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Napoli fu anche nel Medioevo la più grande città di tutto il Mezzogiorno e sicuramente una delle più grandi d'Italia. Secondo recenti studi, pare che la lunghezza del circuito murario fosse di circa 4,5 km34. Tutto ciò a conferma di quanto ipotizzò Bartolomeo Capasso oltre un secolo fa35. Secondo alcune fonti

34 Kreutz, Before the Normans, p. 165.

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letterarie antiche le mura di Napoli si sarebbero distinte per magnificenza, qualità dei materiali utilizzati e simmetria delle forme. Nella cronaca di Giordano si afferma che non solo la cinta muraria possedette tutte queste qualità, ma che fosse inoltre efficientissima in fatto di difesa. Le mura avrebbero anche permesso facilmente a soldati e cavalieri di percorrerle in caso di attacco36. Esse dovevano apparire ai contemporanei possenti e grandissime: se infatti si confronta la grandezza della cinta delle vicine Salerno, con 2,6 km, e Benevento, 3,1 km, Napoli non poteva che apparire la città più grande e meglio difesa37.

La situazione che emerge dai documenti e dagli

più verosimili. Arthur, Archeologia urbana a Napoli, pp. 515-523; Arthur,

Naples, from Roman town to city-state; Skinner, Urban communities in

Naples, pp. 279-299.

36 La Historia di Giordano, citata da Capasso, Topografia, p. 229, designa

una cinta muraria magnificente, regolare e possente. Di certo Giordano si avvale di un registro letterario che poco si confà alle reali condizioni delle mura di Napoli nel corso dei secoli X-XII. Le mura resistettero a numerosi attacchi e sicuramente assolsero egregiamente al loro compito di difesa, tuttavia la realtà che emerge dalle fonti documentarie è ben lontana dalla narrazione letteraria in materia di materiale utilizzato e forma fisica della cinta muraria.

37 Capasso, Topografia, p. 229. Anche per quanto riguarda le cinte

murarie di Salerno e Benevento, sede di potenti principati longobardi, gli studiosi sono concordi nell’accettare questi dati. Per quanto riguarda le fortificazioni a Salerno: Peduto, La turris maior, pp. 345-352.

scavi archeologici è tuttavia più complessa. Le mura sono spesso assediate da altri edifici, che ne indeboliscono sia la qualità dei materiali che l’efficienza stessa. Inoltre sembrano regolarmente restaurate con spolia di ruderi circostanti. Porte e torri sembrano funzionare a singhiozzo e con problemi di varia natura. La morfologia del terreno circostante ha certamente reso possibile una maggiore efficacia del sistema difensivo38. Infatti l’irregolarità e l’asprezza dell’area, associata all’ampia vista di cui godono le mura nei margini orientale, con il campus Neapolis, e sud-occidentale, con il campus oppidi lucullani, hanno permesso contemporaneamente una difesa naturale dagli attacchi su più fronti, concentrandola invece su pochi altri. Nonostante ciò, le mura subirono diversi restauri, già a partire dal V secolo, sotto Valentiniano III, ed ancora nel VI secolo, sotto il generale Belisario, a cui è attribuita la realizzazione di sette nuove torri

38 Lo studio del terreno è importante per comprendere gran parte delle

cinte murarie: Bougard, Pani Ermini, Leopolis-Castrum Centumcellae, pp. 127-145; Pani Ermini, Renovatio murorum, pp. 520-523. Napoli non è l’unica città le cui mura risultano essere “soffocate”: per Milano Cagiano de Azevedo, Aspetti urbanistici, pp. 646-647; Esistono una architettura ed

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difensive. Successivo sarebbe l’inglobamento del complesso monastico di San Giovanni Maggiore (VII secolo), nel settore sud-occidentale. Anche recenti scavi archeologici sembrerebbero confermarlo: si delineerebbe dunque una linea muraria che da sud procede verso ovest seguendo le direttrici delle attuali Via San Sebastiano e Via Santa Chiara39. Gli scavi archeologici condotti nel 1958 dalla Soprintendenza Archeologica delle Province di Napoli e Caserta hanno permesso il rinvenimento di una torre pentagonale nella parte delle mura che davano sul

mare. Questo ritrovamento si è dimostrato

estremamente interessante per individuare i materiali utilizzati per questo genere di costruzioni: per lo più spolia, resti di altri edifici, scarti, lastre tombali e altri materiali di riciclo.

Parte integrante del sistema difensivo era il fossato pubblico, chiamato nelle fonti anche carbonarius publicus. Neppure l’archeologia è riuscita a chiarire se il fossato fosse stato scavato o meno; è probabile

39 Arthur, Naples, from Roman town to city-state; Naples: a case of urban

survival, pp. 759-784; Arthur, The “Byzantine” baths at Santa Chiara, pp. 135-146.

Il fossato pubblico

tuttavia che seguisse dei fossi, canali o dirupi di formazione naturale. Quello che invece pare oramai assodato è che nella parte nord-orientale della città esso seguiva il percorso segnato dall’attuale Via Carbonara, che gli dovrebbe il nome40. Secondo il Capasso, il fossato doveva avere, oltre a quella difensiva, la funzione di raccolta e reflusso delle acque nere e delle immondizie41. Anche se ciò è verosimile, non si riscontra tuttavia nelle fonti a nostra disposizione, alcun riferimento che lo confermi42. La prima menzione documentaria del fossato risale

40 Arthur, Neaples, from Roman town to city-state, p. 37.

41 Capasso, Topografia, p. 13. Mentre per alcune zone della città è

attestato archeologicamente che furono destinate a “discariche organizzate” (Il complesso archeologico di Carminiello ai Mannesi, p. 437 e Gelichi, Introduzione all’archeologia medievale, pp. 128-129, testimoniano che un grande edificio di epoca romana fu abbandonato e “riconvertito” a discarica), questo non è stato dimostrato per il fossato pubblico. Il rinvenimento negli scavi delle cosiddette “dark earth” (terre nere ricche di sostanze organiche e principale indizio archeologico di abbandono di un luogo) è un indizio letto sia come prova del degrado urbano (Panazza, Brogiolo, Ricerche su Brescia altomedievale, pp.37-218), sia come segno di una riconversione economica della città (La Rocca, Dark Ages a

Verona, pp. 31-78).

42 Capasso, Monumenta, 4, pp. 19-20; 680, pp. 432-434. Nelle fonti del X e

XI secolo che hanno per oggetto il fossato pubblico, questo appare sempre in ottimo stato di conservazione e mai occluso dalla presenza di rifiuti. Anzi non è improbabile che fosse stato allagato proprio per assolvere alle originarie funzioni difensive. Prova di ciò sarebbe la

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all’anno 916: Giovanni offre alla badessa del monastero di San Martino, Militu Rotunda, una sua terra, detta Mandre et de Sala, che si trova attaccata alle mura cittadine43. Le mura si trovano a sud, mentre in direzione nord la terra è stretta dal carbonarius publicus. La terra in questione sembra utilizzata per fini agricoli e tutt’intorno ve ne sono altre che hanno le stesse caratteristiche. Essendo il fossato pubblico non confinante con le mura, ma diviso da una striscia di terre coltivate, sembra improbabile che esso avesse assunto una funzione di raccolta delle immondizie. Si potrebbe piuttosto ipotizzare una destinazione ai fini della difesa. È probabile che vi fossero regole in merito alla sua manutenzione: il fossato è sempre definito publicum e non risulta mai occluso dall'accumulo di rifiuti: in una notizia documentaria viene anche detto fossatum veterum publicum44 e addirittura è citato anche in un documento tardissimo, del 113945. A conferma

43 Capasso, Monumenta, 4, pp. 19-20. Anche Cagiano de Azevedo, Aspetti

urbanistici, pp. 660-663, prende in considerazione questo documento insieme ad altri di ambito napoletano, ipotizzando la presenza di una casa (il termine “sala” è interpretato come sinonimo di cellario o triclinio: mi pare più attendibile il significato di “curtis”, sostenuto anche da Peduto, La Campania, p. 285).

44 SS. Severino e Sossio, vol. II, 763, pp. 849-850. 45 Capasso, Monumenta, 680, pp. 432-434.

del fatto che il mantenimento del fossato pubblico fosse avvertito come un’esigenza legata alla difesa è da segnalare la presenza di un fossatum publicum in due castra del ducato. In un documento della fine del X secolo appare infatti in una zona che è presumibile supporre all’esterno di Nola46; ed in una chartula offertionis della prima metà dell’XI secolo appare il fossatum dopnicum del castrum di Cicala47.

Nel lato meridionale delle mura, fuori dal circuito cittadino, si ergeva un secondo muro, più piccolo, chiamato nelle fonti moricinum pictulum. Non si ha la certezza di come effettivamente fosse utilizzato, tuttavia non è improbabile che, tra i vari usi, fosse servito come riparo per le botteghe che sorgevano strette tra le mura ed il muricino. In un documento del 1110 è menzionata una «terram vacuam positam foris istius civitatis et intus illum moricinum pictulum parte occidentis et iusta una de illis ypotecis

46 SS. Severino e Sossio, vol. II, 830, pp. 897-899. Il fatto che fossati pubblici

fossero distribuiti nei principali centri del ducato di Napoli e sempre legati a strutture ed edifici di precipuo carattere difensivo, quali mura e castelli, fa pensare che questi fossero stati concepiti come parte di un più vasto complesso destinato alla difesa del luogo.

La seconda cinta muraria

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monasterii parte septentrionis»48. Apprendiamo dunque che era una zona adibita proprio alle attività artigianali (apotecae: botteghe).

Anziché parlare di cinta muraria, nel caso di Napoli, si dovrebbe piuttosto parlare in realtà di complesso murario. Parte integrante del sistema difensivo della città erano infatti chiese e monasteri (in diversi casi anche cimiteri), che si addossavano direttamente alle mura, i due porti, l’antico acquedotto romano e una serie di strutture con fini, diciamo così, industriali (mi riferisco in particolare agli aquaria et fusaria, nel margine meridionale delle mura, nei pressi del porto detto Arcina, che erano un sistema di vasche e canali

castrum di Cicala è anche colui che detiene il potere pubblico.

48 Capasso, Monumenta, 597, pp. 361-362. La ricostruzione topografica

della Skinner in Urban communities in Naples, apparsa nel 1994 nei «Papers of British School at Rome» pone il moricinum pictulum all’interno della cinta muraria principale, nel settore occidentale e meridionale della città. Ciò è da ritenersi un errore di interpretazione poiché i documenti sono piuttosto chiari: la seconda cinta muraria è esterna alla principale e attestata solamente nel margine meridionale della città, esattamente a ridosso del porto de Arcina. Anche Capasso in Topografia fornì un allegato topografico della città di Napoli in periodo ducale (ricostruita a partire dalla carta di Napoli pre-Risanamento) in cui si escludeva categoricamente la presenza di un moricinum interno alle mura difensive della città. La Skinner inoltre identifica il moricinum pictulum con le vestigia di mura assai più antiche. A mio avviso il “muricino” costruito in quella posizione a ridosso del mare, doveva invece assolvere ad una funzione di riparo dai flutti per le numerose botteghe che vi si addossavano. Se ciò fosse vero allora non è da escludersi che la

Il complesso difensivo

aventi una funzione essenziale nella produzione del vino o del lino)49.

Per quanto concerne gli edifici religiosi è sorprendente notare che ci fossero almeno dieci monasteri, sedici chiese e uno o più probabilmente due cimiteri confinanti con le mura. Tra i monasteri si annoverano: nel settore settentrionale Santa Maria dell’Anglone, Santi Ciriaco e Giulietta, Santa Maria di donna Regina, San Gaudioso e Sant’Agnello; nel settore occidentale Santi Teodoro e Sebastiano e Santa Maria di Albino; nel settore meridionale Santa Agata al Popolo e San Giovanni Maggiore; nel settore orientale San Vincenzo. Tra le chiese si annoverano: nel settore settentrionale Santi Apostoli, San Martino e San Gennaro; nel settore occidentale Santa Eufemia e Santa Agata; nel settore meridionale San Pietro al Vulpulo, Santa Maria a Mare, San Tommaso al Porto, Sant’Angelo alla Ventosa e Santa Maria all’Obolo; nel settore orientale Santa Cecilia, San Felice, San Gerusale, San Michele Arcangelo, Santa Maria al

costruzione del “muricino” fosse stata molto più recente.

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Cancello e San Giovanni sopra le mura. Per quanto riguarda i cimiteri: è certa la presenza di sepolture nelle immediate vicinanze della chiesa di San Michele Arcangelo50; ci sono inoltre forti indizi che fanno ipotizzare un cimitero anche nei pressi della Chiesa di San Gennaro51. Le porte cittadine identificate sono undici: a nord la Capuana, la Carbonaria, e quella di San Gennaro; a ovest la Romana, quella di Urso, la Cumana o Puteolana e quella detta del Porto di Vulpulo; a sud la Ventosa e la Calcaria; a est la porta Nuova, la Furcillense e quella di Pietro.

50 Capasso, Monumenta, 11, p. 24; 33, pp. 37-38; 70, pp. 58-59; 383, p. 239;

394, pp. 246-247. Un elenco dettagliato degli edifici religiosi a Napoli ci è dato da Luzzati Laganà, Le firme greche, pp. 729-752 e da Capasso,

Topografia.

51 Capasso, Monumenta, 14, pp. 25-26; 36, pp. 40-41; 48, pp. 47-48; 116, pp.