniva impiegata per indicare il mare. Oltre alla già citata profezia di Tiresia sul destino di Odisseo, in cui la distanza dal mare

9 E’ interessante rilevare come alcuni secoli dopo, nell’ottica sallustiana, la prospettiva potesse

essere capovolta: narrando dell’assedio della città numidia di Capsa da parte di Mario, lo storico ne sottolineava le difficoltà, dovute al fatto che nei dintorni dell’insediamento mancavano sorgenti potabili e che tale mancanza d’acqua poteva essere meglio tollerata da coloro che abitavano in queste regioni lontane dal mare come i Numidi, poiché si alimentavano soprattutto di latte e cacciagione e non utilizzavano sale o altri stimolanti dell’appetito (Bell. Iug. LXXXIX, 7: id ibique

et in omni Africa, quae procul a mari incultius agebat, eo facilius tolerabatur, quia Numidae plerumque lacte et ferina carne vescebantur, et neque salem neque alia inritamenta gulae quaerebant). Come si vede, in questo caso, la lontananza dal mare e la conseguente assenza di sale

nell’alimentazione venivano considerati sinonimi di uno stile di vita più incultus, ma anche privo delle raffinatezze che avevano corrotto la società romana.

10 La stessa massima è riportata anche in Cic. De nat. deor. II, 160; De fin. V, 38; Varr. De re rus.

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portava con sé l’inevitabile conseguenza di ignorare l’uso del sale (Od. XI, 122-137; XXIII, 269-284), lo stesso Plinio affermava esplicitamente che il tipo più comune ed abbondante di sale prodotto artificialmente era quello ottenuto nelle saline in cui si faceva affluire acqua di mare (n.h. XXXI, 81)11.

Ciò non deve affatto sorprendere, dal momento che il bacino del Mediterraneo, a fronte di una scarsa presenza di significative risorse di salgemma, offre invece condizioni ambientali e climatiche particolarmente favorevoli sia alla raccolta del sale prodotto dall’evaporazione solare di acque spontaneamente stagnanti – che poteva fornire quantitativi più modesti, comunque utili a livello domestico –, sia all’installazione di bacini artificiali per l’evaporazione, predisposti e strutturati in modo da garantire una produzione più ampia e costante.

Tutte le zone costiere in cui il mare tende a penetrare nella terraferma ed a stagnarvi si offrono naturalmente come luoghi adatti alla produzione di sale: mi riferisco in particolar modo a laghi salati costieri di origine marina, a lagune o paludi, spesso in corrispondenza delle foci di grandi fiumi, come il delta del Nilo o l’amplissima zona paludosa formata dagli estuari del Borysthenes e dello Hypanis12.

L’unica descrizione del funzionamento di saline in epoca antica è contenuta nel De reditu suo di Rutilio Namaziano, risalente all’inizio del V secolo d.C. L’autore, in viaggio da Roma verso la Gallia, costeggiando il litorale tirrenico, fece tappa presso la località di Vada, nel territorio di Volterra, dove descrisse le saline appartenenti alla villa dell’amico Albino (vv. 475-490):

Subiectas villae vacat aspectare salinas;/ namque hoc censetur nomine salsa palus,/ qua mare terrenis decliue canalibus intrat/ multifidosque lacus paruula fossa rigat./ Ast ubi flagrantes admonuit Sirius ignes,/ cum pallent herbae, cum sitit omnis ager,/ tum cataractarum claustris excluditur aequor,/ ut fixos latices torrida duret humus./ Concipiunt acrem natiua coagula Phoebum/ et grauis aestiuo crusta calore coit,/ haud aliter quam cum glacie riget horridus

11 Nell’Alessandra di Licofrone (inizio III secolo), facendo riferimento al ratto di Elena ed alla

violazione del vincolo di ospitalità nei confronti di Menelao, si affermava che Paride aveva agito «senza alcun riguardo per il convitato degli ospiti, ovvero il sale purificatore del dio Egeo» (vv. 133-135: oujk aijdouvmeno"... to;n xevnoi" suvndorpon Aijgaivwno" aJgnivthn pavgon), dove la crosta di sale (pavgon) veniva presentata come un dono di Poseidone, dio del mare.

12 Cfr. HORDEN,PURCELL 2000, 186-190. Come rileva HOCQUET 1982², 75-76, praticamente tutto

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Hister/ grandiaque adstricto flumine plaustra uehit./ Rimetur solitus naturae expendere causas/ inque pari dispar fomite quaerat opus:/ iuncta fluenta gelu conspecto sole liquescunt/ et rursus liquidae sole gelantur aquae.

«Ho il tempo di ammirare le saline presso la villa: con questo nome, infatti, si designa uno stagno salato, dove il mare penetra in pendenza attraverso canali scavati nel terreno e una piccola fossa irriga i bacini divisi in più parti. Poi, quando Sirio ha recato i suoi fuochi ardenti, quando l’erba impallidisce, quando tutti i campi sono assetati, allora il mare viene respinto dalle barriere delle cataratte, affinché il suolo torrido faccia rapprendere le acque stagnanti. I coaguli naturali assorbono l’abbagliante Febo e a causa del calore estivo si forma una pesante crosta, del tutto simile a quando il selvaggio Istro si indurisce a causa del ghiaccio e trasporta sulle acque rigide grandi carri. Indaghi chi è solito esaminare i principi della natura e cerchi di capire il diverso effetto prodotto dalla stessa causa: acque correnti legate dal gelo si sciolgono in presenza del sole; per contro al sole si coagulano acque prima liquide».

Il meccanismo descritto da Rutilio Namaziano, benché mediato attraverso il linguaggo poetico, non sembra differire in modo sostanziale da quello attuale: l’acqua marina viene condotta attraverso appositi canali nei bacini approntati presso il litorale, dove, all’arrivo dell’estate, viene sospeso l’afflusso di acqua tramite l’uso di chiuse, dando così avvio al processo di evaporazione naturale. L’uso dell’aggettivo multifidus sembra implicare inoltre che i bacini fossero ripartiti in molteplici settori, così come avviene nelle moderne saline, dove la soluzione salina viene condotta in vasche di superficie sempre più ridotta man mano che aumenta il grado di concentrazione13.

13 Si veda la descrizione fornita dal DEI, s.v. Sale: «La fonte maggiore per l’estrazione del s. è

l’acqua marina, il cui contenuto in cloruro di sodio è di 20÷40 kg per m²… Nei climi temperati e caldi, l’estrazione del s. dal mare è basata sulla concentrazione dell’acqua marina mediante evaporazione provocata dall’azione del calore solare e del vento. Tale operazione viene effettuata nelle saline: l’acqua viene presa dal mare mediante un apposito canale munito di paratia; è poi inviata nel primo bacino di evaporazione, nel quale si depositano le sostanze solide in sospensione e ove, per evaporazione, raggiunge la densità di circa 1,052 g/cm³. Quindi essa passa nel secondo bacino di evaporazione, ove precipitano i carbonati, il ferro e parte del solfato di calcio, mentre la densità passa a 1,083; l’acqua viene poi inviata in un terzo e in un quarto bacino, raggiungendo infine la densità di 1,161 g/cm³. L’acqua così concentrata passa poi in una serie di vasche dette

caselle servitrici, ove la densità aumenta ancora, e infine nelle caselle salanti, nelle quali il s.

cristallizza lasciando l’acqua madre che viene rinviata in mare o utilizzata per altri scopi… La suddivisione dell’operazione in diversi bacini ha lo scopo di far depositare successivamente e separatamente, a seconda della loro solubilità, i singoli sali disciolti nell’acqua marina, in modo

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Anche se le saline della villa di Albino furono descritte da Rutilio Namaziano all’inizio del V secolo non vi è motivo di credere che i principi generali del loro funzionamento si siano evoluti in maniera significativa rispetto a quelli in uso nei secoli precedenti nel mondo mediterraneo, tanto più che il procedimento – pressoché immutato rispetto a quello attuale – non richiede l’impiego di alcuna particolare tecnologia, ma solo la conoscenza e la capacità di dominare il fenomeno dell’evaporazione naturale14.

In queste circostanze è probabile che la produzione di sale fosse praticata in molte altre località rispetto a quelle conosciute tramite le fonti antiche: in questa sede, tuttavia, saranno prese in considerazione soltanto le notizie in cui alla descrizione di un habitat genericamente favorevole allo sfruttamento del sale possano essere associati altri elementi che suggeriscano una tale eventualità.

Allo stesso modo le informazioni fornite dalla toponomastica attuale e le testimonianze relative ad epoche successive saranno richiamate come ulteriore sostegno solo nel caso in cui la produzione di sale possa essere già ipotizzata anche per l’antichità. Benché sia plausibile supporre una persistenza dello sfruttamento del sale nei medesimi luoghi dall’antichità sino al medioevo e persino all’età moderna o contemporanea, molto spesso questo dato non può essere in alcun modo verificato15: in mancanza di altri elementi, pertanto, non ritengo metodologicamente corretto basare solo su una presunta continuità con le epoche successive l’identificazione di un sito di produzione del sale nell’antichità.

che il cloruro di sodio si ottenga quasi puro. I primi bacini sono piuttosto ampi e l’acqua viene messa in spessore di circa 40÷50 cm, quelli seguenti sono invece di dimensioni e spessori minori, fino ad arrivare alle caselle salanti più piccole che sono costruite con il fondo battuto e cilindrato. Il ciclo completo dell’operazione dura nei climi mediterranei da 80 a 100 giorni, ottenendosi nelle caselle salanti uno spessore di s. di circa 6÷8 cm; tale deposito viene liberato dalle acque madri e disposto in cumuli su delle aie vicino alle saline per l’asciugamento». Ed ancora s.v. Salina: «Impianto per l’estrazione del cloruro di sodio dalle acque del mare, costituito da una zona di terreno pianeggiante, impermeabile, possibilmente argilloso, situato in vicinanza del mare e a un livello medio poco diverso da quello del mare, in modo che le variazioni di marea siano tali da alimentare automaticamente la serie di bacini e di vasche ricavate sul terreno anzidetto. L’acqua del mare defluisce da un bacino all’altro per dislivello naturale, ristagna ed evapora sotto l’azione del sole e del vento depositando le sostanze in essa disciolte». In base alla descrizione fornita da Rutilio Namaziano non ritengo condivisibile l’opinione di ADSHEAD 1992, 59-63, secondo cui la tecnica dei bacini di evaporazione successivi, sconosciuta nell’antichità, sarebbe stata introdotta nel Mediterraneo con l’avvento degli Arabi.

14 Sui vari stadi del processo di evaporazione si veda anche FORBES 1993³, 170-173. Catone (De

agr. 88) suggeriva un metodo per ottenere in casa del sal candidus: facendo sciogliere e

nuovamente essiccare del sal popularis in acqua pura, infatti, si facevano depositare gli altri tipi di sale non desiderati e si otteneva così un’ulteriore raffinazione del prodotto.

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Oltre alle informazioni riguardanti i luoghi di produzione, le fonti offrono numerosi accenni anche ai principali usi del sale nei vari settori di attività del mondo antico. Benché non sia mia intenzione proporre in questa sede una trattazione sistematica di tali usi, è necessario sottolineare alcuni aspetti che aiutino a ricostruire il quadro delle testimonianze relative ai luoghi di sfruttamento del sale nel Mediterraneo.

Particolarmente rilevante appare il ruolo del sale nell’allevamento del bestiame. Aristotele illustrava con chiarezza la sua importanza per la salute del bestiame e la qualità del latte prodotto (HA VIII, 10, 596a):

piaivnei de; mavlista to; provbaton to; potovn, dio; kai; tou' qevrou" didovasin a{la" dia; pevnte hJmerw'n mevdimnon toi'" eJkatovn: givnetai ga;r ou{tw" uJgieinovteron kai; piovteron to; poimnivon. kai; ta; polla; dæ aJlivzonte" dia; tou'to prosfevrousin, oi|on e[n te toi'" ajcuvroi" a{la" pollouv" (diyw'nta ga;r pivnei ma'llon) kai; tou' metopwvrou th;n kolokuvnqhn aJli; pavttonte": tou'to ga;r kai; gavla poiei' plei'on... prov" te tou;" tovkou" aJliazovmenai meivzw ta; ou[qata kaqia'sin.

«Il bere soprattutto fa ingrassare il bestiame, perciò anche d’estate danno loro del sale, ogni cinque giorni un medimno per cento capi: così, infatti, il gregge diviene più sano e più grasso; per lo stesso motivo la maggior parte degli alimenti che danno loro viene salato, come quando versano molto sale sul foraggio (infatti quando le bestie hanno sete bevono di più) e l’autunno cospargono la zucca con il sale: ciò, infatti, rende anche il latte più abbondante… Se al momento del parto le madri sono state alimentate con sale le mammelle scendono maggiormente»16.

Si consideri inoltre che l’uso del sale era largamente diffuso anche nel campo della medicina veterinaria e nella lavorazione dei prodotti derivati dall’allevamento, come la preparazione dei formaggi e la concia delle pelli17. Come si vedrà, in alcuni contesti geografici è possibile constatare un rapporto diretto tra produzione del sale e pratica dell’allevamento: ciò consente, in alcuni

16 Le stesse informazioni si ritrovano anche in Plinio (n.h. XXXI, 88): Quin et pecudes

armentaque et iumenta sale maxime sollicitantur ad pastus, multo tum largiore lacte moltoque gratiore etiam in caseo dote «Perfino gli ovini, i bovini e le bestie da soma sono spinti a mangiare

soprattutto dal sale, e allora il loro latte è molto più abbondante, e anche la qualità del formaggio è molto migliore».

17 Le testimonianze riguardanti l’impiego del sale nell’allevamento, nella veterinaria e nella

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casi, di utilizzare questo legame per individuare centri di sfruttamento del sale altrimenti non menzionati nelle fonti.

Allo stesso modo è possibile, in determinate circostanze, verificare una qualche relazione tra la presenza di sale e lo sfruttamento di risorse minerarie: come si avrà modo di vedere, infatti, il sale poteva essere impiegato anche in alcuni procedimenti metallurgici, come la raffinazione dell’oro e la coppellazione, ovvero la separazione dell’argento dal piombo18.

Per quanto riguarda il vasto impiego del sale in campo medico, infine, sono numerose le citazioni che negli autori antichi collegavano certi tipi di sale, prodotti in località specifiche, alla cura di determinati disturbi19.

Il settore in cui il sale svolgeva il ruolo più rilevante, tuttavia, era senza alcun dubbio la conservazione degli alimenti: nell’antichità, infatti, il sale era uno dei pochi mezzi che consentivano la costituzione di scorte ed il commercio a lunga distanza di numerosi prodotti altrimenti deperibili, in particolare le carni e il pesce20.

Il fatto che nella lingua greca il sostantivo oJ tavrico" o to; tavrico", che indica qualsiasi tipo di alimento conservato sotto sale, sotto salamoia oppure affumicato, sia impiegato quasi esclusivamente per indicare le salagioni di pesce, dimostra che queste rappresentavano il tavrico" per antonomasia nelle abitudini alimentari prevalenti nel mondo greco, dove, al contrario dell’area italica e dell’Europa nord-occidentale, il consumo di salagioni di carne aveva un ruolo piuttosto marginale21.

18 Si vedano FORBES 1971², 180-181, 239; MORÈRE 2001, 525-527.

19 Manca nella letteratura moderna, a quanto mi risulta, una trattazione dedicata agli usi del sale

nella medicina antica. In questa sede le principali notizie sono state ricavate, oltre che dalla

Naturalis Historia di Plinio (XXXI, 84-87; 98-105) e dal peri; u{lh" ijatrikh'" di Dioscoride (V,

109-112), dal peri; th'" tw'n a[plwn farmavkwn kravsew" kai; dunavmew" di Galeno (XII, 372-377 Kühn) e da vari accenni in opere di altri autori. Non sono invece state prese in considerazione le menzioni riguardanti le proprietà curative del sale in generale, senza uno specifico riferimento alle località di produzione.

20 A questo proposito si veda HORDEN,PURCELL 2000, 190-197. Sul processo di salagione degli

alimenti si veda FORBES 1993³, 191-196.

21 Cfr. LSJ, s.v. oJ tavrico" o to; tavrico": I dead body preserved by embalming, mummy; II meat

preserved by salting, pickling, drying or smoking, esp. dried or smoked fish; metaph. of a stupid fellow, stockfish. Oltre a Catone (De agr. 162) e Columella (De re rus. XII, 55), che riferivano il

procedimento da utilizzare per conservare le carni degli animali macellati per mezzo del sale, la maggior parte delle testimonianze riguardanti la produzione e il consumo di salagioni di carne riguardano popolazioni di stirpe celtica, come i Celtiberi, o i Galli che abitavano sia la Cisalpina

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La popolarità delle salagioni di pesce in tutto il Mediterraneo è ampiamente testimoniata, come si vedrà, dai numerosi riferimenti reperibili nei testi antichi: dalla commedia ateniese di V e IV secolo, alle liste di derrate dei papiri greci di età tolemaica e romana, dalle dotte discussioni dei Deipnosofisti di Ateneo, ai casuali accenni reperibili negli autori più disparati, la diffusione del consumo di salagioni di pesce risulta attestata a tutti i livelli cronologici e presso tutte le classi sociali22.

Non a caso, attraverso le distorsioni iperboliche caratteristiche del genere letterario della commedia, sono noti esempi diametralmente opposti del prezzo che poteva essere attribuito al pesce salato: si consideri, infatti, che mentre nell’Antillo di Nicostrato un personaggio si vantava di aver acquistato per soli due oboli un trancio di pesce in salamoia del valore di una dracma, in grado di sfamare dodici persone per tre giorni (fr. 5 Kassel-Austin; Ath. III, 118e), nel Mercante di Difilo un personaggio lamentava invece di aver pagato del pesce salato a peso d’oro, così come Priamo aveva riscattato il cadavere di Ettore (fr. 32 Kassel-Austin; Ath. VI, 226e-f)23.

E’ impossibile, tuttavia, stilare un elenco dettagliato dei numerosi prodotti che rientravano nella categoria delle salagioni di pesce: oltre al termine generico di tavrico", infatti, le fonti testimoniano una grande varietà di denominazioni impiegate per indicare tipi di salagione che differivano tra loro o per la modalità di preparazione, o per il grado di salatura o per il tipo di pesce utilizzato o, ancora, per la forma in cui i tranci di pesce venivano tagliati24.

Oltre al pesce salato venivano consumate anche grandi quantità di salse di pesce, di cui la più rinomata deve essere senza dubbio considerata il gavron o gavro", nota soprattutto come garum dai testi latini. Benché Plinio ne facesse

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tutt’ora sconosciuta25. Le modalità di preparazione, invece, descritte nei

Geoponica (XX, 46), sono state definitivamente chiarite da un fondamentale

contributo di Grimal e Monod: si tratta di un processo per cui il sangue e le interiora di pesce lasciate a macerare si autodigeriscono attraverso le diastasi dello stesso tubo digestivo del pesce, in presenza di un antisettico, il sale, che ne impendisce la putrefazione; a questo si aggiunge una certa fermentazione microbica che provoca una maturazione del prodotto simile a quella dei formaggi26.

Oltre al garum i testi latini contengono numerosi riferimenti ad altri tipi di salse di pesce, le cui caratteristiche distintive non sempre sono facili da individuare: in generale si ritiene che l’allec o allex fosse una sorta di residuo della preparazione del garum, con il quale si faceva una salsa di qualità inferiore; il liquamen era probabilmente una variante del garum, anche se il termine poteva essere impiegato per indicare in generale ogni salsa di pesce; la muria, infine, era una soluzione salata, tipo salamoia, usata per conservare vari alimenti, ma che poteva fungere anche da condimento27.

Non solo la preparazione delle salagioni, ma anche quella delle salse di pesce richiedeva l’impiego di grandi quantità di sale: data la particolare deperibilità del pesce, inoltre, le operazioni di salatura dovevano avvenire il più possibile a ridosso del momento della pesca. Ciò suggerisce che i siti in cui erano collocati gli impianti di salagione (aiJ taricei'ai) dovessero offrire condizioni favorevoli non soltanto alla pesca, ma anche alla produzione o all’approvvigionamento di sale: non è un caso, come si vedrà, che molti impianti attestati nelle fonti antiche si trovino in corrispondenza di luoghi altrettanto noti per lo sfruttamento di sale.

Del resto la contiguità spaziale tra impianti di salagione e luoghi di produzione del sale trova un’ulteriore spiegazione nel fatto che il particolare tipo di habitat che favoriva l’installazione di saline – dove si verificava una diffusa

25 Cfr. il tentativo di COUNILLON,ÉTIENNE 1997, che però non giunge ad alcuna conclusione certa. 26 Si veda GRIMAL,MONOD 1952. Sul garum in generale cfr. anche ÉTIENNE 1970; CURTIS 1983;

CURTIS 1991a, 12-15.

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compenetrazione tra terra e mare – offriva generalmente condizioni favorevoli anche alla pesca28.

Anche in questo caso, quindi, il legame esistente tra le due attività può essere utilizzato per individuare luoghi di sfruttamento del sale altrimenti non menzionati nelle fonti: è necessario distinguere, tuttavia, tra i centri locali con una capacità produttiva limitata, le cui salagioni dovevano avere una diffusione circostanziata, e i grandi impianti ‘industriali’, il cui prodotto, destinato soprattutto all’esportazione, richiedeva in fase di lavorazione la disponibilità di enormi quantità di sale.

28 A sottolineare l’importanza del nesso tra pesca e produzione di sale contribuiscono alcuni

recenti studi volti a valorizzare il ruolo degli ambienti palustri come realtà produttive tutt’altro che marginali all’interno del bacino del Mediterraneo: si vedano TRAINA 1988; FANTASIA 1999;

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1.2 – La ricerca archeologica

Il contributo che la ricerca archeologica può offrire all’individuazione di luoghi di produzione del sale nel bacino del Mediterraneo è ancora piuttosto limitato: a differenza di quanto avviene per l’Europa settentrionale, infatti, nell’area mediterranea, ed in particolare nel Mediterraneo orientale, le ricerche volte a rilevare tracce materiali di tecniche per la produzione e lo sfruttamento del sale od il loro impatto sull’ambiente circostante non hanno ancora raggiunto un livello di grande diffusione.

Ciò è in parte dovuto al fatto che la principale di tecnica di produzione del sale era rappresentata, come si è visto, dall’evaporazione delle acque marine. Tale tecnica, purtroppo, non lascia tracce facilmente rilevabili, sia perché spesso non comporta strutture stabili, che permangano sul terreno a distanza di molto tempo e la cui funzione sia chiaramente identificabile, sia perché insiste sulle linee di costa, uno degli elementi più instabili del paesaggio, soggetto anche a notevoli cambiamenti nel corso dei secoli1.

Negli ultimi anni, tuttavia, si sono diffuse notizie sul rinvenimento, in alcuni punti del Mediterraneo, di resti attribuibili ad antichi impianti costieri destinati all’evaporazione dell’acqua marina. Sull’isola di Gozo, vicino Malta, dei bacini scavati nella roccia su una piccola penisola sono stati identificati con saline2. Due saline di epoca romana sono invece state portate alla luce nella penisola iberica: la prima è stata scavata a Vigo, in Galizia, sulle coste dell’oceano Atlantico; la seconda, di cui si attende ancora una pubblicazione, si trova a S. Fernando, presso Cadice3. Per quanto riguarda l’Italia, infine, sembra che nelle vicinanze dell’aeroporto di Fiumicino, nell’area di Ponte Galeria, siano venute alla luce tracce delle antiche saline romane che si trovavano presso la foce del Tevere4.

1 Cfr. HOCQUET 2001, 163-164.

2 La notizia è riportata in HOCQUET 2001, 41.

3 Sulla salina di Vigo si veda al momento la comunicazione di CASTRO CARRERA (c.d.s.). Per

quanto riguarda S. Fernando ne è data notizia in VILLALOBOS ET ALII 2004, 278-282, e nella

comunicazione di MENANTEAU,VILLALOBOS (c.d.s.).

4 I resti sono emersi durante i lavori per la realizzazione della Nuova Fiera del Terzo Millennio, in

via Portuense: come gentilmente comunicatomi dal Soprintendente di Ostia, Anna Gallina Zevi, una prima breve notizia dei rinvenimenti verrà data negli atti del II seminario ANSER, Les

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L’altro fattore da prendere in considerazione è l’equivoco secondo cui determinate tecniche di sfruttamento del sale sarebbero rimaste confinate in aree in cui le condizioni ambientali e climatiche impedivano o rendevano più difficoltosa l’evaporazione solare.

Mi riferisco alla produzione di sale ignigeno o di ‘pani’ di sale attraverso il ricorso al calore artificiale, le cui prime tracce, nel nord Europa, risalgono già al Neolitico. La necessità di grandi quantità di combustibile fanno sì che questa tecnica lasci un forte impatto sull’ambiente circostante, individuabile grazie allo studio degli accumuli di carbone e dei depositi di sedimenti ed alle opportune analisi palinologiche ed antracologiche. Nella produzione di ‘pani’ di sale, inoltre, interviene spesso un complesso di materiali in terracotta, noto comunemente come

briquetage, che per le sue peculiari caratteristiche si presta perfettamente a

segnalare la localizzazione degli ateliers destinati a questo scopo, sia in prossimità di fonti salate che sul litorale.

Oltre ai supporti e agli elementi di bloccaggio per la cottura, i pezzi più significativi sono rappresentati dalle forme con le quali si ottenevano i ‘pani’ di sale, la cui sagoma può variare a seconda dell’area geografica, ma le cui caratteristiche generali sono piuttosto simili: si tratta sempre di contenitori realizzati con argilla locale, ricca di inclusioni, contenente di solito sostanze sgrassanti vegetali; la forma è perlopiù aperta, la fabbricazione rapida, tanto che sono spesso visibili le impronte delle dita; i bordi e le pareti esteriori non sono rifiniti, mentre l’interno è molto curato. Il materiale viene solitamente rinvenuto in uno stato di frammentazione molto elevato, dal momento che i contenitori venivano rotti intenzionalmente per estrarre i blocchi di sale5.

activités humaines des ports anciens et des points d’abordage, Marsiglia 14-15 maggio 2004, in

corso di pubblicazione da parte della Regione Lazio. Non risulta invece confermato, come affermato in BENOÎT 1952, 290, che la canalizzazione affiorante sulla riva occidentale dell’isola di

St. Marguerite, di fronte a Cannes, alimentasse un bacino di evaporazione per l’acqua marina. DAVIES 2001, 49 nota 28, accenna a recenti scavi di saline in Egitto, presso Pelusio, segnalati da

D. Thompson, dei quali non risulta al momento alcuna altra menzione nella letteratura specifica.

5 Per una rassegna sulla produzione di sale nel Neolitico europeo si veda WELLER 2000b; WELLER

2002a; WELLER 2004. Tra i più antichi ateliers di produzione del sale identificati tramite gli accumuli di combustibile utilizzato si possono ricordare Lunca, in Romania, della fine del VI millennio, e Jura, in Francia, dell’inizio del IV. Per quanto riguarda gli ateliers caratterizzati dall’uso di briquetage, i più antichi sono quelli di Tuzla, in Bosnia Erzegovina, di Poiana, in

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