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Le città del Mediterraneo, sono oggi collettori delle speranze di vita e di futuro, che riguardano tutti coloro che arrivano sulle

Giorgio La Pira: la politica come servizio

2. Le città del Mediterraneo, sono oggi collettori delle speranze di vita e di futuro, che riguardano tutti coloro che arrivano sulle

coste attraverso flussi di persone e di scambi, provenienti da almeno tre continenti.

Giorgio La Pira è stato un uomo per certi versi irripetibile, la cui azione può ancora oggi rappresentare un punto di riferimento im-prescindibile per chi volesse occuparsi della cosa pubblica in Italia.

Perché dovremmo oggi interessarci al pensiero di La Pira? Alcune delle sue grandi intuizioni sembrano ancora più rilevanti di ieri, la possibilità e la speranza di un incontro pacifico tra tutti i popoli della terra, il ruolo delle città come punto di riferimento essenziale per favorire la pace nella cooperazione, la necessità di essere a fianco dei poveri degli umili dei più bisognosi non sono questioni confinate ad un mondo che fu, ma rappresentano oggi più che mai in questo tempo di crisi una imprescindibile urgenza ai fini della costruzione di una società più giusta e della sopravvivenza stessa della società.

La caduta delle ideologie a favore di una sola imperante, quella finanziaria e di una globalizzazione egemonizzata dalla precipua fi-losofia della produzioni e scambi di merci per modelli di consumi indotti (a partire dell’occidente: luogo dell’edonismo della ricchezza materiale) fanno venire in mente due film emblematici e profetici della seconda metà del secolo scorso: “La caduta degli dei” di Vi-sconti ma anche “Z l’orgia del potere” di Costa Gravas. Si è afferma-ta una concezione del potere vuoto di valori e autoreferenziale che spinge quelli della mia generazione educati anche dalla gramsciana idea di operare con l’ottimismo della volontà ed il pessimismo della ragione a porsi nel vissuto quotidiano e prospettico la visione dico-tomica di operare per un verso per la “grande vittoria dei giusti” e allo stesso tempo prepararsi interiormente alla grande sconfitta di tutti (clima/pianeta). Tertium (agnosticismo indifferenza e riformi-smo minimalista) non datur.

Lavorare come alcuni di noi hanno cercato di fare in questi 30 anni per i Comuni e per la democrazia locale ha significato riversare

gran parte di queste energie di questi valori di queste utopie dentro l’autonomia sposata indissolubilmente con la responsabilità come anticorpo possibile alla destrutturazione dei rapporti sociali ed ai nuovi autoritarismi plebiscitari.

Ecco che figure come San Francesco (storicamente alle nostre spalle, ma dentro di noi) e come La Pira (nostro contemporaneo e maestro tra maestri del nostro operare “locale/globale”) ci dicono – nel momento in cui riemergono con forza e non accidentalmente vecchi imbarbarimenti del vivere collettivo – non chiudere gli occhi!

non addormentarti! non fare finta di niente! soprattutto non avere pau-ra! dai voce ed energia alla verità dei sopraffatti, dei deboli, di chi chiede di essere protagonista del proprio destino.

La domanda finale è questa: ma come veicolare tutto ciò in una nuova pluralistica e coesa dirigenza collettiva alternativa ai capi po-polo solitari e demagoghi? La crisi che sta attraversando la nostra società è molto grave e profonda e per certi versi davvero inedita.

Per non farsi indurre allo scoraggiamento ed alla desistenza, per non cadere vittime del fatalismo bisogna rendersi conto che la crisi sono soprattutto un mutamento di ordine che non va più bene e che ne chiede uno nuovo e la crisi attuale va letta anche come grande op-portunità di cambiamento.

Il mondo come sarà, dipende anche da noi, dalla nostra capacità di immaginare un modo diverso di essere e di metterlo in pratica, ribellandosi a tutto ciò che vuole privare l’uomo della dimensione della speranza, del sogno, della possibilità di costruire un ordina in-cardinato sui beni della giustizia, della liberta, dell’equilibrio. A chi è inquieto San Francesco mostra la via per liberarsi dall’inquietudine, una via che si manifesta con due semplici passaggi, spogliarsi di sé e accettare l’incontro. C’è un adagio indiano che dice: ”prima di giudicare qualcuno cammina per due lune nei suoi mocassini.” Le domande sul senso della vita provocano inquietudine ed è proprio di inquietudine lo spauracchio di questo mondo le cui anime più de-boli ed oscure tendono a trincerarsi in nuovi totalitarismi securitari.

Un essere umano che non si interroga, è destinato a soccombere alla manipolazione dei media, lentamente ed inesorabilmente diventa uno schiavo, uno spettatore passivo e depresso della vita, senza riu-scire a provare vere emozioni, senza riuriu-scire a vivere un vero amore, senza un orizzonte verso cui alzare lo sguardo.

Vorrei dedicare ai giovani e a tutti noi queste quattro righe di Su-sanna Tamaro prese da un suo intervento, fatto qualche tempo fa sul pensiero di Francesco: “Cercate di liberarvi dal cinismo, dalla disil-lusione in cui questa società vi ha fatto crescere, cercate soprattutto di liberarvi dalla nefasta idea che il mondo sia solo dei forti e dei fur-bi, lo è finché noi lasciamo fare, finché noi ci ritiriamo nel nostro gu-scio, finché pensiamo che non ci riguarda, finché non siamo capaci di offrire con la coerenza della nostra vita a una diversa dimensione dell’esistere, il male avanza finché lo facciamo avanzare ma davanti al bene che si organizza, reagisce, questo male prima o poi arretra.

Francesco era un ragazzo che viveva in un paesino sperduto nei bo-schi dell’Italia centrale, non era un professore universitario, non era un politico non era un re, non aveva neppure i superpoteri donati da qualche pozione magica o da qualche potente druido, eppure la sua breve vita, è morto a poco più di 40 anni, continua a essere una fonte di energia, di luce e di rinnovamento per milioni e milioni di persone di tutti i popoli e di tutte le fedi. Tutti noi possiamo essere Francesco e come Francesco irradiare gioia e libertà intorno a noi, basta avere il coraggio di andare in fondo al nostro cuore, di cancel-lare le menzogne e di accettare l’incontro che illumina tutti gli altri incontri.