• Non ci sono risultati.

La committenza cardinalizia nel Basso Medioevo: il mosaico dimenticato?

La storia antica del catino absidale di S Pudenziana Un percorso a ritroso dal Medioevo alla Tarda Antichità.

4.1 La committenza cardinalizia nel Basso Medioevo: il mosaico dimenticato?

Ripercorrere le tappe fondamentali che hanno segnato la “seconda vita” del catino absidale di S. Pudenziana ha permesso, come si è visto, di osservare il mosaico con sguardo nuovo, certamente più consapevole e capace di “leggere tra le righe” iconografiche di un monumento che, solo apparentemente, si presenta come un prodotto artistico organico e coerente. I fatti, lo si è visto, sono molto più complessi e le vicende tormentate. Il mosaico attuale rimane il frutto di una sequenza continua di interventi di restauro e di consolidamento che, nel corso dei secoli, ne hanno garantito, è vero, la conservazione, ma -non possiamo non evidenziarlo- ne hanno anche “corrotto” l’aspetto antico, comportando non solo e non tanto l’alterazione, per quanto minima, dei materiali figurativi originari, laddove le lacune sono state reintegrate prima ad intonaco e poi a mosaico, ma soprattutto causando l’irreparabile mutilazione e obliterazione della decorazione in corrispondenza di tutta la fascia perimetrale del tessellato.

E così, l’unico procedimento valido per risalire all’antico assetto decorativo del catino absidale si è rivelato quello di rintracciare e comprendere le operazioni conservative o gli interventi di ripristino condotti sul mosaico nel corso della sua “seconda vita”, in modo da individuare e discernere le modalità, le entità e le tipologie con cui si sono svolti i singoli interventi. Si è proceduto a ritroso, quindi, partendo dall’aspetto attuale della decorazione, per poi isolare ed epurare, una alla volta, tutte le superfetazioni e le trasformazioni, frutto dei cantieri promossi a partire dalla seconda metà del Cinquecento; si è sfogliato, insomma, un ideale quaderno di veline sovrapposte, eliminando, pagina dopo pagina, tutte le aggiunte e le integrazioni moderne, così da risalire all’originale programma decorativo della conca e alle vicende storiche legate alla sua “prima vita”.

Eppure, per comprendere appieno quale fosse l’aspetto del mosaico nella sua fase genetica, bisogna ancora interrogarsi su quali siano state le sue sorti durante i secoli del Medioevo. Ma è proprio qui che le notizie a nostra disposizione si fanno sfuggenti, nebulose e a tratti incomprensibili, quando le testimonianze epigrafiche e archeologiche ci parlano di S. Pudenziana come di un cantiere in fermento e in piena vitalità; di un centro di

149

culto ancora vivo nel Medioevo e soggetto a continue trasformazioni, mentre, di contro, il silenzio è sconcertante per quanto attiene il catino absidale e la sua decorazione.

Prendendo le mosse dai lavori promossi, nel 1210, dal cardinal Pietro Sasso di Anagni, e quindi da quelli cronologicamente più vicini alla radicale trasformazione dell’edificio voluta da Enrico Caetani423

, va detto che l’assoluta mancanza di dati in relazione ad un qualche intervento condotto sul mosaico absidale stupisce poco o non stupisce affatto, considerato che in questa circostanza l’intera operazione si svolse, verosimilmente, secondo i termini di un minimo intervento, finalizzato a dotare la chiesa di una nuova recinzione presbiteriale424.

D’altronde, in questo senso doveva parlare l’iscrizione commemorativa dell’evento, che, sebbene perduta, ci è nota dalle trascrizioni degli antiquari della seconda metà del Cinquecento425. In particolare, nel testo non si faceva alcuna menzione di ristrutturazioni, restauri o trasformazioni, ma ci si limitava a ricordare soltanto che nell’anno XII Innocentii

Papae III, Petrus Sassonis, durante il III anno del suo cardinalato, fieri fecit426.

Ebbene, considerato che il testo dell’iscrizione era disposto, come specifica il Panvinio, su due lapidae, collocate ostium ante aram maximam427, secondo quanto viene confermato anche dal Ciacconio428, non è difficile comprendere come l’oggetto dell’intervento, che il cardinal Pietro Sasso fieri fecit, fosse proprio la recinzione

423

Cfr. supra Cap. 1.

424 Su questo intervento, vd. in generale: P

ETRIGNANI 1934,p. 8;VANMAELE 1965,pp. 69-70;KRAUTHEIMER

1971,p. 284; MARCUCCI 1994,pp. 181-196; ANGELELLI 2010,pp. 34, 36, 307, 331 e ivi ulteriore bibliografia.

425 Il testo è stato visto e trascritto dal Ciacconio (BAV, Chig. I, V, 167, f. 190v = Appendice 1.2.2-a), dal

Panvinio (BAV, Vat. lat. 6780, f. 66v = Appendice 1.2.2-b), dall’Ugonio (BAV, Barb. lat. 2161, f. 76v e UGONIO 1588,p. 163v). Vd. ancora ANGELELLI 2010,p. 331 per alcune considerazioni sullo spostamento dell’epigrafe all’interno della basilica prima che venisse perduta e per ulteriori fonti documentarie che ne testimoniano la presenza almeno fino al XIX secolo.

426Questo il testo dell’epigrafe secondo il Panvinio: + ANN(O) XII INNOCEN(TII) P(A)P(AE) III // PETRVS SASSONIS S(AN)C(TA)E PVDENTIANAE CARD(INALIS) FIERI FECIT ANNO EIVS III (BAV, Vat. lat.

6780, f. 66v = Appendice 1.2.2-b). Diversamente, invece, il Ciacconio e l’Ugonio la riportano con il testo già sciolto, omettendone le abbreviazioni e l’articolazione nelle varie righe di scrittura. Questa la versione del Ciacconio: + ANNO XII INNOCENTII PAPAE PETRVS SASSONIS SANCTAE PVDENTIANAE

CARDINALIS FIERI FECIT ANNO EIVS III (BAV, Chig. I, V, 167, f. 190v = Appendice 1.2.2-a), mentre

questa quella dell’Ugonio: + ANNO XII INNOCENTII PAPAE PETRVS SASSONIS CARDINALIS

S(ANCTAE) PVDENTIANAE FECIT FIERI ANNO EIVS III (UGONIO 1588,p. 163v). L’antiquario romano, poi, annota una seconda volta il testo, riportandolo solo parzialmente e con alcune varianti: PETRVS

SASSONIS CARD(INALI)S S(ANCTAE) PVDE(NTIA)NE FIERI FECIT / ANNO EIVS III (BAV, Barb. lat.

2161, f. 76v). Questa seconda trascrizione, verosimilmente, fa riferimento solo ad una delle due lastre su cui, come si vedrà meglio in seguito, era stato disposto il testo. Per tali ragioni, il fatto che la chiosa Anno eius III venga segnalata dall’Ugonio su una riga diversa, non indicata dal Panvinio, consente di ricostruire l’impaginazione originaria dell’iscrizione secondo quanto segue: + Ann(o) XII Innocen(tii) p(a)p(ae) III //

Petrus Sassonis S(an)c(ta)e Pudentianae card(inalis) fieri fecit / anno eivs III. 427 BAV, Vat. lat. 6780, f. 66v = Appendice 1.2.2-b.

428

150

presbiteriale, entro il cui meccanismo scultoreo si inserivano, in postazione privilegiata, anche le due lastre con l’iscrizione commemorativa429

.

Questa situazione, del resto, ci viene definitivamente confermata da Pompeo Ugonio che, visitando la basilica al momento dei lavori tardo-cinquecenteschi, specifica, da una parte, che proprio in questo frangente l’arredo presbiteriale medievale venne rimosso e, con esso, anche l’iscrizione relativa a Pietro Sasso d’Anagni, mentre dall’altra fornisce una sommaria descrizione dell’intero apparecchio marmoreo preesistente, che si configurava -a detta dell’antiquario- “con tavole di marmo” che rendevano l’area presbiteriale “serrata e impedita” e dividevano “il presbiterio dal resto della chiesa”, il tutto secondo una conformazione lontana dalle norme, in materia di architettura basilicale e arredo liturgico, stabilite durante il Concilio di Trento430. Anche l’Ugonio, comunque, non ha dubbi nel riconoscere il committente di questa sistemazione in “Pietro Sassone, Cardinale di S. Pudentiana”, poiché anche egli -è facile immaginarlo- al pari del Panvinio431 e del Ciacconio432, aveva potuto vedere l’iscrizione commemorativa in postazione centrale e privilegiata, rispetto all’altare e al circuito marmoreo con cui si sviluppava tutta la recinzione presbiteriale433.

Pertanto, alla luce di queste considerazioni e confrontando i dati monumentali e archeologici della basilica con le laconiche informazioni fornite dall’epigramma, possiamo facilmente desumere come, in questo frangente cronologico, oltre al rifacimento del recinto del presbiterio, tra l’altro effettuato impiegando anche marmi di recupero434, non siano

429 Su questo punto è fondamentale quanto riferisce il Panvinio: “Ad aram maximam per 4 gradus adscenditur, a cuius dextera levaque parietes duae lapideae ostium ante aram maximam facientes iacent”

(BAV, Vat. lat. 6780, f. 66v = Appendice 1.2.2-b).

430 Oltre a quanto già riferito nel Cap. 1.1, su questo punto vd. in particolare:

DE BLAAUW 2006,pp. 25-51 e TURCO 2009,pp. 87-107.

431

BAV, Vat. lat. 6780, f. 66v = Appendice 1.2.2-b.

432 BAV, Chig. I, V, 167, f. 190v = Appendice 1.2.2-a.

433 L’Ugonio, elencando gli interventi del cardinal Caetani, ricorda che egli fece “anco rimuovere i pulpiti

antichi di marmo che à nostri tempi non sono più in uso. Et ha fatto anco allargare quella parte, onde in capo si ascende all’altar maggiore, la quale era con tavole di marmo serrata e impedita, secondo l’usanza de nostri Padri di dividere il Presbiterio dal resto della chiesa. La qual divisione era stata fatta da Pietro Sassone Cardinale di S. Pudentiana, al tempo di Innocenzo III. dell’antichissima e nobilissima casà Conti, si come dimostrava questa inscrittione che vi si vedeva ((e riporta il testo come riferito supra alla nt. 426))”. Vd. UGONIO 1588,p. 123v.

434 La notizia si ricava ancora una volta dalla descrizione dell’Ugonio, nella quale si desume anche che

alcune delle lastre riutilizzate per la recinzione bassomedievale del presbiterio erano le stesse impiegate nel recinto presbiteriale paleocristiano, come testimonia la presenza inequivocabile del nome di papa Siricio: “Nelle tavole marmoree attorno i pulpiti e il Presbiterio, transferitivi da qualche altra parte, erano già scolpite varie parole rotte, con sensi imperfetti, tra le quali si leggeva più volte il nome di Siricio papa che fù nel 388 (UGONIO 1588, p. 123v)”. Per il ruolo fondamentale delle lastre tardoantiche ricordate dal Panvinio, soprattutto in relazione alla cronologia della costruzione della basilica e all’identità dei committenti che la promossero, vd. infra Cap. 5. 1.

151

state apportate modifiche o trasformazioni al complesso monumentale, né tantomeno al catino absidale e al suo impianto decorativo435.

Più radicale, invece, fu certamente il cantiere che dovette interessare la chiesa di S. Pudenziana in un periodo compreso tra l’XI e il XII secolo e che comportò una serie di rilevanti mutazioni strutturali, contestuali alla creazione di nuovi ambienti polifunzionali, direttamente annessi al complesso436. Più nel dettaglio, durante questa fase edilizia, ben riconosciuta e documentata da Richard Krautheimer, che la riferiva genericamente ad un età “romanica”437 (fig. 58), le strutture portanti della basilica vennero rinforzate in maniera sistematica438, per prima cosa inglobando le quattordici colonne della chiesa all’interno di altrettanti pilastri in laterizio, coronati da sottarchi in muratura, lì disposti per irrobustire le arcate precedenti439. Questa operazione, comunque, non venne ritenuta sufficiente per garantire all’edificio un perfetto equilibrio statico, al punto che, per un ulteriore bilanciamento delle spinte esercitate dalle murature e per un maggiore sostegno del peso delle coperture, si costruirono tre archi di rinforzo, poggianti su colonne, disposti trasversalmente e scanditi lungo la navata centrale, in modo non perfettamente equidistante l’uno dall’altro440

.

In questo frangente, anche le volumetrie originarie dell’edificio vennero significativamente alterate. Si realizzò, per prima cosa, la costruzione della torre campanaria, immediatamente a ridosso del lato meridionale della basilica, secondo un progetto che -di fatto- penalizzava la navata corrispondente, che, infatti, venne a trovarsi letteralmente “invasa” dalle strutture del nuovo corpo di fabbrica, tanto che il suo

435 Non mancano, comunque, opinioni contrastanti, come in: M

ARCUCCI 1994,pp. 181-196, dove l’Autrice non esclude che all’intervento di Pietro Sasso di Anagni potrebbero essere ricondotte anche delle operazioni di consolidamento architettonico della basilica, insieme alla dotazione di apparati scultorei che sormontavano i pilastri, eretti al tempo di Gregorio VII a sostegno delle colonne della navata.

436A

NGELELLI 2010,pp. 33-34 e 305-307.

437

KRAUTHEIMER 1971,pp. 299-300.

438 Al contrario, in V

ANMAELE 1965,pp. 64-65, queste operazioni di consolidamento vengono attribuite ai lavori eseguiti nella basilica da papa Adriano I. Le motivazioni apportate dallo studioso, tuttavia, risultano inconsistenti e non comprovabili, secondo quanto riferito in ANGELELLI 2010,p. 305, nt. 8. Per i problemi legati al riconoscimento di una fase strutturale adrianea, cfr. infra Cap. 4.2.

439K

RAUTHEIMER 1971,p. 293. Come si è visto, la muratura di rinforzo delle colonne venne parzialmente rimossa nel corso dell’intervento Caetani, cfr. supra Cap 1.2.

440

I tre archi, sebbene rimossi nel corso del rinnovamento tardo-cinquecentesco, furono visti dal Panvinio prima della loro distruzione e descritti come tres arcus equali spacio distinctos (BAV, Vat. lat. 6780, f. 67r =