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Cittadinanza, diritti, salute mentale

Nel documento Prefazione alla ricerca (2015) (pagine 120-122)

GIOVANI LESBICHE E GAY IN PUGLIA

4.4 Cittadinanza, diritti, salute mentale

 

Perché mai lo Stato dovrebbe occuparsi dell’orientamento sessuale dei suoi cittadini? Non dovrebbero essere tutti uguali e, in questa uguaglianza, sostanzialmente anonimi? La risposta sarebbe: assoluta- mente sì, se alcuni non fossero discriminati in dimensioni fondamen- tali dell’esistenza, per esempio nel “diritto umano elementare”, come lo definì Hannah Arendt (1959), di sposarsi e costituire una famiglia. Non stiamo parlando della creazione di un focolare privato (e meglio se un po’ segreto, applicando alla coppia il “don’t ask, don’t tell”, da sempre cucito sull’individuo), ma di una famiglia riconosciuta dalla società e dallo Stato, con tutto ciò che ne consegue in termini formali e pratici, in diritti e doveri.

Ai cittadini omosessuali, in Italia, è precluso il matrimonio. Per dirla coi maiali orwelliani di Animal Farm: “tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali degli altri”. Nonostante la richiesta di molti, omosessuali e non, il nostro Parlamento non riesce a varare una legge che consenta a ogni cittadino di godere dei doveri, dei dirit- ti e dei vantaggi, psicologici e sociali, che provengono da un legame riconosciuto sul piano giuridico49. Eppure, un effetto collaterale po-

49Eppure, scrive Stefano Rodotà (“la Repubblica”, 14 luglio 2010), “con una recentis- sima sentenza, la Corte costituzionale ha ribadito la rilevanza costituzionale delle unioni omosessuali, poiché siamo di fonte ad una delle ‘formazioni sociali’ di cui par- la l’articolo 2 della Costituzione. Da questa constatazione la Corte trae una conclu- sione importante: alle persone dello stesso sesso unite da una convivenza stabile ‘spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, otte- nendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento

Acquistato da su Ultima Books il 2016-11-02 21:36 Numero Ordine Libreria: VJcFoBXeM Copyright © 2016, edizioni la meridiana

sitivo dell’approvazione di una legge che dia alle persone omosessuali il diritto di sposarsi sarebbe un drastico prosciugamento della palude, psicologica e sociale, in cui prolifera l’omofobia. Non è evidente co- me questa si alimenti anche del mancato riconoscimento di una citta- dinanza completa alle persone omosessuali? Non vengono forse le- gittimati pensieri come: “Se la Chiesa considera queste persone inde- gne di formare una famiglia, e se lo Stato ne tollera la convivenza, purché senza celebrazioni e senza diritti e tutele, allora vorrà dire che in fondo, davanti a Dio e agli uomini, questi omosessuali non sono proprio cittadini come gli altri…”?

Contribuire all’affermazione dei diritti di tutti i cittadini non è solo un impegno morale e politico, è anche una azione terapeutica – poiché un Paese più giusto è anche un Paese più felice.

E se fosse questo il problema? In un ormai lontano 1978, Michel Foucault scriveva:

Se si vedono due omosessuali, o meglio due ragazzi che se ne vanno insie- me a dormire nello stesso letto, in fondo li si tollera, ma se la mattina dopo si risvegliano col sorriso sulle labbra, si tengono per mano, si abbracciano teneramente, e affermano così la loro felicità, questo non glielo si perdona. Non è la prima mossa verso il piacere ad essere insopportabile, ma il ri- sveglio felice.

D’Augelli e Patterson (2001) hanno fatto una ricerca molto interes- sante sulle aspirazioni e i valori dei teenager che si dichiarano gay e lesbiche, giungendo alla conclusione che ciò che più desiderano è mettere su famiglia con la persona che amano. Tutto il mondo è pae- se…

Qualcuno si domanda perché molti omosessuali invochino per sé quell’ordine familiare che tanto ha contribuito alla loro sfortuna. L’aspettativa che lo Stato riconosca alle persone gay e lesbiche la le- gittimità del loro legame trova infatti vari critici: non solo nell’area cattolico-conservatrice, ma anche in quella radicale-soggettivista che preferisce prendere le distanze dall’idea di uno Stato fondato sul nu- cleo familiare. “Essere legittimati dallo Stato – scrive per esempio Ju- dith Butler (2004) – significa entrare a far parte dei termini della legit- timazione offerta e scoprire che la percezione di sé in quanto perso-

giuridico con i connessi diritti e doveri’. Sono parole impegnative: un ‘diritto fonda- mentale’ attende il suo pieno riconoscimento”.

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na, pubblica e riconoscibile, dipende essenzialmente dal lessico di tale legittimazione” (p. 35). A chi nutre il timore comprensibile del con- formismo matrimoniale ricordo che per riflettere e scegliere sulla propria miglior vita la condizione minima è poter partire da una si- tuazione di pari opportunità. La domanda, in questo caso, non è “vuoi sposarmi?”, ma “puoi sposarmi?”. Aggiungo che quando si parla di coppia il mio primo pensiero non va all’idea di una cellula fondativa del tessuto sociale che uno Stato con la S maiuscola deve riconoscere. Piuttosto, penso agli affetti e ai progetti, all’attaccamento e all’accudimento come forme di crescita e sviluppo. Che uno Stato riconosca e tuteli giuridicamente queste motivazioni non mi preoc- cupa, né temo possa limitare il cammino della mia soggettività. Anzi. Ovviamente non ritengo che questa sia la strada che tutti debbano imboccare, semplicemente perché non penso esista una strada mae- stra per la realizzazione di sé. Che ciascuno trovi la propria indivi- duazione: singolare, in coppia, plurale che sia. Ma ribadisco che “il dono ambivalente della legittimazione”, come lo chiama Judith But- ler, serve a tutelare un diritto, non a sancire un obbligo.

 

Nel documento Prefazione alla ricerca (2015) (pagine 120-122)