2.4. I L NESSO DI COLLEGAMENTO : FORME E FONTI
2.4.2. I L COLLEGAMENTO GENETICO
Largamente utilizzata in dottrina e giurisprudenza è la
distinzione fra collegamento genetico e collegamento
funzionale.
191«In relazione al nesso negoziale il collegamento può essere genetico o funzionale; nel collegamento genetico un contratto rileva ai fini della formazione dell’altro, laddove nel collegamento funzionale un contratto opera sull’esecuzione del rapporto che nasce dall’altro».192
Da parte dei più si è evidenziato come tale partizione
assolva ad un compito meramente descrittivo e come un tanto
generalizzato impiego del termine “collegamento” lo privi di
ogni capacità individuativa e rischi di ridurlo a mero nomen.
193191 La distinzione è in origine proposta da OPPO G., I contratti parasociali, cit., p.
67 e ss.; ad essa aderisce, non acriticamente, GASPERONI N., Collegamento e connessione di negozi, cit., p. 367 e ss., seguito da NATOLI U., In tema di collegamento funzionale fra contratti, cit., p. 328; VENDITTI A., Appunti in tema di negozi giuridici collegati, cit., p. 266; SCOGNAMIGLIO R., Collegamento negoziale, cit., p. 377; MORSILLO G., Brevi osservazioni in tema di nesso genetico tra contratti, in Giur. agr., 1963, II, p. 424; SCHIZZEROTTO G., Il collegamento negoziale, cit., p. 171 e ss.; MINUTILLO TURTUR R., I negozi collegati, cit., p. 258. Cfr., inoltre, la bibliografia riportata da BARBA V., La connessione tra i negozi e il collegamento negoziale, cit., pp. 30-31, sub nota n. 33.
Il collegamento genetico è giustamente ricondotto all’alveo del collegamento necessario da SCOGNAMIGLIO R., Collegamento negoziale, cit., p. 378, e da BIGLIAZZI GERI L., BRECCIA U., BUSNELLI F.D., NATOLI U., Diritto civile, cit., p. 753.
192 Trib. Napoli, 20.07.1974, in Dir. e giur., 1976, p. 129, e in Foro nap., 1975, p.
428. Cfr., inoltre, Cass., 20.04.2007, n. 9447, cit .; Cass., 30.11.1962, n. 3241, in Giur. agr., 1963, II, p. 424; Cass., 08.01.1964, n. 24, in Giust. civ., 1964, I, p. 594. Cfr., da ultimo, Cass., 16.05.2003, n. 7640, in Foro pad., 2004, I, p. 258, nonché in Giust. civ. Mass., 2003, 5: “Ricorre l’ipotesi del collegamento negoziale qualora appaia la volontà delle parti di porre in essere due o più negozi che si coordinino per l’adempimento di un’unica funzione; in particolare, il collegamento può essere sia genetico, ove uno dei due negozi trovi la sua causa in un rapporto scaturito dall’altro, sia funzionale, nel caso in cui le parti abbiano voluto collegare i due negozi sotto il profilo del nesso teleologico”.
193 Cfr. LENER G., Profili del collegamento negoziale, cit., pp. 14-15. Meno netta la
posizione di MESSINEO F., Il contratto in genere, cit., p. 725, il quale, pur non respingendo la categoria del collegamento genetico, non può far a meno di
Infatti, nell’ipotesi di collegamento genetico, il nesso
concerne la fase formativa negoziale, in quanto un negozio
influisce sulla fase formativa di un altro. Riconoscendosi che
tale nesso non persista quando il negozio successivo venga ad
esistenza, si sostiene che il rapporto che nasce da quest’ultimo
sia insensibile ed indifferente alle vicende del primo
194, per cui
la rilevanza di tale forma di collegamento si arresta e si
esaurisce nel processo di formazione dei due negozi.
L’esempio classico è rappresentato dalla sequenza contratto
preliminare – contratto definitivo
195, ma sono stati ricondotti
alla categoria anche il patto di opzione rispetto al contratto da
formare
196, il patto di prelazione rispetto a quello di vendita
197, il
contratto normativo rispetto ai contratti esecutivi
198.
osservare come, in definitiva, si possa parlare di vero e proprio collegamento solo in presenza di un legame funzionale.
194 Cfr. GASPERONI N., Collegamento e connessione di negozi, cit., p. 368, il quale
ravvisa tale tipo collegamento in “tutti i tipi di contratto che servono a predisporre la formazione di altri contratti”, e cioè nei “contratti preparatori (le più note specie di essi sarebbero il contratto tipo, il contratto normativo, il contratto sviluppabile, il contratto preliminare) e nei contratti di coordinamento”, peraltro inferendo che in tali casi “si possa fondatamente contestare l’esistenza di un collegamento in senso tecnico”.
195 In tal senso, da ultimo, Cass., 19.10.2007, n. 21973, cit. La possibilità di
descrivere la relazione tra contratto preliminare e contratto definitivo in termini di collegamento contrattuale è da sempre controversa. Parte della dottrina (GASPERONI N., Collegamento e connessione di negozi, cit., p. 373; SCOGNAMIGLIO R., Collegamento negoziale, cit., p. 378; MEOLI B., I contratti collegati nelle esperienze giuridiche italiana e francese, cit., pp. 24-25) solleva, infatti, l’obiezione che non potrebbe sussistere un collegamento foriero di effetti giuridici tra negozi la cui coesistenza è logicamente e giuridicamente inconcepibile, dal momento che il preliminare cessa di produrre effetti con la conclusione del definitivo, il quale ha causa solvendi. Dunque, atteso che non appare possibile predicare la configurabilità di un legame funzionale tra i due negozi e che, pertanto, le vicende riguardanti la validità e l’efficacia del preliminare non possono, in alcun modo, compromettere l’efficacia e la validità del definitivo, non resterebbe che prendere atto della ricorrente collocazione, da parte della dottrina tradizionale, di tale relazione nell’ambito della pseudo-categoria del collegamento genetico.
196 Cfr. Cass., 26.10.2006, n. 23022, in Giur. it., 2007, p. 1968, la quale in relazione
alla sequenza patto di opzione-contratto finale afferma: “si tratta di due contratti distinti, benché funzionalmente collegati”. Cfr., in letteratura, MESSINEO F.,
L’opinione largamente maggioritaria definisce la categoria
del collegamento genetico «del tutto priva di contenuto […],
giacché il fatto che si sia considerato un negozio nel processo
formativo di un altro negozio è di per sé irrilevante se non si
traduce in un particolare modo di essere del regolamento di
interessi compiuto dalle parti. E, se ciò avviene, appare
evidente che il collegamento non è genetico, ma funzionale.
Non v’è quindi possibilità di collegamento genetico. […] Il
collegamento opera sempre sul rapporto, non sul negozio».
199Peraltro, altra dottrina si è opposta a tale drastica
impostazione sostenendo che il contratto definitivo non
nascerebbe, o non nascerebbe nel modo che gli è caratteristico,
se non lo precedesse il preliminare: «ora, questa non è influenza
sul rapporto, ma è influenza sul secondo negozio, che produrrà
il secondo rapporto; quindi è un momento logico, dal quale non
sarebbe possibile prescindere, ai fini del legame e della
disciplina complessiva dei due negozi».
200Sviluppando tale intuizione, più di recente, si è messo in
luce che il riferimento all’azione esercitata da un negozio sulla
conclusione dell’altro appare troppo generico per predicarne
acriticamente l’irrilevanza, potendosi invece rilevare che
sovente l’influenza di un negozio nella fase di formazione di un
Contratto collegato, cit., p. 52; e, soprattutto, FAVALE R., Opzione, art. 1331 c.c., in Commentario al codice civile, diretto da Schlesinger, Milano, 2009, pp. 33 e ss. e 141 e ss., che classifica tale rapporto come ipotesi di collegamento necessario, genetico ed unilaterale, traendone le relative conseguenze: la nullità (o l’annullamento) del patto d’opzione travolgerebbe il contratto finale costituito dall’atto di accettazione, del quale rappresenta un presupposto.
197 Cfr. DE SANCTIS P., Una figura controversa: il patto di prelazione, in Dir. giur.,
1973, p. 890 e ss.
198 Cfr. GASPERONI N., Collegamento e connessione di negozi, cit., p. 367;
GUGLIELMUCCI G., I contratti normativi, Padova, 1969, p. 70.
199 DI SABATO F., Unità e pluralità di negozi, cit., p. 435; nello stesso senso
CLARIZIA R., Collegamento negoziale e vicende della proprietà. Due profili della locazione finanziaria, cit. p. 25.
altro, con esso instaurando un rapporto logico e cronologico,
cela un nesso giuridicamente apprezzabile.
201In particolare, si osserva che le vicende invalidanti che
interessano il contratto preliminare possono determinare un
vizio nella formazione della volontà dei contraenti, i quali
potrebbero concludere il definitivo nell’erronea convinzione di
esservi obbligati in forza di un contratto preliminare valido ed
efficace. Dunque, ogniqualvolta il contratto preliminare resti
improduttivo di effetti giuridici, ricorrerebbero i presupposti
per chiedere l’annullamento del contratto definitivo per errore
di diritto.
202Pertanto, ritengo che la particolare relazione che si viene ad
istituire tra detti negozi, foriera di importanti conseguenze
giuridiche, sia rappresentabile in termini di collegamento
funzionale, necessario ed unilaterale, ancorché risulti evidente
che detto effetto è prefigurabile in virtù della funzione tipica
che il negozio preparatorio (preliminare, prelazione, opzione)
assolve nei confronti del negozio finale, costituendo il primo un
presupposto logico della volontà negoziale di una od entrambe
le parti nella formazione del secondo.
203201 In questo senso TROIANO P., Il collegamento contrattuale volontario, cit., p. 51 e
ss., il quale accoglie un concetto molto dilatato di collegamento contrattuale, fino a ricomprendervi ogni fattispecie in cui le vicende giuridiche di un contratto dipendono dalle vicende giuridiche di un altro contratto, “apparendo arbitraria qualsiasi riduzione aprioristica dell’ambito dell’indagine”, p. 71.
202 Cfr. TROIANO P., Il collegamento contrattuale volontario, cit., p. 54, che si
richiama alle conclusioni enunciate da TAMBURRINO G., I vincoli preliminari nella formazione progressiva del contratto, Milano, 1954, p. 217 e ss. Per la dottrina in esame, tali conclusioni sarebbero estensibili anche al rapporto tra patto di prelazione e contratto concluso col prelazionario, mentre non sarebbero prospettabili in riferimento al rapporto tra patto di opzione e contratto da formare, dal momento che in quest’ultimo caso la relazione tra i due negozi sarebbe talmente stretta da determinare una vera e propria integrazione strutturale e che, dunque, le vicende patologiche del patto di opzione sarebbero direttamente riferibili al secondo, senza poter distinguere i due profili sul piano logico.
203 In tema di collegamento genetico appare interessante l’analisi della
della libertà di concorrenza su coloro che hanno concluso a vario titolo contratti con i protagonisti dell’accordo originario. Come noto, ai sensi dell’art. 2 della L. 10.10.1990, n. 287, “[…] sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante […]. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto”. La disposizione riecheggia quanto statuito dall’art. 811 (già art. 85) del Trattato CE. Il collegamento tra
l’autonomia privata ed i principi informatori dell’economia di mercato è in tal modo esplicitamente operato dal legislatore: la libertà di iniziativa economica non può spingersi al punto di negare se stessa. Non sono infatti consentite quelle pattuizioni degli operatori economici che, traducendosi in meccanismi di artificiosa conquista del mercato o di conservazione delle posizioni acquisite, si risolvano in una alterazione del libero gioco concorrenziale.
Al riguardo, merita ripercorrere succintamente i fatti alla base di Trib. Roma 20.02.1997, in Giur. comm., 1999, II, p. 449, con nota di GUCCIONE A.V., Intese vietate e contratti individuali “a valle”: alcune considerazioni sulla c.d. invalidità derivata. Due correntisti avevano convenuto in giudizio un istituto bancario, chiedendo la dichiarazione di nullità della clausola del contratto di apertura di credito in conto corrente stipulato tra le parti, che concedeva alla banca di esercitare il recesso con preavviso di appena un giorno, in quanto siffatta clausola, come era stato accertato dalla Banca d’Italia con decisione 31.12.1994, n. 12, sarebbe stata ricompresa tra quelle norme bancarie uniformi costituenti intese restrittive della libertà di concorrenza, ai sensi dell’art. 2 della succitata legge antitrust. Il tribunale accoglie la domanda affermando che “certamente l’accertata violazione di norme in materia di concorrenza nella predisposizione delle N.B.U. – assimilabili, per quanto concerne la natura giuridica, a condizioni generali di contratto – non può non comportare conseguenze sulla validità delle clausole che risultino inserite nei singoli contratti stipulati dalle banche con la clientela. Queste clausole, in quanto predisposte in contratti tipo articolati dall’A.B.I. ed applicati a tutte le aziende di credito, costituiscono una violazione del principio della libertà di concorrenza che, in linea di principio, si configura come una delle caratteristiche della libertà di iniziativa economica sancita dall’art. 41 della Costituzione. In tal modo risulta violato il c.d. ordine pubblico economico e la clausola contrattuale è nulla per illiceità della causa, ai sensi dell’art. 1343 c.c.”.
Premesso che il problema degli effetti della violazione della normativa antitrust (sia comunitaria che nazionale) non ha trovato sin qui soluzione univoca e che un’analisi approfondita della questione esulerebbe dai confini propri del presente lavoro, l’argomentazione riportata mi sembra dia per scontato ciò che, invece, doveva essere dimostrato, cioè che l’invalidità delle N.B.U. si ripercuote necessariamente sui singoli contratti. In particolare, non sembra condivisibile la qualificazione delle N.B.U. quali condizioni generali del contratto: le norme bancarie uniformi divengono tali solo se e nella misura in cui la singola banca vi adegui il contenuto dei propri contratti con la clientela, rimanendo fino a quel
momento delle mere “proposte” di condizioni generali che l’A.B.I. rivolge alla proprie associate, cfr. GUCCIONE A.V., Intese vietate e contratti individuali “a valle”: alcune considerazioni sulla c.d. invalidità derivata, cit., p. 449; e CAVALLI G., Norme bancarie uniformi e accordi interbancari, in Dig. disc. priv., Sez. comm., X, Torino, 1994, p. 266.
Trib. Alba 12.01.1995 (in Giur. it., 1996, I, 2, p. 212, con nota di ROSSI G., Effetti della violazione di norma antitrust sui contratti tra imprese e clienti: un caso relativo alle norme bancarie uniformi, nonché in Contratti, II, 1996, p. 155) era giunta, peraltro, alla conclusione opposta: “la violazione della disciplina della concorrenza deriva dalle intese vietate tra imprese e dunque tra banche, non dagli accordi con i clienti”. La normativa antitrust, infatti, “tutela la libertà di concorrenza in sé e non detta una disciplina specifica per il consumatore”. Per queste ragioni i contratti “a valle” non possono dirsi invalidi né per illiceità della causa, né per frode alla legge.
La dottrina – che si è anch’essa per lo più interessata al problema delle ripercussioni della nullità delle intese anticoncorrenziali sui contratti con i clienti con specifico riferimento alle N.B.U. – non fornisce al riguardo risposte unitarie. Cfr., per un quadro generale sulla disciplina delle intese anticoncorrenziali e degli effetti della declaratoria di nullità delle stesse sui contratti stipulati con i terzi, MELI M., Autonomia privata, sistema delle invalidità e disciplina delle intese anticoncorrenziali, Milano, 2001. Cfr. anche SARTI D., Osservazioni su norme bancarie uniformi, diritto antitrust e clausole di modifica unilaterale del rapporto, in Banca, borsa, tit. cred., II, 1998, p. 109 e ss., spec., note 17-19.
Secondo una prima impostazione, sarebbe opportuno coinvolgere nel divieto i contratti “derivati”. Dalla nullità delle intese, infatti, dovrebbe derivare la nullità delle clausole corrispondenti inserite nei contratti, per illiceità delle medesime, in quanto venute in contrasto con l’ordine pubblico economico. D’altra parte, si aggiunge, non avrebbe senso riconoscere l’idoneità lesiva del comportamento vietato e negare poi che i successivi accordi, stipulati in violazione della medesima condotta, possano sottostare allo stesso regime sanzionatorio; così SALANITRO N., La concorrenza nel settore bancario, in Banca, borsa, tit. cred., 1996, I, p. 757; ID., Disciplina antitrust e contratti bancari, ivi, 1995, II, p. 415; TUCCI G., Norme bancarie uniformi e condizioni generali di contratto, in Contratti, 1996, p. 152.
Secondo altra impostazione, sarebbero invece condivisibili le conclusioni in ordine alla validità dei contratti “derivati”. Ciò sulla base del ragionamento per cui l’invalidità derivata riguarderebbe il fenomeno del collegamento negoziale, nella specie non ravvisabile. Cfr. BONZANINI L., Le nuove clausole vessatorie e i contratti bancari: tutela del consumatori e “fretta legislativa”, in Banche e banchieri, XXIII, 6, p. 586; FORTUNATO S., I contratti bancari: dalla trasparenza delle condizioni contrattuali alla disciplina delle clausole abusive, in Dir. banc., 1996, p. 22; PARRELLA F., Disciplina antitrust nazionale e comunitaria, nullità sopravvenuta, nullità derivata e