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Il nuovo consumatore infatti, non necessariamente giovane, è più impegnato nei confronti dell’ambiente e quindi è maggiormente propenso a cambiare le proprie abitudini di consumo. I dati dell’EAE Business School ci confermano la tesi che più bassa è la fascia d’età, maggiore è la volontà di acquistare prodotti di seconda mano. Secondo “ThredUp”27, il 40% dei minori di 24 anni acquista già capi o accessori usati, quando solo nel 2016 lo faceva il 27% dei giovani. Il numero di acquirenti scende al 30% nella fascia di età 25-37 anni e al 20% sopra i 38 anni. Il motivo è duplice: da un lato i giovani hanno meno potere d’acquisto e, dall’altro, sono pienamente consapevoli dell’impatto negativo dell’industria tessile sull’ambiente .

Basandoci sull’Italia vediamo come il target di rifer-imento riguardi persone tra i 25 e i 29 anni ed in una percentuale più bassa tra i 45 e i 49 che dichiarano di amare il fashion - renting non soltanto per la possibil-ità di esaudire “il sogno nel cassetto” di indossare capi o accessori firmati almeno una volta nella vita ad un prezzo sicuramente e notevolmente più basso (si trat-ta del 15% delle strat-tatistiche) ma anche di apprezzare il valore affidato ai prodotti nel tempo breve del loro utilizzo (67%).

Se pensiamo che circa l’80% dei vestiti che compria-mo rimane nei nostri armadi e non viene mai utilizza-to e che il 36% degli abiti ha una vita media inferiore ai 160 utilizzi comprendiamo bene il perché di tali statistiche e motivazioni.

Statistiche importanti queste a cui si affianca come sempre e ancora una volta la nominatissima ed ap-prezzata dai maggiori brand di riferimento Generazi-one Z, ossia, gli aventi dagli 11 ai 25 anni, che secondo una ricerca della Washington State University afferma-no per il 55% di prediligere il afferma-noleggio dei capi e degli accessori di marca più che acquistarli. ì

Ma perché la tendenza al noleggio è accresciuta du-rante la pandemia anche in Italia? La risposta risiede proprio nell’impossibilità di uscire durante i periodi di lockdown che hanno portato le persone a condividere – e condividersi – soltanto attraverso i social network o a partecipare a riunioni dietro uno schermo così come a lezioni in DAD. Questo ha quindi accelerato la voglia di mettersi in gioco con la condivisione dell’out-fit anche nel privato delle singole abitazioni, per dare un segnale di identità e di voglia di prendersi cura di sé nonostante la situazione difficile. Immaginiamo, poi, i selfies che si sono condivisi sui maggiori social network: i cambi in una giornata hanno superato se non doppiato addirittura quelli agiti nel pre-pandemia, assumendo i canoni di una vera e propria rivoluzione sociologica in ambito fashion.

Rivoluzione che non ha visto fermi neanche alcuni tra i brand più importanti nel panorama italiano che a parte aver aderito ed accettato le politiche di noleggio sulle piattaforme già citate hanno addirittura pensato di crearne di proprie. Un caso tra tutti “Pleasedont-buy” ideata dal marchio Twinset che propone abiti da cerimonia, party o per occasioni speciali a noleggio.

Caratteristiche del portale la possibilità di prendere ap-puntamento in una delle boutique del brand vicine per la prova abito ed eventuali consigli in store, noleggiare

quindi i capi scelti per la durata di 4 giorni partendo da 40 euro e, se si vuole, procedere all’acquisto scontato una volta conclusi i giorni di noleggio: un’ottima strate-gia di marketing che vede l’offline non perdere terreno bensì prevedere una maggiorazione degli acquisti an-che in store.

Spostandoci nel fast-fashion vediamo come il colos-so svedese H&M ha presentato nel dicembre del 2020

“Singular Society”, un portate in abbonamento mensile a 9,50 euro per un totale di 5 acquisti o 19,50 euro per 25 acquisti: niente noleggio, a quanto pare, ma un otti-mo clone di un business già avviato invece da “Arket”, il brand by H&M dedicato ai più piccoli che invece pro-pone noleggio e restituzione a pressi vantaggiosissimi.

05. Abbigliamento in affitto:

moda o tendenza accettata?

Nonostante i numeri assolutamente positivi che vedono il fashion rental scalare le classifiche con una previsione in positivo per gli anni che verranno anche in Italia dobbiamo porci un quesito importante, prendendo spunto proprio dalla società di “DressYouCan” e dalla joint venture della stessa con “TakeMyThing”, ossia: il noleggio di abiti e di accessori è davvero una soluzione sostenibile viste le spese di spedizione, trasporto e reso che ne conseguono? Secondo alcuni es-perti assolutamente no ma sicuramente ci si può e ci si deve lavorare:

“Crediamo che il noleggio necessiti di un esame accurato per renderlo il più ‘verde’ possibile, ma vale comunque per scoraggiare le persone a non buttare via i vestiti”, ha affermato Tamsin Chislett, cofondatore e amministratore delegato di Onloan, una start up di noleggio che opera con un modello di abbonamento.

E ancora, “Il noleggio non è la soluzione perfetta, non lo stiamo affatto discutendo. Dobbiamo lavorare collettivamente e apertamente per ap-portare cambiamenti e migliorare costantemente”, ha affermato Chis-lett, indicando la conclusione dello studio che il noleggio può avere un basso potenziale di riscaldamento globale “se la consegna può essere organizzata senza impatti” .

Possiamo quindi concludere che il futuro di questa tipologia di com-mercio possa essere un’ottima soluzione non soltanto per ripristin-are un’economia nazionale post pandemia ancora in crisi ma anche per contribuire a raggiungere uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU che prevede una riduzione drastica delle emissioni di Co2 con un primo appuntamento di analisi previsto nel 2025: la speranza è sempre quella di non arrivare troppo tardi.

05. Abbigliamento in affitto:

moda o tendenza accettata?

Conclusioni

06

06 Conclusioni

Il nuovo consumatore di moda affascinato dal Made in Italy si divide tra il desiderio di uno stile autentico e una rigorosa tradizione, da un lato, e la voglia di moderna ispirazione, di fresche tendenze dall’altra, mixandole con la smania di condivisione sia di opinioni e giudizi, attraverso i canali di volta in volta disponibili – siano essi fisici o virtuali - ed anche di concreti scambi dei pezzi più iconici.

In tale contesto, abbiamo visto che la pandemia non ha frenato l’espansione del settore moda, tanto meno quello legato al Made in Italy.

Nonostante le grosse difficoltà che tutto il comparto ha dovuto superare a causa della crisi sanitaria ed il rallentamento senza precedenti registrato nel 2020, per il Sistema Moda italiano è atteso un ritorno ai liv-elli pre-crisi nell’arco di 12-18 mesi, confermato anche da quanto emerge dal report “Sistema Moda dell’Area Studi di Medio Banca”, presentato meno di un anno fa in occasione degli Annual Fashion Talk27.

Ne sono la riprova diversi fattori: in primis, il fatto che solo l’Italia abbia mantenuto una così elevata concen-trazione della produzione di lusso all’interno dei propri confini, in secundis, l’universalmente riconosciuta ec-cellenza della filiera del Bel Paese e della qualità del Made in Italy. Tutto ciò costituisce un’ancora di salvez-za per la moda italiana ed anche per i suoi diretti ed indiretti fruitori.

Infine, considerati i dati raccolti in questo breve studio, il desiderio di tornare ad un’accettabile normalità, di in-contrarsi, di mostrarsi con nuovi outfit che rispecchino in libertà il proprio mood, si incontra con una nuova sensibilità per il rispetto dell’ambiente che ci circonda ed un interesse per il mondo del digitale, dove la nuova realtà permette di proiettarsi in mondi virtuali vicini e lontani.

Il Sistema Moda Italia, come una fenice, rinasce quindi, come già accaduto in passato, dalle proprie ceneri.

Artigiani, produttori, designer, marketer e consumatori italiani sono pronti a dimostrare ancora una volta il va-lore del loro bagaglio culturale e del patrimonio di sto-ria, arte e tradizione che da sempre li contraddistingue a livello internazionale.

L’evoluzione della società porta cambiamenti struttur-ali che agiscono non soltanto nel linguaggio ma anche nei modi di relazionarsi con la stessa da parte degli in-dividui e dei consumatori finali. Con la crisi pandemica abbiamo visto come si siano consolidate le ricerche digitali su temi quali sostenibilità, inclusione, biodiver-sità. La moda anche in questo caso si fa specchio e portavoce di tali cambiamenti, assurgendo a medium fondamentale e sociologico che ben rappresenta il momento senza precedenti che stiamo affrontando.

NOTE

27 Lo studio annuale aggrega i dati finanziari di 80 multinazionali del fashion e delle 177 maggiori Aziende Moda Italia. www.areastudimediobanca.it

Ecco, quindi, come a suddetti termini si siano aggiunte le ricerche di “second hand” o “upcycling”, concetti che se fino al periodo pre-pandemia non erano sconos-ciuti, ma che sicuramente non generavano la stessa consapevolezza da parte del commercio e del retail.

Bisogna altresì sottolineare come la percentuale di ac-quisto nelle varie regioni d’Italia abbia subito cambia-menti strutturali e di senso, arrivando a delineare una cartina geografica differente dalla sua storicità che vede il Nord-Est produttivo e protagonista subire mag-giore inflazione a livello di consumi di abbigliamento, accessori e design in generale. La spiegazione com-porta un’analisi necessaria di quanto la conoscenza, la cultura e l’età media di istruzione che si trova nei centri maggiormente abitati in questo caso abbia agito da contro altare, rendendo la consapevolezza dei con-sumatori stessi, propensi solitamente all’acquisto, a divenire più cauta e quindi meno dispendiosa.

Ci si riferisce spesso ai “cugini d’America” quando si decide cosa comprare e da chi ed anche in questo caso l’assonanza con il fashion renting ha permesso a giovani imprenditori di porre le basi di sicuri successi economici, facendo risalire la china di una crisi eco-nomica che sta colpendo sempre di più il settore del fashion se pur con percentuali che, se confrontate con i dati del 2020, mostrano evidenti segnali di ripresa.

Lo sanno bene designer e aziende così come nuovi

influencer e direttori della comunicazione che hanno capito quanto il cambio di tone of voice e di linguaggio fosse fondamentale, elevando gli stessi ad attivi prop-ositori di tendenze non soltanto di valori d’uso quanto di valori intangibili, ove il prodotto possiamo affermare passi in secondo piano.

Il brand activism di suddetti brand si fa sempre più sentire e viene accolto dai consumatori finali come fanalino di scelta per un click di acquisto che possa cogliere – ed accogliere – anche la parte emozionale di chi deve scegliere cosa farsi arrivare a casa o cosa comprare all’interno delle boutique nazionali ed inter-nazionali.

Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno in una situ-azione socio-sanitaria ancora molto complessa, pos-siamo arrivare alla conclusione che anche nelle crisi peggiori, siano esse economiche o strutturali, qualco-sa di buono sia destinato a venir fuori dalla società. Si spera soltanto che sia una tendenza legata ad una vi-sione più umana e sostenibile della moda non cesserà in futuro, portando i brand più importanti ad innalza-re i valori di un Made in Italy che mai come oggi deve prevedere non soltanto la cura dei propri prodotti o del proprio brand ma anche il rispetto dei diritti delle per-sone che lavorano al loro interno. Solo così potremo uscirne davvero cambiati. Nonostante tutto.

06. Conclusioni

BoF-McKinsey, (2022) State of Fashion 2022 disponibile all’indirizzo web

https://www.mckinsey.com/~/media/mckinsey/industries/retail/our%20insights/state%20 of%20fashion/2022/the-state-of-fashion-2022.pdf

Camera Nazionale della Moda italiana (2021), Fashion Economic Trends 2021 disponibile all’indirizzo web https://www.cameramoda.it

EAE Business School (2022), Informe - Sector de la Moda

Eurispes, indagine: un anno di Covid in Italia, 2021 disponibile all’indirizzo web

https://eurispes.eu/wp-content/uploads/2021/05/eurispes_sintesi-rapporto-italia-2021.pdf Mediobanca (2021), Annual Fashion Talk disponibile all’indirizzo web

https://www.areastudimediobanca.com/it/catalogo/tipologia/report-moda?id=27869&download=true

Eurostat, (2021), Population structure and ageing https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Population_structure_and_ageing#The_share_of_elderly_people_

continues_to_increase

Istat, (2019), Le spese per i consumi delle famiglie

McKinsey, (2021), Consumer sentiment on sustainability in fashion (Luglio 2020) disponibile all’indirizzo https://www.mckinsey.com/industries/retail/our-insights/survey-consumer-sentiment-on-sustainability-in-fashion

Philip Kotler e Christian Sarkar, (2020), Brand Activism: dal purpose all’azione RetailX, (2021), RetailX Consumer Observatory 2021

Rome Business School, (2021), La contraffazione in Italia

Rome Business School, (2021), L’imprenditorialità italiana: analisi dei trend di successo per il rilancio economico del Paese

Rome Business School, (2021), La contraffazione nel contesto economico attuale. I principali strumenti del Made in Italy

DIGITAL 2021 – I DATI ITALIANI, We are Social disponibili all’indirizzo web https://

wearesocial.com/it/blog/2021/02/digital-2021-i-dati-italiani/ “Fatti trovare pronto per il futuro: 3 tendenze da tenere d’occhio”, disponibile all’indirizzo web https://www.

thinkwithgoogle.com/intl/it-it/strategie/ricerca-google/tendenze-business-post-pandemia/

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