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I nuovi trend della moda in Italia: Il Made in Italy tra sostenibilità, online fashion e abbigliamento in affitto

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Academic year: 2022

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Rome Business School Research Center

Il Made in Italy tra sostenibilità, online fashion e abbigliamento in affitto

A cura di

Dott.ssa Giuliana Baldo Chiaron, Program Director dello Specialized Master in Fashion Management di Rome Business School Dott.ssa Michela Bonafoni, Program Director del Master in Fashion and Luxury Management di Rome Business School Dott. Valerio Mancini, Docente e Direttore del Centro di Ricerca di Rome Business School

In collaborazione con EAE Business School

Dott.ssa Tatiana Valoira, Docente di Branding, Marketing e Luxury Marketing presso EAE Business School,

I nuovi trend della moda in Italia:

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A cura di:

Dott.ssa Giuliana Baldo Chiaron, Program Director del Master in Fashion Management di Rome Business School Dott.ssa Michela Bonafoni, Program Director del Master in Fashion and Luxury Management di Rome Business School Dott. Valerio Mancini, Docente e Direttore del Centro di Ricerca di Rome Business School

01. Introduzione

02. Quanto spendiamo per vestirci?

Il modello di noleggio dell’abbigliamento in Spagna e in Italia 26

03. Abbigliamento di qualità: cosa cercano designer e consumatori italiani e spagnoli 04. Online fashion

6

9

13

22

05. Abbigliamento in affitto: moda o tendenza accettata? 26

06. Conclusioni 31

Questo indice è interattivo.

Clicca sulle sezioni per navigare.

Abitudini e tendenze dei consumatori italiani 20

Per città e regione: in cosa spendono di più e dove gli italiani? 9

(3)

Dott.ssa Giuliana Baldo Chiaron

Program Director dello Specialized Master in Fashion Management

È Program Director dello Specialized Master in Fashion Management di Rome Business School, con la quale collabora dal 2018. È Professore a contratto presso la Sapienza, Università di Roma (Facoltà di Economia) dove insegna Enterprise Com- munication Management & Digital Communication dal 2018. Ha maturato oltre 20 anni di esperienza nel settore ICT, con focus su moda e telecomunicazioni. Appas- sionata di open innovation, collabora con varie realtà in ambito formativo e oggi è Responsabile della Formazione dei Canali di Vendita per il Gruppo Irideos.

Dott.ssa Michela Bonafoni

Program Director del Master in Fashion and Luxury Management

È Cultural Advisor and trend Researcher per il settore fashion; collabora, tra gli altri, per il marchio più importante di Wella Hairstyling, Mitu Creative Hairstyling, dove lavora con il team di direzione creativa. E’ docente anche presso lo IED di Roma ed altre realtà legate al mondo del fashion. Ha conseguito un MBA in Fashion Marketing and Communication presso il Central St. Martin’s College di Londra e ha un background nella scienza della moda e del costume con una specializzazione in strategie di comunicazione di moda legata alla diversity & inclusion.

Gli Autori

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Dott. Valerio Mancini

Direttore del Rome Business School Research Center

Professore e Direttore del Centro di Ricerca della Rome Business School; è stato visiting lecturer in Argentina, Colombia, Brasile, Cipro, Siria, Francia e Polonia.

È docente presso l’Istituto Armando Curcio di Roma. Ha lavorato in Italia e all’estero con diverse organizzazioni internazionali (UNODC, UNICRI, MAOC-N e OCSE) e nazionali (MISAP, MASTERY e Comitato Giovani della Commissione Nazionale Italiana dell’UNESCO). Ha pubblicato diversi articoli, reportage e ricerche accademiche;

è stato giornalista estero del quotidiano colombiano “El Espectador” e, dal 2010, è corrispondente per l’Italia del programma radiofonico “UN Analísis”. Autore di “Calcio

& Geopolitica” (Mondo Nuovo, 2021).

Gli Autori

Dott.ssa Tatiana Valoira

Docente di Branding e Luxury Marketing in EAE Business School

Sin dall’inizio della sua carriera professionale ha affiancato la consulenza a livello nazionale e internazionale con la didattica.

È consulente strategica per teamUp. Specializzata nell’universo della Moda, del design e del Retail.Nella sua lunga esperienza come consulente, ha curato progetti di sviluppo del retail, posizionamento strategico del marchio, piani di crescita del business e strategici.

È professore associato in Branding, Marketing e Luxury Marketing presso diverse scuole come EAE Business School, IED Istituto Europeo di Design, Westminster University ed Esade Business School.

(5)

Introduzione

01

(6)

01 Introduzione

È universalmente riconosciuto e confermato da tutte le statistiche che la moda italiana ricopra i vertici della classifica mondiale dei brand più amati e influenti. Dei 100 brand di moda più noti, almeno 20 delle prime po- sizioni si confermano ogni anno ricoperte da marchi italiani1.

La moda italiana beneficia ancora di una straordinaria reputazione nel panorama internazionale ed è fonte di grande ispirazione per stilisti, imprenditori, marketer e consumatori di tutto il mondo. Ma non solo. Lo stile

‘italiano’ e il Made in Italy sono fenomeni ampiamente dibattuti negli studi economici, storici e socio-culturali.

Frequentando un ambiente internazionale, si può riconoscere un italiano da come è vestito: eleganza, originalità, cura – quasi ossessiva - per l’estetica. Ma è sempre così? L’Italian style è così riconoscibile? È solo un caso che la più conosciuta fashion influencer a livello mondiale sia italiana? In questo studio analiz- ziamo caratteristiche, abitudini dei consumatori e ten- denze del mercato della moda italiano, in un contesto di confronto con i cugini spagnoli.

Globalmente, il brand Made in Italy è riconosciuto per l’eccellenza nella creatività e nell’artigianalità e proprio grazie all’inestimabile pregio associato al marchio nazionale, l’immagine dei beni e servizi delle aziende italiane si arricchisce di ulteriore significato. Tale com- binazione di valori si pone al di sopra dei vari marchi aziendali italiani presenti sul mercato, incrementa il

loro prestigio e riflette la percezione del sistema Ita- lia e della sua credibilità, di fondamentale valore per l’economia italiana.

Nell’ambito del fashion, settore oggetto di questo stu- dio, alcuni dei più grandi stilisti italiani hanno creato dei principi di stile facilmente identificabili e, nonos- tante alcuni di loro siano scomparsi ormai da tempo, rimangono il simbolo della moda italiana nel mondo. Il corsetto di Gattinoni, le borse di Roberta di Camerino, la giacca di Giorgio Armani, il “rosso Valentino”, sono icone dello stile italiano.

Inoltre, nonostante molte maison italiane siano pas- sate in mano straniera, sopravvive ancora un gusto raf- finato dello stile e del marchio Made In Italy universal- mente riconosciuto a livello mondiale proprio perché anche i designer di quest’ultime hanno mantenuto un forte e radicato rapporto con le caratteristiche auten- tiche del brand.

Se diamo uno sguardo al mercato in termini econom- ici, dopo “l’annus horribilis” vissuto dall’Italia nel 2020, i primi 3 trimestri del 2021 hanno registrato numeri positivi per l’intera industria della moda (tessile, ab- bigliamento, pelle, calzature e pelletteria), secondo il report Fashion Economic Trends diffuso dalla Camera Nazionale della Moda italiana, seguendo la ripresa generale dell’economia e lasciando il passo ad un re- cupero globale dell’attività e delle prospettive per le aziende della moda.

(7)

Per quanto riguarda invece l’export, sempre secondo l’analisi del report Fashion Economic Trends, la cresci- ta complessiva è stata del 17,1% più sbilanciata verso i Paesi extra UE 27 (+18,2%) e tra i principali merca- ti i dati hanno confermato la Cina (+55,2%), gli Usa (+31,2%) e la Russia (+20,6%). Nel corso del 2020, in- fatti, la Cina ha continuato a essere il grande leader nel mercato export dell’abbigliamento con una quota di mercato del 43,5%. Tra i primi 10, l’Asia colloca 8 dei suoi mercati come principali potenze esportatrici di abbigliamento, con una quota di mercato cumulati- va tra di loro del 58,3%. Si mantiene così la forte pre- dominanza dell’export dei mercati asiatici, che implica ormai una storica dipendenza da parte dell’Unione Eu- ropea e degli Stati Uniti, che insieme raggiungono una quota export del 21,3%. La posizione dell’UE con una quota del 18,1% è molto superiore a quella degli Stati Uniti con uno scarso 3,2%2.

Date le premesse, i risultati del comparto sono stati considerati tutto sommato buoni dal mercato. A livel- lo nazionale, il fatturato 2021 dell’industria della moda italiana si è chiuso, infatti, a 64 miliardi di euro, (-5%

rispetto al 2019) mentre quello complessivo, inclusi i settori collegati (occhialeria, gioielleria e cosmesi) a 83 miliardi.

A livello europeo, secondo lo studio dell’EAE Business School (Informe - Sector de la Moda, 2021), le stime del consumo di abbigliamento e calzature nei merca- ti UE prevedono una crescita del 7% per l’anno 2022, mentre per gli anni dal 2023 al 2025 si stima una crescita media del 4,73% annuo.

Si stima, inoltre, che per i prossimi tre anni (2022- 2025) la spesa media in Europa per moda e calzature sarà compresa tra 653 e 716 euro .

01. Introduzione

NOTE

2 EAE Business School (2022), Informe - Sector de la Moda.

(8)

Quanto spendiamo per vestirci?

Per città e regione: in cosa spendono di più e dove gli italiani?

02

(9)

Gli italiani hanno sempre dedicato una buona parte del loro reddito agli acquisti di capi di moda&co., al di là delle necessità puramente legate ai bisogni primari.

Secondo un’analisi ISTAT del giugno 2021, si evidenzia che nell’anno della pandemia (2020) la stima della spesa media mensile delle famiglie residenti in Italia sia stata di 2.328 euro mensili con una diminuzione dello 0,9% rispetto al 2019.

02 Quanto spendiamo per vestirci?

Per città e regione: in cosa spendono di più e dove gli italiani?

Spesa

Ripartizione geografica

Nord-ovest Nord-est Centro Sud Isole Italia

2019 2020 2019 2020 2019 2020 2019 2020 2019 2020 2019 2020

Spesa mediana mensile 2.381,11 2.118,92 2.437,31 2.119,20 2.328,60 2.123,90 1.757,36 1.650,57 1.814,16 1.656,15 2.158,82 1.961,70 Spesa media mensile 2.810,27 2.523,38 2.789,97 2.525,33 2.754,12 2.510,51 2.067,50 1.898,09 2.070,78 1.949,00 2.559,85 2.328,23 Spesa media mensile per

alimentari e bevande analcoliche 464,87 452,61 443,7 457,86 475,64 481,82 482,3 478 442,6 476,9 464,27 467,56 Spesa media mensile per beni e

servizi non alimentari 2.345,40 2.070,77 2.346,27 2.067,47 2.278,49 2.028,69 1.585,20 1.420,10 1.628,17 1.472,10 2.095,58 1.860,68 Tabella 1. Spese delle famiglie: i numeri chiave. Anni 2019-2020, valori in euro

Fonte: dati Istat 2019 – 2020

È la contrazione più alta dal 1997 che riporta il dato di spesa media corrente al livello del 2000 mentre nel biennio 2012-2013 il calo rispetto al 2011 era stato complessiva- mente del 6,4%. Le diminuzioni più drastiche riguardano i capitoli di spesa sui quali le misure di contenimento hanno agito maggiormente e in maniera diretta, come ricreazione, spettacoli e cultura (-26,4%, 93 euro mensili), trasporti (-24,6%, 217 euro mensili) e abbigliamento e calzature (-23,3%, 88 euro mensili) mentre rimangano

sostanzialmente invariate le spese per alimentazione, abitazione, acqua, elettric- ità etc. Le stime del primo trimestre 2021 hanno mostrato che le misure di con- tenimento alla diffusione del Covid-19 hanno prodotto un calo ulteriore di circa il 3,4% della spesa media mensile rispetto al trimestre dell’anno precedente, arrivando a circa un -7,5% rispetto al 2000.

(10)

Il calo delle spese delle famiglie è diffuso su tutto il ter- ritorio nazionale ma la sua articolazione sembra risen- tire delle differenze territoriali nella diffusione del Cov- id-19 e nelle misure di contrasto che vedono il Nord Italia in testa con un -10.2% per il Nord–ovest ed un -9.5% per il Nord est, seguito da Centro con un -8.8% e Mezzogiorno, -8,2% il Sud e -5,9% le Isole.

In questo modo, si evidenzia come i divari territoria- li tra Nord, Centro e Sud si siano attenuati dal 2020 e nel 2021 si facciano ancora più esigui, registrando comunque una percentuale di spesa maggiore ancora una volta al Nord.

Da notare che i livelli e la composizione della spesa variano a seconda della tipologia del comune di resi- denza. Anche nel 2020, infatti, nei comuni considera- ti “aree metropolitane” le famiglie spendono di più:

2.616 euro mensili contro i 2.378 euro nei comuni periferici delle aree metropolitane e in quelli con al- meno 50mila abitanti e i 2.207 euro nei comuni fino a 50mila abitanti che non appartengono alla cerchia periferica delle aree metropolitane.

La pandemia da Covid19 ha cambiato le abitudini di consumo delle famiglie, questo è indubbio, e questo cambiamento ha assunto forme e contorni diversi a seconda della spesa di voce considerata come viaggi, vacanze, abbigliamento e calzature che registrano una percentuale pari al 45,5% di persone che hanno limi- tato l’esborso per questi beni non di prima necessità (nel Nord questa percentuale è pari al 39,6%, al Centro al 42,1% e nel Mezzogiorno al 56,8%).

02.Quanto spendiamo per vestirci?

Per città e regione: in cosa spendono di più e dove gli italiani?

2592 2604 2640

2550 2471 2489 2499 2524 2564 2571 2560

2328

2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020

Grafico 1. Spesa media mensile delle famiglie per ripartizione geografica (Valori in Euro) Fonte: Stime preliminari iIndagini sulle spese per consumi delle famiglie Istat

Centro

Nord Mezzogiorno

Italia

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In uno studio condotto da Confimprese-Ey, sull’anda- mento dei consumi nei settori ristorazione, abbiglia- mento e non food si evidenzia una fase ancora in recupero rispetto al periodo pre-pandemico con una chiusura nel mese di novembre 2021 a -13% su no- vembre 2019 e a -24% sul progressivo anno vs 2019, anno di riferimento per tracciare il benchmark a causa delle restrizioni iniziate a novembre 2020.

Il trend peggiore è per abbigliamento/accessori -21%, recupera la ristorazione -12%. Nelle aree geografiche è sempre il Sud a soffrire meno, sia nel mese (-5%) sia nel progressivo anno (-15%) vs 2019. L’area Centro chi- ude novembre a -13% e il progressivo anno vs 2019 a -24%. Un andamento simile si riscontra al Nord-ovest rispettivamente a -13% e -26%. Fanalino di coda il Nord- est con un mese di novembre a -20% e un progressivo anno a -31%. Nell’analisi del mese di novembre 2021 vs novembre 2019 solamente la Puglia registra un trend positivo (+6,5%) mentre le altre che seguono rilevano trend ancora negativi nell’arco temporale di riferimento. In particolare, poco distanti dalla regione pugliese seguono Abruzzo (-2,9%), Calabria (-4,2%) e Sicilia (-7,6%). Tra le peggiori troviamo Veneto (-22,9%), Umbria (-21,4%) e Marche (-21%). Sem- pre con segno negativo seguono Friuli-Venezia Giulia (-20%), Emilia-Romagna (-18%), Trentino-Alto-Adige (-17,3%), Toscana (-15,6%), Piemonte (-14,2%), Lom- bardia (-12,3%), Liguria (-12%), Lazio (-10%), Campania (-9,9%) e Sardegna (-9,2%).

L’analisi per città rileva il primato di Napoli che chi- ude novembre 2021 vs novembre 2019 a +5% e si aggiudica il primo posto tra le città prese in esame.

02.Quanto spendiamo per vestirci?

Per città e regione: in cosa spendono di più e dove gli italiani?

NOTE

3 “Idealo” è una delle principali piattaforme di shopping e comparazione prezzi non solo in Germania, ma anche in molti altri paesi europei.

Le altre città registrano invece trend negativi rispet- to al medesimo arco temporale di riferimento: Roma (-11%), Milano e Palermo (-13%), Torino (-19%), Gen- ova e Firenze (-21%). I valori peggiori si registrano nell’ordine a Bologna (-33%), Verona (-30%) e Venezia (-27%).

Ad essere colpiti, particolarmente, gli outlet e i centri commerciali, considerati ancora nel 2021 luoghi ag- gregativi non sicuri per le misure di contenimento da Covid-19 e si vedono premiate le cosiddette “location di prossimità” che hanno chiuso novembre 2021 con un -13%, ben 11 punti in più rispetto alla media Paese sul progressivo del 2019.

Aprendo invece il capitolo degli acquisti online – che affronteremo nello specifico più tardi in questo stu- dio - abbiamo visto come la chiusura dei negozi fisici durante il 2020 e la lenta ripresa post lockdown abbia indotto anche gli italiani ad effettuare acquisti tramite gli e-commerce. I dati analizzati dal magazine “Idea- lo3” hanno dimostrato come l’85% degli acquirenti digitali italiani effettua in media almeno un acquisto online al mese, un valore di 5 punti maggiore rispetto a quello registrato nel 2020 e gli articoli più cercati, oltre all’elettronica in cima alla classifica causa il po- tenziamento della didattica a distanza - DAD e dello smart-working, sono quelli facenti parti del comparto

“Moda e Accessori” che raggiungono la percentuale di +44,9%.

Difficile, per gli acquisti online, delineare una mappatu- ra geografica precisa; si stima, però, che le regioni dove si registrano percentuali maggiori siano quelle più abi- tate e con maggiore presenza di forte connettività.

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Abbigliamento di qualità:

Cosa cercano designer e consumatori italiani e spagnoli

03

(13)

Gucci, il primo marchio italiano del Lyst Index - la classifi- ca trimestrale dei marchi e dei prodotti più alla moda4-, si conferma tra i più desiderati ed influenti a livello mondiale.

Seguono Prada, Bottega Veneta, Versace, Fendi e Valenti- no; poco importa ai consumatori internazionali se la propri- età sia rimasta italiana o meno. Lo stile che li identifica è ancora italianissimo e piace particolarmente agli stranieri ma non solo.

Insieme allo stile, tra le tendenze che caratterizzano i con- sumatori di moda, si affermano altre tematiche che mer- itano un’attenzione particolare, ovvero i temi legati alla sostenibilità e all’etica nella moda. Le innumerevoli indagini e i sondaggi svolti da Statista5 su campioni di varie fasce d’età evidenziano un particolare interesse del mercato dei consumatori per i temi legati alla sostenibilità nella moda e una più marcata sensibilità agli acquisti consapevoli, come riportato anche da Lyst. Il trend internazionale, che sottolin- ea l’urgenza verso un più limitato impatto ambientale della moda ed una richiesta di maggiore impegno per la riduzione dell’inquinamento ai produttori del settore, pervade tutte le fasce dei consumatori. Non solo ambiente, le loro attese si spingono addirittura oltre e richiedono ai brand di impeg- narsi in prima persona nel rispetto e nella promozione dei diritti dei lavoratori, sollecitando la loro responsabilità so- ciale verso comportamenti etici oltreché sostenibili.

Come si comportano i brand italiani? A tal proposito, par- ticolarmente apprezzato a livello mondiale è il posizion- amento di Benetton Group S.r.l. che si è classificato al 5°

posto del Sustainable Cotton Ranking 2020 poiché fornisce

informazioni sui materiali e sull'energia rinnovabili utilizzati nella produzione. Delle 23,7 mila tonnellate di materie prime utilizzate per la produzione dei capi Benetton nel 2019, quasi 19 mila tonnellate derivavano da materiali rinnovabili.

77.4

69.5 66.1

19.5 25.3

40.3 39.8 51

16.8 15.9 100

25 50 75

0

H&M G

roup C&A

Marks&Spencer Gr oup plc

Bestsellers A /S

Benett on Gr

oup S.r .l

Esprit H

oldings Ltd Next plc New Look

Associated Bitish F oods plc

(Primark) Inditex S.A .

Grafico 2

Fonte: Statista 2021

NOTE

4 La piattaforma di shopping LYST analizza il comportamento di oltre 150 milioni di consumatori che ogni anno scelgono tra ben 12.000 marchi e negozi. La formula alla base del Lyst Index considera le abitudini di acquisto su Lyst, inclusi i tassi di conversione e le vendite e tiene conto anche dei dati di ricerca di Google, nonché delle menzioni sui social media e delle statistiche di engagement in tutto il mondo per i tre mesi antecedenti all’emissione del ranking. www.lyst.com

5 Statista, piattaforma internazionale che raccoglie ed analizza i dati di business di oltre 170 settori e relativi a più di 150 paesi al mondo; www.statista.com

03 Abbigliamento di qualità:

Cosa cercano designer e consumatori italiani e spagnoli

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Ma come la pensano i consumatori italiani? Sono più attratti dalle nuove tendenze di moda del mercato, dal- lo stile tradizionale o sono influenzati dai nuovi temi come etica e sostenibilità? È possibile metterli a con- fronto su uno stesso piano? L’amore per l’eleganza e l’artigianalità è indubbiamente qualcosa che caratter- izza le scelte dei consumatori italiani ma anche i nuo- vi trend attraggono la loro attenzione. Mentre lo stile dura trasversalmente alle stagioni e può essere iden- tificato con la personalità, con l’identità dell’individuo e con il suo personale modo di essere e di vivere la vita, i trend invece sono considerati qualcosa di dinamico, in costante cambiamento, che si evolve nel tempo e pertanto strettamente legati a variabili interne ed es- terne al mondo della moda, che influenzano anche il fashion italiano.

Inoltre, secondo un sondaggio della piattaforma digi- tale “Sprout Social”, emerge che il 66% delle persone e dei consumatori italiani vorrebbe che i brand di moda prendessero posizione sui temi sensibili e più del 58% ritengono importante che lo facciano sui social media. Ed ancora, il 39% che i brand siano ritenuti ef- ficaci quando annunciano, sempre attraverso i social network aziendali, donazioni a favore di cause speci- fiche e il 37% ritengono che i brand stessi contribuisca- no ad incoraggiare i propri followers a compiere azioni per sostenere cause come partecipare ad eventi o fare donazioni.

Oggi, i consumatori sostengono che la rilevanza dei messaggi che i brand lanciano attraverso comunica- zioni integrali – siano esse offline o online – sia fon- damentale per la scelta dell’acquisto favorevole dei

prodotti che gli stessi propongono; va da sé che per i brand si prospettano più vantaggi che rischi nel lanciare messaggi di tale tipo che, anche se a volte sembrano esulare la proposta dei prodotti stessi, dall’altra nascon- dono soltanto la proposta di nuove collezioni.

La pandemia ha cambiato profondamente i consumi legati al comparto moda in Italia.

Lo smart-working si è inevitabilmente tradotto in minori occasioni di shopping offline, la chiusura dei negozi, cinema e teatri, la cancellazione di feste, cerimonie e occasioni d’incontro, il divieto di spostamenti hanno com- portato come conseguenza diretta una forte diminuzione degli acquisti di moda. Anche il cosiddetto “travel shopping” è stato fortemente impattato e ridotto ai minimi termini a causa dell’impossibilità di viaggiare. In Italia, il calo medio delle vendite nei negozi fisici è stato del 43,4% nel comparto della moda intesa come tessile, abbigliamento, calzature, pelletteria, accessori e articoli sportivi).

Non significa però che gli italiani abbiamo rinunciato del tutto agli acquisti. Sicuramente ne ha beneficiato l’online, come vedremo nel capitolo che segue.

E quindi cosa hanno comprato i consumatori italiani oltre a vino e cibo? Comfort clothing, e articoli sportivi, in media con la tendenza internazionale, vale a dire maglieria (51,3%), pantaloni (32,1%), giubbotti, cappotti e piumini (che insieme cubano il 39,3%), le immancabili scarpe da donna e qualche abito (insieme il 35,9%) e le tute (15,8%), come indicato nel Report 2021 della Federazione Moda Italia, redatto insieme a World Capital.

Ma al di là del Covid, ci sono delle cause che più di altre stanno a cuore ai brand così come ai consumatori finali? La risposta è fondamentale ed è alla base di quello che, oggi più che mai, siamo soliti chiamare “brand activism”6. e gli argomenti a fondamento delle cause stesse vengono chiamati – in gergo aziendale – “ i ma- lefici 7”, qui di seguito elencati:

Cambiamento climatico Disuguaglianze

Estremismo Migrazioni Istruzione Corruzione

Popolazione (aumento demografico) Tabella 2

03. Abbigliamento di qualità:

Cosa cercano designer e consumatori italiani e spagnoli

(15)

Si tratta di tematiche generali all’interno delle quali si trovano sottoinsiemi oggettivi che rientrano nell’attività strategica delle aziende, dei brand e quindi dei designer che ne fanno parte. Il rendersi conto di questa situazione così come dell’importanza dell’attivismo da parte dei brand porta ad una strategia fondamentale ad oggi per aggirare il consumatore ed indurlo a confluire nella scelta dei propri prodotti: il “brand purpose” (nella traduzione,

“finalità, proposito, senso, uso”).

Ed è da qui che il brand activism si pone delle domande:

Che cosa bisogna fare?

Qual è il nostro terreno di gioco?

Quale contributo possiamo dare?

Come possiamo contribuire?

Come possiamo diminuire il nostro impatto?

Un’impresa che voglia comprendere infatti il futuro e dargli forma deve analizzare la propria cultura organiz- zativa e la propria capacità di comprensione. Le aziende e i designer devono oggi porsi la seguente domanda:

“Come siamo considerati dai nostri collaboratori, dai nostri clienti, dalla nostra società?”. È quindi la cultura dei brand che deve prima porsi domande, poi dare risposte ai propri clienti che, magari nel medio e lungo termine potranno divenire loro potenziali consumatori.

Bisogna però considerare che il 54% dei consumatori italiani ritiene difficile trovare il prodotto che desidera. La ricerca di Google “Decoding Decisions”7 ha identificato un modello decisionale che tiene conto del contesto at- tuale e al cui centro il consumatore si trova nel cosiddetto “Messy Middle”, uno spazio complesso compreso tra il primo trigger - o click iniziale di visita -e l’acquisto finale. Il consumatore si muove tra esplorazione e valutazione ripetendo il ciclo tutte le volte necessarie per arrivare a una decisione finale di acquisto. In questo processo di esplorazione e valutazione i bias cognitivi (anche conosciuti come “pregiudizi”), giocano un ruolo fondamentale nella scelta di un prodotto rispetto a un altro.

NOTE

7 https://www.thinkwithgoogle.com/intl/it-it/strategie/ricerca-google/tendenze-business-post-pandemia/

03. Abbigliamento di qualità:

Cosa cercano designer e consumatori italiani e spagnoli

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La ricerca di Google si focalizza su 100.000 scenari simulati tra i consumatori italiani suddivisi in 10 categorie.

Secondo la ricerca, sono 6 le principali che determinano una buona parte di preferenza del brand.

1. Euristica di categoria: brevi descrizioni del prodotto semplificano le decisioni di acquisto 2. Bias di autorità: l’opinione di un esperto o di una fonte attendibile è influente

3. Euristica sociale: consigli e recensioni da altri possono rivelarsi molto efficaci 4. Potere dell’immediatezza

5. Bias di scarsità: un prodotto diventa più desiderabile se la sua disponibilità diminuisce 6. Potere della gratuità: un regalo incluso con l’acquisto può essere un ottimo incentivo

In ultimo, ma non per ultimo, arriva la componente emozionale che determinerà il cosiddetto “click finale” (ossia, l’acquisto). Non solo, in tempi di COVID-19 si è registrata una tendenza specifica che strizza l’occhio non soltanto alla cultura del brand ma soprattutto alla sua “trasparenza” (86% della percentuale tra i consumatori). E ancora, l’interesse di ricerca per il termine Ideas è aumentato moltissimo nel 2020 confermandosi nel 2021 e denotando quanto i consumatori abbiano bisogno di ispirazione quando si tratta di creatività. Anche la domanda è cambi- ata moltissimo; per esempio, l’interesse di ricerca per lo stile di abbigliamento Smart casual si è spostato verso Lounge wear o tenuta comoda.

In cima alla classifica però si conferma la tendenza della “sostenibilità”, tematica che durante la pandemia ha raggiunto livelli percentuali altissimi.

Secondo il Report 2020 sulla moda consapevole (“2020 Conscious Fashion Report”) pubblicato dalla piat- taforma “Lyst” in collaborazione con l’associazione

“Good on you” che guida i consumatori nelle loro scelte di acquisto valutandone l’impatto sulle persone, l’ambi- ente e gli animali, i consumatori si stanno dimostrando sempre più consapevoli dell’impatto ambientale e so- ciale del comparto moda e dei materiali utilizzati nella produzione di abbigliamento ed accessori. Il report è stato stilato studiando parole chiave, pagine visitate, tasso di conversione e vendite realizzate su Google.

Le ricerche di pelle vegana, per esempio, sono in con- tino aumento e in un mese superano le 33mila unità mentre restano invariate le ricerche con parola chiave

“falsa pelle” e aumenta l’uso di termini come “pelle ve- gana ecologica” (è importante ricordare che “vegano”

non è necessariamente sinonimo di ecologico, anzi).

A registrare un incremento anche le ricerche di tessuti ecologici come cotone organico e derivati dalla plas- tica riciclata che sono aumentate rispettivamente del 23% da novembre 2019 e del 35% dal gennaio 2020.

Quindi, biodegradabile, 10% mentre pelle e pelliccia calano del 3,5 e 8% rispetto al 2019.

03. Abbigliamento di qualità:

Cosa cercano designer e consumatori italiani e spagnoli

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Quando parliamo di moda sostenibile i prodotti più ricercati e apprezzati dai consumatori sono sempre le sneakers e il denim che crescono del 142 e 108%. Iniziano però a destare interesse ance i gioielli riutilizzati (+ 90%) e i gioielli etici (+ 60%). Le parole chiave eco t-shirt e abbigliamento sportivo sostenibile hanno raggiunto massimi storici con una media mensile di mille ricerche. Ad aumentare anche la ricerca di piumino sostenibile, giacca di pelle vegan e costumi da bagno ecologici (+65%).

Grafico 3. Top 30 Paesi per ricerche di brand sostenibili Fonte: Lyst

03. Abbigliamento di qualità:

Cosa cercano designer e consumatori italiani e spagnoli

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Le ricerche per abbigliamento femminile sono state più alte del 45% rispetto all’abbigliamento maschile, dato che evidenzia la sensibilità maggiore delle donne a tematiche legate alla moda sostenibile. Ma quali sono i brand più ricercati e acquistati dei consumatori italiani? Questa la classifica che merita successivamente di un approfondimento:

BALENCIAGA GUCCI DIOR PRADA

LOUIS VUITTON NIKE

BOTTEGA VENETA VERSACE

FENDI

SAIN LAURENT MONCLER BURBERRY VALENTINO OFF-WHITE LOEWE

ALECANDER MCQUEEN GIVENCHY

BALMAIN JACQUEMUS DOLCE&GABBANA8

Tabella 3 Focalizzandoci sulla seconda voce in classifica, Gucci, dobbiamo evidenziare come il co-branding “The North Face x Gucci,” abbia riscosso grande successo. La collezione ha permesso al marchio fiorentino di scalare anche la classifica dei prodotti più desiderati del trimestre 2021 con la giacca con il monogramma. Gucci ha raggiunto e mantenuto posizioni di tale rilievo anche grazie al lancio delle prime sneakers digitali e della collezione Aria in co-branding con Balenciaga9.

Anche il ritorno al lavoro in presenza ha influito sulle ricerche di moda: sempre secondo Lyst il rientro in ufficio è stato segnato da una maggiore voglia di abiti business-casual, rilassati, smart (in particolare jumpsuits, pantaloni wide-leg, capi oversize).

Sul podio dei momenti clou della moda 2021 sale la fase delle riaperture dei locali e la ripresa degli eventi mon- dani come i concerti. Una fase che non è coincisa in tutti i Paesi del mondo, ma mediamente si è trattato della stagione più calda: non a caso, durante l’estate è stato registrato un enorme incremento di ricerche per abiti da party, minigonne (+221%) e scarpe platform (+233%).

Una tendenza diffusa a livello internazionale di ricerca si lega alla vaccinazione anti-Covid-19. È infatti il “vaccine top” ad essere stata una delle ricerche più cliccate sui maggiori motori di ricerca, ovvero, maglie con spacchi della manica che facilitino l’iniezione, o aperture ad oblò, o spacchi pratici e veloci per la stessa.

NOTE

03. Abbigliamento di qualità:

Cosa cercano designer e consumatori italiani e spagnoli

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Il digital è sempre più preponderante in questo settore e di primaria importanza per il futuro del comparto. I marchi della moda hanno oggi bisogno di person- ale qualificato e professionale che capisca le nuove metriche dei consumatori.

Le modalità di ingaggio sui social network stanno evolvendo e con esse anche l’esperienza di acquisto stessa si orienterà verso una relazione legata a mec- canismi di connessione e influenza tra persone. Si sta vivendo un passaggio culturale dal B2C (business to consumer) all’H2H (human to human) ed in un panorama del genere risulta fondamentale che quando la tecnologia gestisce le interazioni si possa comunque mantenere il contatto tra le persone.

Ponendo l’accento sulla moda maschile, invece, vediamo come il concetto di

“gender fluid” stia guidando gli acquisti, subendo un’impennata notevole rispet- to al 2020 e ponendo come must-have gonne plissettate e borse da passeggio.

Forieri di tali tendenze rapper e rappresentanti dello show-business che, affian- cando sempre più brand e assurgendo a testimonials di successo, determina- no tendenze e ricerche di mercato.

Facendo una chiosa sull’argomento, vediamo quindi come le tendenze dei con- sumatori e dei designer così come delle aziende di moda internazionali e dei brand da queste prodotti virino sempre più sui lati intangibili del prodotto che, se da una parte pone quesiti fin troppo ricercati e filosofici, dall’altra evidenzia come siano proprio gli attributi non visibili quelli che determineranno le scelte dei consumatori.

“Non si è mai troppo piccoli per contribuire ad un cambiamento” sostiene, para- frasandola, l’attivista Greta Thunberg e la moda, dalla sua, può farci portavoce di battaglie fino ad ora sopite anche soltanto attraverso un click.

“Digital fashion”, “Conscious” o “Genderless” quindi non saranno soltanto tra i cultural sentiment più ricercati sui motori di ricerca e all’interno dei negozi fisici ma veri e propri concetti chiave che caratterizzeranno sempre più l’intero comparto.

03. Abbigliamento di qualità:

Cosa cercano designer e consumatori italiani e spagnoli

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Guardando ai dati però, sebbene l’interesse verso temi quali le condizioni di lavoro e l’impatto ambientale dell’industria della moda sia in forte crescita, l’aspetto della sostenibilità non è ancora un fattore trainante per il consumatore di moda italiano.

Secondo uno studio pubblicato su “Statista”, relativo a dati raccolti solo un anno fa su un campione consist- ente della popolazione italiana di fasce d’età miste, i principali fattori considerati dai consumatori italiani nell’acquisto di capi di abbigliamento, calzature, ac- cessori, ecc. sono il prezzo, la vestibilità e la qualità.

Tali elementi ricoprono ancora un ruolo di primaria importanza. Sebbene nel sondaggio il 21% degli in- tervistati abbia affermato di aver ridotto l’acquisto di abbigliamento spinto da motivazioni etiche, solo il 16% degli intervistati ha dichiarato che vorrebbe ac- quistare capi “cruelty-free” e vegani e addirittura solo il 7% ha ammesso di aver effettivamente già acquistato secondo questi criteri.

Quando si tratta di aspetti sostenibili, circa il 20% degli intervistati ha dato priorità alla durata del prodotto, mentre il 14% era più preoccupato per l’impatto eco- logico. E dunque quali sono gli ostacoli all’acquisto di abbigliamento sostenibile ed eco-compatibile? Gli ital- iani hanno citato vari aspetti quali la difficoltà di dis- cernere i marchi realmente eco-friendly, i prezzi alti e la difficoltà a reperire tali marchi.

Va riconosciuto però l’atteggiamento positivo nei con- fronti di questi temi. La maggioranza degli intervistati

Abitudini e tendenze dei consumatori italiani

ha sottolineato la necessità di un intervento normativo che spinga i produttori di abbigliamento a osservare comportamenti etici durante tutte le fasi del ciclo pro- duttivo.

Da osservare positivamente anche la conoscenza di termini quali “slow fashion”, noto al 30% degli interv- istati e la riduzione del numero di capi acquistati (dichi- arazione del 21% degli intervistati) o la volontà di farlo (14%) in virtù di comportamenti maggiormente etici, basati su una rinuncia della quantità per una migliore qualità.

Si deduce dunque la disponibilità dei consumatori ital- iani a modificare le proprie abitudini d’acquisto per ad- ottare comportamenti più sostenibili, se dotati di mag- giori informazioni e prezzi più accessibili.

Sempre dal medesimo studio è emerso che la mag- gior parte degli intervistati acquista durante il perio- do dei saldi (60%) e principalmente nei negozi di “fast fashion” (64%). Solo il 34% ha dichiarato di dedicarsi regolarmente agli acquisti durante tutto l’arco dell’an- no. Inoltre, circa il 12% dei consumatori coinvolti nell’indagine ha affermato di scegliere marchi etici.

Molto interessante il dato sulla preferenza per i nego- zi dell’usato. Ben l’8% degli intervistati ha dichiarato di rivolgersi con una certa frequenza a questo cana- le, dato che sembra destinato a scalare le classifiche proprio grazie alla maggiore consapevolezza etica dei consumatori ma ne parleremo nei prossimi capitoli.

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Online Fashion

04

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04 Online Fashion

Lo shopping online continua a crescere senza sosta nell’Unione Europea, secondo uno studio di Eurostat sull’ecommerce, presentato all’inizio dello scorso anno. La crescita rispetto al 2019 è stata del +4% (+10%

rispetto al 2015).

Tra i settori trainanti dell’e-commerce, anche in tempi pandemici, c’è la moda che vede tra i suoi consumatori più attivi gli svedesi (72%), i polacchi (70%), i francesi (65%), seguiti da italiani (63%), britannici (57%) e rome- ni (51%):

La trasformazione digitale sta lasciando il segno anche nel mondo della moda e sta accelerando tutti i proces- si. Nell’ultimo anno, i marchi hanno sperimentato nuove tecnologie e nuove piattaforme, che si tratti di giochi, moda 3D o modelli virtuali, nel tentativo di connettersi con i nuovi consumatori. Se le maison più affermate hanno dovuto reinventarsi e trovare nuovi modi di comunicare con il proprio pubblico, a detta di Brenda Otero, Cultural Insights Manager di Lyst, “la pandemia ha accelerato alcuni cambiamenti nell’ecosistema dei marchi”.

Tutti i marchi, evidentemente. Nuove opportunità, infatti, si sono presentate proprio per quelli meno conosciuti che hanno avuto la possibilità di sfruttare le nuove piattaforme tecnologiche ed i social media per emergere, pur non disponendo di grandi budget.

Svezia 72%

Polonia 70%

Francia 65%

Italia 63%

Regno Unito 57%

Romania 51%

Tabella 4. Moda e e-commerce (principali consumatori – Paesi Europa) Fonte: RetailX Consumer Observatory 2021

Se gli effetti del Covid sul comparto retail della moda hanno avuto effetti devastanti, come dichiara Renato Borghi, Presidente della “Federazione Moda Italia”, la crisi derivante dalla pandemia, che ha costituito un elemento catal- izzatore di cambiamento a livello internazionale, ha spinto anche le aziende di moda italiane ad adottare nuovi paradigmi di creazione di valore finalizzati a ottimizzare i propri investimenti, perfezionare le proprie strategie di sviluppo del business e a soddisfare le richieste dei consumatori.

Quali sono state le dirette conseguenze sul fronte dei consumi? A livello internazionale, per la prima volta, la propensione ad acquistare abbigliamen- to in rete ha raggiunto un tasso del 43% e ciò è accaduto soprattutto nel periodo iniziale della pan- demia, come emerge da un’indagine10 della soci- età McKinsey, che ogni anno analizza il mercato mondiale della moda e del lusso11.

Effettuata su un campione europeo di più di 2.000 consumatori, la ricerca ha indagato anche la percezione della sostenibilità nella moda in cer- ca di una più marcata sensibilità agli acquisti co- siddetti consapevoli. Per due terzi del campione, infatti, l’epidemia ha sottolineato l’urgenza che la moda limiti il suo impatto ambientale e in molti (l’88%) ritengono che i produttori del settore deb- bano impegnarsi maggiormente per la riduzione dell’inquinamento. L’aspettativa dei consumatori è che i marchi si occupino di rispettare e promuo- vere i diritti dei lavori, restando quindi eticamente ancorati alla loro responsabilità sociale oltre che ambientale.

Per quanto riguarda gli italiani, secondo “We Are Social”12, sono più di 50 milioni quelli che accedono a Internet ogni giorno, ovvero l’83,7%13 della popo- lazione e incredibilmente sono oltre 1 milione le persone che si sono connesse ad internet per la prima volta nel 2020 (+2,2% rispetto al 2019). An- cora più eclatante il dato relativo agli italiani attivi sulle piattaforme social che con un +6% raggiunge i 41 milioni, tutt’ora in crescita.

NOTE10 Survey: Consumer Sentiment On Sustainability In Fashion, Luglio 2020

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04. Online Fashion

Cosa fanno gli italiani online?

Guardano video (93%), ascoltano musica in streaming (61%) e podcast (25%), giocano (81%) e fanno shopping o visitano i siti di e-commerce per raccogliere informazioni sui prossimi acquisti (81,5%).

Due consumatori italiani su tre utilizzano lo smartphone e nella maggior parte dei casi (77,3%) con un dispositi- vo mobile Android14. L’inseparabile smartphone, quando si parla di moda, viene usato anche durante lo shopping nei negozi fisici e utilizzato per confrontare i prezzi, per cercare informazioni di dettaglio sul prodotto, per leggere recensioni e per condividere immagini dell’articolo o foto dal camerino.

La percentuale degli uomini che effettuano transazioni online è lievemente superiore (69,7%) a quella delle donne (61,1%) ma non per molto ancora.

Anche l’ultima rilevazione dell’Eurispes14 (2021) ha ev- idenziato un uso diffuso del commercio elettronico, du- rante il periodo della pandemia, da nord a sud (71,4%).

In particolare, l’acquisto online di capi di abbigliamento ha riguardato, con diverse intensità, circa il 66% dei con- sumatori italiani, rendendo il 2020 un anno storico per l’e-commerce italiano.

L’85% degli italiani che acquistano online fanno, in media, un acquisto al mese (+5% rispetto al 2020) ma il mercato digitale italiano è dominato dai frequent buyer.

Inoltre, tra le ragioni che spingono gli italiani ad acquistare online15, al primo posto si trova il risparmio (55%), seguito dalla comodità di acquisto (36%), dalla facile reperibilità degli articoli (25%) e dalla possibilità di comprare sempre ed ovunque (23%).

A questi si aggiungono altri aspetti interessanti quali la più

ampia scelta di prodotti rispetto al canale offline (19%), il diritto di recesso dall’acquisto (16%), l’opportunità di fare shopping in store virtuali collocati al di fuori dei propri confini territoriali (14%) e la disponibilità di informazioni, suggerimenti utili e recensioni per l’acquisto (12%).

Ma è possibile delineare l’identikit del consumatore digitale italiano e mappare il suo comportamento d’acquisto online?

Ha provato a farlo il già citato magazine “Idealo”15, analiz- zando le intenzioni di acquisto degli utenti che nel periodo tra compreso tra settembre 2020 e febbraio 2021 han- no effettuato circa 72 milioni di visite web mensili (dati SimilarWeb), ai suoi sei portali nazionali (Italia, Germania, Francia, Spagna, Regno Unito e Austria) e combinandole con i risultati di due sondaggi commissionati nel giugno 2020 e nel febbraio 2021 a Kantar16. Dallo studio emer- gono dati interessanti sui prodotti più cercati online, sui profili demografici degli utenti più attivi e dettagli singolari sulle tendenze legate all’e-commerce.

Moda e Accessori, Prodotti per la Bellezza e Profumi, Scarpe e Sneakers si collocano ai primi posti della clas- sifica dei prodotti più acquistati online dagli italiani nel 2020 ed anche ai vertici delle motivazioni per le quali gli italiani utilizzano maggiormente la comparazione prezzi online. Moda & co. non sono tra le macrocategorie con la maggiore crescita di interesse online nello scorso anno poiché godevano già di sufficiente fama.

NOTE

14 Eurispes, indagine: un anno di Covid in Italia, 2021

15 In base ai dati del report annuale dell’Osservatorio Multicanalità, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e da Nielsen, https://www.osservatoriomondoretail.com/2021/06/17/perche-gli-italiani-comprano-online

16 Idealo è una delle principali piattaforme di shopping e comparazione prezzi non solo in Germania, ma anche in molti altri paesi europei.

17 Kantar, tra i leader mondiali nell’insights, consulenza e data management; www.kantar.com

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04. Online Fashion

Quali sono i comportamenti d’acquisto dei consumatori italiani online? La pandemia da Covid19 li ha influenzati?

Nel post-Covid, in Italia, la moda sta beneficiando di nuovi scenari che portano al rafforzarsi dei movimenti legati alla sostenibilità ambientale e sociale della pro- duzione e della distribuzione e accelerano cambiamen- ti strutturali come la riduzione della stagionalità delle collezioni e la nascita di una economia circolare.

Inoltre, in questo periodo sono emerse due tendenze interessanti, in particolare legate ai Millenial e ai gio- vani della Generazione Z, portatori di nuovi modelli di consumo. La prima è rappresentata dall’acquisto di capi da indossare più a lungo, anche riparandoli se necessario, e la seconda riguarda, invece, una mag- giore propensione verso il mercato del second hand di cui parleremo in seguito.

Le piattaforme di e-commerce hanno permesso al consumatore italiano di accedere ad un mercato globale dell’abbigliamento, arricchito da un’esperien- za d’acquisto che abbraccia la tracciabilità della filiera produttiva e rende più evidenti i produttori che ader- iscono a regolamentazioni nazionali o transnazionali di tutela dei lavoratori e della loro salute, di protezione dell’ambiente, di utilizzo di materiali ecosostenibili, di rispetto dei diritti dei consumatori, ecc.

Due consumatori italiani su tre utilizzano lo smartphone e quando si parla di moda, anche durante lo shopping nei negozi fisici.

Cosa predilige chi acquista online?

Il nuovo shopping online è influenzato da varie tenden- ze di stile, di vendita e di mercato. Da un lato il diffond- ersi della sartoria artigianale online, dell’economia circolare e della riduzione della stagionalità, dall’altro la comparsa all’orizzonte della tracciabilità globale del capo, dell’identità di impatto ambientale del marchio, delle soluzioni di riciclo di materiali e di re-branding di capi invenduti, di piattaforme di scambio o mutuo prestito, servizi di affitto di vestiti per capi di lusso, ecc.Senza fare distinzione di prodotto, a seguito della pan- demia, per la maggior parte, chi acquistava offline ha modificato il proprio comportamento d’acquisto e ora compra i prodotti solo online o continua a cercare i prodotti online per poi effettuare acquisti esclusiva- mente nei negozi fisici. È però molto alta la percentu- ale (72,6%) di coloro che ancora visitano un negozio fisico prima di acquistare online.

Molti utenti fanno attenzione alla stagionalità quando acquistano online; un quinto della popolazione fa ac- quisti durante la stagione più indicata, un 30% si divide tra il prima ed il dopo. I prezzi più economici del fuori stagione, però, attraggono solo una parte dei consu- matori. Il 58,6% di loro preferisce acquistare comun- que quando ne ha bisogno. Quel che è certo, secondo i dati raccolti, è che la categoria della moda & co. è proprio quella con la più alta percentuale di utenti che

preferisce acquistare nella stagione più indicata. Carta di credito e PayPal i metodi di pagamento più utilizzati.

Il social shopping è ancora molto diffuso nel nostro paese e si è trasferito online. La maggior parte degli italiani ben il 93% degli italiani effettua shopping con e/o per gli altri, soprattutto quando familiari e ami- ci hanno poca dimestichezza con le piattaforme di e-commerce.

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Abbigliamento in affitto:

moda o tendenza accettata?

05

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In molti ricorderanno una delle scene presenti in “Sex and the City”18 in cui Carry Bradshaw si rivolge a colei che assumerà come sua assistente chiedendole come fosse possibile, nonostante disoccupata e convivente con altre tre persone in un appartamento in affitto, che avesse il bauletto Louis Vuitton “originale”. La risposta?

“Semplice”, dice l’assistente, “l’ho presa in affitto!”.

È questo uno dei momenti che afferma ancor di più a livello globale il fenomeno del “fashion renting”, balzato nelle classifiche consumer prima nel 2010 negli USA, quindi in Cina e in Inghilterra ed ora anche in Italia.

Prima di analizzare l’ampiezza di tale fenomeno però sarà utile condividere uno studio della piattaforma

“Lyst” che aggrega oltre otto milioni di prodotti legati al mondo della moda di 17mila brand in vendita su tutti gli e-commerce di settore e che ha osservato un au- mento del 37% nelle ricerche di key words legate alla

“sostenibilità” e collegate al settore del fashion. In tale contesto articoli frutto di “riuso creativo”, abiti “second hand” e capi provenienti dall’industria slow fashion stanno infatti acquistando notevole considerazione tra i consumatori del web. In questo contesto, a causa anche della pandemia e il relativo periodo di lockdown, tutte le previsioni sono in aumento. Il business globale dei prodotti di “seconda mano” aumenterà tra il 15% e il 20% fino al 2026, secondo “Boston Consulting Group”.

Nello specifico, per il mercato della moda, possiamo vedere come i grandi marchi di moda casual e sportiva stiano vendendo direttamente attraverso i canali di rivendita. Anche marchi emblematici come Louis Vuitton, Gucci o Chanel hanno aperto piattaforme commerciali legate al riutilizzo, come “The Real Real”, che viene uti- lizzato dai marchi del lusso per vendere capi usati in passerella o altri eventi legati al mondo della moda o capi riacquistabili direttamente dai clienti che possono essere venduti ad un prezzo più accessibile, con l’obiettivo di catturare ed avvicinare a marchi storici del fashion i consumatori più giovani con meno potere di spesa.

Analizzando quindi le stime dell’Informe - Sector de la Moda (2022) dell’EAE Business School, il mercato mondi- ale dell’usato ha triplicato i suoi numeri dal 2012 al 2020, anno in cui ha raggiunto i 33 miliardi di dollari. Secondo le previsioni, dal 2020 al 2024 il volume degli affari potrà quasi raddoppiare19.

05 Abbigliamento in affitto:

moda o tendenza accettata?

Il modello di noleggio dell’abbigliamento in Spagna e in Italia

11 12

14 14,5

17,5 20

24 28

33,03 38,97

45,98 54,25

64

0 10 20 30 40 50 60 70

2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021 2022 2023 2024

Grafico 4. Mercato mondiale della moda di secondamano (in migliaia di milioni) Fonte: EAE Business School (2022), Informe - Sector de la Moda

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05. Abbigliamento in affitto:

moda o tendenza accettata?

A questi settori possiamo quindi associare anche quel- lo del “fashion rental” o “moda in affitto” che, secondo il rapporto “Italia 2020” di Eurispes, raggiungerà en- tro il 2023 1,9 miliardi di dollari di fatturato proprio nel nostro paese. Questo studio di settore si collega anche alla stima che vede questo comparto in crescita nonostante una percentuale del + 10,7% di interesse stimata dall’inizio della pandemia.

È proprio quest’ultima, infatti, ad aver contribuito a far accrescere la sensibilità intorno ai temi legati alla sos- tenibilità tra cui si annoverano le produzioni di abbiglia- mento, i diritti dei lavoratori nei paesi considerati in via di sviluppo e la filiera produttiva che, ad oggi, conta di raggiungere maggiori trasparenze ed altrettanta trac- ciabilità. Più facile a dirsi che a farsi ancora visto che l’organizzazione Greenpeace ha stimato che la produz- ione di abbigliamento più che raddoppiata negli ultimi 15 anni.

La prima che ha compreso bene già nel periodo pre- Covid19 la portata del potenziale del fashion renting è stata Caterina Maresco, ideatrice di “DressYouCan”, proponendo online abiti di alta moda, accessori e scarpe con un limite di quattro giorni di noleggio e con un servizio di pre-noleggio a soli 20 euro. Il portale, inoltre, oltre a collaborare con marchi come Max Mara e Versace, ha unito le forze con la società milanese TakeMyThing, un servizio di pony sharing eco-friendly ideato per ridurre le emissioni di Co2.

E ancora, “Drexcode” che propone abiti da cerimonia insieme a consigli di stylist inclusi nel servizio con l’ag- giunta della possibilità di poter acquistare i capi una volta terminato il noleggio. Il portale propone pezzi

26 https://www.mef.gov.it/inevidenza/Approvata-la-NADEF-2021-lo-scenario-di-crescita-delleconomia-italiana/

Grafico 5. GWP impacts of the studied ownership and end-of-life scenarios for jeans

Fonte: Hire Hopes

nuovi o di seconda mano dei migliori brand del panora- ma internazionale come Marco De Vincenzo ed Erdem ed ha già migliaia di iscritti fedeli, pronti alle novità pub- blicizzate attraverso i canali di comunicazione social.

A dedicare la possibilità di noleggio soltanto al “must- have” per antonomasia, la borsa, “Rent Fashion Bags”

che offre anche la possibilità di abbonarsi per avere uno sconto sull’affitto. Un esempio? Una Birkin di Hermes a soli 250 euro per un noleggio di una setti- mana.

Questi successi imprenditoriali italiani prendono spun- to da quelli americani che anche in questo caso non si lasciando guardare dietro in quanto ad intuizione e manageralità. Pensiamo, per esempio, alla prima nata USA “Rent the Runway”, fondata da Jennifer Hyman, la prima nata ed anche la più celebre in ambito di fashion

rental che propone la possibilità di noleggiare 4 capi a 69 dollari al mese fino ad un massino di 16 capi per 149 dollari.

Spostandoci invece sul territorio britannico, troviamo

“By Rotation” che nel mese di marzo del 2000 ha visto crescere i propri utenti passando da 12.000 a 25.000, un portale che funziona come “airbnb” ove i privati han- no la possibilità di mettere a noleggio i propri capi o accessori e deciderne prezzo e modalità di affitto.

Le caratteristiche che accumunano questo tipo di business a livello mondiale riguardano invece i servizi di sanificazione, tintoria ed assicurazione che sono sempre inclusi nell’abbonamento, così come la prova pre-rent che se a volte a pagamento, altre risulta es- sere totalmente gratuita ed accompagnata da consigli di bravissimi stylist.

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Ma chi sono i clienti dei portali di fashion renting?

Il nuovo consumatore infatti, non necessariamente giovane, è più impegnato nei confronti dell’ambiente e quindi è maggiormente propenso a cambiare le proprie abitudini di consumo. I dati dell’EAE Business School ci confermano la tesi che più bassa è la fascia d’età, maggiore è la volontà di acquistare prodotti di seconda mano. Secondo “ThredUp”27, il 40% dei minori di 24 anni acquista già capi o accessori usati, quando solo nel 2016 lo faceva il 27% dei giovani. Il numero di acquirenti scende al 30% nella fascia di età 25-37 anni e al 20% sopra i 38 anni. Il motivo è duplice: da un lato i giovani hanno meno potere d’acquisto e, dall’altro, sono pienamente consapevoli dell’impatto negativo dell’industria tessile sull’ambiente .

Basandoci sull’Italia vediamo come il target di rifer- imento riguardi persone tra i 25 e i 29 anni ed in una percentuale più bassa tra i 45 e i 49 che dichiarano di amare il fashion - renting non soltanto per la possibil- ità di esaudire “il sogno nel cassetto” di indossare capi o accessori firmati almeno una volta nella vita ad un prezzo sicuramente e notevolmente più basso (si trat- ta del 15% delle statistiche) ma anche di apprezzare il valore affidato ai prodotti nel tempo breve del loro utilizzo (67%).

Se pensiamo che circa l’80% dei vestiti che compria- mo rimane nei nostri armadi e non viene mai utilizza- to e che il 36% degli abiti ha una vita media inferiore ai 160 utilizzi comprendiamo bene il perché di tali statistiche e motivazioni.

Statistiche importanti queste a cui si affianca come sempre e ancora una volta la nominatissima ed ap- prezzata dai maggiori brand di riferimento Generazi- one Z, ossia, gli aventi dagli 11 ai 25 anni, che secondo una ricerca della Washington State University afferma- no per il 55% di prediligere il noleggio dei capi e degli accessori di marca più che acquistarli. ì

Ma perché la tendenza al noleggio è accresciuta du- rante la pandemia anche in Italia? La risposta risiede proprio nell’impossibilità di uscire durante i periodi di lockdown che hanno portato le persone a condividere – e condividersi – soltanto attraverso i social network o a partecipare a riunioni dietro uno schermo così come a lezioni in DAD. Questo ha quindi accelerato la voglia di mettersi in gioco con la condivisione dell’out- fit anche nel privato delle singole abitazioni, per dare un segnale di identità e di voglia di prendersi cura di sé nonostante la situazione difficile. Immaginiamo, poi, i selfies che si sono condivisi sui maggiori social network: i cambi in una giornata hanno superato se non doppiato addirittura quelli agiti nel pre-pandemia, assumendo i canoni di una vera e propria rivoluzione sociologica in ambito fashion.

Rivoluzione che non ha visto fermi neanche alcuni tra i brand più importanti nel panorama italiano che a parte aver aderito ed accettato le politiche di noleggio sulle piattaforme già citate hanno addirittura pensato di crearne di proprie. Un caso tra tutti “Pleasedont- buy” ideata dal marchio Twinset che propone abiti da cerimonia, party o per occasioni speciali a noleggio.

Caratteristiche del portale la possibilità di prendere ap- puntamento in una delle boutique del brand vicine per la prova abito ed eventuali consigli in store, noleggiare

quindi i capi scelti per la durata di 4 giorni partendo da 40 euro e, se si vuole, procedere all’acquisto scontato una volta conclusi i giorni di noleggio: un’ottima strate- gia di marketing che vede l’offline non perdere terreno bensì prevedere una maggiorazione degli acquisti an- che in store.

Spostandoci nel fast-fashion vediamo come il colos- so svedese H&M ha presentato nel dicembre del 2020

“Singular Society”, un portate in abbonamento mensile a 9,50 euro per un totale di 5 acquisti o 19,50 euro per 25 acquisti: niente noleggio, a quanto pare, ma un otti- mo clone di un business già avviato invece da “Arket”, il brand by H&M dedicato ai più piccoli che invece pro- pone noleggio e restituzione a pressi vantaggiosissimi.

05. Abbigliamento in affitto:

moda o tendenza accettata?

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Nonostante i numeri assolutamente positivi che vedono il fashion rental scalare le classifiche con una previsione in positivo per gli anni che verranno anche in Italia dobbiamo porci un quesito importante, prendendo spunto proprio dalla società di “DressYouCan” e dalla joint venture della stessa con “TakeMyThing”, ossia: il noleggio di abiti e di accessori è davvero una soluzione sostenibile viste le spese di spedizione, trasporto e reso che ne conseguono? Secondo alcuni es- perti assolutamente no ma sicuramente ci si può e ci si deve lavorare:

“Crediamo che il noleggio necessiti di un esame accurato per renderlo il più ‘verde’ possibile, ma vale comunque per scoraggiare le persone a non buttare via i vestiti”, ha affermato Tamsin Chislett, cofondatore e amministratore delegato di Onloan, una start up di noleggio che opera con un modello di abbonamento.

E ancora, “Il noleggio non è la soluzione perfetta, non lo stiamo affatto discutendo. Dobbiamo lavorare collettivamente e apertamente per ap- portare cambiamenti e migliorare costantemente”, ha affermato Chis- lett, indicando la conclusione dello studio che il noleggio può avere un basso potenziale di riscaldamento globale “se la consegna può essere organizzata senza impatti” .

Possiamo quindi concludere che il futuro di questa tipologia di com- mercio possa essere un’ottima soluzione non soltanto per ripristin- are un’economia nazionale post pandemia ancora in crisi ma anche per contribuire a raggiungere uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU che prevede una riduzione drastica delle emissioni di Co2 con un primo appuntamento di analisi previsto nel 2025: la speranza è sempre quella di non arrivare troppo tardi.

05. Abbigliamento in affitto:

moda o tendenza accettata?

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Conclusioni

06

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06 Conclusioni

Il nuovo consumatore di moda affascinato dal Made in Italy si divide tra il desiderio di uno stile autentico e una rigorosa tradizione, da un lato, e la voglia di moderna ispirazione, di fresche tendenze dall’altra, mixandole con la smania di condivisione sia di opinioni e giudizi, attraverso i canali di volta in volta disponibili – siano essi fisici o virtuali - ed anche di concreti scambi dei pezzi più iconici.

In tale contesto, abbiamo visto che la pandemia non ha frenato l’espansione del settore moda, tanto meno quello legato al Made in Italy.

Nonostante le grosse difficoltà che tutto il comparto ha dovuto superare a causa della crisi sanitaria ed il rallentamento senza precedenti registrato nel 2020, per il Sistema Moda italiano è atteso un ritorno ai liv- elli pre-crisi nell’arco di 12-18 mesi, confermato anche da quanto emerge dal report “Sistema Moda dell’Area Studi di Medio Banca”, presentato meno di un anno fa in occasione degli Annual Fashion Talk27.

Ne sono la riprova diversi fattori: in primis, il fatto che solo l’Italia abbia mantenuto una così elevata concen- trazione della produzione di lusso all’interno dei propri confini, in secundis, l’universalmente riconosciuta ec- cellenza della filiera del Bel Paese e della qualità del Made in Italy. Tutto ciò costituisce un’ancora di salvez- za per la moda italiana ed anche per i suoi diretti ed indiretti fruitori.

Infine, considerati i dati raccolti in questo breve studio, il desiderio di tornare ad un’accettabile normalità, di in- contrarsi, di mostrarsi con nuovi outfit che rispecchino in libertà il proprio mood, si incontra con una nuova sensibilità per il rispetto dell’ambiente che ci circonda ed un interesse per il mondo del digitale, dove la nuova realtà permette di proiettarsi in mondi virtuali vicini e lontani.

Il Sistema Moda Italia, come una fenice, rinasce quindi, come già accaduto in passato, dalle proprie ceneri.

Artigiani, produttori, designer, marketer e consumatori italiani sono pronti a dimostrare ancora una volta il va- lore del loro bagaglio culturale e del patrimonio di sto- ria, arte e tradizione che da sempre li contraddistingue a livello internazionale.

L’evoluzione della società porta cambiamenti struttur- ali che agiscono non soltanto nel linguaggio ma anche nei modi di relazionarsi con la stessa da parte degli in- dividui e dei consumatori finali. Con la crisi pandemica abbiamo visto come si siano consolidate le ricerche digitali su temi quali sostenibilità, inclusione, biodiver- sità. La moda anche in questo caso si fa specchio e portavoce di tali cambiamenti, assurgendo a medium fondamentale e sociologico che ben rappresenta il momento senza precedenti che stiamo affrontando.

NOTE

27 Lo studio annuale aggrega i dati finanziari di 80 multinazionali del fashion e delle 177 maggiori Aziende Moda Italia. www.areastudimediobanca.it

(32)

Ecco, quindi, come a suddetti termini si siano aggiunte le ricerche di “second hand” o “upcycling”, concetti che se fino al periodo pre-pandemia non erano sconos- ciuti, ma che sicuramente non generavano la stessa consapevolezza da parte del commercio e del retail.

Bisogna altresì sottolineare come la percentuale di ac- quisto nelle varie regioni d’Italia abbia subito cambia- menti strutturali e di senso, arrivando a delineare una cartina geografica differente dalla sua storicità che vede il Nord-Est produttivo e protagonista subire mag- giore inflazione a livello di consumi di abbigliamento, accessori e design in generale. La spiegazione com- porta un’analisi necessaria di quanto la conoscenza, la cultura e l’età media di istruzione che si trova nei centri maggiormente abitati in questo caso abbia agito da contro altare, rendendo la consapevolezza dei con- sumatori stessi, propensi solitamente all’acquisto, a divenire più cauta e quindi meno dispendiosa.

Ci si riferisce spesso ai “cugini d’America” quando si decide cosa comprare e da chi ed anche in questo caso l’assonanza con il fashion renting ha permesso a giovani imprenditori di porre le basi di sicuri successi economici, facendo risalire la china di una crisi eco- nomica che sta colpendo sempre di più il settore del fashion se pur con percentuali che, se confrontate con i dati del 2020, mostrano evidenti segnali di ripresa.

Lo sanno bene designer e aziende così come nuovi

influencer e direttori della comunicazione che hanno capito quanto il cambio di tone of voice e di linguaggio fosse fondamentale, elevando gli stessi ad attivi prop- ositori di tendenze non soltanto di valori d’uso quanto di valori intangibili, ove il prodotto possiamo affermare passi in secondo piano.

Il brand activism di suddetti brand si fa sempre più sentire e viene accolto dai consumatori finali come fanalino di scelta per un click di acquisto che possa cogliere – ed accogliere – anche la parte emozionale di chi deve scegliere cosa farsi arrivare a casa o cosa comprare all’interno delle boutique nazionali ed inter- nazionali.

Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno in una situ- azione socio-sanitaria ancora molto complessa, pos- siamo arrivare alla conclusione che anche nelle crisi peggiori, siano esse economiche o strutturali, qualco- sa di buono sia destinato a venir fuori dalla società. Si spera soltanto che sia una tendenza legata ad una vi- sione più umana e sostenibile della moda non cesserà in futuro, portando i brand più importanti ad innalza- re i valori di un Made in Italy che mai come oggi deve prevedere non soltanto la cura dei propri prodotti o del proprio brand ma anche il rispetto dei diritti delle per- sone che lavorano al loro interno. Solo così potremo uscirne davvero cambiati. Nonostante tutto.

06. Conclusioni

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