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Lucia Rodocanachi: una ghost per Americana?

PARTE SECONDA AMERICANA

1. Lucia Rodocanachi: una ghost per Americana?

Solitamente si fa iniziare la ricostruzione narrativa dell’avventura di Americana, con una lettera del 5 maggio 1940, di Elio Vittorini a Valentino Bompiani: lettera che vedremo di seguito, e che dà conto dell’avanzamento del lavoro compositivo per l’antologia. Sino ad oggi questa testimonianza epistolare è stata sempre citata come la prima notizia utile nel ricostruire il percorso editoriale del volume dedicato

alla narrativa statunitense. È tuttavia possibile farla precedere da un’altra

testimonianza, già resa nota da Andrea Aveto nel 2004,8 ed oggi pervenuta a

maggior visibilità grazie alla pubblicazione in volume del carteggio Vittorini- Rodocanachi. Si tratta per l’appunto di una missiva di Vittorini a Lucia Rodocanachi datata 24 marzo 1940:

Preparo un’antologia di scrittori americani dalle origini ad oggi ma non so che genere di collaborazione chiederle. Le chiederò magari se ha da suggerirmi qualche racconto che io non conosco –9

La lettera va presa in considerazione poiché costituisce il primo picchetto cronologico certo, ad oggi conosciuto, per quel che riguarda la redazione del progetto antologico vittoriniano, ma soprattutto perché chiama in causa direttamente Lucia Rodocanachi, l’ormai nota traduttrice segreta. Sebbene la lettera per la traduttrice di Arenzano non sembri prevedere implicazioni dirette, o ruoli strutturali, nel processo redazionale, con la sua stessa esistenza impone un’indagine dettagliata della questione della partecipazione della négresse alla compilazione dell’antologia. Indagine che è bene dipanare preliminarmente alla ricostruzione della vicenda editoriale e censoria di Americana.

Nella prima parte si accennava a come, grazie alle scoperte di Giuseppe Marcenaro, a partire dalla fine degli anni Settanta – e man mano che il patrimonio di carte di Lucia Rodocanachi ha cominciato ad emergere dall’ombra – si siano cominciate ad addensare nubi sull’attività di traduttore di Elio Vittorini: ad essere messa fortemente in discussione, tra le altre cose, è stata anche la paternità vittoriniana del progetto antologico di Americana.

8 Vd. ANDREA AVETO, Elio Vittorini. Lettere a Lucia Mopurgo Rodocanachi (1933-1943), tesi di dottorato,

XVII ciclo, Università degli Studi di Genova, Facoltà di Lettere e Filosofia, anno accademico 2003-2004.

9 E. VITTORINI, Si diverte tanto a tradurre? Lettere a Lucia Rodocanachi 1933-1943, a cura di Anna Chiara

Lucia Rodocanachi moriva il 2 maggio del ’78: appena dopo la morte, nel numero di aprile-maggio di quello stesso anno, della rivista «pietre», appariva un articolo firmato da Marcenaro. Lo studioso e scrittore genovese – che aveva avuto modo di conoscere personalmente la traduttrice di Arenzano una decina di anni prima – nell’articolo sosteneva che man mano che le carte della négresse inconnue sarebbero state «ordinate e studiate», a risarcimento di un oblio immeritato, sarebbe emerso l’alto profilo dell’intellettuale di origini triestine, e tra le altre cose si sarebbe potuto «svelare finalmente che uno dei più noti libri del dopoguerra – Americana, curato da Elio Vittorini – è stato quasi interamente tradotto da lei».10

L’affermazione – che probabilmente va recepita nel contesto di un affettuoso epitaffio intellettuale (e che va perciò ridimensionata) – apriva a scenari di radicale ristrutturazione del canone letterario nazionale. Tuttavia, complice forse l’appartata sede di pubblicazione (la rivista «pietre», diretta dallo stesso Marcenaro), l’articolo non costituiva lo spunto iniziale per un doveroso dibattito critico sul tema. In seguito, e solamente a circa dodici anni di distanza, la tesi veniva ripresa dallo studioso genovese in modo più circostanziato, in un secondo e più mirato intervento sulla questione:

Le ‘delusioni’ vittoriniane per Lucia non erano però finite. Lui le procurò certo delle traduzioni che lei finalmente firmò con proprio nome, quali Gli

elisir del diavolo di Hoffmann, ma le negò, tenendola ancora nell’ombra, il

piacere e l’onore ufficiale d’aver collaborato attivamente ad Americana, la mitica antologia degli scrittori d’oltre Oceano. […] Fu a lei che ancora una volta Vittorini si rivolse, senza sbagliare, quando si profilò l’idea di Americana, l’antologia ‘inventata’ da Cesare Pavese ed Elio Vittorini, per far scoprire agli italiani di Fine Ventennio i grandi scrittori americani. La storia di questo libro famoso è troppo nota perché la si debba raccontare, ma come tutte le cose ovvie e di profilo consolidato, anche Americana ha una storia parallela: «Mi suggerisca lei, per favore, lei che ha letture illimitate, autori e racconti americani…». La fama di Lucia Rodocanachi quale straordinaria e attenta lettrice, come s’è visto, era notissima tra i letterati suoi contemporanei. […] «…Non soltanto» insisteva Vittorini «dovrebbe suggerirmi racconti di autori americani, come già le ho scritto. Potrebbe prepararmi le traduzioni letterali? Sto preparando per Bompiani un’antologia e il suo aiuto mi è indispensabile…».

Così tutto tornava all’iniziale schiavitù. Nonostante gli anni il «legame» con la disponibile e silenziosa signora continuava ad essere fondamentale per Vittorini, a patto che rimanesse sempre nell’ombra.11

L’eco dell’intervento di Marcenaro, apparso stavolta su un settimanale ad ampia diffusione, generava un dibattito giornalistico di portata considerevole. Le dichiarazioni dello studioso, mettendo potenzialmente sotto accusa di frode uno dei traduttori in assoluto più importanti degli anni Trenta (il cosiddetto decennio delle traduzioni), aprivano il campo ad una serie di considerazioni dalle quali la figura di Vittorini usciva fortemente opacizzata.

A risarcire Vittorini della proprietà intellettuale di Americana ha contribuito

successivamente Andrea Aveto 12 che, carte alla mano, ha revisionato le

affermazioni di Marcenaro, mostrando come queste fossero, in certa misura, ingenerose nei confronti di Vittorini (e al tempo stesso forse troppo generose nei riguardi della négresse inconnue). Aveto, studiando attentamente i carteggi, ha messo in rilievo come le uniche traduzioni vittoriniane di Americana, per le quali è possibile certificare con certezza una collaborazione di Lucia Rodocanachi (per la solita prima stesura, poi rielaborata e fatta propria dallo scrittore siciliano), siano di fatto soltanto due, peraltro non commissionate specificamente per la redazione dell’antologia, ma appartenenti al repertorio dei racconti già pubblicati in rivista (si tratta delle già citate traduzioni di Wash Jones di William Faulkner, precedentemente

comparso su «Letteratura»,13 e di Haircut di Ring Lardner, precedentemente

pubblicato su «Omnibus»).14 Uscendo dalla giurisdizione vittoriniana, la firma della

Rodocanachi va certamente restituita anche ad uno dei dieci racconti tradotti da

11 G. MARCENARO, Vittorini dritto d’autore, in «Epoca», a. XLI, n. 2071, 14-20 giugno 1990, pp. 90-96. 12 A. AVETO, Traduzioni d’autore e no. Elio Vittorini e la “segreta” collaborazione con Lucia Rodocanachi, in AA.VV.,

Lucia Rodocanachi: le carte, la vita, a cura di Franco Contorbia, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2008, pp. 153-192.

13 WILLIAM FAULKNER, Gli eroi, in «Letteratura», a. II, n. 6, aprile 1938, pp. 107-115 (comparso poi, con il

titolo originale Wash Jones, in Americana. Raccolta di narratori dalle origini ai giorni nostri, a cura di Elio Vittorini, Milano, Bompiani, 1942, pp. 770-780).

14 RING LARDNER, Un magnate del teatro, in «Omnibus», a. II, n. 15, 9 aprile 1938, p. 5 (comparso poi in

Montale per l’antologia curata da Vittorini. Il poeta ligure il 2 settembre del ’40 infatti scriveva all’amica:

Può darsi che ti mandi un libro di Faulkner con una novella da tradurre in

pochi giorni (“That evening sun”). Ma qui il compenso è a forfait con altri lavori

e così non posso precisarti un compenso; saranno poche lire da aggiungere alle 1.000 dello Steinbeck. Non m’importa dello stile; ma cerca di non lasciare parole in bianco.15

La “novella” faulkneriana, tradotta dalla Rodocanachi, comparirà in Americana col titolo Il sole della sera,16 e il tenore della missiva induce a pensare che Montale

non vi abbia praticamente messo mano. In definitiva sarebbero tre i racconti riconducibili in qualche modo al lavoro traduttorio della Rodocanachi, e di questi solamente uno, di fatto, preparato specificamente per l’antologia. Certo, ciò non consente di escludere in linea di principio che la négresse abbia avuto mano anche in altri passaggi. Come avverte ancora una volta Andrea Aveto: «qualora ulteriori lettere emergessero, non sarebbe certo sorprendente che altre pagine dell’antologia fossero riconducibili alle cure della segreta collaboratrice».17

Lo stesso Aveto, nella sua dettagliata analisi, rileva tuttavia come le citazioni sopra riportate da Marcenaro – relative alle presunte richieste d’aiuto e collaborazione alla Rodocanachi da parte di Vittorini – di fatto non siano suffragate da fonti epistolari di sorta nel Fondo Mopurgo Rodocanachi (oggi conservato presso la Biblioteca Universitaria di Genova).18 L’unico riferimento ad Americana

presente tra le carte del fondo, ricorda Aveto, è costituito dalla lettera, datata 24 marzo 1940, poco sopra citata: lettera, che come già si diceva, non consente in alcun modo di avvalorare l’ipotesi di un lavoro fattivo da parte della négresse per la raccolta curata da Vittorini.

15 G. MARCENARO, Un’amica di Montale. Vita di Lucia Rodocanachi, Milano, Camunia, 1991, pp. 140. 16 Vd. Americana… cit., 1942, pp. 750-769.

17 A. AVETO, Traduzioni… cit., p. 168.

18 Il Fondo Mopurgo Rodocanachi, in anni relativamente recenti (tra fine anni Novanta e inizio anni

Duemila) è stato acquistato dalla Biblioteca Universitaria di Genova proprio dalla Fondazione della rivista «pietre»: rivista diretta da Giuseppe Marcenaro e costituitasi a Fondazione il 6 maggio 1980, al fine di gestire tra le altre cose, anche il patrimonio di carte di Lucia Rodocanachi.

Fondamentalmente sulla stessa linea di Aveto, Edoardo Esposito, che nell’introduzione alla recente pubblicazione delle missive vittoriniane alla négresse

inconnue, tra le altre cose evidenzia implicitamente (con il semplice utilizzo del “sic!”

tra parentesi quadre), come la conoscenza della vicenda di Americana da parte di Marcenaro – nonostante lo stesso Marcenaro la definisse “troppo nota perché la si debba raccontare” – non dovesse essere particolarmente approfondita: nel ’78 sulla rivista «pietre», s’è visto, definiva l’antologia “uno dei libri più noti del dopoguerra” (quando la prima edizione risale al 1942); nel ’90, su «Epoca», addirittura ne co- intestava l’ideazione a Cesare Pavese (che ebbe invece solamente il ruolo di traduttore).

Al di là della non perfetta conoscenza da parte di Marcenaro della vicenda editoriale dell’antologia, il dibattito sul tema, particolarmente acceso nei toni, è tuttora apertissimo: tanto che proprio la pubblicazione in volume del carteggio da parte di Esposito ed Anna Chiara Cavallari, ha determinato un nuovo intervento giornalistico da parte dello studioso genovese. Sulle colonne del «Venerdì», il 6 gennaio scorso, recensendo la pubblicazione, egli ha ribadito la presenza delle due lettere di richiesta d’aiuto da parte di Vittorini già citate nel 1990:

Per altro nell’odierna edizione […] mancandone alcune [lettere], riferite alla vicenda della pubblicazione della celebrabile antologia Americana, di cui Vittorini fu il deus ex machina. Piccolo scrap: 11 aprile 1940: «Non soltanto dovrebbe suggerirmi racconti di autori americani, come già le ho scritto. Potrebbe prepararmi traduzioni letterali? Sto preparando un’antologia e il suo aiuto mi è indispensabile». Che echeggia una precedente lettera: 29 gennaio 1940: «Mi suggerisca lei, per favore, cara signora, lei che ha letture illimitate, autori e racconti americani».19

Marcenaro nel recentissimo articolo, oltre a fornire le date di riferimento per le missive (prima non esplicitate), sembra sollevare velatamente un appunto di negligenza rivolto ai curatori del carteggio appena pubblicato, che sarebbe deficitario proprio delle due lettere in questione.

Il caso si fa tuttavia enigmatico, poiché le due lettere alle quali si fa riferimento, come già si accennava, sembra non siano più (o non siano mai state) reperibili: Aveto, primo editore del carteggio, oltre a certificare l’assenza delle missive nel Fondo Mopurgo Rodocanachi, contestualmente ricorda infatti come anche Ferretti nel suo L’editore Vittorini desse conto della mancanza, a partire perlomeno dal 1992.20 Se già nei primi anni Novanta non vi era traccia delle lettere (sulle quali

Marcenaro costruisce la propria tesi di un’Americana co-firmata da Lucia Rodocanachi), da quali fonti archivistiche cita Marcenaro?

Provando a parafrasare una riposta, che Marcenaro non affida alla pagina

scritta,21 possiamo riassumere come segue: le lettere del 29 gennaio e dell’11 aprile

1940 un tempo esistite, potrebbero essere state sottratte dai fondi archivistici da “mani amiche” (ovvero da qualcuno che non voleva che per Americana fosse messa in discussione la paternità vittoriniana), ed oggi di fatto risultano disperse. Lo studioso genovese rivela contestualmente di aver avuto modo di copiare i due brevissimi lacerti testuali al cospetto della stessa Rodocanachi, in occasione di uno dei vari incontri di persona: la négresse avrebbe mostrato le lettere a Marcenaro, che avrebbe avuto modo di trascriverne corsivamente parte del contenuto, prima che la “cara signora” le riponesse gelosamente nei propri cassetti (in questo contesto l’autorialità vittoriniana delle citazioni sarebbe dunque da affidare ad “autografi” di mano dello stesso Marcenaro). L’affidamento ad appunti manoscritti e l’assenza di “copie conformi” all’originale, spiegherebbe in qualche modo le discrasie testuali tra le due versioni delle missive che lo studioso presenta (la prima volta nel 1990 su

«Epoca», la seconda volta lo scorso 6 gennaio su «Il Venerdì»).22

20 G. FERRETTI, L’editore… cit., p. 22.

21 Giuseppe Marcenaro, disponibilissimo a confrontarsi sul tema, è stato intervistato telefonicamente da

chi scrive in questa sede.

22 Tra i testi di «Epoca» e i testi del «Venerdì» si registrano piccole incongruenze: la scomparsa dell’articolo

“le” e del “per Bompiani” nel piccolo scrap dell’11 aprile 1940; l’apparizione di “cara signora”, precedentemente assente, nella missiva del 29 gennaio. Le incongruenze potrebbero tuttavia essere dovute ad esigenze di taglio da parte delle testate giornalistiche, più che ad una trascuratezza del Marcenaro copista (trascuratezza in fase di trascrizione, della quale tuttavia lo studioso, talvolta, è stato indirettamente rimproverato dal mondo accademico: vd. G. FERRETTI, L’editore… cit., p. XV).

In tutti i casi dopo la morte della traduttrice, di queste lettere si sarebbero perdute le tracce. Un omissis doloso, si diceva, quello per il quale sembra propendere lo studioso genovese, il quale ha sempre ribadito, anche in anni recenti, la necessità

di dar conto dell’«ancora irrisolto (volutamente?) apporto di Lucia ad Americana».23

Necessità condivisibile in linea generale, ma difficilmente perseguibile in assenza degli originali di cui si discute.24

Il dibattito sulla questione è di fatto ancora acceso, anche perché il mondo accademico-scientifico, fatica a sviluppare ipotesi di revisione del canone in base all’aleatorietà delle testimonianze in campo: ovvero in base a lacerti non autografi, che andrebbero certificati sulla base della testimonianza orale del copista (per quanto autorevole). L’auspicio è naturalmente che il piccolo giallo storico-critico possa essere dipanato: che gli originali delle lettere di cui si discute possano riemergere dall’ombra; o che alternativamente le generiche accuse di sottrazione

avanzate da Marcenaro trovino un indiziato.25

A questi elementi, se si volesse portare l’analisi dei testi ad un ulteriore livello di indagine bisognerebbe aggiungere che l’originalità delle lettere che Marcenaro mette in campo, potrebbe essere messa in discussione da ragioni di coerenza interna. Se rilette in successione cronologica infatti emergono alcune discrasie difficilmente motivabili:

[29 gennaio]

Mi suggerisca lei, per favore, cara signora, lei che ha letture illimitate, autori e racconti americani

23 G. MARCENARO, Testamenti. Eredità di maitresse, vampiri e adescatori, Milano, Bruno Mondadori, 2012, p.

19.

24 L’assenza delle missive nel carteggio recentemente pubblicato (vagamente deprecata da Marcenaro), in

assenza degli originali, è dunque pienamente giustificata: a meno che non si voglia pensare che i curatori siano in qualche misura coinvolti nella sospettata sparizione.

25 L’eventuale sottrazione delle due testimonianze autografe vittoriniane, dalle carte della Rodocanachi, a

questo punto andrebbe presumibilmente datata al periodo antecedente la morte della traduttrice: dal ’78 in poi il patrimonio di carte entrò infatti a far parte delle disponibilità della rivista «pietre», diretta dallo stesso Marcenaro. L’affidamento materiale degli epistolari a Marcenaro, in qualche modo tutore della memoria di Lucia Rodocanachi, dovrebbe costituire garanzia di conservazione del fondo archivistico nella sua integrità. Resterebbe da capire chi oltre a Marcenaro possa aver avuto accesso alle carte della Rodocanachi prima che questa morisse.

[24 marzo]

Preparo un’antologia di scrittori americani dalle origini ad oggi ma non so che genere di collaborazione chiederle. Le chiederò magari se ha da suggerirmi qualche racconto che io non conosco –

[11 aprile]

Non soltanto dovrebbe suggerirmi racconti di autori americani, come già le ho scritto. Potrebbe prepararmi [le] traduzioni letterali? Sto preparando un’antologia [per Bompiani] e il suo aiuto mi è indispensabile

Il 29 gennaio Vittorini chiederebbe suggerimenti (non viene tuttavia specificato se l’aiuto richiesto riguardi nello specifico la redazione dell’antologia Americana). Due mesi dopo circa, nella lettera del 24 marzo (delle tre l’unica effettivamente presente all’interno del carteggio) ci si trova al cospetto di un Vittorini che sembra non ricordare di aver vergato la missiva precedente: spiegherebbe alla Rodocanachi che sta preparando un’antologia di scrittori americani (stando al frammento del 29 gennaio la traduttrice dovrebbe già essere a conoscenza della cosa) e le confessa di non sapere esattamente “che genere di collaborazione chiederle”: chiederà magari se ha da suggerire “qualche racconto” a lui sconosciuto. Anche queste ultime affermazioni si porrebbero in aperta contraddizione con la missiva inviata a fine gennaio: si deve pensare di essere al cospetto di un Vittorini del tutto immemore dell’aver chiesto, appena due mesi prima, un aiuto abbastanza circostanziato per l’antologia Americana?

A porsi in contrasto con la lettera del 24 marzo, tuttavia è anche l’ultimo passaggio epistolare citato da Marcenaro (quello risalente all’11 aprile). Lo scrittore ripeterebbe ancora una volta che va preparando un’antologia di scrittori americani: sarebbe la terza occasione in cui Vittorini informa Lucia Rodocanachi di questo, peraltro, anche in questo caso, con toni da notizia fresca (e il fatto pare quantomeno singolare). Non solo, lo scrittore siciliano con il “piccolo scrap” risalente ad aprile ribalterebbe nuovamente le carte, tornando a chiedere una collaborazione urgente e “indispensabile” (mentre poco più di due settimane prima sembrava del tutto facoltativa), oltre che per “suggerimenti” anche per “traduzioni”.

Di fatto i due lacerti epistolari esposti da Marcenaro sembrano concordare tra loro, ma risultano in larga parte discordanti con l’unica lettera di cui si ha testimonianza certa. Questi elementi, uniti al fatto che lo stesso Marcenaro confessa di aver effettuato le trascrizioni corsivamente, in uno dei fugaci incontri con la Rodocanachi, fanno vacillare l’affidabilità delle trascrizioni stesse.

«Un’ulteriore considerazione» aggiunge Andrea Aveto «osta a conferire alla signora Rodocanachi una posizione di imprescindibile rilievo nel ruolo di segreta e ascoltata suggeritrice»:

[…] sin dalla fine del 1937, in concomitanza con gli esordi di Vittorini come critico di letteratura inglese e americana su «Omnibus» e su «Letteratura» e con l’intensificarsi della sua attività editoriale presso Mondadori e, a partire dall’aprile dell’anno successivo, presso Bompiani, la loro corrispondenza offre l’immagine di un rapporto di ‘consulenza’ a parti esattamente invertite rispetto a quanto l’articolo di «Epoca» indurrebbe a credere, con la signora intenta a sollecitare consigli di lettura per le ultime novità d’oltreoceano e lo scrittore da par suo benevolmente disposto ad assecondarne i desiderata […].26

In tutti i casi, qualora fortunosamente dovessero riemergere gli originali delle lettere parzialmente citate da Marcenaro, l’autorialità vittoriniana di Americana sarebbe in qualche modo corrotta? Si dovrebbe pensare per il progetto antologico ad una co-intestazione per Lucia Rodocanachi?

Risulta davvero difficile poterlo pensare. Anche qualora la signora Rodocanachi avesse collaborato, come già in precedenza, fornendo a Vittorini consigli di lettura o traduzioni in prima stesura, sul progetto antologico l’impronta vittoriniana rimarrebbe in primo piano e non verrebbe in nessun modo sovrascritta (come Marcenaro arriva in qualche modo a supporre). Vittorini, infatti, se da un lato si avvarrà della collaborazione di tanti per Americana (per traduzioni e consigli rispetto ai testi da antologizzare), dall’altro opererà sempre in prima persona le scelte dei testi e degli autori da inserire: esemplare in questo senso sarà il rapporto con

Pavese, come vedremo.27 Bompiani interpellato all’epoca delle polemiche innescate

dall’articolo di Marcenaro su «Epoca», dichiarava: «discutere chi veramente ha fatto

Americana è privo di senso» poiché «la collaborazione è stata la forza della casa

editrice».28 La dichiarazione, «se non apparisse scientemente calibrata per sfumare la

portata delle accuse mosse a Vittorini, rischierebbe di suonare ingenerosa nei

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