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OBIETTIVI DELLA TES

COMPLETE RESPONDERS

S mediana post-recidiva S post-rec a 2 aa S post-rec a 5 aa

+Bevacizumab 35,3 mesi (range, 24 – 46 mesi) 67,4% 0 -Bevacizumab 58,3 mesi (range, 44 – 72 mesi) 78,0% 48,9% (p=0,351) Grafico 7

Tabella 12. Analisi univariata: PFS nelle pazienti trattate e in quelle non trattate con Bevacizumab

BEVACIZUMAB PFS a 2 anni PFS a 5 anni

Si 66,3% 16,5% No 43,9% 17,5% (p=0,074) Grafico 8

Tabella 13. Analisi univariata: OS nelle pazienti trattate e in quelle non trattate con Bevacizumab

BEVACIZUMAB OS a 2 anni OS a 5 anni

Si 94,6% 62,9% No 91,5% 62,4% (p=0,328) Grafico 9

Le percentuali di risposta completa e le percentuali di ripresa di malattia nelle complete responders non correlano con lo stato mutazionale di gBRCA [Tabella 14]. Tuttavia la valutazione della frequenza e del timing di comparsa della platino- resistenza (ossia, recidiva entro 6 mesi dall’ultima linea di platino) nelle 96 pazienti sottoposte al test per gBRCA ha dimostrato che i soggetti gBRCA mutati avevano una più bassa incidenza di platino-resistenza (9/37, 24,3%) rispetto a quelli con gBRCA wild-type (25/59, 42,4%, p=0,0831). Nelle prime inoltre la platino-resistenza insorgeva dopo un più lungo intervallo di tempo (45,4 mesi versus 26,0 mesi). [Tabella 15]

Analizzando le complete responders andate incontro a ripresa di malattia, abbiamo riscontrato un trend a una migliore sopravvivenza dopo la recidiva nelle pazienti con gBRCA mutato rispetto a quelle con gBRCA wild-type. Infatti la sopravvivenza a 5 anni dopo recidiva era 65,2% nelle prime versus 41,6% nelle seconde. La sopravvivenza mediana dopo recidiva era 58 mesi (range, 49 - 65 mesi) nelle pazienti con gBRCA wild-type, mentre non era stata raggiunta in quelle con gBRCA mutato. [Tabella 16] [Grafico 10] Tabella 14. Risposte complete e riprese di malattia in funzione dello stato mutazionale di gBRCA RCC Recidiva BRCA mutate n. 37 31 (83,8%) 21 (67,4%) BRCA wild-type n. 59 49 (83,1%) 34 (69,4%) Tabella 15. Recidiva Platino-resistente in funzione dello status del BRCA BRCA status n. Platino-resistenza

n. mediana (range) NO Platino-resistenza n. mediana (range)

Mutate 37 9 (24,3%) 45,4 mesi (34-58) 28 (75,7%) 52,2 mesi (4-74)

Wild-type 59 25 (42,4%) 26,0 mesi (11-54) 34 (57,6%) 45,2 mesi (9-78)

Tabella 16. Analisi della sopravvivenza nelle complete responders recidivanti in funzione dello stato mutazionale di gBRCA

COMPLETE RESPONDERS

S post-recidiva S post-rec a 2 aa S post-rec a 5 aa

gBRCA mutate Non raggiunta (range, 7 – 44 mesi) 89,2% 65,2% gBRCA wild-type 58,3 mesi (range, 49 – 65 mesi) 92,4% 41,6% (p=0,720) Grafico 10

DISCUSSIONE

La PDS seguita da chemioterapia a base di platino e taxani rappresenta il trattamento standard del carcinoma ovarico avanzato. Gli attuali regimi sono in grado di ottenere una risposta clinica completa in circa il 50% dei casi, una risposta completa patologica nel 25-30% dei casi, una PFS mediana di 15,5-22 mesi ed una OS mediana di 31-44 mesi. 69, 70, 75, 89, 92-96

Due studi clinici randomizzati di fase III (GOG 218 ed ICON 7) hanno dimostrato come l’aggiunta del Bevacizumab al regime chemioterapico a base di CBDCA+PTX, sia durante il trattamento di prima linea che durante quello di consolidamento, migliori significativamente la PFS, senza però fornire alcun vantaggio in termini di OS.73, 97, 98 Sebbene la RD dopo PDS sia stata variamente definita, i lavori più recenti sembrerebbero suggerire che l’outcome clinico più favorevole si ottiene nelle pazienti nelle quali è stato asportato tutto il tumore macroscopicamente visibile (RD=0). 74, 99- 102

Negli ultimi anni, la NACT seguita da IDS è stata usata sempre più frequentemente nelle pazienti con malattia “bulky” non operabili per il basso performance status, per le patologie concomitanti e l’elevato rischio anestesiologico o non citoriducibili in maniera ottimale per la diffusione di malattia soprattutto in addome superiore e sulle superfici diaframmatiche. 103-106

Alcuni studi dimostrano come il numero di cicli di chemioterapia somministrati prima della IDS sembra avere una rilevanza clinica, dal momento che ogni aumento del numero di cicli oltre 3-4 è detrimentale, parlando in termini di OS. Pertanto, lo sforzo chirurgico massimale dovrebbe essere pianificato più precocemente possibile in questo sottogruppo di pazienti. 104, 106

Due studi randomizzati di fase III hanno mostrato che la NACT seguita da IDS non è inferiore in termini di PFS e OS alla PDS seguita da chemioterapia in pazienti con carcinoma ovarico avanzato e che il debulking chirurgico macroscopicamente completo rimane il principale obiettivo del trattamento, indipendentemente dal timing della chirurgia citoriduttiva. 107, 108

Tuttavia entrambi questi studi sono stati criticati, specialmente per il bias di selezione delle pazienti, a causa delle insoddisfacenti percentuali di OS e per la scarsa qualità della chirurgia. 108-110

Alcuni studi sembrano suggerire che la recidiva dopo NACT e IDS sia biologicamente più aggressiva rispetto a quella che si sviluppa in seguito a PDS e chemioterapia adiuvante, soprattutto nelle pazienti che esprimono particolari mutazioni molecolari. Questi studi sembrano inoltre suggerire che, a seguito del trattamento neoadiuvante, si sviluppi con maggior frequenza la platino-resistenza in donne con cancro ovarico epiteliale. 111-118

I Dipartimenti di Ginecologia Oncologica e Ostetricia delle Università di Pisa e Brescia, tra il Settembre 1994 e il Luglio 2014, hanno coordinato uno studio clinico multicentrico retrospettivo su un campione di 384 pazienti con carcinoma ovarico in stadio IIIC e IV trattate con PDS seguita da chemioterapia adiuvante a base di platino (n=322) oppure con NACT, sempre a base di platino, seguita da IDS e ulteriore chemioterapia post-IDS con lo stesso regime di induzione (n=62) che erano in risposta clinica completa al termine del trattamento primario. Le percentuali di citoriduzione completa (RD=0) erano del 35,7% per il gruppo sottoposto a PDS e del 51,6% per quello trattato con IDS. Tuttavia, l’outcome clinico delle pazienti completamente citoridotte era significativamente migliore nelle pazienti trattate con PDS rispetto a quelle sottoposte a IDS. La PFS a 2 anni, 5 anni e a 7 anni era rispettivamente di 65,8%, 40,8% e 39,3% nelle prime, versus 43,8%, 12,5% e 12,5% nelle seconde (p=0,001); mentre la OS a 2, 5 e 7 anni era rispettivamente di 96,4%, 69,3% e 50,4% nel gruppo trattato con PDS e di 87,1%, 41,8% e 32,6% nelle pazienti sottoposte a IDS (p=0,001). Le RD=0 dopo NACT potrebbero aver avuto una più alta incidenza di lesioni residue minime, non rilevabili chirurgicamente ed eventualmente nascoste da cicatrici, soprattutto a livello dell’addome superiore e delle superfici diaframmatiche. Inoltre, foci neoplastici microscopici persistenti dopo NACT potrebbero contenere un maggior numero di cloni resistenti rispetto a quelli che hanno ritrovato dopo PDS e chemioterapia adiuvante. Pertanto, il raggiungimento di una RD=0 ha un significato prognostico assai diverso nei due gruppi di pazienti. Alla luce di questi risultati emerge che la PDS deve essere considerata l’approccio chirurgico standard per le pazienti con carcinoma ovarico avanzato, mentre la NACT seguita da IDS dovrebbe essere riservata alle pazienti considerate non eleggibili per uno sforzo chirurgico primario a causa di una massiva diffusione della malattia (soprattutto in caso di coinvolgimento dei mesi alla TC diagnostica), oppure a causa di scadenti condizioni generali dopo una accurata valutazione da parte di un team

multidisciplinare.

In questa tesi sono state analizzate retrospettivamente 171 pazienti affette da carcinoma ovarico in stadio FIGO IIIA-IV, di alto grado, sottoposte a PDS seguita da chemioterapia a base di CBDCA e PTX. Le percentuali di citoriduzione ottimale e completa (24,6% e 51,5%) sono sovrapponibili a quelle riportate nei lavori dei Centri Oncologici di riferimento internazionali. Le percentuali di risposte cliniche complete (80,7%), la PFS a 5 anni (19,2%) e la OS a 5 anni (63,1%) sono in accordo con i dati della letteratura. La RD dopo chirurgia, la presenza di ascite alla diagnosi e la risposta clinica al trattamento di prima linea correlano significativamente sia con la PFS sia con la OS.

Per quanto riguarda il Bevacizumab in prima linea, le percentuali di risposta completa al trattamento primario sono significativamente maggiori (p=0,0163) e le percentuali di ripresa di malattia nelle complete responders sono significativamente minori (p=0,0005) nelle pazienti che hanno ricevuto questo farmaco rispetto a quelle che non lo hanno ricevuto. Tuttavia nelle complete responders andate incontro a ripresa di malattia, abbiamo osservato un trend ad una peggior sopravvivenza dopo la recidiva nelle pazienti trattate con il Bevacizumab in prima linea rispetto a quelle non trattate con il Bevacizumab.

Confrontando le 62 pazienti sottoposte a terapia di prima linea con Bevacizumab in aggiunta al regime CBDCA+PTX e le 109 che non hanno ricevuto l’antiangiogenico, abbiamo osservato nelle prime una migliore PFS a 2 anni (si versus no: 66,3% versus 43,9%, p=0,074), senza alcun vantaggio in termini di OS.

Ulteriori studi sono necessari per verificare se il comportamento biologico della ripresa di malattia è diverso nelle pazienti trattate con il Bevacizumab rispetto a quelle non trattate con questo anticorpo monoclonale e se questo può, almeno in parte, spiegare l’apparente assenza di beneficio in termini di OS dell’aggiunta del Bevacizumab alla chemioterapia.

Da recenti studi è emerso che le pazienti affette da carcinoma ovarico e caratterizzate al contempo da mutazione del gBRCA abbiano un comportamento clinico più favorevole, caratterizzato da: una più giovane età alla diagnosi 119-121, una maggiore incidenza di istologia sierosa di alto grado 119-123, uno stadio più avanzato al momento

della diagnosi 120, 122, 123, una più ampia distribuzione viscerale di malattia 124, più alte percentuali di risposta al platino sia in prima linea che in ulteriori linee di trattamento 122, 125-127 ed, infine, un outcome clinico migliore. 120, 121, 123, 128, 129

Il BRCA rappresenta sia un biomarker predittivo della sensibilità al trattamento con i PARP inibitori, con il platino e con altri farmaci, sia un biomarker prognostico dell’outcome clinico. Attualmente, infatti, tutte le linee guida consigliano di eseguire sistematicamente un test BRCA in tutte le pazienti che presentano un carcinoma ovarico epiteliale non mucinoso e non borderline al momento della diagnosi, in modo tale che queste informazioni siano disponibili tempestivamente per essere incluse nelle decisioni sulle successive strategie di trattamento ed anche nell’approccio ad una eventuale ricaduta. È attualmente in corso uno studio in collaborazione con l’Anatomia Patologica e con il Laboratorio di Genetica Medica per la valutazione del BRCA somatico nei tessuti tumorali di carcinoma ovarico.

L’uso sistematico del test genetico nella nostra pratica clinica è stato introdotto solo recentemente e, per questo motivo, i numeri a disposizione non ci consentono ancora di raggiungere la significatività statistica. Tuttavia, dall’analisi delle 96 pazienti per le quali era disponibile il risultato del test genetico per BRCA 1-2, sono emersi dati coerenti con il comportamento biologico descritto in letteratura. Mutazioni del gBRCA erano presenti nel 39% dei casi analizzati. Anche se le percentuali di risposta completa e le percentuali di ripresa di malattia nelle complete responders non correlano con lo stato mutazionale di BRCA, le pazienti con gBRCA mutato sviluppavano una più bassa incidenza di platino-resistenza (24,3% versus 42,4%) che inoltre insorgeva dopo un più lungo intervallo di tempo (45,4 mesi versus 26,0 mesi, p=0,0831) rispetto a quelle con BRCA wild-type. Analizzando le complete responders andate incontro a ripresa di malattia, abbiamo riscontrato un trend ad una miglior sopravvivenza dopo la recidiva nelle pazienti mutate rispetto a quelle non mutate. L’utilizzo di agenti PARP inibitori quale trattamento di mantenimento nelle pazienti con recidiva platino-sensibile in risposta dopo l’ultima linea di chemioterapia a base di platino ha ottenuto un miglioramento significativo della PFS, soprattutto, ma non esclusivamente, nelle pazienti con mutazioni di gBRCA. 130-133 Studi clinici randomizzati sono attualmente in corso per verificare la rilevanza clinica dell’aggiunta dei PARP inibitori da soli o associati ad altri farmaci biologici

(Bevacizumab e inibitori dei check point immunitari) nel trattamento di prima e di seconda linea del carcinoma ovarico (studi clinici in corso: SOLO-1, PAOLA-1, Imagyn 050).

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