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Michele, Anna e i Levantini: ortodossia, identità e pratica della tolleranza

Il confronto costante con l'altro da sé, religioso e culturale, rappresenta la quotidianità per i missionari cattolici presenti a Smirne. Affermare che non vi sia una rappresentazione di Turco nelle lettere che vengono inviate alla Propaganda non equivale, tuttavia, alla totale negazione di un agonismo confessionale tra gli operatori delle religioni presenti sulla scena smirniota. Come si è già avuto modo di ricordare, le missioni cristiane sono legalmente tollerate dallo stato ottomano ma il proselitismo è proibito e per questo non troviamo, né possiamo trovare, grandi momenti di slancio missionario o di eclatante successo dell'apostolato. Al di là di alcuni sporadici casi di conversioni di qualche musulmano, si può affermare, senza eccessiva semplificazione, che alle missioni levantine manca quello spirito evangelizzatore proprio di altri scenari missionari come le Indie tanto vagheggiate dai giovani seminaristi della Compagnia di Gesù o del Collegio Urbaniano150. Abbiamo visto come il gruppo dei Franchi sia ancora fortemente diviso al suo interno, occorre ora osservare quale sia il modo con cui il gruppo stesso, preso questa volta come soggetto unico nella sua, pur se non compiuta, unitarietà, si rapporti con gli altri gruppi presenti sul territorio ottomano. È opportuno rilevare sin da ora come la presa di coscienza e l'accettazione del proprio status di minoranza non implichino un impoverimento della percezione della propria identità. Quest'ultima viene solamente ridefinita all'interno di un contesto fortemente differente da quello europeo ed italiano. Missionari e cattolici di Smirne vivono questa identità in rapporto costante con il pluralismo sociale cittadino per cui, come abbiamo visto, l'altro non viene definito in virtù della estraneità che, con la sua distanza, consente ai viaggiatori di analizzare con sguardo esterno ciò che è definito come diversità. L'altro è il quotidiano. Inoltre, nel mondo levantino, non agiscono solo i musulmani, gli eretici, ma anche gli scismatici e, pur se per il periodo analizzato ciò avviene in misura minore, gli ebrei151. Sulle coste dell'Anatolia i più forti antagonisti religiosi sono, senza

150

Sulla passione dei giovani seminaristi di compiere opera di evangelizzazione nelle Indie si veda E.COLOMBO, Convertire i musulmani cit., cap. I.

dubbio, i greci. L'Arcipelago è la loro casa e i latini vi sono visti con astio da secoli. Il rapporto ambivalente e altalenante con questo gruppo costituisce una delle peculiarità della missione smirniota, per cui si alternano proposte di alleanza funzionale a momenti di forte rottura.

La definizione e auto-definizione identitaria a Smirne è continua e mai statica. Procede per aggiustamenti poco sensibili ma costanti che portano nei secoli alla completa trasformazione della mentalità delle comunità europee presenti sul territorio. A cavallo tra XVII e XVIII secolo siamo solo agli inizi di questo processo, per cui abbiamo trovato tra i nostri missionari un alternarsi delle posizioni che abbiamo definito più netto e poco sfumato. La corrispondenza dalla missione di Smirne permette allo studioso di valutare quale sia il rapporto tra le parti alla luce delle caratteristiche della missione stessa. In altre parole, possiamo comprendere dal valore che assumono determinate espressioni identitarie, come si percepiscano il sé e l'altro.

Il punto di partenza che permette questa incursione in una mentalità così lontana dalla nostra e, per giunta, in un momento di forte transizione impone, innanzitutto, la nostra conoscenza di che tipo di uomini fossero gli operatori apostolici e quale idea avessero della propria missione, ovvero quali fossero gli obblighi che essi erano tenuti ad assolvere sul territorio. Questa indagine preliminare ci permetterà di accedere all'analisi del complesso dottrinario dei cattolici di Smirne, missionari e fedeli, ovvero della rielaborazione dell'ortodossia in funzione del differente contesto in cui ci si trova a vivere che porta ad una pratica, direi, inevitabile della tolleranza. Questa sfocia a volte quasi in indifferentismo, anche se entrambi i termini sono impropriamente utilizzati nel nostro specifico contesto. È infatti opportuno sottolineare sin da ora che né questa tolleranza né questo indifferentismo sono elaborazioni teoriche che vengono chiaramente e consapevolmente espresse. Sono, viceversa, attitudini quotidiane che divengono la norma nella condivisione di tutti i giorni dei propri spazi con l'altro, andando a generare, come conseguenza più che naturale, un rapporto col

«nessuna relazione interreligiosa riesce ad essere strettamente bilaterale senza ripercuotersi sulla terza parte in gioco» si veda G.RICCI, I Turchi alle porte cit., pp. 91-92 eB.LEWIS, Culture in

diverso totalmente differente rispetto a quello coevo che si riscontra in Europa. Possiamo affermare innanzitutto che, nella missione levantina di Smirne, ci troviamo di fronte ad una resa dinnanzi l'evidenza dei fatti: i missionari, accettando lo status quo imposto dalle condizioni politiche e culturali del territorio ottomano, si limitano a quella che definiamo gestione dell'esistente. Questa gestione avviene con modalità proprie, di chi sa che deve adattarsi ad un contesto fortemente squilibrato, in cui la propria posizione è minoritaria. Ne consegue un quasi obbligato compromesso dottrinario e ortodosso che conduce al venir meno della concezione della lotta tra confessioni. La controversistica è un'altra delle grandi assenti dai discorsi dei missionari alla Propaganda e, quando vengono riportati casi di conversione, ciò avviene sempre in termini simili a quelli di una partita a punti, peraltro poco significativi dal punto di vista numerico per la loro scarsezza, in cui ci si limita a segnare le proprie mete senza riportare mai come si siano condotte.

È innegabile che l'elevazione a prassi di questo modus vivendi abbia condotto alla generazione di un atteggiamento tollerante in materia di ortodossia ma questa, più che una scelta elaborata nel corso di una riflessione, è stata una conseguenza abbastanza logica (e in un certo senso inevitabile) di una impermeabilità nei confronti della realtà sociale e pluriconfessionale della città. In altre parole, la ristrettezza di visuale dei missionari, irretiti nella logica dei contrasti infrareligiosi, impedisce loro di comprendere il mondo esterno in cui si trovano inseriti. Si potrebbe, anzi, quasi affermare che a questi uomini non importi nulla dell'esterno che viene, appunto, accettato senza cercare di incidervi attivamente. Ecco perché solo impropriamente possiamo definire alcuni atteggiamenti come indifferentisti. Essi, in fondo, rappresentano una rinuncia all'evangelizzazione in funzione della accettazione e gestione di ciò che già è stato acquisito e che bisogna difendere, non modificare.

Paradossalmente la tolleranza, per i missionari di Smirne, non passa per una apertura all'altro ma è una sorta di resa dinnanzi alla sua incomprensibilità. Di certo si trovano, tra gli operatori, uomini nati nell'Arcipelago in grado di comprendere meglio il contesto smirniota. Ma in sostanza la missione rimane un luogo autoreferenziale, in cui non ci si pone il problema del rapporto con il

diverso. L' altro c'è ed è reale, quindi si è obbligati ad elaborare strategie di convivenza funzionali ad una regolare quotidianità.

Ribadire come il reale grado di preparazione dei missionari influisca profondamente sulla formazione dei rapporti in terra di missione può sembrare una ovvietà, ma è necessario evidenziare come, in un contesto del genere, la sensibilità dei soggetti e la loro capacità di elaborazione rappresenti ciò che fa davvero la differenza.

Filippo da Locarno chiede, tramite un intermediario di Propaganda, che «dalla Sacra Congregazione fosse ordinato alli superiori della medesima Religione che inviassero in quelle parti soggetti di virtù, per travagliare in quella missione»152. Siamo nel 1691 e vengono espressamente richiesti “soggetti di virtù”. La preparazione dei missionari da inviare sul territorio è una delle principali occupazioni e preoccupazioni della Congregazione. Sappiamo come, nonostante il progetto di impiegare clero ed episcopato secolare indigeno, alla fine, per mancanza di personale, ci si appoggi costantemente agli ordini di regolari, cui si cerca di impartire una conoscenza che possa essere validamente impiegata ai fini dell'apostolato. Due le materie che servono principalmente allo scopo, ovvero l'apprendimento delle lingue e della controversistica153. Quest'ultima pare comunque poco praticata a Smirne mentre, per le lingue, il missionario che raggiunga il luogo in cui è stato assegnato con una preparazione realmente adeguata rappresenta una eccezione, nonostante i poderosi sforzi operati154. Per questo, si tende a favorire giovani seminaristi che abbiano una attitudine linguistica superiore ma, generalmente, la conoscenza linguistica e la capacità di interagire con la gente del luogo si acquisiscono con l'esperienza missionaria stessa e si osserva una tendenza alla circolazione degli operatori in territori più o meno affini culturalmente e linguisticamente155.

152 ASPF, SORC, Smirne, vol. 1, f. 227 r. 153

G.PIZZORUSSO, La preparazione linguistica e controversistica cit. infra.

154 Anche di natura economica, dato l'onere notevole che comportava mantenere in attività le

scuole di lingua rispetto alla effettiva efficacia dell'insegnamento.

155 Si trovano, comunque, un discreto numero di missionari che, grazie alla loro duttilità, vengono

impiegati in territori profondamente differenti e distanti. Si vedano in proposito C. LONGO,

Dalle nostre lettere emerge chiaramente come sia l'esperienza ciò che fa distingue un missionario capace da uno, per l'appunto, inesperto. Non a caso, quando Simone Lomaca discute sulla condotta di Antonio Giustiniani, lo fa proprio in questi termini: nonostante il vicario sia «pieno di zelo et pietà»156 e, quindi, sia una persona affidabile dal punto di vista religioso ed umano, «non ha però tutta la requisita sperienza per poter governarsi fra' tante et tanto varie nationi, conlequali è obligato di pratticare continuamente»157. È anche frequente che il missionario, scrivendo alla Congregazione, ricordi il suo curriculum ai cardinali, a voler sottolineare la propria provata capacità operativa. «Doppo la dimora di tre anni continui nella missione d'Egitto»158, ricorda padre Vagghiani, «nell tempo di dieci anni che fui missionario in Egitto»159, dice Daniele Duranti, per citare solo due esempi. E ancora troviamo, tra coloro che operano in città altri, due veterani: sia padre Adriano Verzeau che padre David di San Carlo sono stati entrambi missionari ad Aleppo (e sappiamo che il secondo è anche originario della città).

Si può dedurre da queste osservazioni che, dato il ruolo chiave che Smirne gioca a livello internazionale, esservi assegnati rappresenti un riconoscimento significativo e che vi si inviino religiosi con una certa esperienza. Di certo è un luogo, come abbiamo visto, fortemente connotato dalle “nazioni” europee, la sua funzione di emporio lo pone al centro di una fitta rete di relazioni e scambi, per cui il missionario, rispetto ad altre missioni levantine, può agilmente mantenere i contatti sia con i propri superiori che col resto del mondo. Non è una missione difficile perché aliena e lontana ma nemmeno per questo è agevole lavorarvi. L'elevata visibilità ad essa connessa impone doti da diplomatico e da mediatore

1998, esempio di missionario che opera in tutti i territori che ruotano attorno al baricentro ottomano (Turchia, Armenia, Persia e Tunisi), mentre in M.BINASCO, Viaggiatori e Missionari del

Seicento. Pacifique de Provins fra Levante, Acadia e Guyana (1622-1648), Città del Silenzio,

Novi Ligure, 2006 si testimonia una esperienza radicale in luoghi lontanissimi tra di loro, che non hanno alcuna affinità.

156

ASPF, SORC, Smirne, vol. 1, f. 216.

157 Ibidem. 158

ASPF, SORC, Smirne, vol. 1, f. 197.

culturale per i religiosi che vi operano. Qualora queste vengano a mancare, come accade per il periodo del vicariato di Giustiniani, lo scontro che ne deriva è pesante e difficile da sostenere e si trascina per anni. Servono dunque uomini capaci di saper «governarsi fra' tante et tanto varie nationi». La scelta dei missionari è sempre fortemente condizionata dalla reale abilità del personale a disposizione. La questione si pone all'attenzione della Congregazione, che cerca di supervisionare la qualità dell'apostolato richiedendo relazioni a coloro che rientrano da Levante in Europa160. È il caso di padre Anacleto Catalani: il sacerdote, appena uscito dal lazzaretto, è in partenza per Vienna, dove dovrà «predicar l'annuale»161. Il religioso è stato teologo per il doge Francesco Morosini durante la campagna in Morea e l'arcivescovo di Tessalonica, agente di Propaganda, gli commissiona una relazione sullo «stato de greci, come de latini»162 dei Balcani ma mette sull'avviso i cardinali

« che il suddetto padre esagera essor la maggior parte di quei missionarij e religiosi ignoranti e scandalosi e li superiori maggiori vi mandano sempre colà lo scarto dei conventi e delle provincie.»163

L'inadeguatezza dei religiosi è una vera spina nel fianco per la Congregazione e per la nostra città si nota, rispetto ad altre, una attenzione particolare alla scelta del personale missionario. Sempre l'arcivescovo di Tessalonica, vagliando la candidatura del sacerdote secolare Francesco (o Franco) de Marchis alla carica di vicario apostolico di Smirne, assicura che farà sul sacerdote delle ricerche accurate dal momento che «nella suddetta città sarebbe necessario un soggetto di

prima riga [corsivo di chi scrive]»164. Questa attenzione è un riconoscimento

160

Le relazioni vengono redatte anche da laici. Ricordiamo come il Marsili annoti nella

Autobiografia la richiesta della Congregazione di “riferire”, al suo ritorno a Roma dopo il primo

viaggio a Costantinopoli.

161

ASPF, SORC, Smirne, vol. 1, f. 263 r.

162 Ibidem. 163

Ibidem.

implicito, la chiesa di Smirne ha origini antichissime e importanti165, e nella percezione degli operatori apostolici, ha una rilevanza superiore a tutte le altre chiese della Porta. È ancora padre Lomaca che si esprime in questi precisi termini quando parla del danno che i contrasti tra riformati e cappuccini causano alla chiesa della città

«che senza difficoltà veruna sarebbe la più libera et florida chiesa di tutte quelle che la Santa Sede Apostolica ha in tutta la dominatione ottomana.»166

Se ci fermiamo alla registrazione del fatto che la chiesa di Smirne sia universalmente considerata la principale di tutta la Porta, ci sfuggirebbe un elemento importante per stabilire quanto sia aliena l'evangelizzazione dal progetto missionario smirniota. Che sia proprio un gesuita a fare una affermazione come quella che si trova nel documento appena citato, è davvero eloquente. Il benessere e la floridezza della chiesa e della missione smirniota insiste, nella percezione dell'uomo, non sul progetto evangelizzatore da perseguire ma sull'assenza di conflitti intestini. È come se l'esterno, il contesto cittadino in una terra al di fuori della cristianità, non esistesse per nulla e la cosa che colpisce di più è che anche la Compagnia, che trova proprio nello spirito missionario una delle sue vocazioni principali, deponga le armi dinnanzi alla accettazione di un contesto che viene giudicato immutabile. Nonostante questo, la chiesa della città è giudicata un polo di attrazione per i cristiani dei territori ottomani, un centro gravitazionale, se non altro perché consente ai latini di accedere a tutta una serie di servizi che altrove non sono garantiti. Padre Duranti fa riferimento a questa offerta straordinaria quando, nella promozione alla Propaganda della missione, ne esalta la varietà e, in fondo anche qui, l'eccezionale pluralismo

«che al presente si ritrova questa cristianità, quale, per la concordia et unione di questi reverendi padri reformati, capuccini e gessuiti, quelli in invigilare all governo delle loro parrochie, con pascere le pecorelle che gli sono raccomandate,

165 Si è già avuto modo di precisare che nella città ha operato l'apostolo Giovanni che la indica

come una delle sette chiese dell'Asia (per la precisione, la seconda) cui è destinato il messaggio della Apocalisse (2, 8-11).

con sante predicationi in italiano, in greco, in lingua francese, e dalli reverendi padri della compagnia di Gessù ancora in lingua turchesca et armena e con amministratione dei Santi Sagramenti, essendo molto edificati questi christiani in vedere tale unione e concordia.»167

È l'unica volta che, nel corpus, si trovi una rappresentazione di armonia tra gli agenti apostolici ma il punto chiave, che vorrei si sottolineasse nel passaggio, è un altro. Si evidenzia con forza l'importanza senza pari delle lingue nei teatri di missione, ancor più sentita nel contesto plurilinguistico ottomano e, ancor più, in una città come Smirne, porto internazionale di uno stato multietnico168. Smirne viene chiamata da Galland tour de Babel, dove l'italiano viene spesso utilizzato come lingua comune, dal momento che è conosciuto da tutti gli operatori commerciali. Inoltre l‟italiano, mescolandosi con altri idiomi, ha dato origine ad un ibrido linguistico culturale che il nostro autore chiama «langage par ti e par

mi»169 e di cui ci dà un gustosissimo assaggio:

«hau ven aqui, ti voler per questo, per Dio mi far bon mercato, star bona roba, pigliar perti, c'est-à-dire “Viens ça! Veux-tu acheter cela, je t'en ferai bon marchè, la marchandise est bonne, prends-la”.»170

È più che scontata l'attenzione di Galland agli aspetti linguistici che caratterizzano il contesto quotidiano cittadino, una vera e propria scuola di lingue “orientali” che rappresenta una magnifica occasione di cui pochi sanno profittare, visto che i mercanti europei preferiscono utilizzare l'italiano e la lingua franca piuttosto che sforzarsi di apprendere il turco. A Smirne è possibile imparare moltissime lingue: l'arabo, il turco, il persiano, l'armeno, il greco volgare, il russo171, l'ebraico, l'italiano, il portoghese, il francese, l'inglese e l'olandese. Ed è indubbiamente

167 ASPF, SORC, Smirne, vol. 1, f. 302 r.

168 Il passaggio, inoltre, permette di apprezzare una volta di più la propensione “orientalistica”

della Compagnia di Gesù, molto attenta allo studio di lingue lontane dal contesto europeo.

169 A. Galland, Le voyage a Smyrne cit., pp. 150-151. 170

Ibidem.

all'arabo che vanno le preferenze del traduttore delle Mille e una Notte, giudicato una lingua ben più difficile del turco. L‟arabo riveste una posizione importante nell'economia linguistica smirniota. Quando Duranti fa libera rinuncia all'arcivescovado di Scopia, dichiara di «non possedere l'idioma di quell'paese, per la mancanza dell quale sarei più d'ammiratione a quelli poveri christiani che di edificatione e di utilità»172. Duranti ha una settantina di anni, il lavoro in Serbia inizia a risultargli troppo gravoso, quindi chiede licenza alla Congregazione di ritirarsi presso i suoi parenti e, se questo non può essergli concesso, può prestare servizio a Smirne:

«se vogliono l'Eminenze Vostre che io le serva in questa parte sono prontissimo di servirle sino all'ultimo spirito, non essendo qui otioso un prelato per li bisogni di questa cristianità e delli christiani cattolici d'Egitto, Soria et altri luoghi, che parlano l'idioma arabico, che molti qui ne vengano da quelle parti à causa delli

loro negotij [corsivo di chi scrive] et io sono pratico di questa lingua, per haverla

appresa nell tempo di dieci anni che fui missionario in Egitto, e qui non vi è alcuno ecclesiastico che possieda tale linguaggio, onde quelli che qui vengono da quelle parte vengono da me per confessarsi.»173

Le considerazioni di Duranti riflettono una vivacità di movimento da, verso e attraverso Smirne non solo di mercanti europei. L'arabo è una sorta di lingua franca dei musulmani, ma anche dei cristiani africani, e conoscerlo, nel cuore della Porta, non solo ha una notevole rilevanza che permette l'accesso per lo straniero ad un livello superiore di qualità della vita e dei rapporti, ma si presenta per gli ottomani stessi come un fattore di alta distinzione culturale. Giovan Battista Donà, patrizio veneto che ricopre la carica di bailo negli anni '80 del Seicento osserva

«che nello stesso modo pur anco si ritrova l'arabo tra Turchi, sì come il latino tra noi; poiché sendo l'Alcorano scritto nella suddetta lingua si rende l'araba necessaria a loro, come alli nostri la lingua in cui si ritrova la Sacra Scrittura.

172

ASPF, SORC, Smirne, vol. 1, f. 288.

Usando le maniere, le voci e li periodi arabi intieri per ornamento, per elocutione e per decoro, massime nelli maneggi, nelli commandamenti & altri ordini de' maggiori negotij, & arbitrij, lettere del principe, ministri, bassà, e commando dell'imperiale volontà. In somma presso loro l'eruditione maggiore si spiega &