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Nella città senza mura: il mondo-Smirne e le lettere dei missionari cattolici

Fare scalo a Smirne, fin dalla seconda metà del XVII secolo, è come sfogliare un atlante. Vi si trovano individui dalla provenienza più disparata, vi si trovano merci di ogni tipo, le sue strade risuonano delle lingue di tutto il bacino mediterraneo e non solo. Chiese e sinagoghe sorgono vicino alle moschee, i campanili si alternano ai minareti. Se non può, forse, ancora dirsi una città cosmopolita nel senso che oggi comunemente diamo al termine, è indubbiamente una città plurielle2. Il che sta a significare che qui, le appartenenze plurime, già

concorrono nella determinazione dell'identità di una realtà urbana dove le alterità rappresentano il tessuto intrinseco e non alienabile di quello che diverrà, tra la fine del XVIII secolo e gli inizi del XIX, lo scalo commerciale più importante dell'impero ottomano e di tutto il Mediterraneo orientale. È nella dinamica del rapporto con l'Occidente, ovvero nella partecipazione di Smirne al sistema economico integrato con le potenze europee, che si assiste alla sua crescita nonostante la generale decadenza della Porta. In altre parole, l'internazionalissima Smirne cresce mentre l'impero ottomano entra sempre più in crisi. Alla fine dell'Ottocento, la città è non solo una grande metropoli ma anche «one of the most eminent cultural and commercial centres in the world»3. Oltre ai “soliti” greci, armeni, ebrei, inglesi, francesi, italiani e, ovviamente, turchi, troviamo ora anche comunità di austriaci e i primi americani, che concorrono alla creazione di uno «splendid multi-culturalism [that] spawned the accoutrements of genteel society»4.

2

La definizione si trova in M.C.SMYRNELIS, Une ville ottomane plurilelle. Smyrne aux XVIIIe et

XIXe siècles, ISIS, Istanbul, 2006.

3

D. GOFFMAN, Izmir: from a village to colonial port city, in E. EDHEM, D. GOFFMAN., B. MASTERS, The Ottoman City between East and West: Aleppo, Izmir, and Istanbul, Cambridge University Press, Cambridge, 2005, p.128.

Si tratta del risultato dell'elevazione a potenza di un processo iniziato ben tre secoli prima e che fa della città, già alla fine del Seicento, «il grande porto di tutte le merci in transito tra Europa e Asia; […] una grande koiné di comunità, culture e religioni diverse, nella quale, “chacune de ces nations y a l‟exescise de sa religion entierment libre”»5

.

In questo contesto mobile si inseriscono gli autori dei nostri documenti, i missionari cattolici. Nelle parole del famoso fondatore di quello che, tra gli ordini religiosi, è il più votato all'operato apostolico, questi uomini devono essere sempre pronti ad andare «per le varie parti del mondo tutte le volte che [...] è comandato dal Sommo Pontefice»6, anche là dove non sono bene accetti e finiscono per agire al di fuori della legge. Li si trova, quindi, naturalmente qui, in un luogo dove ciascuno può esercitare en plain air, in piena legalità, la propria confessione. 81 lettere da Smirne conservate nell'Archivio Storico della Propaganda vanno a formare il corpus documentario che ci permette di penetrare la vita della missione anatolica, un luogo chiave molto importante, tant'è che le è dedicato un fondo specifico tra le Scritture Originali Riferite nei Congressi, e che, ancor oggi, è sede dell'arciepiscopato più importante della Turchia. Penetrare la vita di questa missione significa, a latere, penetrare in modo alternativo la realtà smirniota stessa. Un modo che può sembrare, al primo impatto, deludente e poco fruttuoso ma che, con la dovuta attenzione, riesce ad aprirci una prospettiva totalmente originale, che si sviluppa a partire da alcune dinamiche che sono alla base stessa della mentalità di uomini che, pur senza possedere strumenti adeguati per comprendere ed apprezzare le diversità culturali, si trovano ad elaborare funzionali strategie di convivenza giornaliera.

È singolare il destino storiografico di cui una realtà così rilevante come Smirne (Izmir, alla turca, Smyrni, alla greca) ha sofferto. Tutti gli storici che si sono occupati della città hanno sottolineato una carenza di studi rispetto ad altri 5R.M

INUTI, Orientalismo e idee di tolleranza nella cultura francese del primo „700, Olschki, Firenze, 2006, p.161.

6 Costituzioni della Compagnia di Gesù, 92. Pubblicate tra il 1588 e il 1589, rappresentano il

centri urbani osmani come Istanbul o Aleppo7.

Questo atteggiamento elusivo parrebbe spiegarsi in parte con la perdita dell'archivio cittadino causato dall'incendio del 1922, durante la presa della città da parte dei Giovani Turchi. Ma Smirne è anche la città simbolo delle passioni e le violenze del triennio che, dal 1918, hanno portato alla nazionalizzazione dell'impero ottomano e alla cacciata delle comunità greche dall'Anatolia, per cui vi sarebbe una sostanziale incapacità sia da parte greca che da parte turca a studiarne con distacco la storia.

A questa sorta di damnatio memoriae si va ad aggiungere, per quanto riguarda la nostra ricerca del Turco rappresentato, la relativa povertà di informazioni che il veicolo principe di questa nuova immagine dell'Oriente, ovvero le relazioni di viaggio in Levante, ci riserva per Smirne a cavallo tra XVII e XVIII secolo. Nonostante la quasi totalità dei viaggiatori europei vi faccia scalo, è rarissimo trovarne una descrizione che vada oltre un paio di pagine, fatta eccezione di Pitton de Tournefort che, comunque, con la sua ventina di fogli, non rende giustizia a quella che è una città davvero fuori dall'ordinario8. Nemmeno sir Paul Rycaut, autore di due famose storie dell'impero ottomano, che fu console inglese a Smirne per undici anni, dal 1667 al 1678, ci ha lasciato un significativo ritratto della città9. E la Smirne che emerge dalle lettere dei nostri missionari, come vedremo, non è immediatamente percepibile, visto che la si trova in prima istanza ridotta a campo di battaglia fra i vari ordini missionari che si disputano l'accaparramento di privilegi e diritti di precedenza.

Questo vuoto si trova, però, ad essere colmato da un opera pregevole, ricca di spunti, informazioni e riflessioni di un autore davvero straordinario. Si tratta del

7 Si vedano le parti introduttive di M. C. S

MYRNELIS, Une ville ottomane plurilelle cit., D. GOFFMAN, Izmir: from a village cit., e D.GOFFMAN, Izmir and the Levantine World, 1550-1650, The University of Washington Press, Seattle-London, 1990.

8 L‟opera in questione è J.P

ITTON DE TOURNEFORT, Relation d'un voyage du Levant fait par ordre

du Roy, 3 voll., Anisson et Posuel, Lyon, 1717.

9 Diverse le opere del console dedicate allo Stato Ottomano. Si vedano P.R

YCAUT, The Present

State of the Ottoman Empire, John Starkey et Henry Brome, London, 1667; P. RYCAUT, The

Present State of the Greek and Armenian Churches, John Starkey, London, 1679; P.RYCAUT, The

History of the Turkish Empire from the Year 1623 to the Year 1677, John Starkey, London, 1680.

Per una estesa monografia sul console si veda S.ANDERSON, An English Consul in Turkey: Paul

primo europeo ad aver “tradotto” l'Oriente, Antoine Galland, che ha lasciato una impareggiabile chiave di accesso alla Smirne di fine Seicento in una relazione,

Smyrne Ancienne & Moderne, rimasta inedita e solo recentemente trascritta e

pubblicata10. Galland, che definisce se stesso “antiquario e interprete di lingue orientali”, fu più volte a Smirne, sia durante il periodo per cui lavorò come segretario presso l'ambasciatore francese a Istanbul (1670-1675), sia in missione per reperire manoscritti e medaglie per il re Luigi XIV e il ministro Colbert. La relazione in questione si riferisce al viaggio che l'orientalista intraprese nel 1678, durante il quale soggiornò nella città per circa cinque mesi, un testo che abbiamo definito straordinario per le qualità di un autore, la cui non comune sensibilità e la capacità, date le vaste e solide competenze linguistiche, di entrare in relazione con gli abitanti dei luoghi che incontra permettono di rendere in maniera vivida e, nel contempo, “scientifica” la realtà urbana smirniota.

Sembrerebbe quasi, nel suo approccio alla città, che Galland risenta dell'influenza del cinquecentesco methodus apodemica11. La Smirne che prende vita dalle sue pagine è uno spazio polifunzionale, in cui politico e sociale si incrociano, un “materiale” vivo da analizzare nel suo “corpo” e nella sua “anima”. Avremo, quindi, per il “corpo”, informazioni precise sulla geografia della città, la topografia dell'ampio golfo di Smirne, largo una ventina di miglia e profondo una decina, è riportata in modo così preciso da sembrare l'estratto di un'opera a carattere geografico12. Per la storia, Galland si rifà alle opere di autori classici tra

10A.G

ALLAND, Le voyage a Smyrne: Un manuscrit d'Antoine Galland, 1678: contenant Smyrne

ancienne et moderne et des extraits du Voyage fait en Levant, Chandeigne, Paris, 2000. La

trascrizione è a cura di Frédéric Bauden.

11 Si tratta di un metodo di indagine con cui il viaggiatore può penetrare la realtà politico sociale

dei luoghi che visita, elaborato da Theodor Zwinger in T. ZWINGER, Methodus apodemica, in

eorum gratia qui cum fructu in quocunque tandem vitae genere peregrinari cupiunt...typis delineata,et cum aliis, tum quatuor praesertim Athenarum vivis exemplis illustrata, Basilea, 1577.

Sull'opera si veda l'articolo di L. FELICI, Theodor Zwinger's Methodus Apodemica: An

Observatory of the City as Political Space in the Late Sixteehth Century, in Cromhos, 14 (2009),

1-18 <URL: http://cromohs.unifi.it/14_2009/felici_zwinger.html>

12A.G

ALLAND,Le voyage a Smyrne cit., pp. 104-105. «Smyrne, à l'égard de la disposition du ciel, est au 38e degré de latitude, au fond d'un golfe, auquel elle a toujours donné le nom de golfe de Smyrne, qui a 40 à 50 milles de profondeur et dont l'entrée est formée par le cap Carabouron, qui veut dire nez ou pointe noir (lequel s'appelait anciennement Argennum), et par la ville de Foghari, ou Foia comme elle s'appelle aujourd'hui par corruption du nom de Phocaia qu'elle portait autrefois – les Grecs la nomment Phokès. Il a 18 et 20 milles de largeur, et il devient si étroit à 10 milles de la ville qu'il n'en pas plus d'un qui soit navigable à cause des secans ou bas-fonds, qui ne

cui Strabone e Pausania. Mi pare degno di nota rilevare come accordi una preferenza particolare a Pausania che è anche una delle fonti principali della terza parte del Methodus di Zwinger (per la trattazione di Atene quale uno dei quattro

case studies per l'applicazione del methodus apodemica), particolare che potrebbe

rivelarsi come ulteriore indicatore dell'influenza dell'accademico erasmiano sull'orientalista francese13. Per quanto riguarda Strabone, invece, la fortuna della sua Geografia, che aveva avuto larghissimo seguito nel Cinquecento, continua anche nel secolo successivo. Quindi, ancora per il“corpo”, troviamo descritta la struttura cittadina, i suoi quartieri, il clima, l'igiene, l'agricoltura e l'allevamento, l'amministrazione politica, la grande e piccola dogana14 e i gruppi etnico-religiosi che vivono in città, suddivisi in Franchi e autoctoni.

L'“anima” è quindi evocata attraverso 166 aforismi, che costituiscono la parte finale della relazione. In essi Galland affronta con intelligente ironia tutti gli aspetti culturali, religiosi, di moda e costume, che caratterizzano la vita dei Turchi, il gruppo etnico nominalmente e numericamente predominante a Smirne, mettendoli a confronto con quelli francesi. Ma, forse, l'anima vera di Smirne, e di questo pare rendersi perfettamente conto anche il nostro autore, è il commercio senza cui non sarebbe mai divenuta quella splendida koiné profondamente “plurale” che è lungamente stata. La storia della sua ascesa non può essere compresa se non si seguono le vicende dei suoi fornitissimi e variopinti bazaar.

Seguendo il percorso di Fernand Braudel sulla vastità delle pianure liquide del Mediterraneo, ci si deve riappropriare della concezione di spazi e distanze più ampi. Infatti, pur rimanendo gli stessi, essi si dilatano e restringono enormemente nella umana percezione del marinaio, del commerciante e del viaggiatore per i

sont pourtant point dangereux aux vaisseaux parce que ce n'est que vase et limon. Après ce passage, lequel est dèfendu à 6 milles de la ville par une fortresse munie de canons que le Turcs ont bâtie, […] on trouve un petit golfe de 8 ou 9 lieues de tour, dans le fond duquel on aborde à la ville de Smyrne.»

13

L'opera in questione è il De tota Graecia libri decem.

14 Sulla recente istituzione della dogana e sull'ufficio del doganiere vi sono riferimenti numerosi

all'interno del testo, tra cui lo specifico paragrafo in A.GALLAND,Le voyage a Smyrne cit., pp. 170-172, che ben rendono l'importanza che rivestiva agli occhi della nazione francese un istituto che tentava di controllare il commercio con gli stranieri e di porre un freno al contrabbando di merci, specie del grano.

tempi di percorrenza15. Da Messina a Smirne, con cinque scali intermedi di cui uno nella ormai ex veneta Candia, richiede alla fine del Seicento ben 16 giorni di viaggio. Oggi occorrerebbero meno di 24 ore. E la nave di Galland che entra nel golfo di Smirne a mezzogiorno del 7 marzo 1678, attracca nel porto la mattina del giorno seguente! Il golfo presenta delle secche insidiose che impongono cautela ma vi spira con forza un vento, chiamato dai mercanti embat16, che favorisce le navi verso la città. La maggior parte degli europei arriva qui via mare e, quindi, ha tutto l'agio di studiare come si presenti il profilo urbano nel suo lento avvicinarsi. La città, che nell'antichità si è fregiata del titolo di «prima dell'Asia in bellezza e grandezza»17, si stende dinanzi al viaggiatore

«partie dans la plaine et partie sur le penchant de la montagne, qui j'ai déjà dit s'étendre vers le labèche, faisant face à la tramontane et au mestre. Quoique sa figure ne soit pas bien régulière, parce qu'elle n'est pas arrêtée ni fixée per des murailles dont elle n'a pas encore été et ne sera peut-être jamais renfermée, on peut néanmoins la considérer comme etant triangulaire.»18

La prima cosa ad essere annotata è la suddivisione in due poli della città, uno collocato sulle pendici di una altura e il secondo in basso, sulla linea della costa. Si tratta rispettivamente della città vecchia, in cui vivono prevalentemente i turchi ma anche gli ebrei, e la città bassa, abitata dai Franchi e dagli altri gruppi etnico- religiosi ottomani, ovvero greci e armeni. Questa disposizione dei quartieri, su cui torneremo in seguito, è significativa. Individua da subito la funzione sociale e professionale dei vari gruppi cittadini. I turchi, quasi tutti artigiani, vivono nel nucleo lontano dal porto che invece è territorio dei mercanti, europei e armeni, e

15 F.BRAUDEL, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, 2 voll., tr. it., Torino,

Einaudi, 1976, quarta edizione, pp. 94 e sgg.

16

A.GALLAND,Le voyage a Smyrne cit., p. 176.

17B. F.S

LAARS, Étude sur Smyrne, traduite du grec de Costantin Iconomos et enrichie par le

traducteur d'un appendice et de notes nombreuses étendues et variées qui la complètent, Smyrne,

Imp. B. Tatikian, 1868, p. 23. L'iscrizione in questione, ΠΡΑΤΗ. ΑCΑΙC. ΚΑΛΛΕΙ. ΚΑΙ. ΜΕΓΕΘΕΙ, è riportata su una medaglia dell'epoca di Caracalla.

18A.G

di piccoli armatori greci.

Ma è la mancanza di mura l'aspetto che in alcune città ottomane impressiona maggiormente i viaggiatori del Vecchio Continente, tanto da venir citato spessissimo, nella trattatistica politico militare sullo stato ottomano, come un fattore di debolezza che potrebbe favorire una eventuale guerra di conquista da parte delle nazioni cristiane.

La mancanza delle mura a Smirne assume inoltre, per lo storico del mondo levantino in generale e per il nostro studio in particolare, una valenza fortemente simbolica. Ne fa una frontiera «n‟étant pas cinte de murailles»19, un luogo di confine dove le linee di demarcazione non sono nette ma mobili e porose. Un luogo sottoposto per la natura delle contingenze legate alla sua funzione economica, politica, sociale e culturale, e anche per posizione geografica, ad una molteplicità di sollecitazioni ed influssi provenienti da sistemi culturali esterni. La mancanza fisica di mura si traduce nella mancanza simbolica di divisioni nette tra quanti vivono il contesto urbano smirniota, una indeterminazione che favorisce la costante messa a punto di strategie di convivenza. Smirne è un luogo multiplo dove le diversità si sfumano perdendo le asperità, è uno dei laboratori in cui si svilupperà la cultura levantina secondo un processo di traduzione culturale, ovvero non una operazione di mera traslazione di un complesso valoriale da un sistema di riferimento ad un altro ma, a tutti gli effetti, una rifusione e creazione di un sistema altro, che non è la somma di quelli che lo hanno generato ma un prodotto totalmente nuovo. Il nuovo complesso culturale levantino, pur tenendo conto delle linee portanti che hanno contribuito alla propria genesi, possiede una sua propria connotazione, originale ed unica, e una propria coerenza interna.

Cos'è, quindi, Smirne? Per prima cosa è una città portuale (port city o

ville-port, sono le espressioni per antonomasia con cui la si definisce), in cui

agiscono i grandi nomi del commercio internazionale secentesco, un grande emporio, cui si arriva con carovane via terra da tutto l'impero. Così viaggia dalla

19

M.C.SMYRNELIS, Une ville ottomane plurilelle cit., p. 145. La caratteristica della mancanza di una cinta muraria protettiva è propria anche di altre realtà e attira sempre l'attenzione dei viaggiatori europei. Si riscontra, infatti, anche in alcune relazioni cinquecentesche su Mosca.

Persia quella che è l'indiscussa fautrice delle fortune “delle Smirne”20

e della sua velocissima crescita, nonché motore dell'economia del secolo: la seta greggia. Dall'analisi dell'andamento di questo commercio e dalle scelte dei suoi agenti, i mercanti armeni, dipende quasi interamente lo sviluppo della nostra città che cresce nel momento in cui la seta iraniana viene dirottata da Aleppo verso il suo porto.

Siamo alla fine del Cinquecento e Smirne, che vanta un passato di splendori e che, per tradizione, viene considerata la patria del divino Omero, nato in una grotta alle sorgenti del fiume Mélès, è ormai ridotta a piccola città portuale che si alimenta del modesto traffico locale con le altre città della costa anatolica e, soprattutto, con le isole dell'Arcipelago, prima fra tutti la ex genovese Scio, o Chios, che si trova proprio all'ingresso del suo golfo, e con cui competerà agli inizi del Seicento, rappresentando questa un altro polo di attrazione per il commercio internazionale. La conquista da parte degli ottomani dell‟Anatolia, nel XV secolo, non ha rappresentato un momento di sviluppo per la regione. I conquistatori non hanno avuto alcun interesse nel valorizzarne i centri. Lo sforzo dell'amministrazione centrale è totalmente dirottato sul far assurgere Istanbul a prima città e simbolo stesso dello stato. L‟ossessione degli ottomani per la capitale e per l‟ideologia imperiale da essa incarnata, prima come Costantinopoli e poi come Bisanzio, deve essere ben compresa per poter penetrare a fondo la politica urbana della Porta dal momento che «it is not exaggeration to assert that Istanbul‟s

leverage over the Ottomans‟self-perseptions far outweighed the

Ottomans‟influence over the city»21

.

Questa sorta di sudditanza psicologica si risolve in una tendenza a far svolgere un ruolo secondario e di vassallaggio a tutte le altre città anatoliche e a ridurle essenzialmente a servire da magazzino di beni primari per la capitale.

In questo contesto va ad inquadrarsi l'azione dei mercanti armeni. La loro comparsa nel porto, tra il 1570 e 1650, non solo favorisce la crescita del volume degli scambi ma ne rappresenta l'indiscusso motore propulsivo. Nello scalo si

20

Nella documentazione e nelle relazioni di viaggio, è comune che si trovi l‟articolo davanti al nome della città al plurale: le Smirne, delle Smirne.

21D.G

commerciano altri beni, come cotone e noci di galla, e vi si contrabbanda grano che, in base alle leggi ottomane non può essere esportato in quanto bene di sussistenza che deve rimanere all'interno dello stato22. Me è la seta grezza a fare la differenza e questo sarà ancor più evidente dopo il terremoto del 1688, con il sempre maggior assottigliamento della presenza, negli empori smirnioti, dei prodotti locali in favore della seta ma anche della lana e dei filati di angora,