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CODICE PENALE, NUOVO CODICE DI PROCEDURA PENALE E TUTELA DEI MINOR

ASPETTI GIURIDICI E INTERVENTI A PROTEZIONE DEL MINORE VITTIMA DI REATO

2.2 LEGISLAZIONE ITALIANA

2.2.1 CODICE PENALE, NUOVO CODICE DI PROCEDURA PENALE E TUTELA DEI MINOR

Il fenomeno dell'abuso sui minori sia esso violenza fisica, psicologica, abuso sessuale o patologia delle cure non trova adeguate risposte nell'attuale formulazione del Codice Penale; infatti, l'impianto normativo del nostro Codice Penale (Codice Rocco, 1930), è fondato su concezioni filosofiche ormai superate: le fattispecie criminose sono disciplinate non tanto, come ci si aspetterebbe, a tutela della persona e della personalità del minore, in sintonia con il dettato costituzionale e con i pronunciamenti internazionali, bensì a tutela di "altro" che può essere la moralità pubblica ed il buon costume, nel caso di violenza sessuale, oppure l'assistenza familiare nel caso di maltrattamenti compiuti nell'ambito familiare.

L'impianto normativo vigente risente pesantemente di concezioni filosofiche anacronistiche: se nel 1930 poteva essere accettabile collocare le violenze e gli abusi compiuti su di un minore in ambito familiare nell’ambito dei delitti contro

la famiglia oggi, alla luce del dettato costituzionale, sarebbe molto più corretto includerli tra i delitti contro la persona.

Proprio l'art. 571 c.p. nella sua attuale formulazione "Chiunque abusa dei mezzi di correzione ..." consente di fatto l'uso di mezzi di correzione e quindi di un comportamento violento all'interno del nucleo familiare se determinato da esigenze di carattere disciplinare o correttivo. I genitori e tutti coloro che sono legittimati dalla legge stessa (titolari di un esercizio di autorità derivante dall'affidamento del minore per ragioni di "... educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l'esercizio di una professione o di un'arte ..."), possono in virtù della patria potestà, esercitare un giusto "jus corrigendi". Questa impostazione si rifà ad un modello pedagogico che eleva la violenza (punizione e castigo) a sistema educativo e che sottende una tacita tolleranza nei confronti di quegli abusi che pur perpetrati nel tempo non provocano "... il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente ...".

La violenza fisica o morale, quindi, perpetrata nei confronti di minori in ambito intra o extrafamiliare, è allora punita, alla luce dell'art. 571 C.P., con pene meno severe se l'autore del reato dimostra di essersi servito della violenza stessa allo scopo di correggere o educare.

Se non esistesse l'art. 571 del c. p., sarebbe lecito applicare i vari articoli previsti dal Codice Penale stesso per i delitti di percosse, lesioni personali, ingiurie, omicidio; le pene sarebbero comunque certamente più severe, prevedendo anche l'applicazione di alcune aggravanti quali potrebbero essere l'aver agito per motivi abietti o futili, con crudeltà o sevizia nei confronti di persone incapaci di difendersi.

Non sarebbe più necessario valutare l'esistenza di una necessità di correggere o punire, nè indagare sull'idoneità dei mezzi correttivi: ancora oggi, infatti, si

distingue tra mezzi disciplinari che, per natura e potenzialità lesiva, sono dichiarati comunque illeciti (bastone, cinghia, frusta) e mezzi che diventano illeciti secondo una valutazione di circostanze, di tempo e di persone (lo scuotimento o lo schiaffo in bambini molto piccoli).

Affinché il reato sussista diviene necessario che ne derivi un pericolo probabile di malattia nel corpo e/o nella mente, ma ciò renderebbe lecito l'uso di mezzi di correzione e paradossalmente persino l'abuso qualora non se ne verificasse il pericolo.

Ma una violenza anche minima, e che non provochi un pericolo di malattia fisica o mentale, può comunque costituire un grande danno per una maturazione equilibrata del minore: "la presenza dell'art. 571 altera la logica e diminuisce l'equità di un sistema penale nel quale, le normali previsioni di delitti commessi con violenza fisica o morale contro la persona, e il delitto di maltrattamento in famiglia o verso i minori, costituiscono strumenti validi e sufficienti".

L’art. 572 del codice penale ("maltrattamento in famiglia o verso i fanciulli") prevede l'illeicità del maltrattamento nei confronti di persone di un nucleo familiare, siano essi minorenni o maggiorenni, nonché quello nei confronti di adulti o minorenni affidati ad altri per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia.

Tali maltrattamenti comprendono la molteplicità di atti reiterati nel tempo, numerosi o addirittura abituali, da cui origina una relazione interpersonale tra maltrattante e maltrattato particolarmente dolorosa: è quindi connaturale alla nozione di maltrattamento il carattere di abitualità, quasi ad assurgere a vero e proprio regime di vita.

Episodi isolati di violenza, come il provocare umiliazione, angoscia, svilimento, possono sì, costituire reati autonomi, ma nel contempo divenire giuridicamente irrilevanti.

"Rientreranno nel concetto di maltrattamento tutte quelle forme di comportamento che appaiono tali da provocare una vera e propria degradazione fisica o morale della persona offesa, mentre ne saranno escluse tutte quelle manifestazioni, sia pure scorrette e riprovevoli, alle quali però la coscienza sociale non attribuisce eccessiva importanza e che, in ogni caso, non considera tali da aggredire e menomare notevolmente gli interessi fondamentali della persona nei cui confronti hanno luogo".

Il comportamento comunque previsto dall'art. 572 c. p. può essere sia positivo che negativo comprendendo quindi azioni ed omissioni; in quest'ottica la patologia delle cure (ipercura, discuria ed incuria) diviene abuso all'infanzia al pari di un maltrattamento di tipo fisico e/o psicologico.

In tema poi di violenza sessuale sui minori la giurisprudenza è relativamente recente: infatti, solo il 15 febbraio 1996, viene varata una legge in Italia, la nuova legge sulla violenza sessuale, in cui è sancito che, il reato di violenza sessuale, è un reato contro la persona e non contro la moralità pubblica come precedentemente affermato dal dettato del codice Rocco. In questo modo viene meno la distinzione tra congiunzione carnale e atti di libidine. La violenza sessuale, quindi, è tale anche con atti sessuali non completi (intendendo per atti sessuali tutti quegli atti a connotazione sessuale comprensivi anche delle molestie) perpetrati con violenza, aggressività, minaccia oppure, “semplicemente”, facendo leva sull’autorità.

Le disposizioni della Legge n°66 tentano di difendere ogni persona, a prescindere dal sesso e dall’età, da illecite invasioni nella propria sfera di libertà. Particolare

attenzione è riservata al minore per la sua incapacità di esprimere un consenso libero e cosciente, affinché vi sia un’efficiente tutela della privacy durante lo svolgimento del processo.

Grandi passi in avanti vengono effettuati anche con la legge n°269 del 3 agosto 1998. Essa, infatti, reca “norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù “. Si è giunti, quindi, ad una sintesi legislativa importante che prende finalmente atto della gravità della situazione i cui contorni non si riescono a definire essendo tale la sua ampiezza.