• Non ci sono risultati.

Capitolo 2 – Il rito del lavoro dinanzi al Tribunale nella disciplina codicistica

3. Il comma 4

Il comma 4 dell’art. 413 cpc disciplina la regola sulla competenza per le ipotesi di cui al numero 3 dell’art. 409, comma 1. Viene quindi in rilievo la nozione di domicilio secondo il citato art. 413 cpc per come declinato dalla giurisprudenza di legittimità.

Secondo Cass., n. 28566/2018: “il domicilio— in accordo con l'art. 43 cod.civ., comma 1, che ne fornisce la nozione— «va desunto alla stregua di tutti quegli elementi di fatto che, direttamente o indirettamente, denuncino la presenza in un certo luogo” (Cass. 9 luglio 2014 n. 15723) tra i quali, secondo Cass. 13 gennaio 2012 n. 403, deve prestarsi particolare attenzione al luogo di residenza, in quanto, secondo l'id quod plerumque accidit, esso coincide con il domicilio. Quanto alle ipotesi di

31 F. Carpi e M. Taruffo (a cura di), Commentario Breve al Codice di procedura civile, sub art. 413 cpc, p. 1709 col. II, Padova, 2018.

44 cessazione del rapporto di lavoro di agenzia, si devono confermare in questa sede i principi già enunciati da questa Corte (Cassazione civile, sez. VI, 19/07/2017, n. 17904) secondo cui: - in primis, il domicilio di cui all'art. 413 cod.proc.civ., comma 4, continua a rilevare per la determinazione della competenza; - in tali ipotesi occorre fare riferimento all'ultimo domicilio avuto dall'agente in costanza di rapporto, al fine garantire la ratio della disposizione. Sul punto si richiamano le Sezioni unite di questa Corte 18 gennaio 2005 n. 841, secondo le quali, nel silenzio della legge, la cristallizzazione della competenza nell'ultimo domicilio avuto dall'agente rappresenta la scelta ermeneutica più fedele alla ratio legis, cioè all'intento del legislatore di privilegiare sempre e soltanto il luogo ove il lavoratore parasubordinato - attore o convenuto che sia - ha stabilito il centro dei suoi affari - e cioè il domicilio - normalmente più vicino al luogo del rapporto, dove si sono verificati i fatti rilevanti per la decisione della causa, e dove è più facile reperire i documenti, citare testimoni ecc...”.

Sempre sulla nozione di domicilio, Cass., n. 17904/17 ha ricostruito l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità affermando che: “Secondo un orientamento superato della Suprema Corte (Cass. 6 maggio 1998 n. 4581, 6 maggio 1998 n. 4580 e 29 maggio 1998 n. 5362), ai fini dell'individuazione del domicilio di cui all'art. 413 c.p.c., n. 4, andava preso in considerazione solamente il domicilio in cui si svolge o si è svolta l'attività del lavoratore. 3. La giurisprudenza, successivamente, si è consolidata intorno a un orientamento più fedele all'art. 43 c.c., comma 1, che fornisce la nozione di domicilio: "il domicilio di una persona è il luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi". In accordo con tale disposizione, il domicilio "va desunto alla stregua di tutti quegli elementi di fiuto che, direttamente o indirettamente, denuncino la presenza in un certo luogo” (Cass. 9 luglio 2014 n. 15723), tra cui rientra, ma solo secondo un criterio di normalità, anche il luogo di svolgimento dell'attività lavorativa. Tra gli elementi che denunciano la presenza di un soggetto in un determinato luogo, inoltre, secondo Cass. 13 gennaio 2012 n. 403, deve prestarsi particolare attenzione al luogo di residenza, in quanto, secondo l'id quod plerumque accidit, esso coincide con il domicilio, atteso che "la separazione del domicilio dal luogo in cui il soggetto ha la residenza presuppone che il medesimo abbia la convenienza, in ragione della ampiezza, la natura e l'importanza dei suoi affari ed interessi, (il scegliere e attrezzare un luogo distinto dalla residenza per il suo domicilio", ma che, tuttavia, "si tratta di ipotesi che non riguarda la generalità delle persone e, di conseguenza, può anche affermarsi che sussiste una presunzione di fatto di coincidenza del domicilio con la residenza (cfr., in tali termini, Cass., sez. un., n. 2060 del 2003)".4. Con riguardo alle ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro di agenzia, invece, si deve precisare, in primis, che il domicilio di cui all'art. 413 c.p.c., comma 4, continua a rilevare per la determinazione della competenza delle controversie di cui all'art. 409

45 c.p.c., n. 3, e, in secondo luogo, che in tali ipotesi occorre fare riferimento all'ultimo domicilio avuto dall'agente in costanza di rapporto, al fine garantire la ratio della disposizione. Sul punto, si richiamano le Sezioni unite 18 gennaio 2005 n. 841, secondo le quali, nel silenzio della legge, la cristallizzazione del luogo dello svolgimento dell'attività lavorativa nell'ultimo domicilio avuto dall'agente rappresenta la scelta ermeneutica più fedele alla ratio legis, cioè all'”intento del legislatore di privilegiare sempre e soltanto il luogo ove il lavoratore parasubordinato - attore o convenuto che sia - ha stabilito il centro dei suoi affari - e cioè il domicilio - normalmente più vicino al luogo del rapporto, dove si sono verificati i fatti rilevanti per la decisione della causa, e dove è più facile reperire i documenti, citare testimoni ecc..". Tale motivazione, tuttavia, non deve indurre a ritenere decisivo il luogo di svolgimento del rapporto di lavoro, al fine dell'individuazione del domicilio di cui all'art. 413 c.p.c., comma 4. Si ribadisce, infatti, che tale luogo rappresenta, secondo un criterio di normalità, solamente uno degli indici rivelatori del centro degli affari e degli interessi di una persona…”.

Ovviamente, quanto sopra vale per l’esercizio del rapporto di agenzia in forma individuale, laddove (cfr. sub art. 409 cpc) il rapporto di agenzia sia esercitato sotto forma societaria o comunque l’agente abbia avviato una struttura imprenditoriale, diventano, di contro, attuali i principi, espressi - tra le tante - da Cass., n. 11772/2018, secondo cui la competenza non può essere regolata dalle norme in materia di rapporto di lavoro. In quest’ultima ipotesi, riprendono vita i criteri generali in materia.

Come visto, il criterio del domicilio vale anche per le collaborazioni coordinate e continuative e valgono quindi i medesimi approdi interpretativi. Di maggiore interesse la questione legata alle collaborazioni con la P.A. in quanto nel caso di specie potrebbero sovrapporsi due profili concorrenti in tema di competenza (foro del pubblico impiego e foro del collaboratore). Sul punto è intervenuta Cass., n. 3087/201732 affermando che: “…attenendo al giudizio di merito l'accertamento in ordine all'effettiva natura del rapporto tra le parti in causa - non può imporre, quale criterio di collegamento, quello valido per il pubblico dipendente, vale a dire la sede dell'ufficio alla quale il dipendente è addetto o era addetto al momento della cessazione del rapporto, non vertendosi, nella specie, in tema di costituzione di rapporto di lavoro pubblico dipendente. 11. Invero, dalla formulazione testuale del quinto comma dell'art. 413 del codice di rito si evince, oltre al riferimento

32 Ai fini dell'individuazione della competenza territoriale, in relazione ad una domanda con cui si prospetti l’esistenza di un rapporto di lavoro parasubordinato con la P.A., e se ne chieda l’accertamento, deve trovare applicazione il criterio di collegamento del domicilio di cui all’art. 413, comma 4, c.p.c., che dà rilievo alla natura della prestazione e non alla qualità, pubblica o privata, della controparte della prestazione dell’opera, operando il successivo comma 5 nella diversa ipotesi di domanda di costituzione di un rapporto di lavoro pubblico dipendente.

46 alla nozione di "dipendenza” da una pubblica amministrazione, il criterio di collegamento della

"sede dell'ufficio” al quale il dipendente è o era addetto, che è termine sicuramente indicativo di un rapporto di inserimento nella struttura organizzativa dell'amministrazione attraverso la quale vengono esercitate le specifiche finalità istituzionali, siano esse autoritative ovvero di erogazione di servizi, finalità che caratterizzano i rapporti di lavoro di pubblico impiego (v., per notazioni sulla delimitazione del criterio di collegamento fissato dall'art.413, quinto comma, c.p.c., ai soli rapporti fra amministrazioni e dipendenti, Cass. 18309/2009). 12. 1a natura del rapporto tra la lavoratrice e l'amministrazione universitaria, così come prospettato, porta, pertanto, ad escludere il criterio di collegamento della sede dell'ufficio e deve aversi riguardo, anche per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa con una pubblica amministrazione, alla regola generale fissata, dal quarto comma dell'art. 413 del codice di rito, per tutti i rapporti che si concretino in una prestazione di opera coordinata e continuativa indicati dall'art. 409, n. 3, del codice di. rito. 13. Del resto, alla stregua del rinvio operato dal quarto comma dell'art. 413 ai rapporti indicati dall'art. 409, n. 3, c.p.c., il criterio di collegamento prescritto dal richiamato quarto comma rimarca esclusivamente la natura della prestazione - "il titolare degli altri rapporti di collaborazione di cui al predetto n. 3 dell'art. 409”- e non può perciò darsi un'esegesi della regola processuale che introduca un discrimine soggettivo in ragione della qualità, pubblica o privata, della controparte della prestazione d'opera. 14. Va dunque richiamata, nell'individuazione del criterio di collegamento da applicare nella specie, a mente del più volte richiamato quarto comma dell'art.413 c.p.c., la simmetria tra regole processuali (medesimo criterio di collegamento indipendentemente dalla controparte, pubblica o privata, della collaborazione coordinata e continuativa) già affermata da questa Corte regolatrice tra i diversi criteri di cui al secondo, terzo e quinto comma dell'art. 413 c.p.c. (in fattispecie in cui la simmetria, con il rapporto di lavoro privato, è stata evocata in tema di criteri di collegamento applicabili alla domanda fondata sulla prospettazione della costituzione del rapporto di lavoro pubblico: v., al riguardo, Cass., sez. sesta l, n.10697/2015)”. Va inoltre precisato che nel caso di specie non venivano in rilievo profili di censura di merito tendenti ad invocare la natura effettivamente subordinata del rapporto, circostanza che avrebbe di contro potuto determinare la insorgenza della competenza di cui al comma 5.

Una ultima notazione va fatta rispetto ad un altro tipo di controversia, ovverosia quella riguardante gli amministratori di società. Come detto nel precedente capitolo, tale rapporto esula da quelli di cui all’art. 409 cpc. Pertanto, con riferimento alla questione della retribuzione dell’amministratore già Cass., n. 2759/2016 ha affermato che: “Va attribuita alla cognizione della sezione specializzata in materia di impresa la controversia introdotta da un amministratore nei confronti della società e riguardante le somme da quest'ultima dovute in relazione all'attività esercitata, poiché la

47 formulazione dell'art. 3, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 168 del 2003, facendo riferimento alle cause ed ai procedimenti «relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario», si presta a ricomprendere, quale specie di questi, tutte le liti che vedano coinvolti la società ed i suoi amministratori, senza poter distinguere fra quelle che riguardino l'agire degli amministratori nell'espletamento del rapporto organico ed i diritti che, sulla base dell'eventuale contratto stipulato con la società, siano stati da quest'ultima riconosciuti a titolo di compenso”.

Appare conforme a tale decisione Cass., n. 13956/2016. Un precedente orientamento contrario è rappresentato da Cass., n. 11448/2014, da considerarsi comunque superato, anche alla luce della pronuncia a Sezioni unite del 2017.

Inoltre, la recente Cass., sez. unite, n. 19882/2019 ha precisato che: “Il rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di impresa, nello specifico caso in cui entrambe le sezioni facciano parte del medesimo ufficio giudiziario, non attiene alla competenza, ma rientra nella mera ripartizione degli affari interni all'ufficio giudiziario, da cui l'inammissibilità del regolamento di competenza, richiesto d'ufficio ai sensi dell'art. 45 c.p.c.; rientra, invece, nell'ambito della competenza in senso proprio la relazione tra la sezione specializzata in materia di impresa e l'ufficio giudiziario diverso da quello ove la prima sia istituita”.

Pertanto, non ogni caso di controversia rientrante nell’ambito di cognizione di una sezione specializzata in materia di impresa si tramuta in una questione di competenza.

Documenti correlati