Lo studioso americano Michael Porter da sempre si occupa di studi circa la creazione di vantaggio competitivo da parte di aziende ed istituzioni come società e regioni, ed individua la nuova chiave di lettura del business nella creazione di quello che egli definisce Valore Condiviso.
Il Valore Condiviso (Shared Value) è un concetto che intenta la rivalutazione della catena del valore attraverso lo sviluppo di un legame tra la strategia di business di un’azienda e la sua responsabilità sociale.
Pertanto, afferma Porter, per le imprese non sarà più possibile perseguire il successo di mercato se non si integrano tali due elementi fondamentali ai fini della costruzione di un proprio orientamento strategico.
La totale comprensione del significato di valore aggiunto sta nell’andare oltre la classica visione, promossa in parte dall’ economia della decrescita, secondo cui per esempio la salvaguardia dell’ambiente costituisce un connotato sociale contrastante con l’imprenditorialità. Porter infatti fa il ragionamento contrario: l’obbiettivo della salvaguardia ambientale deve essere inteso e come elemento strategico con cui arrivare a creare valore aggiunto ed essere competitivi sul mercato.
Le imprese possono quindi creare valore aggiunto passando prima per la creazione del Valore Condiviso.
Al giorno d’oggi si sente molto parlare di CRS, “Corporate Social Responsability” ma è importante tenere bene a mente che parlare di “Creazione di Valore Condiviso” (CSV) non equivale a parlare di “Responsabilità Sociale delle Imprese” (CSR), ed è proprio questo che rende le teorie di Porter un interessante caso di studio.
La Corporate Social Responsibility riguarda infatti la responsabilità sociale, fondata, per lo più idealmente, sui principi del non profit, mentre invece Create Shared Value si riferisce alla creazione di valore per realizzare un business, un profitto, che porti alla responsabilità sociale. Si può quindi pensare alla CSV come ad un’espansione del concetto di CSR
1.7.1 L’ economia della decrescita
La Creazione di Responsabilità Sociale è in particolar modo sostenuta, come menzionato precedentemente, da quella che viene definita economia della decrescita.
L’ economia della decrescita ritiene che la continua crescita della produzione e del consumo remi in realtà contro il benessere e la libertà del singolo, oltre ad essere causa di diverse forme di malcontento sociale.
Un eccessivo aumento della quantità dei beni consumati, e quindi del flusso dei beni prodotti, conduce ad un deterioramento nel bilancio dei sistemi coinvolti nel processo di creazione del benessere. Allora un continuo aumento di produzione porta ad una riduzione di benessere a causa di una riduzione nella qualità delle risorse coinvolte nel processo biologico e sociale. (Bonaiuti 2005)
I sostenitori delle teorie di decrescita affermano infatti che una delle limitazioni fondamentali del sistema capitalista sia il suo non essere in grado di riprodurre i valori e le risorse di cui ha bisogno per operare.
Vengono qui di seguito presentati i nuovi valori alternativi proposti dagli stessi economisti della decrescita, che possono essere riassunti, come a loro stessi piace dire, in un confronto con i più ovvi cliché che il capitalismo ha prodotto, pertanto l’economia della “sobrietà” dovrà essere caratterizzata da: ∙ cooperazione invece della competizione ∙ reciprocità invece di individualismo ∙ benessere e sobrietà invece di avere troppi prodotti ∙ ragionevolezza invece di razionalità.
L’obbiettivo principale degli studi dia decrescita è quello di sfidare l’immaginario della società capitalista. Più appropriatamente, secondo tale scuola di pensiero è necessario e possibile immaginare, riformulare, una nuova economia in una nuova società basata sui principi in alto elencati. A dimostrarlo è la presenza al giorno d’oggi di persone che costruiscono la propria realtà lavorativa intorno a pratiche di economia individuale come il consumo critico, l’ autoproduzione, il commercio
equosolidale e così via. Ed effettivamente, afferma Mauro Bonaiuti in “Obbiettivo
Decrescita” (2005), nella prospettiva economica decrescita significa prima di tutto
riduzione delle dimensioni del grande apparato produttivo, e più in generale delle grandi organizzazioni. (Bonaiuti 2005)
A conti fatti è però pressoché impossibile sperare in un cambiamento fondato sui valori su detti senza prima cambiare le condizioni sociali che dettano la produzione di ricchezza. Ed è facile adesso capire perchè lo Shared Value di Porter riscuota tanto interesse: data la situazione di emergenza attuale, mentre la dottrina di CSR sembra si voglia concentrare sullo screditamento del sistema capitalista, quella dello SV riconosce invece nel capitalismo la soluzione per il progresso sociale. 1.7.2 Corporate Social Responsibility e Creating Shared Value
Studiosi ritengono che il concetto di CSV dovrebbe sostituire quello di CSR dal momento che costituisce un modo per la sopravvivenza delle aziende al mercato competitivo.
Porter dichiara che se la CSR ha come obbiettivo principale il voler costruire una reputazione d’impresa attraverso “buone azioni” volte al rispetto ambientale e delle condizioni dei lavoratori, il tutto finalizzato però alla massimizzazione dei profitti, la Creazione di Valore Condiviso funziona in maniera opposta(Porter 2011). Essa infatti non vuole essere indotta dall’esterno, ma al contrario, essere generata internamente, pur non basandosi sui soli obbiettivi di budget finanziario.
In altre parole: la CSR si cela dietro obbiettivi di responsabilità sociale non‐profit, sebbene non sia questo il suo fine primario ma l’aumento del profitto, è quindi spinta ad azioni per la salvaguardia dei diritti sociali ed ambientali da condizioni che sono dettate dal budget, con il conseguente risultato che molto spesso si verifica qualche inceppamento nel sistema in quanto obbiettivi ed ideali non viaggiano sullo stesso binario.
Ad evidenza di ciò, vi è un’interessante recensione fornita da AFL‐CIO (American Federation of Labor and Congress of Industrial Organizations, la più grande organizzazione sindacale degli Stati Uniti d’America), in cui viene messo in evidenza che, in realtà, “marchi” non‐profit di CSR come la Fair Labor Association (FLA) e la Social Accountability Internal (SAI), fondati da aziende major americane, facciano a conti fatti più male che bene. (Lennard 2013). A dimostrarlo è l’indagine eseguita appunto da AFL‐CIO, dal momento che questa si occupa per lo più di verificare le condizioni di lavoro lungo la catena del valore delle più grandi imprese americane, che riporta le reali condizioni di sfruttamento dei dipendenti, soprattutto nei paesi dell’est, non molto cambiate rispetto al passato, sottolineando pertanto, e purtroppo, un parallelismo tra regolamentazione privatizzata della catena del valore di tipo globale (in quanto lo sfruttamento del lavoro è una tematica che generalmente riguarda l’ outsourcing), ed autoregolamentazione finanziaria.
Ancora più curioso è il fatto che sia la SAI che la FLA abbiano rifiutato di affrontare direttamente il rapporto, sottolineando di non aver avuto la possibilità di verificare il contenuto (Lennard 2013).
Porter parla di un vero e proprio “circolo vizioso” nella relazione tra business e società, in cui lo scopo delle aziende è quello di generare profitto a spese della comunità. Ciò che quindi egli propone per superare tale arcaica concezione, sta nel cominciare a ragionare nell’ottica che ciò che è “buono” per la società è “buono” per il business.
Il capitalismo è un veicolo senza precedenti per soddisfare i bisogni umani, migliorare l'efficienza, la creazione di posti di lavoro, e la creazione di ricchezza. Una concezione troppo ristretta dello stesso ha però per decenni impedito al business di sfruttare tutto il suo potenziale per soddisfare le più ampie sfide della
società.
È importante pertanto che le imprese operino in qualità di imprese, e non di donatrici di beneficenza; esse sono la forza più potente per affrontare le questioni urgenti che la società al giorno d’oggi presenta(Porter 2011).