• Non ci sono risultati.

Come legiferare in materie “eticamente sensibili”

Nel dibattito in corso al Senato sulla revisione costituzionale è accaduto a fine luglio (al netto del frastuono anche mediatico sulle contrapposte schiere di riformatori e conservatori, sulla battaglia degli emendamenti, sui “salti del canguro”) un fatto importante.

Com’è noto, il Presidente Grasso aveva concesso il voto segreto sulle materie connesse ai diritti fondamentali, il che era stato da più parti contestato, con l’argomento – per la verità non di poco peso – che sulla modifica della Costituzione non c’è segreto o voto di co- scienza che tenga, visto che gli elettori potrebbero (anzi dovranno, perché è ormai questa la promessa del presidente del Consiglio e del ministro per le riforme) essere chiamati a pronunciarsi con un referendum e hanno quindi interesse a sapere come votano i parla- mentari.

Tanto ricordato, benché il governo avesse dato parere contrario e i due relatori del ddlcost 119/2014 si fossero divisi, essendo favo- revole il senatore Calderoli e contraria la Presidente della commis- sione Affari costituzionali senatrice Finocchiaro, un emendamento di un senatore della Lega Nord, approvato appunto grazie al voto segreto, ha stabilito che – nelle materie di cui agli articoli 29 e 32 della Costituzione – il Senato conservi potere legislativo.

L’intento è chiaramente conservatore, o comunque ha l’effetto di indurre ritardo e possibilità di approfondimento di riflessioni sulle deliberazioni legislative in ordine a questioni delicate, come ha subito polemicamente osservato il deputato Scalfarotto del Partito Democratico, secondo il quale sui temi “etici”, si rischia in tal mo- do “il pantano”: quegli articoli riguardano infatti – e come si sa – i temi della famiglia e del testamento biologico

Vi sono però anche buone ragioni per sostenere un’opinione contraria a quella da ultimo riportata: a parte il fatto che la palude e la rimozione della decisione su siffatti argomenti (dalle unioni omo-

sessuali, alla fecondazione assista, alle “dichiarazioni anticipate sui trattamenti di fine vita” di chi intenda precostituirle per il momento successivo della propria vicenda umana in cui non potesse mate- rialmente farlo) sono avvertibili piuttosto nella situazione cui si as- siste oggi, tanto che taluno ha parlato – per il nostro Paese – di una peculiare “strategia del silenzio” normativo su certi argomenti, è piuttosto facilmente constatabile che sulle materie “eticamente sen- sibili” le divisioni culturali, etiche, religiose sono in concreto tra- sversali ed è perciò saggio che di esse nessuna maggioranza politica – qualunque essa sia – faccia una risorsa di governo, come mi ero permesso di osservare io stesso (che beninteso non conosco affatto il proponente dell’emendamento approvato) in un contributo sulle questioni poste dal ddlcost. di riforma, nel testo proposto all’epoca – fine marzo 2014 – al dibattito e pubblicato sul n. 8/2014 di Astrid

Rassegna (Una nuova stagione di proposte di revisione costituzionale: finale di partita? Scheda di prima lettura).

Si tratta – ad essere chiari – di responsabilità che il legislatore deve finalmente assumere, senza più eluderle, come mille episodî di cronaca dimostrano ogni giorno di più e alle quali ormai in ripetute sentenze la Corte Costituzionale lo ha richiamato, ma sulle quali è in effetti auspicabile un incontro di modi di sentire diversi, che eviti leggi che non siano “snelle” e risultino invece “manifesti ideologi- ci”, in cui ci si deve insomma augurare nella disciplina concreta dei fenomeni che chiedono risposte regolatorie la ricerca di equilibrî e approfondimenti non troppo esposti alla contingenza e ad ottiche di merito parziali, ma che provino a durare nel tempo.

Sembra pertanto opportuno che il legislatore futuro (purché al- la fine non eluda il cimento e prenda una strada, di fronte alla quale del resto non resterebbe arbitro esclusivo, perché quanto dovesse stabilire sarebbe – nella logica del sistema – valutato da giudici e dalla Corte Costituzionale, tenendo oltretutto conto delle soluzioni offerte in merito da altri ordinamenti nazionali, sul piano delle ri- spettive legislazioni e giurisprudenze, dall’Unione Europea e dalle Corti di Lussemburgo e Strasburgo) sottragga il risultato consegui- to alla battaglia politica quotidiana e lo restituisca al sacrario della coscienza individuale, coinvolgendosi nel procedimento decisionale

in tema parlamentari di entrambi i rami, quindi anche il mondo del- le autonomie territoriali, insomma la Repubblica nelle sue varie ar- ticolazioni, magari prevedendo anche il raggiungimento di quorum rafforzati di approvazione.

Ci si potrebbe in verità chiedere quale sia il motivo per coinvol- gere, in materie eticamente sensibili, un ramo delle Camere che do- vrebbe risultare composto (a parte la quota minima dei senatori di nomina presidenziale e quella residua dei senatori a vita) da rappre- sentanti delle sole autonomie territoriali.

Bisognerebbe ricordare allora che le dichiarazioni di principio degli Statuti regionali “di seconda generazione” e taluni svolgimenti delle loro legislazioni particolari contengono già – a seconda del ti- po di atto – assunti assiologici o prescrizioni specifiche su materie del genere, che hanno incontrato l’opposizione dei governi naziona- li, sicché essi hanno proposto ricorso alla Corte Costituzionale e che questa ha infine ha depotenziato gli uni e le altre, “salvandoli” come più o meno retorici programmi di intenti e mantenendone indenne solo la parte attinente ad attività di monitoraggio e anima- zione culturale antidiscriminatoria, stante la riserva alla legge dello Stato di leggi in materia di «cittadinanza, stato civile, anagrafi» e «ordinamento civile e penale» (ex art. 117, comma II della Carta Costituzionale, della Carta Costituzionale, rispettivamente lettere i e l).

Si potrebbe però replicare – proprio osservando tale tendenza e i conseguenti tentativi di dichiarazioni di principio “impegnative” e di legislazione extra ordinem – che in tale guisa si coinvolgerebbe il mondo delle autonomie territoriali, che ha e avrebbe comunque ancora – benché ridimensionate – competenze nel sostegno alle fa- miglie (comunque formate nella esplosione pluralistica delle loro forme) e nella sanità in processi di stimolo dal basso e quindi di ri- composizione unitaria su nuovi valori e tipologie sociali di convi- venza, che anche nel “nuovo Senato” devono trovare approdo nel riconoscimento di una legge del (solo) Stato, ad evitare fenomeni di “turismo dei diritti fondamentali”.

Questo consentirebbe di avere la garanzia che, su tali aspetti, l’esito di volta in volta provvisoriamente raggiunto (la precisazione

significa che esso non può mai restare insensibile o addirittura con- trastante rispetto alle sempre mutevoli acquisizioni della scienza) non corrisponda solo alla visione propria di una bandiera di parte, quale che essa sia.

Forse, per vie non prevedibili dai tattici di breve respiro, la fan- tasia della storia ha segnato stavolta un punto a favore.