• Non ci sono risultati.

PARTE SECONDA AMERICANA

2. Comporre Americana

Tratteggiato il dibattito critico e delimitati i confini della collaborazione di Lucia Rodocanachi al progetto di Americana, si ricertifica la firma di Vittorini in calce all’antologia ed è possibile ripercorre più serenamente il lavoro di compilazione da parte dello scrittore siciliano.

La scelta da parte di Vittorini di autori e testi della letteratura statunitense comincia verso la primavera del ’40, come già si ricavava in qualche modo dalla lettera del 24 marzo alla stessa Rodocanachi, e tutto l’aprile dello stesso anno sarà impiegato per il lavoro di selezione e reclutamento dei traduttori. Dello stato d’avanzamento dei lavori in questa direzione si avrà un report esaustivo in una seconda lettera (della quale già si accennava) inviata a Valentino Bompiani il 5 maggio 1940:

Caro Bompiani,

sto leggendo tre volumi al giorno: per l’antologia. Quando tornerò a Milano, sabato e domenica prossima, avrò completato il lavoro di scelta. Intanto ho ottenuto che anche Moravia traduca tre racconti. Bene, no? Così i traduttori saranno tutti scrittori.

Coi migliori saluti, Vittorini

Fai avere anche a Moravia, per piacere la lettera impegnativa mandata agli altri. Non importa il numero dei racconti. Basta precisare le 12 lire a pagina del compenso.30

Vittorini scrive a Bompiani da Firenze, prescelta come base operativa per il lavoro preliminare di redazione. Come già si è potuto intuire da alcuni passaggi della corrispondenza relativa al lavoro del Vittorini americanista, il principale centro di rifornimento di letteratura straniera per lo scrittore siciliano è rappresentato infatti dal Gabinetto Vieusseux: la biblioteca del Vieusseux è particolarmente

30 E. VITTORINI, I libri, la città, il mondo. Lettere 1933-1943, a cura di Carlo Minoia, Torino, Einaudi, 1985, p.

102. Successivamente anche in: Caro Bompiani. Lettere con l’editore, a cura di Gabriella D’Ina e Giuseppe Zaccaria, Milano, Bompiani, 1988, pp. 38-39.

fornita di letteratura statunitense, e probabilmente Vittorini in passato si era avvalso della collaborazione dell’amico Montale (direttore sino al 1938), per effettuare “ordinativi” di opere non presenti a catalogo. Da Firenze è dunque possibile sviluppare più compiutamente il processo preliminare di “spoglio”.

Oltre ad individuare i racconti da inserire nel volume Vittorini, nella primavera del ’40, va reclutando i traduttori. Al 18 aprile secondo quanto testimoniato da una minuta autografa vittoriniana (della lettera di collaborazione da inviare ai traduttori), sono già stati coinvolti «Carlo Linati, Piero Gadda Conti, Montale, Umberto Morra, Giansiro Ferrata e, aggiunto in seguito, Moravia».31 La scelta,

come confidato a Bompiani, va nella direzione di avere una squadra di traduttori “tutti scrittori”.

Due con ogni probabilità le motivazioni strategiche retrostanti la decisione vittoriniana. Da un lato lo scrittore disdegna le traduzioni dei cosiddetti “professionisti”, fedele al principio, in seguito enunciato compiutamente, che vede

come «preferibile una traduzione infedele e viva ad una fedele e morta».32 Dall’altro

nel progettare la propria narrazione epica dell’epopea letteraria statunitense, egli probabilmente si rende conto che per dare valore alla costruzione mitografica, per fornirle credibilità e far sì che poi agisca indirettamente sul panorama letterario italiano, deve essere convogliato in esso il meglio delle forze intellettuali del nostro Paese: Vittorini cerca dunque di accumulare sul proprio progetto antologico la maggior quantità possibile – direbbe ancora una volta Bourdieu – di capitale letterario. Per fare questo l’unica strada percorribile, per l’appunto, è quella di reclutare alla causa alcuni tra i più importanti scrittori italiani del momento, facendo tradurre loro i testi dell’antologia: Montale, Moravia e Pavese, saranno le prime parti di una squadra che annovererà, oltre ai nomi sopracitati, anche Guido Piovene ed Enrico Fulchignoni. Il coinvolgimento nelle traduzioni di scrittori ed intellettuali

31 Caro Bompiani… cit., p. 570.

32 E. VITTORINI, Del tradurre, in «La Fiera letteraria», a. IX, n. 29, 3 giugno 1956, p. 6. Ora anche in: ID.,

di prim’ordine potrà garantire ad Americana l’autorevolezza sufficiente per agire sul canone letterario italiano.

Durante l’estate al lavoro di scelta dei testi e reclutamento dei traduttori (che volge al termine), si sussegue la compilazione vera e propria, che proseguirà senza sosta e con ritmi febbrili: Vittorini scrive i pezzi critici di raccordo tra i testi, taglia, sceglie gli scritti che gli vengono mandati, continuando a lavorare, peraltro, anche durante l’abituale soggiorno estivo a Bocca di Magra. Il 23 luglio dal borgo ligure scriverà a Bompiani:

Se hai bisogno che faccia qualcosa di urgente scrivimi: posso lavorare anche da qui. O, se necessario, posso sempre fare un salto a Milano. Scusami se non ti rispondo con un telegramma. Qui non esiste l’ufficio telegrafico e il tempo cammina (come misura minima) col flusso e il riflusso della marea.33

Vittorini è ben consapevole che il progetto antologico deve andare in porto entro la fine dell’anno, e in tutti i casi – per esigenze commerciali della casa editrice – entro le festività natalizie: i tempi stringono. La redazione di Bompiani in questo senso si spinge a «sollecitare la consegna dell’Antologia» a Vittorini: «occorrerebbe che entro agosto almeno 2/3 del materiale fosse già visto e controllato da Voi pronto per la stampa».34

Tornato a Milano Vittorini, per completare il progetto antologico, si accosta a Cesare Pavese, fino a questo momento ancora non coinvolto. Il 10 agosto del ’40 gli scrive dunque proponendogli la collaborazione proposta anche agli altri traduttori:

Caro Pavese,

[…] Da un pezzo volevo scriverti per un’antologia di letteratura americana che sto preparando in conto Bompiani. Vuoi collaborare? Il compenso è di dodici lire la pagina, ogni pagina di duemila lettere circa, cioè pressappoco la pagina della collezione «Medusa» (pagina di traduzione, non di testo). Scrivimi qualcosa al più presto.35

33 Caro Bompiani… cit., p. 570. 34 Ibidem.

Attraverso la corrispondenza con Pavese, che si riporta integralmente (per quel che riguarda i passaggi relativi ad Americana, naturalmente), è possibile avere un resoconto dello strutturarsi dell’antologia nelle sue varie fasi redazionali.36

Nella successiva lettera vittoriniana, datata 21 agosto, si scopre ad esempio che a Vittorini mancano ancora alcuni autori per completare la scelta antologica, e che sono di fatto ancora da scrivere i corsivi di legatura tra un autore e l’altro:

Caro Pavese,

[…] Per l’antologia ti dirò che, ora come ora, ragioni editoriali esigono sia soltanto un’antologia di narrativa. La scelta l’ho già fatta, tranne ancora per qualche autore. E debbo scrivere le «didascalie»: pezzi di legatura tra un autore e l’altro per farne un po’ una specie di storia letteraria […] mancano i saggisti, i poeti, eccetera ma Bompiani mi ha promesso di farmeli fare in una prossima edizione. Collaborano per le traduzioni Montale, Landolfi, Moravia, Linati, Ferrata, Morra e Piero Gadda. Io sarei felice di avere anche la tua collaborazione per esempio per Gertrude Stein e Dos Passos. Non sono riuscito a trovare un racconto della Stein. Mi contenterei di un frammento ma che fosse bello (una ventina di pagine). L’importante è soprattutto che non sia stato ancora tradotto in italiano. Puoi scegliere tu stesso? Mi daresti un grande aiuto. Dos Passos in principio l’avevo escluso. Ma ora che ho messo London e Dreiser debbo mettere anche lui. Potresti pensarci tu, come per la Stein? Inoltre, volendo tradurre altri, potresti prendere qualcuno dei non scelti, ma aspettando che scelga io perché sto leggendo e leggendo. Gli autori che figurano già scelti sono tutti assegnati. Aspetto una tua risposta.37

Vittorini spiega – forse di fronte ad un’offerta di Pavese di traduzioni di testi poetici – che l’antologia raccoglierà solo testi narrativi: di qui la proposta vittoriniana, allo scrittore tornese, di occuparsi di Stein e Dos Passos. Con ogni probabilità sarà lo stesso Pavese ad escludere il secondo dal novero degli scrittori americani da presentare nel volume antologico. Il 29 agosto Vittorini scriverà infatti:

Caro Pavese,

36 Le risposte di Pavese a Vittorini purtroppo ad oggi mancano all’appello. 37 E. VITTORINI, I libri… cit., p. 105.

dunque niente Dos Passos. Sono lieto di avere una conferma così. Per la Stein avevo pensato a te fin dal primo momento. Poi l’estate mi ha fatto ritardare a scriverti. Ora, ad ogni modo, hai accettato. A me sembra importantissima, e vorrei qualcosa di molto significativo, una Melanctha, solo un po’ più breve. Non ho potuto trovare racconti in tal senso. Mi contenterei d’un pezzo di libro, quello che tu dici, Everybody’s Autobiography, ma che fosse bello e potesse stare a sé senza fastidio eccessivo per lo scemo lettore. Se ci sono diritti da pagare Bompiani pagherà, ma credo che i libri pubblicati prima del ’24 siano fuori diritti. Di quando è Everybody’s Autobiography? In ogni caso tu puoi cominciare subito e mandarmi la traduzione al più presto: venti, trenta pagine. Ma dovresti fare anche qualcosa d’altro. Vuoi Thomas Wolfe? Vuoi James Farrell? Cabell (James Branch Cabell?) l’avevo escluso, considerandolo una specie di Hergesheimer, ma se tu mi dici che mi sbaglio posso riesaminare il caso. Lo vorresti tu? E che cosa sceglieresti? Credo ci si dovrebbe contentare del solito Porcelain cups che figura in tutte le antologie americane. Sono restio a prendere pezzi di romanzo, specie per autori secondari.38

Assodata la collaborazione dello scrittore torinese per la Stein, della quale rimangono solo da definire i dettagli, Vittorini chiede a Pavese di accollarsi la traduzione anche di altri autori, dall’elenco dei prescelti. Pavese, che avrebbe voluto tradurre il Billy Bud di Melville, autore prediletto sin dalla celeberrima traduzione del

Moby Dick, si adombra del fatto che il compito sia stato affidato a Montale, secondo

quanto si può dedurre, di riflesso, dalla lettera di Vittorini del 19 settembre successivo:

Caro Pavese,

mi dispiace che ti sia seccato di Melville. Ma è Montale che lo fa, e ha insistito tanto per farlo (avendo anche bisogno di mettere insieme il maggior numero di pagine possibile), e io gli sono troppo amico. Ti ringrazio, ad ogni modo, di avermi detto che ti è seccato.

Aspetto intanto la Stein. Per la fine del mese? Mi raccomando: almeno una trentina di pagine – e un bel blocco unito – qualcosa di significativo anche nel senso del suo apporto stilistico alla lett.[eratura] am.[ericana]. Melanctha avrei voluto, se non fosse già pubblicata.

Perché, inoltre, non faresti Thomas Wolfe? Sai bene che è uno scrittore importantissimo. Conosci i suoi racconti? Esito ancora tra A Portrait of Bascom

Hawke e due come The four lost men e Only the Dead know Brooklyn. Mi fai piacere

se accetti di tradurlo. Me lo ero riservato per me, ma ora, stringendo i tempi, ho paura di non arrivarci. Scrivimi.39

38 Ivi, p. 107. 39 Ivi, p. 109.

Vittorini continua ad insistere con Pavese perché questi si prenda in carico uno dei racconti di Thomas Wolfe che nella missiva seguente, del 26 settembre, si specificherà in A Portrait of Bascom Hawke.

Caro Pavese,

hai avuto la mia ultima lettera? Desidero sapere se puoi mandarmi la Stein per la fine di questo mese. E se accetti di fare Thomas Wolfe. Io mi sono deciso, alla fine, per A Portrait of Bascom Hawke. Lo conosci? Sono ottanta pagine. Me lo puoi dare per il 12 ottobre se lo fai? Per piacere, rispondimi presto.

Volevo unire all’antologia un’appendice che raccogliesse i migliori articoli pubblicati in Italia sugli americani. Che ne pensi? Esito solo perché ho paura di non trovare nulla di buono su Poe, Hawthorne e James. E molto invece su altri…40

Dalla prosecuzione della corrispondenza si ricava, implicitamente, il sostanziale rifiuto di Pavese ad estendere la propria collaborazione al di là della traduzione di Gertrude Stein. Nella lettera emerge corsivamente anche l’idea vittoriniana di corredare l’antologia con un’appendice costituita dai “migliori articoli pubblicati in Italia sugli americani”: il progetto di un’antologia critica all’interno dell’antologia letteraria – nella quale il contributo di Pavese non potrebbe certo mancare – non avrà seguito. Perlomeno non nei termini delineati da Vittorini: una versione distorta di quest’idea avrà sviluppo, come si vedrà compiutamente più avanti, nel momento in cui Emilio Cecchi sarà chiamato a mettere mano ad Americana, incagliata nei bassi fondali della censura ministeriale.

Vittorini in tutti i casi, tra la fine di settembre e gli inizi di ottobre, riceve da Pavese il manoscritto della traduzione (inedita) dell’Everybody’s Autobiography di Gertrude Stein, prosecuzione dell’Autobiography of Alice Toklas (precedentemente pubblicata da Einaudi, nel ’38, nella traduzione dello stesso Pavese). Leggendo il testo lo scrittore siciliano probabilmente si rende conto che non risulta adatto al progetto antologico: possiamo immaginare più che altro per gli aspetti

maggiormente cronachistici, che di primo acchito lo relegherebbero ad un ambito diverso, meno legato alla narrativa di carattere fictionale e più vicino a territori saggistico-diaristici. Sulla scorta di riflessioni di questo genere, si può immaginare, il 2 ottobre del ’40, scrive a Pavese proponendo, per l’antologia, una sostituzione del testo con parti di Melanctha (sebbene già pubblicato da Einaudi quello stesso anno in Tre esistenze):

Caro Pavese,

ho avuto il manoscritto, è ottimo, ma vorrei tenerlo per la successiva edizione di cui ti parlai (quella in cui saranno inclusi i poeti, i saggisti eccetera). Mettendolo in questa risulterebbe troppo strano che poi manchino Adams, Mencken e altri. In sostituzione ristamperei Melanctha se tu e l’editore me ne date il permesso. A te, per la ristampa, Bompiani darebbe un compenso di cinquecento lire. Se va bene avvertimi subito, così penso a passare il racconto in composizione. E spero che vada bene perché sono in un vicolo cieco. Quanto all’appendice coi migliori articoli (o prefazioni) italiani sugli americani la faccio a parte dai capitoletti integrativi: una documentazione; e perché tante cose buone non vadano perdute. Puoi mandarmi tu stesso i tuoi scritti del genere? Abbi pazienza.41

A questo punto la richiesta vittoriniana passa direttamente a casa Einaudi, alla quale Vittorini si rivolge immediatamente per ottenere il permesso di riproduzione. Di seguito la corrispondenza intercorsa tra la metà e la fine di ottobre tra Vittorini e la casa editrice torinese:

[15 ottobre 1940] Caro Sig. Einaudi,

può darmi il permesso di riprodurre (in tutto o in parte) la novella Melanctha, pubblicata nel volume Tre esistenze della Stein, per un’antologia della letteratura

americana dalle origini sino ad oggi, che sto preparando? Melanctha è, a me sembra,

l’unica cosa narrativa veramente bella della Stein: e l’antologia è narrativa. Stabilisca una somma per il permesso di riproduzione, se crede. L’editore, che è Bompiani, può accordarsi con Lei per i Suoi diritti sulla traduzione di Pavese nel modo che Lei preferisce.42

[24 ottobre 1940 – Einaudi a Vittorini]

41 Ivi, p. 111. 42 Ivi, p. 112.

tutta Melanctha non posso lasciarvela pubblicare, perché altrimenti chi vuol leggere Tre esistenze fa un affare a comprare la tua antologia, dove troverebbe praticamente, oltre agli autori, quel poco che di leggibile ha scritto Gertrude Stein. Traete da Melanctha un pezzo di vostro gusto e pubblicatelo: 20-30 anche 50 pagine.43

[31 ottobre 1940] Caro Einaudi,

ti sono molto grato. Ho scelto trentotto pagine di Melanctha, episodi vari, che ho messo insieme in successione col titolo Storie di Melanctha, e una nota di richiamo a Tre esistenze. Stavo per dare a ritradurre Melanctha tutta intera (e sarebbe stato un grave contrattempo per l’antologia) quando è arrivata, per fortuna, la tua lettera. A Pavese pagheremo il compenso per pagina che diamo agli altri, come se la traduzione fosse nuova. Grazie anche da Bompiani.44

Con l’inserimento di parti scelte da Tre esistenze di Gertrude Stein, nella traduzione di Cesare Pavese, con ogni probabilità Vittorini può collocare il tassello mancante per la chiusura del progetto antologico, che senza la soluzione d’urgenza (e di ripiego) avrebbe rischiato di subire notevoli ritardi e di mancare l’uscita durante le festività.

Agli inizi di novembre si può presumere che l’antologia di scrittori statunitensi sia pressoché pronta: il titolo del progetto antologico sarà Americana, mutuato forse, secondo quanto ipotizza Raffaella Rodondi, dall’«omonima e notissima rubrica di

Mencken sull’«American Mercury».45

43 Ibidem. 44 Ivi, p. 113. 45 Ivi, p. 165.

3. L’edizione “Bompiani-Bo” (aprile 1941)

Una volta portata a termine la composizione dell’antologia rimane solo un ultimo importante passaggio da affrontare: si tratta di sottoporre Americana al vaglio del Ministero della Cultura Popolare, al fine di ottenere il nulla osta alla stampa. È un’operazione di routine, una prassi consolidata. In Italia non esiste una censura preventiva, ma onde evitare grossi danni economici, gli editori prima di spingere a pieno regime i torchi tipografici si sincerano presso il Ministero, che ciò che stanno per pubblicare non sia inviso alla politica culturale del regime. Valentino Bompiani, più di venticinque anni dopo l’uscita di Americana, nella già citata intervista su «La Fiera Letteraria», avrebbe dato conto di questo genere di dinamiche, nel funzionamento della macchina censoria, durante il Ventennio:

Molti sanno che durante il periodo fascista non esisteva una censura preventiva, esisteva però il tacito, mai dichiarato, obbligo di sottoporre al ministero della Cultura Popolare, i libri che si volevano pubblicare. Le vie che il Ministero della Cultura Popolare seguiva per dire di no, erano diverse: la più facile era quella di non rispondere mai; il libro giaceva per anni in qualche cassetto di qualche funzionario non identificabile. Un altro modo era quello di lasciarlo pubblicare e poi farlo sequestrare il giorno dopo, o due giorni dopo. Un altro era quello di trattare.46

Così, ai primi di novembre del 1940, Vittorini manda in composizione le bozze di Americana, e man mano che queste vengono stampate, sono inviate, sotto forma di sedicesimi sciolti, in lettura al Ministero della Cultura Popolare, presieduto da Alessandro Pavolini.

Esattamente negli stessi giorni nei quali vengono stampate le bozze dell’antologia, Bompiani è a Roma, proprio di fronte al Ministro: l’editore milanese a Pavolini anticipa l’indice dei materiali contenuti in Americana e chiede se vi siano

per i testi scelti “limitazioni nelle traduzioni”, ovvero se qualcuno dei racconti o degli autori presenti possa risultare problematico per la concessione del nulla osta alla stampa. L’incontro sembra andare a buon fine: nella sua analisi preliminare dell’indice il Ministro non riscontra titoli particolarmente sgraditi, in ogni caso si riserva di analizzare in maniera più approfondita le bozze che stanno arrivando.

La preventiva visita da parte di Bompiani al dicastero incaricato della censura merita in ogni caso uno sguardo ravvicinato, poiché dà conto di importanti dinamiche, utili a comprendere le interazioni delle forze in campo. Della consuetudine di Bompiani con gli uffici del MinCulPop un precedente significativo, nello stesso 1940 (sempre per ciò che concerne la letteratura statunitense), aveva riguardato la pubblicazione di Piccolo Campo del Signore: «Osiamo dire che è in grazia al nostro vivo interessamento che si è potuta ottenere l’autorizzazione per God’s

Little Acre»47 scriveva Bompiani allo stesso Caldwell (s’è visto nella prima parte),

quasi vantando un trattamento di favore precluso agli altri editori. Effettivamente, come Giuliano Manacorda ha messo in rilievo, i rapporti di Bompiani con il Ministro Pavolini erano ottimi, e si mantenevano da tempo sul filo di una sussiegosa amicizia.

Nello stesso anno in cui prendeva le mosse quella che sarebbe divenuta la tormentosa vicenda censoria di Americana, Bompiani aveva proposto a Pavolini di partecipare a vari progetti editoriali cari al regime: dalla collaborazione al primo numero della rivista «E-42», commissionata all’editore milanese dalla direzione dell’Esposizione Universale, alla compilazione di una voce del monumentale

Dizionario delle opere che illustrasse «le opere del Duce nel loro valore letterario,

potentemente innovatore e nella loro portata umana e politica».48 Pavolini, sempre

gentilmente, aveva declinato, forse più che per disinteresse, per ragioni di indipendenza nell’esercizio della propria funzione di Ministro. In un contesto simile aggiunge Manacorda, ad ulteriore testimonianza della buona qualità dei rapporti esistenti, va rilevato che nel 1942 lo stesso Pavolini si sarebbe speso personalmente

47 Caro Bompiani… cit., pp. 49-50.

per far ottenere all’editore milanese un congedo dal servizio militare «adducendo l’assoluta necessità della sua presenza per l’attività della Casa Editrice».49

Dall’insieme di questi fatti si è legittimati a supporre in effetti una solida amicizia tra Bompiani e Pavolini, oltre che un collaborazionismo fattivo da parte dell’editore milanese nel contesto della politica culturale fascista.

Questa amicizia tra il ’40 e il ’41 verrà tuttavia attraversata da un «momentaneo

Documenti correlati