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CAPITOLO II - IL SOGNO D’UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE DI

1. I numerosi allestimenti reinhardtiani del Sogno d’una notte di mezza estate 46

2.3. La compagnia

La compagnia del Sogno, composta interamente da attori italiani, era pressoché la stessa del Mistero di Santa Uliva. Il Maggio, probabilmente per ragioni di natura economica, aveva fatto in modo che gli attori potessero recitare contemporaneamente in entrambi gli spettacoli. Salvini si occupò di sele-zionare gli attori (formare la compagnia era uno dei compiti previsto dal suo contratto113) i quali vennero successivamente sottoposti al vaglio di D’Amico:

Caro D’Amico,

ho dimenticato nella lettera precedente di dirle che le sarei molto grato se volesse pensare al modo mi-gliore di utilizzare gli interpreti del Sogno di Shakespeare per Santa Uliva, come le dissi, a accezione della protagonista. Tutti gli attori che scrittureremo per Shakespeare dovranno sostenere delle parti nella sacra rappresentazione. Credo che la cosa sarà abbastanza facile a ogni modo vorrei pregarla di pensarci su un momento e scrivermi un rigo appena potrà. Le rammento qui di seguito come mi ven-gono in mente gli attori che noi saremo in animo di scritturare per Shakespeare: Anita Fontana, Mar-gherita Pagni o Cele Abba, Eva Magni o Ione Morino o Vanda Tettoni, Evi Maltagliati o Sara Ferrati, Paola Borboni e tra gli uomini Carlo Linchi, Scelzo Cervi, Sabatini Junior, Ricci, Gigi Almirante, Be-sozzi, Pilotta eccetera.114

I nomi definitivi risultano più o meno gli stessi della lettera e si rivelarono «un battaglione di attori veramente imponente»:115 Carlo Lombardi nel ruolo di Teseo, Cele Abba, sorella di Marta, nel ruolo di Ippolita, Guido Riva nel ruolo di Egeo, Giovanni Cimara nel ruolo di Lisandro e Nerio Lombardi di Demetrio, Arnaldo Migliari fu Peter Quince, Luifi Almirante Francis Flute, Eva Magni interpretò un «grazioso e briosissimo»116 Puck, Benassi un Oberon «dall’autorità grottescamente pomposa», Eva Maltagliati fu «una squisita regina delle fate», Ruggero Lupi interpretò un «faceto e caratteri-stico» Bottom, Sara Ferrati fu Elena e Rina Morelli Hermia.

Gli attori prescelti dunque, erano molto noti all’epoca; l’elemento di novità stava però nell’osser-varli recitare sotto la direzione di un regista straniero. Cosa ancor più interessante fu comparare «a quarant’otto ore di distanza, lo stesso gruppi d’attori nostri, diversamente istruito, atteggiato e pla-smato da due maestri stranieri, differentissimi per razza, per fede estetica e per metodo, come il Rein-hardt e il Copeau»117: per la prima volta si poteva considerare come l’impostazione data da un regista modificasse anche la recitazione degli attori. Questi smettevano di essere “protagonisti” e lavoravano

113 «4. Organizzazione della compagnia drammatica del Sogno d’una notte d’estate e del Mistero di Sant’Uliva», Lettera del Duca Simone di San Clemente, Presidente della Commissione spettacoli, a Guido Salvini, Firenze, 15 aprile 1933 (Archivio del Maggio Musicale Fiorentino, busta 29, documento 178).

114 Lettera di Guido Maggiorino Gatti a Silvio D’Amico, Firenze, 24 gennaio 1933, lettera dattiloscritta, (Archivio Maggio Musicale Fiorentino, busta 37, documento 95).

115 Cipriano Giacchetti, Il «Maggio Fiorentino». Il «Sogno shakespeariano e Santa Uliva», in «Comoedia», anno XV n.5, giugno 1933.

116 Giulio Bucciolini, Il trionfale successo del «Sogno d’una notte d’estate» nel magico incanto del Giardino di Boboli, in «Il Nuovo Giornale», 1 giugno 1933.

117 Silvio D’Amico, Maggio Fiorentino: «Il Sogno di una notte di mezza estate» messo in scena da Max Reinhardt nel Giardino di Boboli, in «Nuova Antologia», fascicolo 1470, 16 giugno 1933.

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in favore della realizzazione dell’idea registica. Nel caso dello spettacolo di Reinhardt, fortemente visivo e dinamico, D’Amico riportò che «il loro studio più grande [degli attori] ha dovuto essere quello di contenersi ciascuno in una sua nota, più che di umanità, di colore»118. Non è chiaro cosa intendesse D’Amico con «note di colore», si può ipotizzare che il lavoro di Reinhardt seppe valoriz-zare le capacità personali degli attori senza che uno scavalcasse l’altro, mantenendo una certa armo-nia. Nonostante Reinhardt non avesse mai teorizzato un metodo119, nel corso degli anni aveva sempre ribadito l’importanza dell’attore, per lui asse portante del teatro. Questo pensiero si rifletteva in una felice comunione tra il regista e gli attori con i quali lavorava:

[Reinhardt] amava, riamato, gli attori. Amandoli aveva su di loro un singolare potere magnetico e la straordinaria capacità di saper estrarre da ciascuno di loro, senza mai tiranneggiarli o contraddirli, il lato più segreto e riposto di sé. Gli attori gliene erano così grati, che uno di loro un giorno definì lo stesso Reinhardt «una casa di salute per gli attori»120.

Per Reinhardt la scoperta e la formazione degli attori era una missione, oltre che una passione. Nel corso della sua carriera vi si dedicò assiduamente con numerosi seminari fino alla creazione di Scuola Superiore di recitazione in Austria, chiusa nel 1931 per motivi economici. Successivamente proseguì l’attività in forma privata, a sue spese.121

La ricetta di Reinhardt era semplice: abbandonare la declamazione e le pose in favore di una reci-tazione schietta, figlia di un lavoro di indagine personale:

[...] Non ci daremo pace finché non avremo trovato in Voi la naturalezza, l’umanità, finché non avremo fatto divampare in Voi il sacro fuoco. [...] Come? Essendo onesti! Smettetela di fare commedie. Non cominciate affatto a farne. Né nella vita né in scena. Il più grande punto di forza dell’attore è la verità, la verità ultima, la più bruciante. Mostrate coraggiosamente a coloro che portano una maschera il vostro volto senza trucco e lasciate a loro – che non hanno né arte né tempo per trovare sé stessi – le false pose, le solite bugie, il finto pathos e la mercanzia dei sentimenti pronti per l’uso. Non comprate nulla, non imitate nulla, create da voi stessi.122

118 Silvio D’Amico, Shakespeare nel Giardino di Boboli, in «L’Idea Nazionale», 2 giugno 1933.

119 «Non esiste un’unica teoria di validità generale e sarebbe del resto maledettamente noioso se esistesse veramente.» in Max Reinhardt, L’educazione dell’attore, in «Neues Wiener Journal», 25 aprile 1929. Da un discorso di Max Reinhardt tenuto in occasione dell’inaugurazione del Seminario di Recitazione e Regia nella Scuola Superiore, al Teatro di Corte di Schönbrunn, 1929 in Mara Fazio, Lo Specchio il gioco e l’estasi, […] cit., p. 178.

120 Ivi., p. 114.

121 Il «Reinhardt Seminar» chiuse definitivamente nel 1938, come tutte le altre attività del regista in Austria.

122 Max Reinhardt, La formazione dell’attore, in «Neues Wiener Journal», 25 aprile 1929. Da un discorso di Max Rein-hardt tenuto in occasione dell’inaugurazione del Seminario di Recitazione e Regia nella Scuola Superiore, al Teatro di Corte di Schönbrunn, 1929, contenuto in Max Reinhardt. I Sogni del Mago, a cura di Edda Fuhrich e Gisela Prossnitz, […] cit., p. 142.

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Si può solo immaginare il tipo di lavoro che Reinhardt fece con la compagnia italiana, sicuramente lo stile di recitazione era molto lontano da quello del teatro del grande attore123. Reinhardt mal sop-portava il protagonismo, l’eccessivo pathos e l’immedesimazione esagerata: «l’attore che si immede-sima nella parte fino a dimenticare se stesso, e quindi, anche il pubblico, è un dilettante: colui che si consuma nel dolore offre di sé uno spettacolo imbarazzante, una cosa che nulla ha a che vedere con l’arte.»124, Non a caso uno dei commenti che vennero fatti riguardava l’armoniosa recitazione d’in-sieme, caratteristica peculiare delle regie reinhardtiane che Hoffmannsthal chiamava il Zusammen-spiel, l’impatto d’insieme dove «nessun attore sopraffà gli altri, le singole prestazioni di ottimo livello compongono impressionisticamente un quadro di grande armonia»125:

Gli artisti, che Reinhardt ha scelto ed ha diretto con assidua cura in interminabili prove, hanno risposto come sanno rispondere gli attori italiani, con slancio e con intelligenza. Tutti in un armonioso assieme hanno dimostrato qualità e mezzi di prim’ordine.126

Il fine ultimo dell’attore è la realizzazione dell’opera d’arte che deve essere sempre unitaria, armo-niosa. L’idea di recitazione di Reinhardt è riassunta perfettamente in questo discorso che egli fece ai suoi allievi attori nel 1929:

[...] il più bel regalo del nostro lavoro comune sarebbe la graduale formazione di un gruppo artistica-mente unito, musicalartistica-mente e intellettualartistica-mente armonico che, dopo la conclusione del periodo di studio, divenuto un organismo vivo, un piccolo mondo chiuso in se stesso, seguendo la propria strada fosse in grado di andare in giro per il mondo e annunciare la vera arte del teatro.127

123 «[...] gli spettacoli di Reinhardt erano [...] distanti dagli stampi delle regie ottocentesche, che davano risalto soltanto all’attore» in Mara Fazio, Lo specchio, il gioco e l’estasi […] cit., p. 118.

124 Cristina Grazioli, L’antitecnologismo espressionista, la scena in funzione dell’attore contenuto in Il teatro di regia. Genesi ed evoluzione (1870-1950) a cura di Umberto Artioli, cit., p. 88.

125 Ivi, p. 85.

126 Giulio Bucciolini, Il trionfale successo del «Sogno d’una notte d’estate» nel magico incanto del Giardino di Boboli, in «Il Nuovo Giornale», 1 giugno 1933.

127 Max Reinhardt, L’educazione dell’attore, in «Neues Wiener Journal», 25 aprile 1929. Da un discorso di Max Rein-hardt tenuto in occasione dell’inaugurazione del Seminario di Recitazione e Regia nella Scuola Superiore, al Teatro di Corte di Schönbrunn, 1929, in Mara Fazio, Lo Specchio il gioco e l’estasi, […] cit., p. 180.

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