• Non ci sono risultati.

L A COLLEZIONE DI GRAFICA : PRATICHE DI ACQUISTO E SCELTE DI « FINISSIMO GUSTO »

So che è cosa difficilissima il trovare presentemente disegni, stampe e pitture di qualche conseguenza; nientedimeno non bisogna perdersi di coraggio, siccome bisogna essere attenti, ed esaminare con occhi di lince ciò che si compra, attesoché vidi qualche volta in cinquanta disegni un solo originale. Ella però che è d’un finissimo gusto, saprà guardarsi da questi che commendano ed esaltano sino alle stelle una cosa che vale due baiocchi, e con mille giuramenti e mille spergiuri vogliono farla diventare di Tiziano, del Coreggio e di Raffaelle120. Collezionista, dilettante artista, amatore delle belle arti, Gabburri si dimostra costantemente in grado di effettuare valutazioni attraverso il suo «finissimo gusto», rafforzato e avallato da una profonda conoscenza costruita attraverso la lettura e la pratica dell’osservazione critica delle opere. L’arte grafica doveva essere «ben cognita» per permettere ad un ‘dilettante’ di districarsi nel pericoloso mondo del mercato d’arte, nel quale facilmente poteva essere raggirato, obnubilato da quell’«oggetto incantato» che è sempre stata «un’opera firmata da un artista famoso»121. Nell’ambito delle stampe il problema dell’autografia è sempre stato più complesso, legato tanto al carattere di riproducibilità dell’opera quanto all’alta possibilità di alterazione delle matrici, in cui firme e monogrammi possono comparire o sparire alterandone significativamente il valore. A nulla valse il tono minaccioso delle parole di Albrecht Dürer scritte alla fine della sua serie di xilografie sulla Vita della Vergine, pubblicate nel 1511, «guai a voi, ladri e imitatori della fatica e del talento altrui! Guardatevi dal porre mano a questo nostro lavoro»: come è noto, l’incisore tedesco

120 CARTEGGIO GABBURRI, Lettera di A.M. Zanetti quondam Erasmo da Venezia a F.M.N. Gabburri, Venezia, 10

aprile 1723.

121 HEBBORN 1995, p.82. «Un’opera firmata da un artista famoso è un oggetto incantato e quell’incantesimo, di cui

non è necessariamente responsabile l’autore, moltiplica il suo valore sul mercato. Tempo fa circolava un aneddoto su un buontempone che vide da un noto antiquario di Parigi un dipinto firmato e ne domandò il prezzo. “Mille franchi”, rispose l’antiquario. “E senza la cornice e la firma?” domandò lui. “Oh, in tal caso”, disse l’antiquario che era a sua volta spiritoso, “può averlo per tre franchi e cinquanta”».

42 fu una delle vittime preferite di falsari e i provvedimenti presi in sua difesa si limitarono al divieto di utilizzarne monogramma122.

Lo stesso Marcantonio Raimondi, principale protagonista del più celebre caso di plagio dell’artista tedesco, finì col diventare uno di quei nomi «incantati» del mercato di stampe. Nel 1732 il veneziano Anton Maria Zanetti scriveva all’amico Gabburri che

lo Stregozzo che corre per essere intagliato da Marcantonio, vi è opinione sicurissima che sia intagliato da Agostino Veneziano, e io sono di questo sentimento, perocché quelli che si trovano senza A.V. sul corno, sono in qualche maggiore stima, sol perché sono stampati prima che Agostino Veneziano vi abbia fatto la marca; e molte volte quelli che vendono stampe, per sostentarle davantaggio nel prezzo, con un temperino raschiano e levano le parole che sono sopra il corno, in maniera che non si conosca e ingannano i dilettanti.123

Il fiorentino doveva essere addentro a problematiche di questo genere, così come traspare dalla sua corrispondenza ma anche dalla redazione dei cataloghi. Seppure con differenti modalità di stesura, come si vedrà in seguito, Gabburri elenca in momenti diversi della sua vita tutti i pezzi della raccolta grafica, annotando, qualora lo ritenga necessario, attribuzioni dubbie di disegni, come l’«altro compagno di lapis nero e acquerello rosso; rappresenta un Santo all’altare colla pianeta, assistito da un angelo in atto di comunicare due fraticini. Si crede di mano di Lodovico Cigoli»124, o proposte alternative a ciò che comunemente «si crede»:

116. Disegno toccato di penna e acquerello, lumeggiato con biacca, sopra carta tinta. Figura la Disputa nel Tempio, con quantità di figure. Il disegno è bellissimo, antico e ben conservato, e quantunque vi sia scritto di mano di Federico Zuccheri, si crede non ostante d’autore molto maggiore; egli è per traverso un braccio, e 2/3 per alto125.

180. Disegno d’acquerello e toccato di penna, sopra carta tinta, antichissimo, per traverso lungo 2/3 di braccio, alto soldi 8 scarsi. Rappresenta la figura d’un vecchio in piedi, tutto intero e vestito, in atto di maraviglia e di spavento nel vedere alcuni morti che resuscitano e a lui si volgono, chi colle mani giunte e chi in altri gesti, che dimostrano di domandare aiuto. Vi è scritto il nome di Mecarino, ma si crede piuttosto di Baldassar Peruzzi da Siena. In

122 RINALDI 2009. Nel 1512, ad esempio, fu denunciato un falsario che smerciava senza alcun pudore contraffazioni

delle stampe di Dürer, complete di monogramma, sotto gli occhi del celebre artista, a Norimberga; il Consiglio comunale decretò che l’impostore doveva impegnarsi «sotto giuramento, a togliere tali sigle e a non vendere qui opere del genere. In caso di contravvenzione, tutte queste incisioni saranno confiscate in quanto spurie».

123 CARTEGGIO GABBURRI, Lettera di A.M. Zanetti a F.M.N. Gabburri, Venezia, 21 febbraio 1732. 124 DESCRIZIONE DEI DISEGNI 1722, p. 527.

43

effetto è uno dei migliori disegni di questo studio, ed è raffaellesco. Ha un poco patito da una cantonata, ma però si gode sufficientemente bene126.

L’attenzione non sembra scemare neanche per le stampe, per le quali si premura di segnalare e distinguere originali da copie, anche nei casi in cui i monogrammi potrebbero far apparire certa la provenienza di un preciso bulino:

Il giudizio di Paride, di Marcantonio, assai ben conservato e nero127.

Il giudizio di Paride, invenzione di Raffaello, intagliato da Marcantonio, R.M.A. ma non vien creduto originale128.

[Stampe di Jacopo Callot] Una carta tonda con Giesù Bambino a tavola, la Beata Vergine e S. Giuseppe.

Una carta tonda con Giesù Bambino a tavola, la Beata Vergine e S. Giuseppe: al contrario dell’altra già descritta onde una è copia e l’altra originale129.

La limosina di S. Rocco di Anibale Caracci intagliata da Guido Reni, originale e conservata, segnata Li. Di S. R. Orig.e

La medesima ma copia, segnata Lim. Di S. R. Copia130.

Una dimestichezza frutto di quell’esercizio visivo che Gabburri riteneva essere uno dei pilastri portanti della formazione di un ‘dilettante’, non necessariamente pratico del fare arte né insignito del titolo di professore, ma con mente e occhi ben educati all’osservazione critica, alla valutazione e alla conoscenza storica delle opere. «Osservare e comprare quantità di stampe e d’anticaglie e vedere e rivedere con grand’attenzione»131, per usare le parole di Bottari, era certamente il miglior investimento da fare per progredire nella conoscenza e nelle capacità di giudizio132.

126 Ivi, p. 540.

127 CATALOGO DI STAMPE E DISEGNI ,c. 65. 128 Ivi, c. 104.

129 Ivi, c. 73. 130 Ivi,c. 115v.

131 BOTTARI 1754, pp. 4-5.

132 Tecniche di apprendimento certamente ancora valide per la profonda conoscenza delle opere, tanto che uno dei

più grandi falsari di questo secolo suggerisce agli aspiranti colleghi di «studiare molti disegni antichi autentici e procurarvi tutte le copie che le vostre finanze vi permettono di acquistare. Guardatele spesso, finché non le conoscerete a memoria, e pian piano scoprirete di saper cogliere nei disegni quella cosa ineffabile che chiamiamo qualità e di trovarla non soltanto nelle opere dei maestri illustri, ma anche in quelle di molti maestri meno famosi […] Non dovete stancarvi di guardare: questo è il segreto.» (HEBBORN 1995, p. 60).

44 Il carteggio e lo Zibaldone gabburriani sono costellati di riferimenti a pratiche di acquisto, richieste di valutazioni o di ricerca di particolari pezzi. Estremamente interessante sia per ciò che concerne le attività del collezionista fiorentino sia per le pratiche di mercato e il gusto del tempo, è una lettera di Giuseppe Pinacci133 datata 16 marzo 1713134. L’ormai anziano pittore si dichiara al servizio di Gabburri «in ogni congiuntura, in che Vostra Signoria Illustrissima si degnerà comandarmi», pronto a mettere a sua disposizione i suoi servigi nonostante le «molte occupazioni». Oggetto in questione è la valutazione di una collezione di «stampe, libri e disegni» che Gabburri intendeva acquistare e per la quale evidentemente aveva in precedenza chiesto il parere dell’artista che, secondo le parole di Orlandi, aveva «una perfettissima intelligenza nel conoscere gli autori delle pitture e nel restaurare i quadri perduti e questi con diversità di segreti per fare vernici e colori e altre cose necessarie ai pittori». Molti anni dopo, un Francesco Maria Niccolò più maturo, con anni di esperienza alle spalle, si sente in grado di rettificare l’entusiastico tono del padre bolognese, precisando che Pinacci non merita «gli elogi, che ne fa il padre maestro Orlandi, il quale è molto probabile che non abbia fatto altro che copiare ciò che gli sarà stato scritto da qualche parziale del Pinacci e forse da lui medesimo». La critica gabburriana non è rivolta tanto alle qualità artistiche del pittore, quanto piuttosto alle sue competenze di restauratore e all’onestà con cui ‘battezzava’ «i quadri di cui era ignoto il nome dell’autore»:

È opinione di uomini savi e molto intelligenti nell’arte della pittura e di alcuni primari pittori che vivevano allora in Firenze, che egli battezzasse con troppa facilità e franchezza i quadri dei quali era ignoto il nome dell’autore. Io medesimo fui testimonio più volte di questa verità, non senza ammirazione e riso di bravissimi pittori che sentivano proferire alcuni nomi stravaganti ritrovati con franchezza in un tratto e cavati dal suo cervello. Egli talmente imponeva che più d’uno gli credette alla cieca, onde col suo spirito seppe cavar tal profitto delle sue parole che poté farsi un buon capitale per vivere con molto comodo sino alla morte. Si è poi scoperto inoltre che le sue vernici e i suoi segreti furono cagione di gravissimo danno, invece di arrecar giovamento ai quadri, nei quali poneva con troppo ardire e per dir meglio, temerariamente la mano135.

Nel 1713, però, è proprio a lui che il collezionista si rivolge, ricevendone una risposta dai toni un po’ pretenziosi, ma ricca di informazioni su gusti e criteri di valutazione per l’acquisto di materiale grafico. Pinacci intendeva dare all’interlocutore principi di massima che potessero essere

133 Per una bibliografia su Giuseppe Pinacci (1642-1718) si rimanda a MONBEIG-GOGUEL 1994. 134 CARTEGGIO GABBURRI, Lettera di G. Pinacci a F.M.N. Gabburri, Firenze, 16 marzo 1713.

45 utili «tanto in questa vendita, quanto in comprare», come la preferenza delle «opere intiere» rispetto a quelle «spezzate»:

Quando sono spezzate, quelle sono puramente per quelli che solo si dilettano d’aver qualche stampa buona. Le stampe spezzate, che sono ricercate da tutti gli dilettanti, sono quelle che se n’è perduto i rami originali; e sono le stampe di Marcantonio, le stampe del Parmigianino, le stampe d’Alberto Durero, di Luca d’Olanda, di Berchem, di Vischer, di Rembrant, dei Caracci intagliate di sua mano, e specialmente di Agostino, e infiniti altri autori. Di questi è stimabile tutto quello che si trova, ma delle stampe moderne si stima l’opera intiera, e così dico de’ libri. […] Circa alle stampe moderne, la regola è questa, che quello che si compra un tollero, quando si vende, il tollero diventa testone. Il contrario poi succede nelle stampe antiche; il testone diventa tollero, e così segue ne’ libri136.

È quanto scrive anche Anton Maria Zanetti a Gabburri il 6 aprile 1726 a «proposito del suddetto Callot, di cui io ho tutte le stampe sue nere, fresche, e benissimo condizionate»: l’intento del veneziano era quello di ottenere il medesimo risultato con le incisioni di Stefano della Bella, in quanto la mancanza di completezza dell’«opera intiera» sminuiva il valore dei singoli pezzi. La richiesta fatta al fiorentino era di trovare

una raccolta intiera a prezzo onesto, e ragionevolmente di tutte le stampe di Stefanino della Bella; ma della prima conservazione e freschezza. Io so che se ella vorrà favorirmi, la otterrò un giorno, per metterla vicino a quella del Callot, perché, quantunque io ne abbia diverse, non mi son care perché non ho la raccolta intiera137.

Probabilmente lo stesso Gabburri inseguì tale scopo: come emerge dall’ultimo catalogo delle stampe, i nuclei di Callot e Stefano della Bella erano i più numerosi, con due blocchi unitari di 628 pezzi del primo e 600 del secondo, integrati da altre opere sparse per il resto dell’inventario.

Ritornando alle valutazioni di Pinacci, il pittore si sofferma anche sul valore dei disegni, dando come primo parametro l’appartenenza alla schiera degli «antichi»:

Circa alli disegni, sono stimati tutti, quando sono di maestri primari per la serie, dico tutti li antichi: per studio e diletto, solo quelli dal Mantegna in qua; e li disegni di stima sono, quando sono opere concluse e ben conservati. Circa poi agli studi, come panni, piedini, manine, e altre cose solo accennate, anco che sieno di valent’uomini, sono studi solo per li

136 CARTEGGIO GABBURRI, Lettera di G. Pinacci a F.M.N. Gabburri, Firenze, 16 marzo 1713. 137 Ivi, Lettera di A.M. Zanetti a F.M.N. Gabburri, Venezia, 6 aprile 1726.

46

pittori, ma non di molta stima; e di questi vi sono soli tre autori, che ogni segno che sia veramente suo, si stima, e si stima per la rarità, e sì per il suo gran nome, cioè Michelangelo, Raffaelle e Coreggio. Ogni cartuccia di questi vale138.

Non è chiaro quale sia la raccolta oggetto della valutazione, nonostante l’elenco di autori e la quantità di opere che Pinacci segnala nella seconda parte della missiva139. In uno studio sull’attività del pittore fra Napoli e la Toscana, è stata avanzata l’ipotesi che si possa trattare della collezione grafica del cantante Gaetano Berenstadt140, poiché fra le carte gabburriane della Biblioteca Nazionale di Firenze è presente un manoscritto autografo di venti carte contenenti i «Disegni di Gaetano Berenstat»141. Si tratta di un catalogo molto denso, con 618 disegni, per un valore di 4301 paoli, elencati e numerati progressivamente con indicazione di soggetti e autori: la numerazione delle carte lascia presupporre che dovesse esserci qualcosa prima, probabilmente il resto della raccolta di quel «virtuoso di musica, dilettante di pittura e che possiede anch’esso una buona collezione di rari disegni e libri più singolari», come lo stesso Gabburri lo definisce in una lettera a Mariette del 4 ottobre 1732142. Il nome del cantante figura anche nel catalogo della collezione del Nostro, come soggetto rappresentato in «una stampa fatta in Londra colle caricature di Berenstat, della Cuzzoni e di Senesino, in atto di recitare sul palco segnate P.B.C.S.»143.

Sicuramente il collezionista fiorentino doveva far parte della cerchia di amicizie del contralto che, tornato a Firenze nel 1728 dopo un lungo soggiorno napoletano, intraprese un’intensa attività di commercio di libri antichi. Come segnalato da Maria Augusta Morelli Timpanaro, l’intreccio di amicizie, le frequentazioni e gli eventi riguardanti Berenstadt emergono

138 Ivi, G. Pinacci a F.M.N. Gabburri, Firenze 16-03-1713..

139 «Dico, che senza numerare né stampe né disegni, li quali ascendono a migliaia, che sono in cinque cartellone, due

altre cartelle più piccole, e due cassette piene numer. 34 disegni incominciati de’ primari maestri, principiando da Michelagnolo a Pietro da Cortona; una delle cartellone è de’ disegni de’ più eccellenti pittori, tutti conclusi e conservati: le due cassette che sono più centinaia tutti disegni, schizzi e pensieri di buoni pittori: le stampe sono tutte le gallerie di Roma, logge di Ghigi, Borghese, del Vaticano, di S. Pietro; molti libri del Potre, molti di Perelle: tutta l’opera di animali di Berghem, di Vischer, un’opera del Gesuita Borgognone di battaglie, di Giovanni Miele, Michelangelo Cerquozzi, Giovanni Baur, Gimignani: tutte l’opere grandi e piccole del Tempesta, tutta l’opera di Venezia, li paesi del Guercino, parte de’ Caracci: li due libri del Baur, le battaglie di monsù Guglielmo: tutti li fogli de’ primi pittori che si stampano in Roma: l’opere tutte di Pietro da Cortona, buona parte dell’opere del Callotti, di Stefanino, i vasi di Polidoro, ed infinite altre stampe; li cento ritratti di Vandic, la notomia del Genga, ed altro, ec., senza notare il tutto, l’ho dato per cento scudi» (Ibid.)

140 Su Gaetano Berenstadt (Firenze 1687-1734) cfr. LINDGREN 1984 e il più aggiornato MORELLI TIMPANARO 1997. 141 DISEGNI BERENSTADT 1195. Si segnala una correzione della collocazione archivistica rispetto a quella indicata in

pubblicazioni precedenti: il manoscritto è conservato nel Fondo Palatino 1195, striscia 1359, inserto V, e non nel Palatino 1198, striscia 1198.

142 CARTEGGIO GABBURRI, Lettera di F.M.N. Gabburri a P.J. Mariette, Firenze, 4 ottobre 1732. 143 CATALOGO DI STAMPE E DISEGNI, c. 91v.

47 dalle pagine delle Effemeridi144 di Antonio Cocchi, medico ed amico personale sia del cantante che del collezionista145. Del resto anche il citato passo della lettera di Gabburri a Mariette lascia trasparire il riferimento ad una persona familiare, abituata a frequentare la propria casa, con la quale confrontarsi in merito alla valutazione di opere grafiche:

Ho ammirato il ritratto del signor abate Crozat, intagliato da voi a maraviglia dal disegno fatto dalla nobile e virtuosa donzella Doublet; come pure è bellissimo il ritratto di monsù Falconet, dottore di medicina, disegnato dalla medesima, e intagliato dal signor conte di Caylus. Questi sopraddetti tre ritratti, avendoli veduti una mattina in mia casa il signor Gaetano Berenstadt, virtuoso di musica, dilettante di pittura, e che possiede anch’esso una buona collezione di rari disegni e libri più singolari, non si poté contenere di esclamare con espressioni vivissime, dicendo che erano tutti così somiglianti che gli sembrava di discorrer con loro, mentre tutti erano stati conosciuti da esso in Parigi, e aveva trattato con loro146.

Nel 1732 il cantante possedeva, dunque, una «collezione di rari disegni e libri più singolari» messa insieme durante i soggiorni all’estero e soprattutto in quegli ultimi anni fiorentini. Nel 1713 era ancora troppo giovane per aver creato una raccolta delle dimensioni di quella descritta da Pinacci, senza contare che, tra la fine del 1712 a parte del 1716, si trovava a Düsseldorf presso Anna Maria Luisa de’ Medici. È accertata dai documenti la sua passione per le opere grafiche e soprattutto per i libri antichi e rari, dei quali faceva abile commercio nei suoi continui spostamenti, usufruendo di un’ampia rete di contatti. In molte occasioni Berenstadt si servì di aiuti esterni per redigere inventari delle proprie raccolte in modo da poterne vendere alcuni pezzi, motivazione che è certamente alla base dell’inventariazione e della stima economica fatta da Gabburri. L’inventario è strutturato su tre colonne, secondo un modulo del tutto uguale a quello dei cataloghi gabburriani, con la numerazione progressiva, la descrizione e il prezzo in paoli. In alcuni casi, oltre all’autore e al soggetto, è indicato anche l’eventuale dipinto al quale il disegno andava ricondotto, come nel caso della «Sammaritana» di mano di «Alessandro Allori dal Bronzino, padre di Cristofano, con 3 disegni piccoli dietro», il cui «quadro è in Santo Spirito»147. I termini entusiastici con cui il collezionista fiorentino parla della raccolta di Berenstadt dovevano essere sinceri, tanto da indurlo ad acquistarli. Infatti, nell’ultimo catalogo dei disegni di Gabburri

144 EFFEMERIDI COCCHI MS. Consultabile sul sito della Biblioteca Biomedica di Careggi http://www.sba.unifi.it/CMpro-v-p-466.html, nella sezione «Materiale antico, raro e di pregio».

145 MORELLI TIMPANARO 1997, p. 173. Nella nota 117 sono indicati i passi delle Effemeridi in cui Cocchi annota gli

incontri con Gabburri e Berenstadt, come quello del 1722 quando passò a salutare il primo alla vigilia della sua partenza per il viaggio in Europa o quello del 1732 quando si recò con entrambi in Santa Croce.

146 CARTEGGIO GABBURRI, Lettera di F.M.N. Gabburri a P.J. Mariette, Firenze, 4 ottobre 1732. 147 DISEGNI BERENSTADT 1195, c. 116.

48 non solo compaiono gli stessi esemplari elencati in quello del cantante ma sono contrassegnati dagli stessi numeri:

7 disegni. Il primo storiato a penna e acquerello, d’incerto, S. Domenico che frusta il diavolo, segnato 372. Il secondo una figurina in terra a lapis nero d’incerto, segnata 543. Il terzo S. Maria Maddalena in gloria a lapis rosso, pensiero storiato di Simone Pignoni, segnato 362. Il quarto pensiero a lapis nero per l’ornato di un arco di Bernardino Poccetti, segnato 360. Il quinto tre figurine a penna d’incerto, segnate 370. Il sesto una mezza figura di femmina con ali e le gambe […] le gambe terminano in rabesco, a penna, d’incerto, segnato 383. Il settimo pensierino a lapis rosso colla Beata Vergine, Giesù Bambino, S. Giuseppe e una Santina di mano di Simone da Pesero, segnato 367.

Documenti correlati