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St.: compluresque noti homines elisi sunt, inter quos C Vibienus senator

PRO MILONE

IN DIFESA DI MILONE

31.28 St.: compluresque noti homines elisi sunt, inter quos C Vibienus senator

…e furono schiacciati a morte molti uomini rinomati, tra i quali il senatore G. Vibieno

Nel narrare i tumulti che seguirono il rientro del cadavere di Clodio a Roma, Asconio caratterizza la folla di tutti coloro che accorsero come una moltitudine di schiavi e plebaglia, quali erano, i seguaci di Clodio148, che indignati per l’accaduto crearono disordini in città. La calca di gente era tale che molti uomini lì pervenuti, alcuni dei

di Clodio alla pretura perché credeva che con Milone come console sarebbe stata debole, è un’informazione che è stata dedotta da Mil. 25 (occurrebat ei mancam ac debilem praetura futuram suam consule Milone); così come l’informazione al punto 30.18-21 circa la fiducia negli optimates e nel popolo, al quale aveva elargito del denaro, è dedotta da Mil. 5 (quia semper pro bonis contra improbos senserat) e 95 (plebem et infimam multitudinem…ut modo virtute flecteret sed etiam tribus suis patrimoniis deleniret).

147

Cfr. Lewis, op. cit., p. 235.

148 Infimaeque plebis et servorum maxima moltitudo magno luctu corpus in atrio domus positum

circumstetit (31.24-25 St.): i seguaci di Clodio erano tutti coloro che vivevano ai margini della società, compresi gli schiavi; cfr. De Martino, op. cit., Vol. III, p. 151. Contro l’idea che le bande di Clodio fossero reclutate in gran parte tra gli schiavi si pone Perelli (Il movimento popolare nell’ultimo secolo della repubblica, Torino, 1982, pp. 211-214), il quale ritiene che la presentazione ad opera di Cicerone dei seguaci di Clodio sia deliberatamente esagerata, poichè lo scopo dell’oratore era quello di denigrare il suo acerrimo nemico. Perelli sostiene, infatti, che la base delle bande di Clodio non fosse costituita da miserabili e straccioni, quanto piuttosto da quel ceto che oggi definiremo piccolo borghese, che non aveva alcun interesse all’eversione sociale (cosa che sottolinea Cicerone , e che aspirava semplicemente a far sentire la propria voce sulla scena politica in modo da far valere i propri diritti.

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quali erano personaggi rinomati, si trovarono schiacciati tra la folla e furono percossi a morte, come il senatore Gaio Vibieno.

La testimonianza di Asconio si troverebbe in contraddizione con quanto si legge al § 37 della Miloniana: qua in turba C. Vibienus senator, vir optimus, cum hoc cum esset

una, ita est mulcatus ut vitam amiserit. Secondo la testimonianza di Cicerone, infatti,

il senatore Vibieno era stato percosso a morte non durante i tumulti che seguirono la morte di Clodio, ma durante quelli che precedettero l’esilio dell’oratore, nel 58 a.C. Questo significa che il senatore non poteva essere vivo e aver dunque assistito ai tumulti a cui fa riferimento Asconio. Diverse soluzioni sono state proposte per riequilibrare questa contraddizione tra le due testimonianze, che in qualche caso comportano un intervento, non indifferente, principalmente sul testo asconiano (che sulla base dell’accordo dei manoscritti non dovrebbe essere sospetto di corruzione), ma anche su quello ciceroniano149.

L’errore, secondo Marshall, è imputabile ad Asconio, ma lo studioso si limita semplicemente ad evidenziare la contraddizione del testo asconiano e della Miloniana, le varie congetture proposte, e ad affermare che Cicerone è preferibile150. Rispetto, infatti, ad altri punti del testo asconiano presi precedentemente in esame, in cui è chiaro che è preferibile la versione del commentatore, in questo punto ad avere la meglio è invece quella di Cicerone. È difficile pensare che l’oratore abbia commesso un errore, ipotesi sostenuta da Halm, o che abbia volutamente manomesso questo dato, poiché, come afferma Clark, Asconio lo avrebbe sicuramente segnalato151. Se l’errore è dunque imputabile ad Asconio, una plausibile ipotesi è quella relativa al fatto che il commentatore, dal momento che utilizzava come principale strumento di lavoro la memoria152, abbia confuso quanto letto al § 37 dell’orazione, e quindi i tumulti del 58 con quelli del 5 a.C., sbagliando a riportare il riferimento della morte del senatore Vibieno. Le caratteristiche dei due eventi tumultuosi sono molto simili: in entrambi i casi qualcuno era morto per lo

149 Clark, op. cit., pro T. Annio Milone, p. 34: Kraffert pone tra parentesi qua in…amiserit come

presunta interpolazione.

150 Cfr. Marshall, op. cit., pp. 72 e 167-168. 151 Clark, op. cit., pro T. Annio Milone, p. 34.

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schiacciamento causato dalla calca di gente inferocita. Dunque, la possibilità di confusione da parte di Asconio non può essere del tutto esclusa.

Diversamente si deve intervenire sul testo e apportare delle correzioni. Sembra plausibile la congettura di Wirz secondo il quale le parole inter quos C. Vibienus

senator sarebbero state interpolate nel testo asconiano sulla base del relativo passo

della Pro Milone153 e sarebbero pertanto da eliminare. Tale congettura è stata fatta

propria da Clark in aggiunta a quella proposta da Rinkes154, che non prendendo in considerazione l’idea di un possibile errore da parte di Asconio, oltre ad eliminare

inter…senator perché lo considera una glossa, scrive visi al posto di elisi; il che, a

detta di Clark e Marshall, migliora il significato del testo ed elimina la contraddizione155. La congettura di Rinkes è accettata anche da Giarratano che, a differenza di Clark, riporta la locuzione in questione nel testo e la pone tra parentesi quadre indicando che dovrebbe essere eliminata156; mentre Stangl preferisce mantenere il testo così come tramandato dai manoscritti, che in questo punto sono concordi e riportano la stessa lezione senza far pensare ad una possibilità di corruzione, e spiega, poi, la questione in apparato157.

L’eliminazione delle parole inter…senator come un’interpolazione basata sul testo dell’orazione ciceroniana è plausibile se si esclude l’errore o la confusione da parte di Asconio, diversamente dovrebbe essere evitata, e nel dubbio ci si dovrebbe limitare a porre le parole in questione tra parentesi nel testo, come possibile interpolazione, e spiegare la questione in apparato. La congettura di visi proposta da Rinkes, invece, si mostra poco pertinente al significato del testo (nonostante l’apprezzamento di Clark), soprattutto in rapporto alla situazione che Asconio sta descrivendo. La folla accorsa a vedere la salma del defunto Clodio, quando la sera del 18 gennaio era stata portata a casa, era composta da sempliciotti, gente poco raccomandabile e ignorante (infimaeque plebis et servorum maxima multitudo), che si era lì disposta (circumstetit) mostrando magnum luctum, cioè letteralmente manifestando un grande dolore con lamenti, e che era aizzata da Fulvia, moglie del

153 Clark, op. cit., pro T. Annio Milone, p. 34. 154 Vedi Clark, op. cit., p. 32.

155 Clark, op. cit., pro T. Annio Milone, p. 34; cfr. Marshall, op. cit., pp. 167-168. Clark considera

l’emendazione di Rin es brillante, poiché va a ricreare il contrasto sociale e linguistico tra noti nomines e infimae plebis che la lezione vulgata elimina (op. cit., pro T. Annio Milone, p. 97).

156 Vedi Giarratano, op. cit., p. 37. 157 Vedi Stangl, op. cit., p. 31.

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defunto (augebat autem facti invidiam uxor Clodii Fulvia). La descrizione di Asconio implica che la folla in questione si mostrava molto agitata, e a conferma di ciò viene in aiuto il resoconto che fa Dione di questi eventi, il quale dice che l’accaduto aveva profondamente turbato il popolo a tal punto che incitato ancor di più da Pompeo Rufo e Munazio Planco, accorsi presso la casa di Clodio (31.30-32.1 St.), divenne furente e violò le tutte cose sacre e i riti funebri158.

Considerato il contesto in cui la frase in questione è inserita, il verbo elido (ex +

laedo), composto di laedo, il cui significato è quello di schiacciare, stritolare, spezzare oppure cacciare fuori, espellere, allontanare, quindi fortemente negativo in

quanto descrive un atto di forza che si ripercuote su qualcuno o qualcosa, rispetto a

video (in questo caso scorgere, avvistare) si adatta in modo più appropriato in tutte le

sue accezioni alla descrizione della situazione. È più probabile infatti che Asconio abbia scritto elisi, poiché ha più senso che i senatori, attirati dall’evento della morte di Clodio, quando andarono a vedere il cadavere, furono presi d’assalto, o meglio furono schiacciati e picchiati dalla folla impazzita e indignata per l’accaduto, e tra l’altro incitata dalle grida di dolore di Fulvia che faceva bella mostra del corpo martoriato del marito (vulnera eius ostendebat), o che semplicemente siano stati cacciati e allontanati dalla casa di Clodio a forza, in quanto optimates (noti homines) e quindi rivali, non solo di Clodio ma dell’intera moltitudine di plebaglia lì presente, seguace del defunto.

32.7-9 St.: Domus quoque M. Lepidi interregis (is enim magistratus curulis erat

creatus) et absentis Milonis eadem illa Clodiana multitudo oppugnavit

La stessa folla clodiana attaccò anche la casa dell’interrè M. Lepido (infatti egli era stato nominato magistrato curule) e quella di Milone che era assente

Dopo aver trasportato il corpo di Clodio dentro la curia su istigazione dei tribuni della plebe Munazio Planco e Pompeo Rufo, la folla diede fuoco alla salma con tutto

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quello che era riuscita a trovare lì intorno, provocando un incendio che bruciò la curia e la basilica Porcia. La stessa folla, ancora più indignata, si diresse verso le case di M. Lepido, eletto intanto interrè, e di Milone, che era assente, attaccandole ed assediandole.

Stando al resoconto di Asconio in questo punto del testo, l’incendio della curia, l’attacco alla casa dell’interrè M. Lepido159

e alla casa di Milone, erano avvenuti nell’arco della stessa giornata e, considerato l’unico indicatore temporale usato dal commentatore poco prima per descrivere i tumulti della folla che avevano avuto inizio il giorno successivo alla morte di Clodio (postera die)160, gli eventi in questione si dovrebbero collocare il 19 gennaio. In questo modo Asconio associa l’inizio dell’interregnum di Lepido con gli eventi tumultuosi che seguirono all’esequie funebri del defunto Clodio; eventi che dichiara, tra l’altro, verificatisi prima che Milone rientrasse a Roma la notte dell’incendio (absentis Milonis). Ma in seguito nel testo, quando Asconio commenta il § 13 dell’orazione dice che Lepido era stato eletto interrex trascorsi due giorni e mezzo dalla morte di Clodio:

(38.5 St.) post biduum medium quam Clodius occisus erat, interrex primus proditus

est M. Aemilius Lepidus161

Dunque, contrariamente a quanto il commentatore ha lasciato intendere al passo precedente, questo indicherebbe che Lepido era stato eletto il 21 gennaio, non il 19. Nello stesso passo, Asconio spiega anche la motivazione dell’attacco alla casa dell’interrè, che era avvenuto non come conseguenza dell’incendio della curia che aveva infiammato gli animi della folla, ma del rifiuto di Lepido di convocare i comizi consolari, poiché contro la legge (non fuit autem moris ab eo qui primus interrex

proditus erat comitia haberi: 38.6-7 St.).

Posti a confronto i due passi, il commentatore si viene a trovare evidentemente in contrasto con se stesso.

159 Marco Emilio Lepido è il futuro membro del secondo triumvirato, pretore nel 49 a. C., console nel

46 e 42 a. C.

160 Asconio 31.27 St.: maior postera die luce prima multitudo eiusdem generis confluxit.

161 Dopo due giorni e mezzo da quando Clodio era stato ucciso, M. Emilio Lepido fu il primo interrè

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Partendo dal presupposto che Asconio può essersi confuso, è utile cercare di capire in quale data è avvenuta l’elezione dell’interrè Lepido, e, di conseguenza, quale dei due passi deve essere considerato preferibile.

Secondo Lintott è preferibile seguire, per la data dell’elezione di Lepido, il resoconto di Asconio al punto 38.5 ss. più dettagliato, piuttosto che quello precedente, al punto 32.7 ss., troppo stringato. Infatti, ritenendo che la situazione tumultuosa del 19 gennaio difficilmente avrebbe potuto favorire il clima solenne per l’installazione dell’interrè, Lintott è propenso a credere che il 19 gennaio Lepido fu nominato interrè, ma prese incarico il giorno successivo, il 20, poiché post biduum, cioè due giorni dopo, non può che indicare questo giorno162. A sostegno della sua interpretazione, egli rimanda alla testimonianza di Dione (40.49.5): infatti nel

pomeriggio, a causa dei tumulti, i sentori si erano radunati subito sul Palatino, e avevano decretato che si procedesse all’elezione dell’interrex163

. Segue la testimonianza di Dione, come prova del fatto che Lepido prese incarico il 20 gennaio, Marshall164. Anche Clark, che segue Mommsen, mostra di preferire il resoconto asconiano al punto 38.5 ss., ma a differenza dei suoi colleghi, appena citati, applica una scansione temporale che vede l’elezione di Lepido datata al 1 gennaio165.

Di tutt’altro avviso è, invece, Ruebel, il quale mostrandosi poco incline a condannare Asconio di incoerenza, posti a confronto i due passi, ritiene che non siano in contrasto tra loro, o meglio, che la data del 19 gennaio per la nomina di Lepido al punto 32.7 ss. non sia messa in discussione da quanto Asconio dice al punto 38.5 ss., ma che il problema risieda nell’interpretazione di post biduum medium166

. Anche se Lintott ha dimostrato che il significato dell’indicatore temporale usato da Asconio è chiaro (due giorni dopo e non il giorno successivo, quasi come se la frase di Asconio fosse l’equivalente di biduo post…post meridiem167 , Ruebel, prendendo tra l’altro a

sostegno della sua ipotesi la stessa testimonianza di Dione a cui si affidano Lintott e Marshall, ritiene che l’indicatore temporale usato sia del tutto particolare e il suo

162 Cfr. Lintott, art. cit., p. 70 n. 94.

163 Traduzione a cura di Giuseppe Norcio, Storia romana, Vol. II, 1995, Milano. 164

Cfr. Marshall, op. cit., p. 169.

165 Cfr. Clark, op. cit., pro T. Annio Milone, p. 97. 166 Cfr. Ruebel, art. cit., p. 235.

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reale significato poco indagato. Infatti, Ruebel è propenso a far leva sul valore temporale dell’aggettivo medius, che così considerato, fa che si debba intendere

biduum medium equivalente a ‹‹the middle of biduum››, letteralmente “al centro dei

due giorni”; quindi, considerato come primo giorno il 18 gennaio, il giorno “centrale” sarebbe il 19168

. Questa interpretazione permette, effettivamente, di riconciliare i due passi asconiani, ed elimina la possibilità di errore o confusione da parte dell’autore. Ma, perché Asconio avrebbe dovuto usare una perifrasi, per indicare il giorno successivo alla morte di Clodio, quando avrebbe potuto semplicemente scrivere postero die o postridie? Sebbene, in base all’interpretazione di Ruebel, biduum medium non sia l’equivalente di postero die, risulta difficile credere che il commentatore abbia voluto in questo modo indicare il giorno successivo alla morte di Clodio (19 gennaio), piuttosto che due giorni e mezzo dopo (21 gennaio): Asconio usa, generalmente, degli indicatori temporali piuttosto semplici.

Ritornando al punto 3 .5 ss., un’attenta lettura di questo in rapporto al contesto in cui è inserito, fa sì che ci si renda conto che la frase domus quoque…repulsa est non è legata cronologicamente al postera die precedente (31.27 St.: maior postera die luce

prima...), né a ciò che segue, ma è legata piuttosto al filone tematico del discorso: il

racconto generale dei tumulti che seguirono l’omicidio di Clodio. Come osserva correttamente Lintott, il resoconto di Asconio in questo punto è, infatti, troppo stringato, in quanto il commentatore non sta facendo un racconto dettagliato e quotidiano dei tumulti che si susseguirono in città successivamente all’omicidio, ma sta descrivendo la situazione generale legata a questi, e di conseguenza non ha bisogno di fare una scansione temporale dettagliata. Asconio, dunque, non sta qui affermando che gli attacchi alle case di Lepido e Milone erano avvenuti il 19 gennaio, ma li cita perché suggeritogli per associazione dalla menzione dei tumulti stessi. Si deve ricordare, infatti, che l’argumentum non è una crono-storia: gli eventi narrati da Asconio non devono essere sempre letti in vista di una quotidiana scansione temporale. Di conseguenza non si può attribuirgli un errore, o un’incongruenza con quanto segue al commento del §13 dell’orazione. Ruebel ritiene, però, che questo ragionamento, che vede la frase domus quoque…repulsa est

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svincolata cronologicamente dal resto del discorso, sia inutile perché si scontra inevitabilmente con l’affermazione che l’autore fa poco dopo, al punto 3 .14 St.169

:

itaque Milo, quem opinio fuerat ivisse in volontarium exilium, invidia adversariorum recreatus nocte ea redierat Romam qua incensa erat curia170

Si legge, qui, che Milone, che si era tenuto lontano dalla città, probabilmente perché temeva ripercussioni sulla sua persona per il delitto commesso, era rientrato a Roma la notte dell’incendio (19 gennaio , invidia adversariorum recreatus, cioè sollevato dalla preoccupazione di subire degli attacchi diretti; infatti, come afferma anche Dione, Milone “sperò che lo sdegno dei senatori si sarebbe rivolto contro i provocatori dei disordini”171. Secondo Ruebel, l’affermazione di Asconio in questo punto dà, dunque, valore alla locuzione absentis Milonis, confermando che gli attacchi alle case di Lepido e Milone erano avvenuti lo stesso giorno dell’incendio della curia, il 19 gennaio, che era anche quello in cui era avvenuta l’elezione dell’interrè. Effettivamente, al momento dell’attacco alla casa di Milone, questi era assente, e perciò, secondo l’interpretazione che sembra fare Ruebel del passo asconiano, l’aspirante console non si trovava a Roma, o perché dopo l’omicidio non aveva fatto ritorno in città, oppure perché si era defilato programmando un esilio volontario172. Ma l’interpretazione della locuzione absentis Milonis non necessariamente indica l’assenza di Milone da Roma, potendo, infatti, semplicemente indicare che al momento in cui le case dell’aspirante console, che erano due173, erano state sottoposte all’attacco della folla, egli non si trovava all’interno di nessuna di esse. Milone era sì rientrato la notte dell’incendio174

, ma non doveva essere tornato nelle proprie case, se Asconio lo dichiara absens175.

169

Ibidem.

170 Perciò Milone, il quale si credeva che fosse andato in esilio volontario, rianimato dall’ostilità degli

avversari, in quella notte in cui la curia aveva bruciato, era tornato a Roma.

171

Dione 40.49.4: la traduzione è a cura di Giuseppe Norcio (op. cit.).

172

Ruebel, art. cit., p. 234.

173 Milone possedeva una casa sul Palatino, precisamente sul Cermalus (Cicerone, Att. 4.3.3), e una in

Campidoglio (Cicerone Mil. 64).

174 Che Milone fosse rientrato la notte dell’incendio lo afferma anche Cicerone al § 61 dell’orazione,

in cui l’oratore sottolinea la rapidità del rientro di Milone in città per nulla preoccupato di eventuali ripercussioni su di lui: pura mente atque integra Milonem, nullo scelere imbutum, nullu metu perterritum, nulla coscientia exanimatum Romam revertisse.

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In ultima analisi, quella che appare come l’ennesima contraddizione dovuta a confusione da parte di Asconio, è in realtà solo apparente, e pertanto per ricavare la data della nomina dell’interrè Lepido sarà necessario e preferibile seguire il commento al § 13, piuttosto che l’argumentum al punto 32.7 ss., per le motivazioni poco prima sostenute; sarà altrettanto necessario e preferibile seguire l’interpretazione di post biduum medium come “due giorni e mezzo dopo”, datando l’elezione di Lepido come primo interrè al 1 gennaio, in accordo con Clar , sebbene questo implichi un disaccordo tra la testimonianza del commentatore e quella di Dione176.

32.12-18 St.: Incendium curiae maiorem aliquanto indignationem civitatis

moverat quam interfectio Clodii. Itaque Milo, quem opinio fuerat ivisse in voluntarium exsilium, invidia adversariorum recreatus nocte ea redierat Romam qua incensa erat curia. Petebatque nilo deterius consulatum; aperte quoque tributim in singulos milia assuum dederat. Contionem ei post aliquot dies dedit M. Caelius tr. pl. atque ipse etiam causam egit ad populum. Dicebant uterque Miloni a Clodio factas esse insidias

L’incendio della curia aveva suscitato nella popolazione uno sdegno maggiore rispetto all’uccisione di Clodio. Perciò Milone, il quale si credeva che fosse andato in esilio volontario, rianimato dall’ostilità degli avversari, in quella notte in cui la curia aveva bruciato, era tornato a Roma. E non aspirava affatto meno al consolato: aveva anche pubblicamente distribuito tribù per tribù mille assi per persona. Dopo qualche giorno il tribuno della plebe M. Celio convocò un’assemblea per lui e anche

176

Quanto alla testimonianza di Dione (40.49 , lo storico colloca l’incendio della curia, gli attacchi alle case di Lepido e di Milone, e l’elezione dell’interrè nello stesso giorno, il successivo alla morte di Clodio, e quindi al 19 gennaio. Il racconto di Dione è utile per operare un confronto con la testimonianza di Asconio e permette di supportare il resoconto che il commentatore fa al punto 32.7, oltre che l’interpretazione di Ruebel. Ma lo storico nel narrare di questi fatti ha anche commesso un errore, non indifferente, collocando nello stesso 19 gennaio il decreto senatorio con il quale si ordinava a Pompeo, all’interrè e ai tribuni di provvedere alla salute dello stato, separandolo, tra l’altro,

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