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Il coltello nell’acqua ( 1962)

Nel documento L'esistenza incerta del testo sceneggiatura (pagine 150-160)

CAPITOLO II – Percorsi teoric

2.3 Il coltello nell’acqua ( 1962)

: se la parola uccida la visionarietà

La sceneggiatura raccoglie elementi provenienti dalla sfera privata, dal contesto culturale e dal discorso sociale, e lo fa in modo complesso e articolato, li condensa, trasforma e reinventa, partecipa dell‟insieme delle operazioni semionarrative che costituiscono il sistema filmico, si configura come un sistema di relazioni ed una sintesi di esperienze, fermo restando il suo carattere transitorio di pre- testo, rivolto ad una “concretezza” audio-visiva, conclusiva, seppur non definitiva, così come si attua in fase di riprese e post-produzione. A parte il discorso sulla sua costruzione, la sceneggiatura trova una sua rinnovata collocazione ed un suo, a mio avviso, suggestivo posizionamento estetico, nell‟ottica dei Visual Studies, ovvero pensando al cinema “come luogo dialogico in cui i saperi, i discorsi sociali e culturali si fanno oggetti e significati

narrativi (…)” è qui che “la sceneggiatura segna un punto di non ritorno nel

processo di conversione tra mondo e schermo, tra il magma dell‟esistente e la

sua resa narrativa”372

, un momento di intensificazione e organizzazione del senso, nell‟inesauribile rapporto tra la molteplicità della vita e la sua scrittura per immagini. L‟idea di una sorta di spinta dinamica alla trasformazione, che non si chiuda mai definitivamente, neanche quando il film viene realizzato, è già

presente in Pasolini373 e ci rinvia a quella definizione di oggetto instabile, che

abbiamo già incontrato in Vanoye.

Forse proprio per la pluralità di interessi e ampiezza di conoscenze, Pasolini

parla della sceneggiatura come di un fatto all‟interno di un processo culturale:

371Regia di Roman Polanski, soggetto di Roman Polanski, Jakub Goldberg, sceneggiatura di Roman

Polanski, Jerzy Skolimowski

372

M. Comand, La sceneggiatura nel tempo della cultura visuale, in G.Bonsaver, M. McLaughlin, F. Pellegrini ( a cura di ), Sinergie narrative. Cinema e letteratura nell’Italia contemporanea, Franco Cesati editore, Firenze, p.87.

373

“ Non sorprende che egli sia stato – anche in questo settore – un raffinato sperimentatore e un acuto teorico della sceneggiatura come genere letterario portatore di un proprio specifico codice. A invitarlo a collaborare con il cinema è inizialmente l’amico Mario Soldati ( per La donna del fiume), quindi seguono gli inviti di Vancini, Bassani, Bolognini, Fellini. Pasolini accumula esperienza lavorando a film come Le

notti di Cabiria, La notte brava ( 1959) e Il bell’Antonio ( 1960) e perfino La dolce vita ( come per Cabiria

in veste di consulente). Presto matura la decisione di esordire alla regia, alla ricerca di un codice maggiormente aderente alla realtà (…) Ma le sue sceneggiature appaiono già ricche di intemperanze, che mirano alla messa in campo, anche in ambito cinematografico, di una vena poetica ricchissima, a partire dalla ricerca linguistica ( sui dialetti ibridi della borgata) che già aveva impreziosito sia Ragazzi di

vita sia Una vita violenta…” Giacomo Manzoli, Al servizio dell'autore. La sceneggiatura nel cinema dei Maestri degli anni Sessanta e Settanta, in M. Comand (a cura di) , Sulla carta, Lindau, Torino, 2006, pp.

“essa è una «struttura diacronica» per definizione, o meglio ancora, per usare un termine critico nei confronti dello strutturalismo, un vero e proprio «processo». Ma un processo particolare, non trattandosi di un‟evoluzione, di un passaggio da uno stadio A ad uno stadio B: ma di un puro e semplice «dinamismo», di una «tensione», che si muove senza partire e senza arrivare, da una struttura stilistica, quella della narrativa, a un‟altra struttura stilistica,

quella del cinema, e, più profondamente da un sistema linguistico a un altro”374

. Questa idea di struttura dinamica, priva di funzionalità, di processo che non procede, o di doppio movimento tra struttura e processo, non solo condensa e ritaglia la complessità del reale, mutevole di per sé, non solo restituisce la tensione delle molteplici forze sociali, culturali, emotive in campo, ma materializza e dà forma ad un approccio, che esprime la volontà di identificare i significati di una struttura linguistica, come segni tipici di quella struttura, designando, al tempo stesso, i significati di una struttura altra.

La sceneggiatura, dal soggetto al copione, vive di questa rete di rapporti di interazione su più piani e lo fa attraverso il testo e all‟interno di esso, attraverso

il contesto storico – culturale e al di fuori di esso, per tale ragione è un luogo

impuro, problematico, composito. Viene a trovarsi in una emblematica condizione di doppio movimento, di andata e ritorno, tra realtà sociale e formazione culturale, tra necessità logica e fuga visionaria, tra competenza individuale e scarto irrazionale, tra ideologia dell‟apparato e convinzioni personali, sul crinale di un andirivieni tra sistemi segnici di tipo diverso, percorso da fenomeni pluridiscorsivi e dialogici, che dipendono da condizioni diverse da quelle del rapporto sistema-esecuzione individuale, sospeso tra forze centripete, che tendono alla stabilizzazione e all‟omogeneizzazione, e forze centrifughe, che tendono alla differenziazione e al confronto. E anche quando si configura come copione, conserva il suo aspetto bipolare di struttura fittizia con una sua interna logica e di realizzazione artistica di individui, che

reagiscono alla struttura sociale, costruendo una realtà di secondo grado375:

374 Pierpaolo Pasolini, Empirismo eretico, cit., pp. 194 e ss. 375

Chi costruisce i film sa che la capacità di agganciare profondamente lo spettatore è fondamentale e sa che, per riuscirvi, bisogna oltrepassare gli strati più superficiali e arrivare a toccare corde intime della personalità e dei problemi umani. Nella pratica della sceneggiatura, è stata teorizzata, per esempio, da

creazione di un mondo immaginario eppure “verosimile e necessario”, volontà ( latente) di trasformare o superare la struttura dominante e nondimeno svolgersi di una forma, riconosciuta e pretesa dal sistema produttivo, testo leggibile e comprensibile, destinato al passaggio dallo stadio letterario allo stadio cinematografico.

L‟idea che la sceneggiatura sia un processo in fieri e non semplicemente una struttura, in parte erode i principi di un‟ampia, quanto interessante, manualistica di provenienza americana, che fornisce canoni e regole, ma è troppo oculata e conosce troppo bene l‟arte del racconto, per irreggimentare in modo definitivo il testo.

A partire dagli anni Ottanta, il mondo del cinema ha denunciato la debolezza delle sceneggiature come la causa delle cattive condizioni di salute del cinema italiano ed europeo in generale. In appoggio a tale opinione, generalmente condivisa, si sono più volte sottolineate il rigore e l‟efficacia delle sceneggiature americane, la professionalità, la competenza, talvolta la specializzazione, degli scrittori americani, in un sistema, in cui, non a caso, tra il 2007 e il 2008, lo sciopero della Writers Guild of America, East (WGAE) e della Writers Guild of America, West (WGAW) contro la Alliance of Motion Picture and Television Producers (AMPTP), che riunisce la maggior parte dei produttori cinematografici e televisivi statunitensi, CBS Corporation, Metro-Goldwyn- Mayer, NBC Universal, News Corp/Fox, Paramount Pictures, Sony Pictures Entertainment, Walt Disney Company e la Warner Brothers, ha avuto la forza di mettere letteralmente in ginocchio l‟industria cinematografica, nei mesi immediatamente precedenti la crisi.

Dalla constatazione del dislivello di formazione e preparazione esistente tra sceneggiatori europei e americani, è scaturito un rinnovato interesse per la sceneggiatura. Ma, se questo momento della creazione ha acquisito una nuova, importante veste e ha rinnovato l‟attenzione nei confronti dei modi di parte di John Truby, la distinzione fra desire e need del personaggio. Il desire è l’obiettivo esterno, cosciente. Il need è un bisogno profondo, che viene di solito evidenziato e risolto mentre il protagonista punta a raggiungere l’obiettivo più esplicito. Alcuni teorici della letteratura, come Wayne Booth, già negli anni Sessanta, sostenevano che nel cuore di ogni storia c'è un dilemma etico e che la dimensione principale della fruizione di un racconto – almeno per il pubblico più vasto- è il fatto che noi sentiamo i personaggi come amici, condividiamo le loro scelte, soffriamo per loro. Wayne C. Booth, The Rhetoric of

elaborazione e scrittura del testo, tuttavia la figura dello sceneggiatore è rimasta nell‟ombra. Si continuano ad invocare sceneggiature ben fatte, ma intanto si montano i film su best seller apprezzati dal pubblico, registi di chiara fama e attori di successo. Il modello di riferimento resta la sceneggiatura americana, o meglio, un modello, detto “classico” di sceneggiatura, che nella realtà del cinema postmoderno, post-post moderno, digitale o, nel caso italiano, low- budget imprigionato nel duopolio, ha il sembiante di un‟araba fenice che tutti inseguono, ma nessuno sa bene cosa sia veramente.

Il riferimento insistito al modello americano, o meglio, ad un astratto e decontestualizzato standard, identificato con il cinema americano, non è, a mio avviso, un problema di subalternità a quella che è la più importante industria cinematografica del mondo e tantomeno una esplicita sottomissione ad una ideologia, ma un problema di miopia. Dire che bisogna fare delle sceneggiature come gli Americani conferisce lustro pseudo-scientifico, richiama una prassi

nobile, rinvia ad una tradizione formidabile, e forse restituisce un po‟ di

speranza ai professionisti del mestiere. Solo quindici anni fa si parlava ancora di modello europeo, ma oggi l‟aspirazione, ammesso che sia ancora ravvisabile, risulta assai remota: è tramontato il sistema delle coproduzioni, è più complesso, per i produttori italiani, partecipare ai fondi Euroimages ed è sempre più forte la vocazione di ciascun paese a dei modi di produzione territorializzati e protezionisti.

Il punto comunque non è imitare, semmai è emulare. Quale sceneggiatore non sogna di scrivere un copione perfetto come The Rear Window ( La finestra sul

cortile, di Alfred Hitchcock, 1954)376 o The Verdict ( Il verdetto, di Sidney

Lumet, 1982)377, struggente come On The Waterfront ( Fronte del porto,di Elia

Kazan, 1954)378 o Rebel Without A Cause ( Gioventù bruciata, di Nicholas Ray,

1955) 379, vivificante come Some Like it Hot (A qualcuno piace caldo, di Billy

Wilder,1959)380 o When Harry Met Sally (Harry ti presento Sally, di Rob Reiner,

376

Sceneggiatura di John Michael Hayes, soggetto di Cornell Woolrich

377 Sceneggiatura di David Mamet, soggetto di Barry Reed 378

Sceneggiatura e soggetto di Budd Schulberg

379

Sceneggiatura di Stewart Stern, soggetto di Nicholas Ray

380

1989)381. Il punto è se esistano nel mercato asfittico di un paese, come per esempio il nostro, le condizioni per dispiegare l‟immaginazione in una professione come la sceneggiatura e se vengano offerte reali opportunità per dare forza narrativa ai film, fuori dagli schemi acquisiti.

In Italia, ormai da più di un decennio, le scuole, i corsi di sceneggiatura, i laboratori di scrittura creativa, i master di formazione alla produzione di audiovisivi si orientano con sempre maggiore determinazione e convinzione verso un‟idea di racconto cinematografico ed una metodologia di lavoro, ispirate al modello americano, peraltro in debito con le teorie del racconto di matrice formalista, se non addirittura con le regole enunciate dalla Poetica di Aristotele. Uno dei primi sceneggiatori - divulgatori, ad approdare da noi, è stato Robert Mckee. Eccellente oratore, personaggio carismatico e insegnante di rara precisione, malgrado lo scetticismo dei detrattori della prima ora, ha consegnato ad una platea di curiosi, neofiti e addetti ai lavori, dei fondamenti di tecnica, che, in Italia, hanno fatto scuola. Le sue lezioni, così diverse da quelle degli sceneggiatori di casa nostra, altrettanto pregevoli, ma di impianto aneddotico e talvolta autoreferenziale, per la prima volta mettevano l‟audience a contatto con una tecnica ferma e sicura. Di qui la proposta di concetti base, modelli di riferimento, strutture solide, andamenti e ritmiche visualizzabili in diagrammi e curve, che, indubbiamente, hanno modificato l‟idea stessa della sceneggiatura, le hanno assegnato una sorta di scientificità, di verificabilità oggettiva, le hanno attribuito un‟immagine di dispositivo tecnico, per far funzionare il quale, erano

necessarie conoscenze, competenze, strategie382. Il sito che riguarda McKee,

ancora oggi, dopo molti film mainstream ed uno stuolo di allievi di chiara fama, recita che i suoi seminari intensivi sono giornate full immersion (a cui peraltro nessuno in Italia era abituato) e mostrano la relazione tra story design ( il disegno complessivo della storia) e personaggio. Affinché la sceneggiatura non

381

Sceneggiatura e soggetto di Nora Ephron

382 “ (Oggi) fa furore l’esperto americano Robert McKee, che propaganda, in ogni possibile workshop la

“struttura in tre atti” che illustra peraltro in saggi e libri. Le tesi di McKee sono a mio avviso troppo rigide, denunciano la loro provenienza da una cultura e da un’industria abituata a fare i conti con scripts costruiti a tavolino con progettata funzionalità; e troppo appiattiti sulla produzione statunitense sono gli epigoni di McKee, impegnati a far passare l’idea di sceneggiature che rispettino, anche nei ritmi interni, la scansione della pubblicità televisiva”. Vito Zagarrio, Morte e rinascita del “mestiere”.Sceneggiature e

sia ridotta ad una serie di semplici formule, il corso insegna quali siano i principi coinvolti nell‟arte e nell‟artigianato di una sceneggiatura e dimostra che

l‟essenza di una buona storia è universale e immutabile383

.

Sull‟onda di questa fiducia negli “ingredienti” e nelle effettive possibilità di elaborare una buona storia, sono fioriti manuali di pregio, scritti da Syd Field, Linda Seger, John Truby, Dara Marks, che insegnano, in tutta onestà, a scrivere copioni, stabiliscono delle tappe, rinviano a degli esempi e propongono degli esercizi utili e formativi, a prescindere dal proprio talento, e parimenti sono stati realizzati numerosi volumi, ad opera di grandi nomi della sceneggiatura

italiana, tra i quali Pirro, Age, Scarpelli, Moscati, Cerami384.

I principi, messi in campo dai manuali e dalla tradizione di un‟industria forte, ben diversa dalla nostra, sono stati squadernati sui tavoli dei dirigenti delle emittenti televisive e degli executives di casa nostra, e quella che era un‟area di ricerca per formare giovani scrittori (penso ai primi corsi Rai, negli anni Novanta, organizzati dall‟equipe di Francesco Tarquini, per creare professionisti della sceneggiatura), quelli che erano degli spunti intelligenti per guardare al futuro, sono diventati rigide gabbie, alle quali è difficile sottrarsi. Le maglie, nel corso degli ultimi dieci anni, si sono fatte più serrate sia per chi scrive, sia che per chi legge, e le regole del gioco sono diventate ferrei codici di accesso e conseguimento di una “dottrina”, spesso in nome di un trito “realismo”, che ha il sapore amaro della convenzione o in omaggio al genere commedia, che

383

Sostanzialmente e sinteticamente McKee individua il perno centrale della sceneggiatura nel binomio struttura – personaggio, poiché è il personaggio che crea il dramma, quindi dà vita a eventi e azioni, inseguendo il suo obiettivo e perseguendo il suo desiderio. La struttura consta di cinque parti, come nella tradizione del melodramma: evento dinamico, motore della storia; complicazioni progressive ( incidente scatenante e vari incidenti); crisi; climax; risoluzione, ma, normalmente si può svolgere anche in tre atti. L’atto è un’azione invertitrice. Il movimento che si svolge tra gli atti è di progressione e inversione. Se la storia finisce bene, il I atto finirà male. Se una storia finisce male, il II atto finirà bene. Nel caso di un finale ironico, il II atto non sarà né positivo, né negativo: sarà l’opposto. La struttura mette in scena tre gradi di conflitto: personale; interpersonale; extrapersonale. Su di essa vigila lo sceneggiatore visto come una sorta di dio, che controlla tutti gli eventi e ha autorità su ogni dettaglio. Cfr. Robert Mckee, Story, International Forum Edizioni, Roma, 2000

384 We writers don’t think, actually. We do things out of emotions and costructions in our mind a sto how

a character or a story should develop. There’s a story told about Balzac. A friend found hin in tears and asked him the reason. Balzac said, “Hélène died”. Hélène was one of the characters in the story he was writing (…) How can you teach aspiring writers? You can teach technique, like screenplay technique, but you cannot etach emotions or how to find ideas Dennis Fischer, Curt Siodmak: The Idea Man, in P.

pacifica gli animi e “fa star bene” . In sintesi la scuola è diventata accademia, il gesto artistico una forma di manierismo pedissequo, la ricerca sul linguaggio cinematografico una velleità d‟altri tempi, residuo lontano, giudicato estraneo ai bisogni dello spettatore e alle esigenze dell‟intrattenimento. L‟estetica televisiva dell‟evidenza, dell‟esplicito, del “detto” sempre e comunque, delle circolarità chiuse, in cui tutto torna e si risolve sistematicamente, dei personaggi monodimensionali e monodimensionati spazza via quel poco che sopravviveva dell‟estetica cinematografica, rischiando di disintegrarla dall‟interno delle storie, dal momento che la produzione televisiva duopolistica detta legge in materia di finanziamenti e linee editoriali, anche quando si tratta di contributi concessi dalla Stato.

Intanto la vulgata del come si scrive un buon copione, ove l‟aggettivo buono sta per proficuo e di successo al botteghino, non necessariamente connesso ( anzi, meglio se non lo è) ad una visione del mondo o ad un progetto estetico, si è fatta totalizzante, incombente, perentoria, tagliando fuori quelle piacevoli trasgressioni, quegli scarti inventivi, quella capacità immaginativa, che fanno l‟intelligenza e lo stile di un copione.

Basta conoscere le regole per partecipare al gioco e la dimostrazione paradossale di tale abbaglio è che le sceneggiature scritte aumentano a

dismisura, ma i film, tratti da soggetti originali, diminuiscono a vista d‟occhio385

. Inoltre non conosciamo i nomi degli sceneggiatori, non sappiamo di che letture si alimentino, che film guardino, a quale universo si riferiscano. Se troviamo qualcosa, lo apprendiamo solo ed esclusivamente dagli scrittori di romanzi (emblematico in questo senso il caso Saviano o il caso Veronesi), ma della nutrita schiera di sceneggiatori che hanno partecipato, ad esempio, a Gomorra386( 2008) non si conosce quasi nulla.

L‟ultimo scacco è dato dal fatto che sia al cinema, che in televisione, lo spazio destinato alle sceneggiature originali si sta totalmente riducendo, ormai prevale l‟adattamento tout court, la trasposizione cinematografica, il liberamente ispirato

385 Come dimostrano i progetti di Cattleya e Fandango, tra le più vivaci, almeno fino agli ultimi tagli del

FUS, dal punto di vista produttivo.

386

Regia di Matteo Garrone, soggetto tratto dal romanzo di Roberto Saviano, sceneggiatura di Matteo Garrone, Massimo Gaudioso, Roberto Saviano, Maurizio Braucci, Ugo Chiti, Gianni Di Gregorio

a, non tanto perché ci si fidi più di uno scrittore che di un artigiano del cinema, quanto perché film e libro fanno parte di una catena commerciale e distributiva che viene premiata da un generalizzato consenso e produce maggior rendimento.

Mentre la ricerca sull‟audiovisivo è stata notevolmente agevolata dalla diffusione dei dvd (dati tecnologicamente per morti, eppure spesso corredati da

preziosi contributi), e dalle possibilità che offrono rete e biblioteche on line387, la

reperibilità dei testi di sceneggiatura, specie se si tratta di materiali lontani nel tempo, sotto forma di script, trattamenti o lista dialoghi, risulta ancora

abbastanza ardua388, almeno in Italia, ove peraltro il mercato editoriale,

additando la mancanza di un potenziale pubblico, dell‟argomento si occupa ben poco e quando se ne occupa spesso si limita alla versione desunta dal film o a delle sceneggiature narrativizzate, somiglianti a romanzi. Questo è il panorama a cinquant‟anni di distanza da quell‟iniziativa editoriale, allora unica al mondo, che, nel 1954 vide la creazione per l‟editore Cappelli di Bologna di una collana dal titolo Dal soggetto al film, diretta dal critico e cineasta Renzo Renzi e sopravvissuta fino alla metà degli anni ‟70. La collana, che realizzava l‟idea innovativa di dedicare un volume a un film importante in occasione della sua uscita, contestualmente proponeva una documentazione, il più dettagliata possibile, sulle fasi della creazione del progetto, dal trattamento alla sceneggiatura, ed ha contribuito a rendere noti al pubblico i copioni di maestri quali Fellini, Visconti, Antonioni.

Forse sarebbe interessante, che, di alcune opere filmiche, si presentassero delle versioni critiche della sceneggiatura o delle dettagliate ricostruzioni

387

Fatta eccezione per quella “fonte meravigliosa” che è il sito IMSDb ( The Internet Movie Script Data base)

388

Restano isolate, e proprio per tale motivo ancor più preziose, le pubblicazioni di sceneggiature desunte della casa editrice Gremese e le pubblicazioni della collana Cinema – Sceneggiature originarie e

materiali di studio, edita dal Circolo del Cinema di Mantova, in collaborazione con La Casa del Mantegna,

che ha iniziato le pubblicazioni nel 1997 con il film di Luciano Emmer Quel magico lenzuolo blu… ( dando alle stampe, tra le altre, anche la sceneggiatura di Domenica d’agosto 1950) ed ha pubblicato quattro

Nel documento L'esistenza incerta del testo sceneggiatura (pagine 150-160)