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2. La frase completiva

2.1. Elenco di tipologie di frase completiva

2.1.2. Completive esplicite

2.1.2.4. Completive con i verba timendi

Un’ulteriore tipologia di completiva esposta nei manuali ricopre le «proposizioni soggettive o oggettive che completano il significato dei verbi o delle espressioni che suggeriscono l’idea del timore (timeo, vereor, metuo, metus est, timor est, sollicitus sum ecc.) precisando che cosa si teme» e che «sono introdotte dalla congiunzione ne quando si teme che avvenga una cosa che non si desidera, da ne non o da ut, quando invece si teme che non avvenga una cosa che si desidera».119

Nonostante la forma dell'introduttore sia direttamente collegata alla semantica del verbo, osservando il comportamento di queste completive, la loro struttura non è affatto dissimile dalle altre: le uniche differenze si notano solo a livello, appunto, semantico e formale. Potrebbe dunque essere sufficiente, in sede didattica, segnalare tale differenza, ma mantenere anche questa categoria all’interno delle altre completive invece di esporla come tipologia a parte.

Venendo alle occorrenze nel corpus, sono pochi i verbi e le espressioni di timore reggenti una completiva: si segnalano un esempio con il verbo vereor e uno con il sostantivo timor.

(a) nam ne eius supplicio Diviciaci animum offenderet, verebatur (scil. Caesar)120.

(b) circiter hominum milia sex eius pagi, qui Verbigenus appellatur, sive timore perterriti, ne

armis traditis supplicio adficerentur, sive spe salutis inducti […], prima nocte e castris Helvetiorum egressi ad Rhenum finesque Germanorum contenderunt121.

In questo caso la frase introdotta da ne dipende non dal participio perterriti ma dal sostantivo

timore. Questo può far sì che si analizzi tal frase come un’epesegetica (dunque appositiva) del

nome che qui funge da espansione. Tuttavia, analizzando timor, lo si può considerare, in linea teorica, con due valori. Nel caso in cui indichi semplicemente e in generale lo stato d’animo, ha valore assoluto (quindi sarebbe un nome zerovalente). Invece nel caso in cui esprima una paura specifica di un evento, esso assume una sua valenza, per cui si considera un nome con reggenza, saturabile o da un SN al genitivo, o da un SP con ab e l’ablativo, oppure da una frase, sia con ne e congiuntivo sia infinitiva. Difatti, timor è un deverbale astratto che, in questo caso, mantiene lo stesso quadro predicativo del verbo originario timĕo: ciò permette di considerare quella frase introdotta da ne come la sua completiva. Si deve segnalare però che, come sopra accennato, in questo passo il ruolo di timor non è nucleare, ma fa da CAUSA o STIMOLO al participio perterriti, dunque non si tratta qui di una frase nucleare, ma di una frase esterna al nucleo, cosa che però non influisce sulla sua funzione argomentale rispetto al suo perno sintattico.

119 Flocchini - Bacci - Moscio, 2001, p. 405; cfr. Traina - Bertotti, 1993, p. 380-381. 120 Caes. Gal. 1.19.2.

121 Caes. Gal. 1.27.4.

2.1.2.5. Completive introdotte da quin dopo non dubito o espressioni analoghe

Un’altra tipologia di completive esplicite esposte dai manuali di riferimento comprende quelle «proposizioni soggettive o oggettive che completano il significato di espressioni negative come

non dubito (“non dubito che…”, “sono certo che…”), dubium non est, nulla dubitatio est (“non

c’è alcun dubbio che…”), nulla suspicio est (“non c’è alcun sospetto che…”), precisando su che cosa si nutrono dubbi o sospetti» e «sono introdotte dalla congiunzione quin»122.

Anche in questo caso come nel precedente, si tratta di completive al pari delle frasi osservate fin qui, con solo due differenze: la semantica e il senso del verbo reggente; il tipo di introduttore.

Venendo al corpus, sono state riscontrate poche occorrenze di espressioni di dubbio reggenti una completiva con quin, ma tutte rientrabili tra gli esempi esposti. Viste le precedenti analisi, gli esempi verranno corredati solo con lo schema grafico, salvo necessarie indicazioni.

(a) (discorso indiretto) non esse dubium, quin totius Galliae plurimum Helvetii possent123.

122 Flocchini - Bacci - Moscio, 2001, p. 406; cfr. Traina - Bertotti, 1993, p. 387-389. 123 Caes. Gal. 1.3.7.

Figura 67: (a) Figura 66: (b)

(b) (discorso indiretto) non dubitare (scil. Gallii) quin de omnibus obsidibus, qui apud eum sint,

gravissimum supplicium sumat (scil. Ariovistus)124.

(c) neque abest suspicio, ut Helvetii arbitrantur, quin ipse (scil. Orgetorix) sibi mortem

consciverit125.

In questo ultimo esempio è necessario precisare la dipendenza della frase introdotta da quin, la quale può reggersi soltanto su suspīcio e non direttamente su abest. In questo senso le ipotesi sono due. Da una parte, vista la valenza uno di absum, che regge solo il soggetto TEMA (la cosa assente), potrebbe essere possibile che qui la frase in questione non sia completiva rispetto al nucleo, ma appositiva rispetto all’argomento soggetto. D’altra parte, abest suspīcio potrebbe essere una forma di verbo polirematico, ma ciò risulta difficilmente convincente perché da un lato il verbo di supporto sarebbe monovalente e dall’altro il nome predicativo è al nominativo: la compresenza di queste due forme confuta qualsiasi ipotesi di verbo composito.

Dunque, prendendo come vera la prima ipotesi, bisogna precisare che, come nel precedente

timor126, anche suspīcio, in quanto deverbale astratto dal verbo suspĭcĭo, può rientrare nel novero dei nomi con reggenza, che necessitano di un proprio argomento di secondo livello. Nel caso in esame, il sub-argomento può essere espresso da un SN al genitivo o da una frase, generalmente infinitiva ma anche con quin e congiuntivo. Dunque, se strutturalmente rispetto al nucleo questa frase con quin è da posizionare nei circostanti, è anche vero che essa è allo stesso tempo una completiva di un argomento. In questo senso può essere utile riflettere sulla nozione di completiva rispetto al rapporto col suo perno che non come tipo di frase interna al nucleo: se ne parlerà nelle conclusioni127. 124 Caes. Gal. 1.31.15. 125 Caes. Gal. 1.4.4. 126 Cap. 2.1.2.4, es. (b), p. 75. 127 V. Conclusioni, cap. 1.3. Figura 69: (c) Figura 68: (b)