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Collezioni d’arte aziendal

Uno dei formati più rilevanti degli ABI è la creazione di vere e proprie collezioni aziendali grazie alla commissione di lavori ad artisti e designer o grazie all’acquisto di opere d’arte di qualsiasi genere, principalmente di arte contemporanea. Attraverso questa scelta le imprese possono veicolare una comunicazione distintiva, ricca di valori e che coinvolga in maniera emotiva, rivolgendosi sia ai dipendenti che ai clienti e agli altri stakeholder collegati all’organizzazione. Definito come corporate collection, il fenomeno è in costante sviluppo e interessa migliaia di aziende in tutto il mondo. La sua è una storia con radici lontane: sebbene non si abbiano date certe, si possono identificare le prime forme di collezionismo corporate addirittura nella Famiglia Medici di Firenze, grandi mecenati rinascimentali molto attivi nell’arte e nell’architettura. Ma il collezionismo d’impresa come lo intendiamo oggi si è sviluppato a partire dai primi decenni del Novecento, con imprese che si mettevano in contatto con gli artisti per creare nuovi packaging, per disegnare manifesti, locandine e stampe di vario genere che ancora oggi sono parte di collezioni aziendali52. Ne furono esempio Depero, che realizzò

numerose pubblicità e manifesti per l’azienda Campari, e la stilista Elsa

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Schiapparelli, che collaborò con Salvador Dalì per la realizzazione di vestiti influenzati dal surrealismo53. Dagli anni Cinquanta circa le aziende iniziarono a

concepire le potenzialità dell’arte anche come strumento per il miglioramento dell’immagine, delle performance economiche e dell’ambiente di lavoro. Fu però dagli anni Sessanta, durante il boom economico-culturale, che la corporate art collection iniziò a prendere piede in maniera dilagante. Uno dei primi incontri tra arte e mondo finanziario fu quello realizzato dalla Chase Manhattan Bank, il cui dirigente David Rokfeller diede avvio nel 1959 alla prima collezione d’arte corporate che divenne un modello per altre imprese in tutto il mondo e che oggi conta oltre 30.000 opere54.

Negli anni successivi la collezione corporate è diventata man mano un vero e proprio asset strategico in grado di generare valore, di orientare il mercato e di influenzare positivamente il territorio in cui agiscono le aziende. Nei primi anni Duemila la grave crisi finanziaria ha messo in ginocchio l’economia globale, causando una temporanea battuta d’arresto dello sviluppo di questo fenomeno. Infatti, le imprese sono state costrette a tagliare molte spese e a contenere i costi non indispensabili. Nonostante ciò, passato il culmine della crisi, è stato notato che le aziende che meglio stavano reagendo erano quelle che continuavano a investire in arte e in progetti culturali. Maggiore selettività nelle decisioni di investimento, accompagnata da una gestione professionale di tali scelte, ha quindi permesso di trasformare difficoltà e minacce in opportunità capaci di portare innovazione e valore aggiunto.

In Italia, negli ultimi decenni, molte realtà profit hanno iniziato a realizzare collezioni artistiche all’interno dell’ambiente aziendale, anche se il fenomeno risulta ancora in ritardo di circa 10 anni rispetto allo scenario globale. Questo è uno dei dati che emergono dall’indagine condotta nel 2016 dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano in collaborazione con Axa Art e Banca Intesa San Paolo55. Il

53 https://www.dallepianecashmere.it/blogs/news/elsa-schiaparelli-la-stilista-italiana-che-ha-

cambiato-la-moda?gclid=EAIaIQobChMIxtHfoIau3gIVihDTCh1HzwjtEAAYASAAEgKH8vD_BwE

54 https://www.jpmorganchase.com/corporate/About-JPMC/jpmorgan-art-collection.htm 55 Cfr risultati del progetto elaborati dal sito ˂https://www.collezionedatiffany.com/le-corporate-

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campione preso in esame nella ricerca è di 259 organizzazioni all’interno delle quali le imprese con raccolte corporate di fondazioni bancarie rappresentano il 38%. A seguire troviamo banche e assicurazioni (19%) e imprese manifatturiere, moda e design (16%), storicamente attive nel mondo artistico e culturale. Infine, l’ambito dei servizi rappresenta l’11%, quello della salute e Pubblica Amministrazione il 10% e quello agricolo il 6%. È interessante vedere come, in questa classificazione, appaia anche il mondo agricolo, emblema di come due ambiti apparentemente diversi possano trovare dei proficui punti di contatto (Figura 4).

Le collezioni aziendali italiane prese in esame non sono esclusivamente appartenenti a imprese di grandi dimensioni, ma si contano anche piccole e medie imprese(cosiddette PMI56) che, seppur con budget minori e un numero non elevato

di pezzi (il 20% del campione analizzato ne conta meno di 50), si impegnano nel perseguire tale obiettivo. Nate nella maggior parte dei casi dalla volontà e dalla passione dell’imprenditore, le collezioni hanno un valore medio di 5 milioni di Euro e includono prevalentemente opere di arte contemporanea (il 53%).

56 “All'interno della categoria delle PMI: si definisce piccola impresa un'impresa che occupa meno

di 50 persone e che realizza un fatturato annuo e/o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di EUR. Si definisce microimpresa un'impresa che occupa meno di 10 persone e che realizza un fatturato annuo e/o un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di EUR”. Fonte: Allegato I Regolamento (UE) n. 651_2014, Definizione di PMI.

Figura 4: Settori con raccolte corporate in Italia

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Se da una parte c’è un crescente interesse per l’investimento in collezioni aziendali, dall’altra ci sono ancora diverse realtà che non lo considerano un asset strategico. Infatti, il 57% delle realtà analizzate non ha personale dedicato alla gestione della collezione. Tra queste il 52% affida la gestione a personale part-time addetto alla comunicazione e il 43% a personale di marketing. Inoltre, in buona parte dei bilanci aziendali studiati, non esiste una voce indicante l’incremento delle raccolte e nemmeno una valutazione dei risultati ottenuti in termini di performance, di clima aziendale e di reputazione. È auspicabile un maggiore sviluppo della sensibilità imprenditoriale nella pianificazione e nella misurazione per riuscire a comprendere il valore artistico ed economico delle collezioni aziendali e per far fronte alle sfide manageriali di un mondo in veloce e costante cambiamento57.

Il “museo d’impresa” è un altro strumento del mix comunicazionale dell’azienda che attiva un meccanismo di trasferimento di significati affine al caso della sponsorizzazione culturale. L’allestimento delle opere nell’azienda è un canale con determinati codici sensoriali visivi e tattili che generano nel visitatore associazioni mentali che rimandino all’identità e alla cultura aziendale58. Basti pensare al

“MUVIT – Museo del vino a Torgiano”, gestito dalla Fondazione Lungarotti, in cui sono presenti beni archeologici, attrezzi e corredi tecnici per la viticoltura e la vinificazione che vogliono trasmettere il radicamento dell’azienda al territorio e alla sua storia.

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