• Non ci sono risultati.

1.3 Il trapianto di cellule staminali emopoietiche

1.3.4 Complicanze del trapianto

Nel primo periodo post-trapianto il paziente deve essere supportato con un adeguato programma nutrizionale perché abbia un sufficiente apporto calorico e adeguate quantità di nutrienti essenziali, di liquidi ed elettroliti. È necessaria un’adeguata gestione del CVC per limitare le possibilità di insorgenza di infezioni CVC-correlate; inoltre, è importante la gestione dei sintomi associati alla mucosite sistemica causata dalla terapia di condizionamento (soprattutto in quei pazienti che ricevono un’irradiazione corporea frazionata, nell’ambito del regime di condizionamento). Il trattamento del dolore da mucosite è difficoltoso: può essere necessario l’impiego di oppiacei o anestetici locali. Inoltre, si rende necessario spesso l’impiego di fattori di crescita granulocitaria e/o di eritropoietina ricombinante per sostenere la ripresa dell’emopoiesi (Carulli, 2011).

Si può effettuare una distinzione delle complicanze del TMO in: (1) complicanze precoci, (2) complicanze infettive, (3) GVHD e, infine, (4) complicanze tardive. Tra le complicanze precoci, non molto frequenti, le più importanti sono:

• cistite emorragica (causata dalla Ciclofosfamide e da alcuni virus, come Adenovirus o Polivirus);

49 • patologie di tipo vascolare, quali la malattia veno-occlusiva del fegato (VOD), la sindrome di disfunzione multiorgano (MODS), la microangiopatia trombotica, l’emorragia alveolare diffusa e la sindrome da engrafment;

• fallimento del trapianto, frequente per lo più nei pazienti trapiantati per aplasia midollare, piuttosto che in quelli trapiantati con midollo o con PBSC T-depleti.

In particolare, la malattia veno-occlusiva (VOD) è una temibile complicanza del trapianto allogenico e del trapianto autologo, conseguente ad un danno epatico dovuto al regime di condizionamento che può portare a morte ad oltre l’80% dei pazienti. Si manifesta, dal punto di vista clinico con un ingiustificato incremento di peso, ittero, dolenzia in corrispondenza della zona ipocondriaca destra con epatomegalia, ascite, e ritenzione idrica. Attualmente non vi sono test diagnostici definitivi e la diagnosi è clinica. Si ritiene che valori sierici elevati dell’inibitore- 1 del plasminogeno possano essere associati a pazienti che presentano VOD. Per convalidare la diagnosi potrebbe essere necessaria una biopsia epatica. Dal punto di vista istopatologico il tessuto epatico mostra la deposizione di fibrinogeno e fattore VIII a livello delle vene centro-lobulari con danno delle cellule endoteliali sinusoidali (SEC), formazione di gap tra le cellule stesse con imbibimento ematico dello spazio di Disse, dissezione delle SEC e loro embolizzazione a valle. Ciò comporta l’ostruzione dei sinusoidi con riduzione dell’efflusso venoso epatico e comportando un’ipertensione portale post-sinusoidale. La terapia, basata sull’utilizzo dell’attivatore del plasminogeno di tipo tissutale ed eparina, è in grado di ottenere risposte in circa il 30-40% dei pazienti, peraltro in associazione a rischi emorragici importanti; in alternativa è stato proposto l’uso di Defibrotide dotato di attività antitrombotiche e fibrinolitiche, ma con scarsa azione anticoagulante sistemica (Castoldi et al., 2007).

La ricostruzione immunologia sostenuta dalle cellule staminali del donatore dopo un trapianto di midollo avviene lentamente. Il timing della ricostruzione

50 immunologia è alla base della tipologia delle possibili complicanze infettive a carico del ricevente (Hebart, 2004).

Nella fase aplastica (dall’inizio della terapia di condizionamento fino ai segni di ripresa dei livelli di neutrofili) prevalgono le infezioni batteriche a carico delle mucose danneggiate dal condizionamento, le infezioni fungine soprattutto da Aspergilli e le infezioni virali soprattutto da Herpes virus, e sono relativamente frequenti le infezioni CVC-correlate. La mortalità in questa fase è causata soprattutto da severe infezioni batteriche (es. setticemia o polmonite).

Nella seconda fase (dall’attecchimento al terzo-quarto mese post-trapianto) la caratteristica principale è il deficit dell’immunità cellulo-mediata, soprattutto a causa della riduzione del numero di cellule citotossiche specifiche ed aspecifiche. Le infezioni più frequenti sono quelle da citomegalovirus (CMV) (Hebart, 2004), Adenovirus, e virus dell’apparato respiratorio. Il grado di immunodeficienza tipica di questa fase è condizionato dall’entità della GVHD.

La terza fase (dal terzo-quarto mese post-trapianto) è influenzata in particolar modo dalla presenza e dalla gravità della GVHD. I pazienti presentano ipogammaglobulinemia con deficit soprattutto a carico delle IgG2, responsabili della elevata incidenza di infezioni causate da batteri con parete polisaccaridica, ma possono svilupparsi infezioni sostenute da batteri capsulati come S. Pneumoniae e H. Influenzae. Questa fase può essere di breve durata (circa 2 mesi), ma in un numero non trascurabile di pazienti questa condizione di immunodeficienza può durare tutta la vita successiva al trapianto (Hebart, 2004). Le complicanze tardive si verificano con maggior incidenza poichè la sopravvivenza dei soggetti trapiantati tende ad aumentare. Tra le complicanze tardive vi sono quelle di tipo maligno, cioè neoplasie di tipo secondario come linfomi o leucemie, ma anche quelle di tipo non maligno, le quali riguardano essenzialmente polmoni (malattie croniche occlusive), occhi (cataratta e sindrome sicca), apparato osseo (osteoporosi e necrosi avascolare) e sistema endocrino (ipotiroidismo, infertilità e insufficienza gonadica) (Copelan, 2006).

51 In particolare, uno dei capitolo più importanti è rappresentato dalla occorrenza

della malattia linfoproliferativa post-trapianto (post-transplant

lymphoproliferative disease, PTLD) caratterizzata da un ampio spettro di manifestazioni. Istologicamente, la malattia linfoproliferativa che si manifesta precocemente dopo il trapianto è tipicamente policlonale e sembra simile a un quadro di mononucleosi in un ospite immunocompromesso, con localizzazione orofaringea e linfonodale. La stragrande maggioranza delle linfoproliferazioni presentatesi precocemente nel post-trapianto è legata all’EBV (Castoldi et al., 2007).

La mortalità trapiantologica resta ancora oggi il maggior ostacolo al successo del trapianto allogenico. Si definisce mortalità trapiantologica (transplant related mortality, TRM) il decesso del paziente dovuto, non alla malattia, ma ad una complicanza associata alla procedura trapiantologica. La sua incidenza può variare nelle diverse casistiche dal 10 al 50% ed è legata sia alle caratteristiche cliniche del paziente sia a fattori direttamente correlati al trattamento (Bosi et al., 2012).

Negli ultimi anni la mortalità correlata al trapianto (TRM) si è ridotta progressivamente grazie al miglioramento delle conoscenze fisiopatologiche delle principali complicanze trapiantologiche e alla capacità diagnostica precoce delle infezioni, alla disponibilità di un sempre più ampio ventaglio di farmaci attivi e al miglioramento della terapia di supporto. La riduzione del rischio di TRM si è osservata quasi esclusivamente per i pazienti in fase di malattia precoce, mentre continua a incidere pesantemente nelle fasi avanzate.

Documenti correlati