• Non ci sono risultati.

2. G LI A NIMALI DELL ’I NFERNO DANTESCO

2.1. Collocazione ragionata dei termini

A. L’UNIVERSO

IV. GLI ANIMALI

49

La sezione “IV. Gli animali” del sistema concettuale non prevedeva originariamente una sezione riguardante le generalità degli animali. In particolar modo erano compresi all’interno della sezione “I quadrupedi” tutti i concetti riguardanti le parti del corpo animale, i termini generali come quello di “animale”, “selvaggio” ed altri, quelli riguardanti la morte, la nutrizione e il movimento. È ovvio, tuttavia, che concetti come questi possano riferirsi a qualsiasi genere animale e non solo ai quadrupedi: la soluzione, mutuata dal DAO e dal DAG33, è stata dunque quella di

inserire ex novo nel sistema una sezione “Generalità” contenente tutti questi concetti indipendentemente dalla specie o dal genere. Tale sezione è stata strutturata in modo analogo a quella corrispondente nella sezione “B. L’uomo” ed articolata in sottosezioni che saranno illustrate col procedere dell’elencazione.

Animale (#ani_animale): animali (If I 100); animai (If II 2); animal (If V 88); animale

(If XVII 80); animali (If XXIX 61).

In italiano antico – come del resto anche oggi – i termini “animale” e “bestia”, per quanto condividano gran parte dei contesti possibili, non sono esattamente sinonimi. Relativamente al lemma “bestia”, infatti, il vocabolario TLIO riporta il significato di «animale in genere (escluso l’uomo o in contrapposizione con esso)» e in particolare, come ulteriore specificazione, indica «Animale di terra (distinto da quello di aria e di acqua)». Osservando le occorrenze del corpus TLIO emerge come il termine sia spesso usato per distinguere gli animali terrestri dai pesci e dai volatili:

 «non bestia, non uccello» (Brunetto Latini, Tesoretto 1274 (fior.), v.1201)  «augel, bestia ne pesce» (Brunetto Latini, Tesoretto 1274 (fior.), v. 2501)  «Che Dio fecie la bestia, chinata invier’ la terra e gli occhi e la boccha tenendo

in essa siempre» (Guittone, lettere in prosa, 1294)

33 Questi due strumenti, in realtà, non inseriscono una sezione denominata “Generalità” ma estraggono tutti i concetti in una sezione dal nome non specificato agli inizi della parte relativa agli animali. Per gli scopi che ci prefissiamo, che sono anche di tipo informatico, dare un nome e una struttura a tale sezione ha permesso una maggiore chiarezza all’interno del sistema.

50

Per quanto riguarda il lemma “animale”, invece, il vocabolario TLIO riporta come primo significato quello di «Essere vivente dotato di corpo, movimento spontaneo e anima sensitiva (l’uomo, nella sua natura fisica e sensibile, e le bestie)» mentre solo come seconda accezione viene riportata quella di «Essere vivente, mobile, dotato di anima sensibile e corruttibile; bestia (contrapposto all’uomo in quanto essere razionale o per non possedere qualità sue peculiari come parlare, ridere ecc.)». Effettivamente l’esame delle occorrenze fornite dal corpus TLIO riguardo al lemma animale mostra come il termine sia usato da alcuni autori per indicare gli animali – definiti come esseri viventi dotati di anima vegetale e sensitiva escluso l’uomo – mentre altri comprendano nell’insieme anche l’essere umano:

 «Nel calore sta la vita, e questo è in ogne animale; mei de’ pesci, che tti paiono cosa fredda, sì hanno il calore naturale dentro, altrimenti non viverebbono» (Giordano da Pisa, Quar. fior., 1306 (pis.>fior.))

 «Homo no, ma[la] bestia che ‘l somigli, / vituperato pyù d’altro animale» (Nicolò de’ Rossi, Rime, XIV pi.di. (tosc.-ven.))

Indicando quindi genericamente qualsiasi essere vivente animato. Andando dunque a destrutturare in caratteri primi i due termini potremmo definire:

• bestia [+animato – razionale + terrestre] • animale [+animato ± razionale]

“Animale” andrebbe dunque a costituire un iperonimo di “bestia”: tutte le bestie sono animali, ma non tutti gli animali sono bestie. Nella schiera degli animali, infatti, rientrano gli “animali” di If I 100 che, per la maggior parte degli intepreti, indicherebbero proprio gli uomini; gli “animai” di If II 2, che indicano la totalità degli esseri animati che popolano la terra; “animale” di If XVII 80, Gerione, essere di natura ibrida; Dante stesso, in If V 88, è definito da Francesca “animale grazioso e benigno”. In virtù di quel principio di chiarezza che abbiamo definito nel capitolo precedente, sembra perciò opportuno mantenere distinti anche a livello concettuale

51

questi due termini, inserendo ex novo un concetto di “bestia”34.

Bestia (#ani_bestia): bestia (If I 58); bestia (If I 88); bestia (If I 94); bestia (If II 48); bestia (If XII 19); bestie (If XIII 114); bestie (If XV 74); bestia (If XVII 30); bestia (If

XXIV 126); bestie (If XXX 24).

Come mostrato nell’analisi di “animale” all’interno del presente concetto sono state inserite tutte le occorrenze relative al lemma “bestia”. Il termine appare di volta in volta ad indicare la lupa (If I 58 e 88), la bestia spaventata – presumibilmente un cavallo – in If II 48, i cani da caccia (If XIII 114); come epiteto del Minotauro (If XII 19), di Gerione (“bestia malvagia” If XVII 30) e di Vanni Fucci (If XXIV 126).

Bestia selvaggia (#ani_bestiaselvaggia): fiera (If I 42); fiera (If II 119); fiera (If VI

13); fiera (If VII15); fiere (If IX 72); fiere (If XII 76); fiere (If XIII 8); fiera (If XVII 1);

fiera (If XVII 23); fera (If XVII 114); fera (If XXV 60); fiera (If XXV 113); fiera (If XXV

136).

Il concetto di “bestia selvaggia”, inserito ex novo nel sistema conformemente alle opere di Baldinger, include esclusivamente le occorrenze del lemma “fiera”, che compare 13 volte all’interno dell’Inferno dantesco. In genere è sinonimo di “belva” (presente solo nel Purgatorio), che però include l’idea di una maggiore crudeltà. Il vocabolario TLIO riporta come significato principale quello di «Animale (gen. rif. a mammiferi) selvatico o feroce o non addomesticato» ma non è escluso anche il significato di «Animale in genere (in partic. in opposizione all’uomo)», caso in cui il lemma si trova ad essere quasi sinonimo di “bestia”.

 «fue un tempo che in tutte parti isvagavano gli uomini per li campi in guisa di bestie e conduceano lor vita in modo di fiere...» (Brunetto Latini, Rettorica, c. 1260-61 (fior.), pag. 17.11)

 «lo leone soprastà e per natura, e per potenzia universalmente a tutte fiere

34 In questo ci distacchiamo dalla scelta proposta da DAG e DAO che, invece, mantengono le occorrenze relative ai due termini all’interno del medesimo concetto.

52

salvatiche o dimestiche...» (Zucchero, Esp. Pater, XIV in. (fior.), pag. 103.4)

Dante usa il termine raramente come “animale in generale” (“le fiere e li pastori” If IX 72, Pg VI, 94, Rime CII, 8) mentre quasi sempre vale “animale selvatico”. Come epiteto dei mostri infernali viene quasi sempre affiancato da attributi quali “crudele”, “pessima”, “orribile”: Cerbero viene definito «fiera crudele e diversa» (If VI 13); Pluto «fiera crudele» (If VII15); Gerione «la fiera pessima» (If XVI, 1 e 23); «l’orribil fiera» (If XXV 59) è poi uno dei serpenti della VII bolgia. Altre volte viene accostato ad aggettivi che denotano caratteristiche fisiche o qualità degli animali: «fiere isnelle» in If XII 76 rivolto ai Centauri, per i quali non ricorre, nell’episodio, alcuna indicazione della loro ferocia. Lo stesso valore di “figura mostruosa” si ha in Pg XXXI 80 e 122 e in Pg XXXII 96 quando si parla del Grifone, essere ancipite in cui si fondono l’aquila e il leone, simbolo di Cristo in cui si fondono la natura umana e quella divina.Le 712 occorrenze del Corpus TLIO fanno notare come il termine “fiera” sia collegato, la maggior parte delle volte, ad animali feroci e non addomesticati, quasi sempre mammiferi, mentre poche sono le accezioni in cui si indica un animale in genere, come vediamo dai seguenti contesti:

 «la bocca aulitosa / più rende aulente aulore / che non fa d’una fera / c’ha nome la pantera, / che ‘n India nasce ed usa.» (Guido delle Colonne, XIII pm. (tosc.), 2.18, pag. 99)

 «lo leone soprastà e per natura, e per potenzia universalmente a tutte fiere salvatiche o dimestiche...» ( Zucchero, Esp. Pater, XIV in. (fior.), pag. 103.4)

Considerando dunque quello che è l’uso più frequente del lemma “fiera” nell’italiano antico e destrutturandolo nei suoi caratteri primi potremmo definire:

 Fiera [+animato -razionale –domestico]

Ci troveremmo quindi davanti ad un iponimo sia di “animale” sia, ad esclusione del tratto +terrestre, di “bestia”. Nonostante il sistema presentasse già il concetto di “selvaggio”, tuttavia, per mantenere distinto il sostantivo dall’aggettivo e per venire

53

incontro alla soluzione già adottata dal DAG e dal DAO, abbiamo optato per l’inserimento di questo nuovo concetto.

Selvaggio (#ani_selvaggio): selvagge (If XIII 8); fiero (If XVII 80).

Soltanto due le occorrenze ricondotte a questo concetto. Del lemma “fiero” si contano 10 occorrenze nell’Inferno dantesco e tutte, in una certa misura, rimandano ad una dimensione ferina, che sia nell’aspetto o nel carattere dei personaggi a cui questo aggettivo è riferito. Tuttavia si è deciso di catalogare unicamente le occorrenze direttamente collegate al mondo animale, mentre rimarranno escluse dalla collocazione tutte quelle occorrenze in cui tale lemma è riferito ad esseri umani o umanoidi, come nel famoso passo in If XXXIII 1. Lo stesso abbiamo ritenuto di dover fare anche per quanto riguarda il lemma “selvaggio”, la cui unica occorrenza qui ricondotta è riferita alle “fiere” che abitano i boschi della Maremma (If XIII 8).

I ricoveri degli animali, per es. covo, tana, cunicolo ecc. (#ani_ricoveri): tana (If

XXIV 126).

Questo concetto si trovava inizialmente tra le generalità dei quadrupedi ma, dal momento che non solo questi ultimi possono costruirsi tane o rifugi, abbiamo preferito spostarlo tra le generalità degli animali. Sotto questo concetto è ovviamente collocato il lemma “tana”. Incerta, invece, la collocazione dell’occorrenza di “nido” in If XXVII 50:

Le città di Lamone e di Santerno conduce il lioncel dal nido bianco,

che muta parte da la state al verno. (If XXVII 49-51)

laddove all’interno della similitudine araldica il termine sembrerebbe indicare la tana del «lioncel», sebbene in realtà indichi lo sfondo dello stemma. Per questo motivo abbiamo ritenuto opportuno lasciare questa occorrenza non collocata.

54

1. Il corpo e le sue parti

Anche i concetti che si riferiscono a parti del corpo animale si trovavano tra le generalità dei quadrupedi o, come nel caso di “ala”, sotto quelle degli uccelli. Dal momento che questi concetti possono appartenere a qualsiasi genere animale, si è tuttavia deciso di raggrupparli creando questa apposita sottosezione. Molte delle considerazioni su questa specifica area lessicale saranno rimandate al capitolo successivo, in quanto quello delle parti del corpo animale è il campo in cui si riscontra maggiormente quel fenomeno definibile ibridismo antropozoomorfico.

Parte del corpo (#ani_partedelcorpo): membro (If VI 24); membra (If XXV 75).

Del termine “membro” non è ancora presente alcuna voce nel vocabolario TLIO. Analizzando le 582 occorrenze del lemma “membro” lemmatizzate nel corpus TLIO è evidente come tale termine possa indicare al singolare una parte generica del corpo umano o animale:

 «e ciascheduna stella dea èssare chiamata dal membro de l'animale là o' ella sta, come li capelli fòro chiamati dal capo» (Restoro d'Arezzo, 1282 (aret.) L. I, cap. 7 - pag. 13, riga 16)

 «e se 'l membro lo quale noi chiamamo occhio fosse per vedere sola una cosa, non sarea sì nobele» (Restoro d'Arezzo, 1282 (aret.) L. II, dist. 6, pt. 4, cap. 2 - pag. 163, riga 17)

mentre al plurale, per estensione, viene ad indicarne la totalità come sommatoria delle singole parti del corpo:

 «Pigla la membra di lu porcu iuvani et cochila multu beni in acqua et poi la tagla beni» (Thes. pauper. volg. (ed. Rapisarda), XIV (sic.))

 «quello che durò debole riposo, mantiene la forza, e rinnovella le membra stanche» (Andrea da Grosseto (ed. Selmi), 1268 (tosc.) L. 4, cap. 7 - pag. 307, riga 14)

55

Invece di collocare le due occorrenze del lemma “membro” sotto il concetto di “corpo”, abbiamo sentito la necessità di inserire un concetto di “parte del corpo” ex

novo nel sistema. L’occorrenza di “membro” in If VI 24 indica una parte del corpo

animale in generale – quello di Cerbero – e non poteva essere collocata in nessuno dei concetti già presenti senza significative perdite di informazione lessicale.

Pelle (#ani_pelle): pelle (If XXV 110).

Del lemma “pelle” bisogna ricordare che già il latino pellis poteva indicare indifferentemente la “cute” che ricopre gli uomini e quella degli animali (di ogni tipo di animale, peloso o squamoso che fosse). Le 254 occorrenze lemmatizzate all’interno del corpus TLIO riportano una simile varietà di usi nell’italiano antico:

 «e spoglia la sua pelle vecchia, e diviene giovane e fresco, e di buon colore, e ritornagli il buon vedere» (Tesoro volg., XIII ex. (fior.) L. 5, cap. 1 - pag. 77, riga 1)

 «7 d. sterl. che debono dare detti nostri di Corte che pagamo per trentedue pelli d'angniellino rossette» (Libro Gallerani di Londra, 1305-1308 (sen.) - pag. 97, riga 15)

varietà riscontrabile anche nel linguaggio dantesco, per cui è emblematica l’occorrenza in questione: «la sua pelle [del serpente] si facea molle / e quella di là [del peccatore] dura» (If XXV 110-111). Per quanto si tenda il più possibile a collocare le occorrenze di un medesimo lemma nello stesso concetto, abbiamo qui preferito suddividere le occorrenze del lemma “pelle” tra quelle, come la presente, che indicano la pelle che ricopre esseri non ricoperti di pelo (come i rettili) e quelle che, invece, indicano propriamente la pelliccia dei mammiferi.

Pelliccia (#ani_pelliccia): pelle (If I 42); pelle (If XVI 108);

56

indicare propriamente la pelliccia o il mantello degli animali, come nel caso della «pelle», «gaetta» (I 42) e «dipinta» (XVI 108) della lonza. Le occorrenze nel corpus TLIO in questo senso sono poche ma comunque presenti:

 «pantere ottanta di gran valimento; / e mille pelli fuor di leopardi, / e mille di leon di gran riguardi» (Intelligenza (ed. Berisso), XIII/XIV (tosc.) 229, v. 7 - pag. 94, riga 16)

Nel sistema concettuale compaiono sia il concetto di “mantello” che quello di “pelliccia” i quali, tuttavia, sono considerabili quasi sinonimi. Abbiamo ritenuto opportuno collocare le due occorrenze all’interno del concetto di “pelliccia”, percependo in esso una minore ambiguità e una maggiore riconoscibilità.

Maculato (#ani_maculato): macolato (If I 33); gaetta (If I 42); dipinta (If XVI 108).

Le tre occorrenze collocate sotto questo concetto inserito ex novo35 riguardano tutte

la particolare colorazione del mantello della lonza, che appare molto simile a quello di un leopardo o di un ghepardo. Del primo termine, “macolato”, sono lemmatizzate nel corpus TLIO soltanto 19 occorrenze, comunque sufficienti ad individuare il significato di “ricoperto di macchie, macchiato” anche in senso figurato come “macchiato di un difetto fisico o morale”; l’aggettivo sembra echeggiare il modello virgiliano, laddove la compagna di Venere è cinta di una pelle di lince definita «macuolosae» (Verg. Aen. I, 323).

Per quanto riguarda invece la «gaetta pelle» è opportuno sottolineare che il sintagma ha conosciuto discussioni relative alla sua forma, che presenta un’oscillazione tra “gaietta” e “gaetta”, capace anche di ripercuotersi nella definizione del significato. Se si accetta la prima forma, questo può porsi in rapporto a “gaio” o al provenzale “gai”, sostanzialmente traducibili con “amoroso”,

35 La scelta dell’etichetta relativa a tale concetto poteva ricadere sui termini “screziato”, “pezzato” o, appunto, “maculato”. Quest’ultimo è stato preferito in quanto definibile come «di superficie, pelo animale, stoffa e sim., che presenta piccole macchie» (Treccani) e quindi più adatto al nostro caso, mentre “screziato” può indicare sia macchie che strisce e “pezzato” macchie di grandi dimensioni e prevalentemente riferite ad animali domestici.

57

“amabile”, “seducente”; se si accetta la seconda, il significato va verso il “caiet” medio provenzale, equivalente a uno “screziato”, “picchiettato”. Benché la forma “gaietta” abbia attestazioni in codici di pregio e non fosse ignota agli antichi commentatori (Guido da Pisa e Filippo Villani in particolare), il parallelo con l’attestazione di If XVI 108 «pensai alcuna volta / prender la lonza a la pelle dipinta» ha favorito l’adozione, già a partire dall’edizione del ‘21, della seconda lezione e significato, confermati più tardi in sede testuale dal Petrocchi e in ambito linguistico da A. Schiaffini e F. Mazzoni. “Gaetta” è dunque un gallicismo36 e vale «machiata di molti e diversi cholori» (Iacopo Alighieri), dato la pelle della lonza è «leccata e di macchie dipinta» (Boccaccio).

A completare la triade degli aggettivi riferiti al mantello della lonza il termine “dipinta”, che compare in If XVI 108. Il vocabolario TLIO, alla voce “dipinto”, oltre al significato primario di «dalla superficie ornata di figure e colori, o coperta di colori» riporta anche quello secondario di «[Rif. a un animale:] dal corpo adorno di striature colorate», poco significativo dal momento che l’unico esempio riportato è quello in questione. Interessante, a questo proposito, il commento di Benvenuto da Imola, che chiosa il passo parlando di «a la pelle dipinta, quia luxuria figurata est per lonciam pictam et variatam in pelle» (corsivo mio), indicando quindi ancora una volta la pelle screziata o maculata. Visto poi il parallelo con il passo trattato in precedenza, non sembrano esserci dubbi sul fatto che Dante in questo caso voglia alludere proprio alla particolare colorazione del mantello della lonza.

Pelo (#ani_pelo): pel (If I 33); pilose (If XVII 13); vellute (If XXXIV 73); vello (If XXXIV

74); vello (If XXXIV 74); pelo (If XXXIV 75); pel (If XXXIV 80); pel (If XXXIV 108); pelo (If XXXIV 119).

Ad eccezione del pelo della lonza e delle «branche pilose» di Gerione, tutte le altre occorrenze riportate al concetto di “pelo” riguardano il corpo di Lucifero nel canto

36 Cfr. A. MOROLDO, Les termes dantesques “appoiare”, “poiare”, “gaetto” sont-ils des occitanismes?, in «Bulletin du Centre de Romanistique et de Latinité Tardive», VII (1994) , pp. 85- 105 e, per un approfondimento sui gallicismi nell’opera dantesca R.VIEL, I gallicismi della “Divina Commedia”, prefaz. di Luciano Formisano, Roma: Aracne, 2014, pp. 450 e R.CELLA, I gallicismi nei testi dell’italiano antico. Dalle origini alla fine del sec. XIV, Firenze: Accademia della Crusca, 2003.

58

XXXIV. Di queste, quattro (folto pelo v. 57; pel v. 80; pel v. 108; pelo v. 119) rimandano direttamente al sostantivo “pelo” – per cui non sussiste alcun problema di collocazione – tre rimandano, invece, al lemma “vello” (vellute v. 73; vello v. 74;

vello v. 74) che non è però da intendersi nel senso di “mantello”, ma in senso più

limitato a indicare «ciascuno dei ciuffi di pelo di cui è coperto il corpo di Lucifero e ai quali Virgilio si appiglia per discendere al di sotto della ghiacciata superficie di Cocito verso il centro della terra» (Enciclopedia Dantesca). Purtroppo non si dispone ancora di una voce “vello” nel vocabolario TLIO, ma le 49 occorrenze di tale termine lemmatizzate all’interno del corpus TLIO – sebbene per la maggior parte collegate al mito del vello d’oro – dimostrano una forte pluralità di usi, che si estende dal mantello degli animali, al singolo pelo, al capello dell’essere umano.

 «E sappiate che’ leoni sono di tre maniere. L’una maniera son corti, e li velli crespi, e quelli non sono molto fieri.» (Tesoro volg., XIII ex. (fior.) L. 5, cap. 41 - pag. 146, riga 8)

 «le storie ne racontiano, avea nell’ isola di Colcos uno montone, lo quale avea lo vello d’ oro.» (Bind. d. Scelto (ed. Gorra), a. 1322 (sen.) cap. 4 - pag. 515, riga 33)

Testa (#ani_testa): test’alta (If I 47); capo (If XXIV 96); capi (If XXV 70).

Per indicare la testa di un essere animale Dante fa uso di due termini: “testa” è quella del leone in If I 47 mentre i “capi” sono quelli dei serpenti della bolgia dei ladri. Del primo termine non è ancora presente la voce nel vocabolario TLIO, ma le 549 occorrenze lemmatizzate nel corpus TLIO mostrano ampiamente come potesse essere utilizzato per indicare sia una testa umana che una animale:

 «con tutto lo suo exercitu, la quale porta avea nome Scea e erave scolpita una

testa de cavallo et era data in guardia ad Polidamas.» (St. de Troia e de Roma

Laur., 1252/58 (rom.>tosc.), pag. 61.28)

 «Et così in letizia de’ ‘l parlatore tenere la testa levata, il viso allegro e tutte sue parole e viste significhino allegrezza.» (Brunetto Latini, Rettorica, c. 1260-61

59 (fior.), pag. 79.5)

Per quanto riguarda invece il secondo termine, è già presente una voce nel vocabolario TLIO, che come significato primario riporta quello di «parte superiore del corpo, collegata al torace dal collo», anche in questo caso sia di animale che di essere umano. In questi contesti, dunque, i due termini vengono a trovarsi in perfetta sinonimia e possono agevolmente essere collocati sotto il medesimo concetto.

Le narici (#ani_narici): naso (If XVII 75).

Il lemma “naso” compare 10 volte nell’intera opera dantesca, tuttavia solo in questo caso indica il naso di un animale: il bue a cui è paragonato Reginaldo Scrovegni, punito nel girone degli usurai. Non essendo presente nel sistema concettuale un concetto apposito per “naso” abbiamo ritenuto opportuno ricondurre l’occorrenza a quello di “narici” qui analizzato.

Bocca (#ani_bocca): bocca (If XXV 92).

Il lemma “bocca”, come è possibile immaginare, è molto frequente nell’opera dantesca con ben 52 occorrenze di cui 15 soltanto nell’Inferno. Di queste, tuttavia, solo quella in If XXV 92 è sicuramente attribuibile a un animale, il serpentello Francesco Cavalcanti che scambia la sua natura con Buoso Donati.

Lingua (#ani_lingua): lingua (If XVII 75).

Con 66 occorrenze nell’opera dantesca, di cui ben 19 nella prima cantica della

Commedia, anche il lemma “lingua” risulta essere molto frequente. Tuttavia solo in

If XVII 75 designa propriamente la lingua di un animale: il bue a cui è paragonato Reginaldo Scrovegni, punito per usura.

60

23 le occorrenze del lemma “dente” nell’opera dantesca, 12 delle quali nell’Inferno. Di queste sono riconducibili ai denti di un animale quelle in If XIII 127, dove i denti sono quelli delle insaziabili cagne che incalzano gli scialacquatori, e in If XXVII 48, dove indicano i denti dei mastini che rappresentano Malatesta il Vecchio e Malatestino.

Zanna (#ani_zanna): sanne (If VI 23); sannuto (If XXI 122); sanna (If XXII 56); scane

(If XXXIII 35).

Le occorrenze del lemma “sanna” (forma con scambio z/s diffusissima in italiano antico37) non pongono particolari problemi di collocazione in quanto indicano le zanne di Cerbero e di Ciriatto. È tuttavia necessario soffermarsi un po’ più a lungo sul termine “scane”, che Dante usa – unica occorrenza in tutta la sua opera – per indicare la dentatura delle cagne presenti nel sogno di Ugolino in If XXXIII: non è chiaro se tale termine indichi propriamente le “zanne” oppure i “denti” in generale. Dal momento che anche nel corpus TLIO le occorrenze di questo lemma sono soltanto tre, e tutte collegate al passo dantesco, l’unica via per tentare di approfondire l’analisi sembra essere quella degli antichi commentatori.

«Le acute scane, idest sannis sive dentibus a canibus praedictis», così chiosa il passo Benvenuto da Imola ma quel “sive” non ci permette di risolvere il nostro dubbio; Francesco da Buti afferma invece che «scane sono li denti pungenti del cane, ch’elli à da ogni lato coi quali elli afferra», un significato, quindi, più vicino

Documenti correlati