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Il nome della compagnia allude al numero di spettatori che poteva ospitare la Cripta, il locale dove la compagnia aveva cominciato a recitare.

II. La Borsa di Arlecchino

85. Il nome della compagnia allude al numero di spettatori che poteva ospitare la Cripta, il locale dove la compagnia aveva cominciato a recitare.

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Eva a gogo

di Gianni Cozzo

Dalla parte di lui

con Marzia Ubaldi, Maria Grazia Lazzari,

Fabrizio De André, Fernanda Patriarca, Silverio Pisu, Myke Terra, Roberto Samo

musiche Umberto Bindi e Gino Paoli scene Rinaldo Rotta e Giancarlo Bignardi costumi Loris Ferrari movimenti coreografici Gildo Cassani elaborazioni musicali Carlo Stanisci direttore tecnico Tonino Conte direttore responsabile Piero Repetto costumi maschili Adriano Ferrari acconciature di scena Giorgio Perna direzione organizzazione generale Paolo Minetti

21 febbraio 1961 Lo strano caso del signor Jekyll e del signor Hyde

traduzione, adattamento e regia Carmelo Bene scene Giancarlo Bignardi Direttore tecnico Tonino Conte con Carmelo Bene, Casali, Silvana Ottonello direzione organizzazione generale Paolo Minetti

30 maggio 1961 Con licentia de’ superiori

adattamento e regia Divo Gori con Paola Giubilei, Duilio Provvedi, Myria Selva,

Franco Aloisi, Maria Teresa Chiovini

scene e costumi Emanuele Luzzati e Giancarlo Bignardi Inserti musicali eseguiti alla chitarra Vittorio Centenaro direttore di scena D. Spataro realizzazione costumi C. Bisio assistenza scenografia G. Perna direzione organizzazione generale Paolo Minetti

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85 I focus della Borsa di Arlecchino

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Teatro comico e teatro universitario a Genova negli anni Cinquanta

Durante gli anni Cinquanta fioriscono a Genova interessanti forme di teatro comico (spesso di matrice dialettale), anche di raffinata pratica amatoriale, che arricchiscono il panorama cittadino. È in buona parte questa “scena minore” che si formano i quattro fon- datori della Borsa d’Arlecchino: Paola Giubilei e Duilio Provvedi provengono dalla rivista (la prima con Tortora e Perani; il secondo con Billi e Riva e poi con Alighiero Noschese); Myria Selva aveva re- citato anche con Gilberto Govi, mentre Paolo Minetti proveniva dal Centro universitario per gli studi teatrali dell’Università di Genova (dal 1955 Centro per il Teatro dell’Università di Genova, CUT). Tutte queste esperienze hanno in comune il tentativo di incunearsi, per diversità, nel sottile spazio lasciato libero tra la programmazio- ne del Teatro Stabile e l’alternarsi delle compagnie private di giro (ospitate al Politeama Genovese e all’Augustus).

Il Centro universitario nasce nel 1952, su iniziativa di un grup- po di studenti, guidati da Mauro Manciotti e appoggiati dai do- centi Walter Binni e Francesco Della Corte. La forma spettacolare prediletta è inizialmente quella della lettura drammatica, ma, a partire dai Menecmi di Plauto, il CUT inizia a organizzare anche veri e propri spettacoli, che più volte ebbero successo di pubblico, anche al di fuori del contesto universitario. Nel marzo 1955 con la gestione Viazzi-Repetto-Cattanei, il CUT inizia una fase di ascesa, affermandosi anche a livello nazionale (al III Festival Internaziona- le del Teatro Universitario, con Agamennone di Alfieri, regia di Vito Molinari). Destinato a rimanere molto attivo fino alla fine degli anni Ottanta, il CUT ricopre un ruolo essenziale nella diffusione della cultura teatrale presso gli studenti e, coinvolgendo a partire dalla metà degli anni Cinquanta anche gli attori attivi allo Stabile, si pone anche esplicitamente come ponte tra l’attività professioni- stica e l’ateneo.

Fondata nel 1913 nell’ambito dell’AGU (Associazione genove- se universitaria), la compagnia goliardica Baistrocchi è negli anni Cinquanta una vera fucina di talenti. Oltre ai noti debutti di Paolo Villaggio e Umberto Bindi, sono importanti le riviste scritte dagli esordienti Enzo Tortora e Adolfo (detto Popi) Perani. Regalo per

papà e Babàu (1952) rivoluzionano la comicità goliardica: non più

parodia dei classici ma intelligente ironia su temi come i passaggi generazionali o l’informazione quotidiana. Prima di passare alle ribalte radiofoniche e televisive nazionali, la coppia di autori sforna ancora, con la complicità di Silvio Torre, un varietà radiofonico A

lanterna (coautore E. Bassano) e uno spettacolo di enorme suc-

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va in scena il 27 aprile 1954 al Duse, allora in piazza Tommaseo. Lo spettacolo, in cui recitava anche Paola Giubilei, ebbe enorme successo a Genova, dove arrivò quasi alle cinquanta repliche, e fu poi allestito a Torino (Alfieri), a Milano (Odeon) e a Roma (Quat- tro Fontane). «Il sorprendente successo era dovuto al coraggio e alla grinta con cui erano affrontati, con pungente cattiveria e in polemica con l’imperante conformismo di quegli anni, argomenti allora di stringente attualità»1.

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Il teatro del Circolo Lumen

La ricerca di spazi dove recitare caratterizza in modo significativo la vicenda dei teatranti genovesi del secondo dopoguerra. A diffe- renza che in altre città, a Genova la maggioranza dei teatri erano stati distrutti o comunque resi gravemente inagibili dai bombar- damenti, al punto che, per descrivere la situazione, da Enrico Bassano fu coniata l’espressione “La Stalingrado dei teatri”. È un tema che ricorre nelle interviste e negli scritti e che pungolava sensibilmente l’azione e il pensiero di chi allora si occupava di teatro, sollecitando la ricerca di spazi alternativi che potessero sopperire alla carenza di sale deputate.

Fra questi spazi alternativi, va segnalato il teatro del Circolo artistico culturale Lumen, che si trovava nel salone degli specchi del palazzo Cattaneo Adorno di via Garibaldi e che fu attivo una sola stagione (1950-51).

Animatore del Teatro Lumen fu Aldo Trabucco, personalità di spicco, attivo da tempo nella scena locale, che aveva fondato la Compagnia di prosa Città di Genova nel 1944 e poi partecipato alla nascita del Piccolo Teatro Eleonora Duse.

Particolarità del Lumen (la programmazione completa è pub- blicata in Bertieri 2001) era l’assetto del rapporto palcoscenico/ platea, che – rompendo la consuetudine della frontalità e della distanza – anticipa soluzioni più moderne e in particolare il tea- tro a pista centrale (Teatro Sant’Erasmo di Milano, 1953-68). Gli spettatori sedevano infatti su poltroncine fissate su tre gradoni, circondando su tre lati un’area scenica fortemente aggettante ver- so il pubblico, che poteva essere agita anche senza pedana o rialzi. Singolare era la stretta vicinanza tra attori e spettatori, l’elimina- zione del boccascena e del sipario, l’assenza di quinte ed elementi scenografici (si fece uso di soli effetti di luce e si parlò per questo di scenofotia), nonché del suggeritore. La conformazione della sala spinse Trabucco a riflettere profondamente sull’arte dell’attore e a fondare una scuola di recitazione, intitolata a Ermete Zacco- ni, destinata a rimanere fino agli anni Sessanta un punto fermo per la formazione degli attori cittadini. Ricorda un attore del Lumen, Mauro Montarese: «Agli attori veniva richiesto un gioco di maschera cinematografico, non più approssimativo, ma ricco di una gamma molto più varia di sfumature; non si richiedeva più loro di recitare una parte, ma di viverla, usando ogni muscolo del corpo: una novità sconcertante, che non si limitava all’abolizione del boccascena, ma ad un qualcosa di ben più radicale e scon- volgente, cambiare totalmente il modo di pensare dell’attore, il

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modo di sentire, la tecnica di porgere al pubblico il testo»2. Fra

gli attori della Borsa di Arlecchino, Ines Biribò e Duilio Provvedi provenivano proprio dal Lumen; mentre Paola Giubilei e Giorgio De Virgiliis erano passati per la scuola di Trabucco.

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Aldo Trionfo alla Borsa di Arlecchino

Con l’inserimento stabile di Trionfo e la sua direzione artistica, la Borsa inizia davvero la ricerca di un teatro nuovo e acquista una coerenza programmatica profonda.

Il salto qualitativo è esplicitato dalla scelta di un repertorio nuo- vo, di statura europea, al cui centro sta un intenso e sistematico lavoro sulla drammaturgia d’avanguardia di area francese. Questo orientamento si innesta felicemente sugli stimoli offerti dai primi spettacoli, secondo l’innata capacità di Trionfo di sfruttare le situa- zioni in quanto date, di «lavorare molto su quello che c’era, su ciò che aveva a disposizione»3. Ereditata la costruzione delle serate per

fulminante successione di atti unici brillanti, egli dunque parte dal modello della commedia indiavolata e surreale della Belle Epoque parigina (Feydeau, Courteline) per arrivare – passando attraverso autori di rottura (Prévert, Coc teau, Roussin, Genet) – al nouveau thêâtre di area francese (Ionesco, Beckett, Adamov, de Ghelde- rode, Tardieu). Questo teatro d’avanguardia demolisce il dramma borghese attaccandolo non nella sua forma ma nella sua sostanza centrale: la parola, per cui si assiste alla corrosione di tutto ciò che ha natura verbale e alla vanificazione di «ogni funzione retorica della comunicazione in scena»4, i cui valori logici sono scomposti

e stravolti.

Con Trionfo «testo e spazio si adattano l’uno all’altro saldan- dosi perfettamente in un nuovo uso del linguaggio sia dramma- turgico sia scenico»5, grazie a una concezione registica organica e

“ingegneristicamente” precisa. Gli equilibri tra elementi testuali, recitativi, scenografico-costumistici e musicali sono dosati da un immaginario registico che plasma repertorio e concezione globale degli allestimenti a partire da un «rapporto diretto col testo, sen- za mediazioni», «un procedimento analitico preciso e puntiglioso […] che smonta e affronta situazione per situazione, problema per problema e che quindi parte dal testo e al testo resta indissolubil- mente legato»6. Con l’arrivo di Trionfo sono progressivamente eli-

minati gli elementi generici e fissi utilizzati inizialmente alla Borsa e l’impianto scenico è sempre progettato ad hoc. Anche i costumi non sono più rimediati, ma parte di un disegno curato. La musica, ultimo importante tassello, occupa gradualmente «uno spazio non

3. Lele Luzzati intervistato da Cecilia Causin il 30 dicembre 1996 in Ardini-Viazzi 2008,