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2.2 I melodrammi della donna sconosciuta

2.2.1 Commedie versus melodramm

Da quanto emerso fino a questo punto risulta chiaro che i due generi elaborati da Stanley Cavell nelle sue opere dedicate al cinema rientrano entrambi in un ben più vasto spaccato teorico concernente lo scetticismo filosofico. Non avendo ancora trattato la questione del tragico, che Cavell inserisce in uno dei suoi testi più celebri, il già citato La riscoperta dell’ordinario (1979), per ora ci limiteremo ad alcune considerazioni sui generi cinematografici, la commedia del rimatrimonio e il melodramma della donna sconosciuta, nel tentativo di capire se vi sia una reale opposizione tra le due categorie. D’istinto saremmo, infatti, portati a rilevare un contrasto formale, visto che i melodrammi derivano dalle commedie per negazione. In realtà, melodrammi e commedie più che contrapporsi rappresenterebbero le due estremità espressive di uno stesso nucleo metamorfico: «[…] se noi esprimiamo quotidianamente attraverso i nostri atti e le nostre parole il rifiuto o l’accettazione della nostra “condizione scettica”, se lo scetticismo attraversa le nostre vite, è naturale ricercare nelle grandi opere della cultura le testimonianze di tale esperienza dello

190 scetticismo, e i casi-limite che provocano il pensiero»86 (Laugier,

Cerisuelo, 2001, p. 220, traduzione mia). Le grandi opere della cultura presenterebbero, dunque, i casi-limite del rifiuto e dell’accettazione (che abbiamo individuato in precedenza parlando di elusione e riconoscimento) sotto le vesti formali della tragedia e della commedia. Rispetto a questa coppia, il melodramma è un genere che lavora dall’interno, poiché sorge dalla commedia (e dalla dimensione ordinaria che costituisce il linguaggio commedico), designando i momenti in cui il comico diventa tragico. «[…] se Cavell utilizza delle categorie trasversali alla diversità delle arti costituite (tragedia, commedia, melodramma), queste categorie intervengono nelle analisi delle possibilità specifiche di ciascuna arte. Il passaggio concettuale delle diverse espressioni dello scetticismo nella cultura è, secondo Cavell, molto ricco. Ed è proprio grazie a tale diversità categoriale che Cavell riesce a cogliere le sfumature e gli accenti espressi dallo scetticismo nelle grandi opere della cultura» (ivi, p. 228, traduzione mia). L’espressione dello scetticismo al cinema è indissociabile sia dalla commedia sia dal melodramma, categorie di genere che devono essere poste sullo stesso piano se si vuole andare a fondo nell’indagine sullo scetticismo. Il cinema classico americano si appropria dei temi appartenenti alla drammaturgia shakespeariana (matrimoni, rimatrimoni, elusioni, inversioni, riconoscimenti) plasmandoli attraverso la dimensione linguistica ordinaria relativa alle conversazioni di coppia. «Lo scetticismo all’opera nella tragedia shakespeariana sarebbe già presente nella commedia; tragedia e commedia sarebbero le due forme d’espressione complementare di uno stesso scetticismo metafisico»87 (ivi, p. 124, traduzione mia). Nella visione cavelliana, quindi, il problema tassonomico sui generi cinematografici – per come abbiamo provato a delinearlo nei paragrafi 1.5, 1.5.1 e 1.5.2 – non si pone, perché la trattazione sul cinema di genere pertiene primariamente alla sfera filosofica, e non a quella

86 E. Domenach, “Le cinéma exprime-t-il le scepticisme”, pp. 215-238.

87 L. Coussement “Identité et scepticisme dans Comme il vuos plaira et The Lady

191 retorica. Del resto, è emerso in maniera abbastanza netta l’esistenza di

germi melodrammatici all’interno delle commedie, nello stesso senso in cui i finali dei melodrammi non presentano la fatale ineluttabilità della catastrofe tragica. Cavell non fa che mutuare quella che può essere definita una certa consuetudine drammatica in base alla quale (come del resto mette in luce anche Frye) lo slittamento continuo da un genere all’altro, non solo può sussistere, ma è ciò che fonda l’ordine del sistema (cinematografico o letterario che sia):

Ci troviamo quindi su un crinale scivoloso, dove la commedia può trasformarsi nel suo contrario e viceversa: un doppio registro individuato felicemente, secoli fa, dai buffi artigiani dello shakespeariano Sogno di una notte di mezza estate quando vogliono mettere in scena, per le nozze del loro duca Teseo, la vicenda di Piramo e Tisbe e l’annunciano come «breve interminabile scena» e «assai tragico divertimento»: al che il duca commenta «Gaio e tragico! Breve e interminabile! Sarebbe come dire ghiaccio bollente e neve prodigiosa che fiammeggia! Come mettere d’accordo tutta questa discordia?» (atto V, scena I, 56-60). E Shakespeare, lo Shakespare delle commedie basate su arditi travestimenti cross-gender e ancor più audaci giochi lessicali e linguistici, è senza dubbio più utile di quanto non lo siano Kant, o Parmenide, o lo stesso Ibsen di Casa di bambola per aiutarci a entrare nei meccanismi della cosiddetta comedy of remarriage. (Fink, 2000, p. 1022)

Nel suo articolo, Fink arriva addirittura a formulare un’ipotesi forte, che si conforma a quanto scritto da Cavell in Alla ricerca della felicità e in Contesting Tears: «[…] se la commedia, con buona pace di Northrop Frye, non fosse affatto un genere a sé, bensì un altro modo di guardare alle stesse cose?» (Ivi, p. 1024). Il tema dell’atteggiamento verso gli eventi, approfondito da Cavell a proposito del film di MacCarey L’orribile verità, in un certo senso sottende lo stesso tipo di considerazioni, ma non dimentichiamo che le priorità del discorso cavelliano sono ben altre e lo capiremo una volta per tutte nel capitolo successivo di questa dissertazione. «[…] a questo punto è diventato

192 difficile distinguere il gaio dal tragico, ormai saldati in una concordia

discors che nessun Teseo shakespeariano […] può illudersi di ricondurre a categorie tradizionali; e addirittura impraticabile risulta la vecchia, tranquillizzante certezza che quelle disavventure così piacevoli a vedersi, sulla scena o sullo schermo, accadano esclusivamente agli altri, riservandoci il ruolo confortevole di spettatori» (ivi, p. 1048). Questo non significa che Cavell disdegni la questione che riguarda l’interazione tra commedie del rimatrimonio e melodrammi della donna sconosciuta. In Contesting Tears, infatti, l’autore ipotizza la possibilità di ricavare un ulteriore sottogenere, comprendente i film Blonde Venus (1932), Show Boat (1936) e Random Harvest (1942): il “melodramma del rimatrimonio”, in cui la negazione riguarda stavolta ciò che già nel melodramma della donna sconosciuta costituisce una negazione del rimatrimonio (la negazione dell’elusione e quindi il riconoscimento finale). Si tratta più che altro di una provocazione che non viene poi sviluppata nel corso del libro, ma senz’altro aiuta a capire che il meccanismo generativo formulato da Cavell ha potenzialità molteplici.

Volendo mettere alla prova tale meccanismo, riportiamo qui di seguito un esperimento88 in cui le categorie cavelliane di commedia e melodramma vengono applicate a un testo filmico contemporaneo: Revolutionay Road (S. Mendes, 2008). Il film di Mendes è ambientato nello stato americano del Connecticut, fatto che, come ormai è noto, lo accomuna alle commedie del rimatrimonio. Sappiamo anche che la fase del mondo verde non è presente nei melodrammi della donna sconosciuta. In che modo, dunque, un tipico melodramma come Revolutionary Road viene a patti con questa divergenza? La coppia protagonista della storia è formata da Frank (Leonardo DiCaprio) ed April (Kate Winslet) Wheeler. I due si conoscono a una festa. Lei vorrebbe fare l’attrice, lui campa di espedienti e nel frattempo cerca di scoprire cosa vuole diventare. Siamo alla fine degli anni Quaranta, nell’immediato dopoguerra: Frank ed April si innamorano,

88 Cfr. S. Busni, Disaccordo nel Connecticut: Revolutionary Road, “Fata Morgana”,

193 intraprendono una relazione e la donna resta incinta della loro prima

figlia (elemento di rischio in previsione di un possibile lieto fine commedico). Per forza di cose, la coppia è costretta a trasferirsi fuori città, in un bucolico sobborgo brulicante di linde famigliole. Frank inizia a lavorare per l’azienda presso cui aveva prestato servizio suo padre, April diventa una brava donnina di casa e così la famiglia Wheeler fa il suo debutto nella società delle “persone per bene”, distinguendosi quanto a specialità e gradevolezza. Trascorrono sette anni, April e Frank nel frattempo hanno un altro bambino. Qualcosa non va però nella graziosa casetta bianca in cima al verde pendio, subito dopo la curva che svolta in revolutionary road. Il film inizia proprio a questo punto, quando i Wheeler vivono ormai già da tempo nell’ordinario Connecticut e si trovano a dover affrontare i primi segnali di malessere. Scrive Cavell: «Il Connecticut è il luogo deputato per una riconsiderazione e una riconciliazione emotiva e intellettuale, sia poetica che filosofica» (Cavell, 1999, p. 265). Alla luce di quanto abbiamo detto in relazione al Connecticut e al mondo verde, da Frye a Cavell, cosa cambia nel caso della coppia in questione coppia? Perché il Connecticut del 1955 non porta allo scioglimento finale? E cos’ha di diverso April Wheeler, sorella minore – o forse addirittura figlia, chi mai può dirlo – delle varie Claudette, Katharine, Barbara, Ingrid e Bette? La sua situazione ha molti punti in comune con quelle delle eroine del melodramma, nonostante si trovi in una posizione diegetica molto vicina anche alle donne della commedia: April si trasferisce nel mondo verde insieme al marito Frank in occasione della nascita del primo figlio. Il loro trasferimento non ha nulla di ludico o di avventuroso, i due si stanno già eludendo: non sono più i due ragazzi che si sono innamorati ballando insieme a una festa, ma un marito e una moglie in attesa del loro primo bambino, costretti a conformarsi improvvisamente a tutto ciò che un simile status comporta. Frank si mette a fare il lavoro che faceva suo padre, ossia la cosa che più lo ripugna al mondo; April, che ha studiato per diventare un’attrice, mette da parte la sua vanità e si trasforma in una perfetta massaia. Vivono all’interno di una comunità

194 assolutamente convenzionale, basata sul buon vicinato e sulla pratica

dell’ipocrisia, che per qualche motivo li reputa “diversi” e “speciali”: «I simpatici giovani Wheeler di Revolutionary Road… I simpatici giovani rivoluzionari di Wheeler Road!». Dopo sette anni ormai, hanno smesso di parlarsi e quando lo fanno è per insultarsi:

APRIL: E lo sai tu cosa sei? Sei disgustoso! Non mi infinocchi, Frank: solo perché mi hai messo al sicuro in questa trappola, credi di potermi obbligare a provare tutto quello che tu vuoi che io provi?! Sì… Sì… Io, Frank… Io! Sei un ragazzino patetico, pieno di illusioni! Ma guardati! Guardati e dimmi come con qualunque sforzo di immaginazione tu possa definirti un uomo!

April ha centrato il problema: Frank non è stato abbastanza uomo per renderla donna. Non ha saputo crearla. Poi però un giorno, la signora Wheeler ritrova alcune vecchie foto in uno scatolone: una di queste mostra suo marito a Parigi, nel periodo della guerra, e April all’improvviso ricorda del fatto che Frank considerasse Parigi l’unico posto al mondo in cui sarebbe potuto essere felice. Ha quindi una sorta di rivelazione e si convince che l’unico modo per poter riacciuffare il sogno della felicità è quello di ricominciare da capo, a Parigi – il mondo dorato dei Wheeler. Questa nuova consapevolezza la rende raggiante, forse è ancora possibile guadagnarsi una seconda occasione, e allora decide di farsi lei stessa creator e di plasmare il suo uomo alla luce di quanto ha compreso:

APRIL: No, no, Frank! Ascolta… Ascoltami bene… É quello che sei che viene soffocato, è quello che sei che viene negato e negato in questo genere di vita…

FRANK: Sarebbe a dire?

APRIL: Oh, non lo sai tu? Sei la cosa più bella e preziosa che c’è al mondo… Sei un uomo!

E il miracolo stavolta sembra accadere sul serio: Frank accetta la proposta di April e insieme iniziano a progettare il viaggio in Europa.

195 Comunicano la loro decisione a vicini e colleghi, tutto sembra avere di

nuovo un senso. April e Frank ricominciano a conversare, a scambiarsi osservazioni rispetto a cosa sta capitando loro, a sentirsi vivi, a comprendersi. In poche parole, a ri-conoscersi. Parigi potrebbe davvero salvare il loro matrimonio, suturando uno spazio-tempo ormai adulterato da sette anni di elusione forzata e di disperazione. Parigi come il Connecticut delle commedie, il Connecticut come quotidianità da redimere. Ma succede qualcosa e il sogno precipita. D’altronde Frank non è Cary Grant e April non somiglia affatto a Katharine Hepburn: il signor Wheeler è un frustrato dall’identità fragile, che vive nell’ossessione della figura paterna, tradisce la moglie con una segretaria, non ha niente da insegnare alle donne; la signora Wheeler – che a sua volta flirta svogliatamente con un vicino di casa – non vuole essere costola di nessuno, se non di un ideale femminile inarrivabile che si nutre della sua componente di potenziale narcisista e che sembra attirarla fatalmente verso la dimensione contigua del Demi- monde. Ancora sotto l’effetto della malia riconoscitiva, Frank e April fanno l’amore e lei resta incinta per la terza volta. Di nuovo un bambino a portare scompiglio, di nuovo un bambino a inficiare la loro intimità. Si apre un nuovo spazio temporale, quello della scelta: entro dodici settimane il feto può essere abortito senza provocare conseguenze alla madre. La gravidanza di April è al limite. Così ella acquista un rudimentale tubo di gomma per praticarsi un aborto casalingo con dell’acqua calda: tra tutte le figlie di Seneca Falls89, alla Wheeler tocca in sorte la scelta peggiore. È tardi però, Frank sembra non reggere il peso di una simile decisione e, oltretutto, il suo essere “uomo” gli ha fatto guadagnare nuovi consensi sul lavoro. I due litigano ancora:

APRIL: Senti, l’unico motivo per cui siamo venuti qui è perché io ero rimasta incinta, poi abbiamo avuto un altro figlio per provare che il primo non era stato un sbaglio. Insomma, per

89 La Convenzione di Seneca Falls del 1848 rappresenta l’evento che ha innescato la

196 quanto deve continuare?! Frank, tu veramente vuoi un altro

figlio? Allora, lo vuoi?! Avanti, dimmelo… Dimmi la verità, Frank! Te lo ricordi? Era la nostra regola di base. E lo sai cosa c’è di bello nella verità? Tutti sanno qual è, per quanto a lungo ne abbiano vissuto senza. Nessuno dimentica la verità, Frank! Si diventa solo più bravi a mentire…

La sua è una prospettiva tipicamente scettica e molto lucida. Ma a questo punto lo scetticismo prende piede e dilaga: Frank le rinfaccia di essere una cattiva madre, nonché una malata di mente, e che avrebbe tanto voluto che lei si fosse sbarazzata di quel bambino. I Wheeler hanno sprecato la loro seconda occasione, non sono riusciti a ricucire la presenza del presente accettandosi come uomo e come donna. Il disaccordo ha avuto la meglio. April non ha più voce per esprimere quello che prova, è tempo per lei di passare dall’altra parte. Nora Helmer avrebbe lasciato la sua casa di bambola chiudendosi dietro la porta, lei non lo fa. Vuole dimostrare a se stessa di avere il controllo, portando a compimento quel processo metamorfico che la renderebbe dea tra le dee, donna senza ombra per eccellenza, candida Artemide. Muore nel tentativo di abortire qualche giorno dopo la dodicesima settimana. Perché non se n’è andata come Nora? Per quale motivo non ha smesso i panni della bambola nel Connecticut e non se n’è tornata in città a fare la diva del cinema? La risposta ce la dà April stessa in un dialogo con il vicino di casa Shep Campbell, una delle poche persone che sembra comprendere lo stato d’insoddisfazione in cui versa la donna90. Vedendola molto addolorata per il fallimento del progetto parigino, l’uomo le chiede con fare retorico, ma infondo comprensivo: «Volevi uscirne, eh?!». Ed April risponde: «Volevo entrarci…», spalancando l’abisso drammatico che la colloca al centro

90 È molto significativo che siano solo i personaggi maschili a conferire valore alla

scelta dei Wheeler (Campbell, l’anziano signor Givings e il di lui figlio John, ex professore di matematica appena uscito dal manicomio). April non ha a disposizione nemmeno quel world of women in dotazione alle eroine del melodramma.

197 perfetto di un crocevia di genere. A quale tipo di melodramma

appartiene, dunque, la sua storia di donna?

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