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composizione in acidi grassi delle bistecche di bovino, agnello suino (Enser at al 1996)

3 . 5 . 1

E f f e t t i d e g l i a c i d i g r a s s i s u l l a q u a l i t à d e l l a

c a r n e

Negli ultimi anni c’e stato un crescente interesse per le tecniche che permettono la manipolazione degli acidi grassi della carne. Questo perché la carne è considerata un importante fonte di grassi all’interno della dieta ed in particolare di SFA, che sono stati correlati ad alcuni fattori di rischio per malattie associate alla vita moderna, in particolare nei paesi più sviluppati. Queste comprendono vari tumori e soprattutto le malattie coronariche. Nel Regno Unito, il dipartimento della sanità (1994), ha raccomandato la riduzione del 30% dell’assunzione di grassi. Allo stesso tempo, il rapporto consigliato tra PUFA e SFA (P/S) deve essere aumentato a livelli superiori a 0,4. Dato che alcune carni hanno in natura un rapporto P/S di circa 0,1, esse sono considerate una delle cause di un apporto non equilibrato di acidi grassi nell’alimentazione. Un rapporto n6/n3 troppo elevato favorisce la comparsa di malattie

coronariche (Enser, 1996). Il rapporto n-6/n-3 raccomandato è inferiore a 4, purtroppo però molte carni superano questo valore. La crescente consapevolezza della necessità di diete che contengono livelli più elevati di PUFA n-3 è concentrata sull’importanza della carne come fonte naturale di questi acidi. Il rapporto n6/n3 è particolarmente vantaggioso, ovvero basso, nella carne dei ruminanti, in particolare in animali che hanno mangiato erba fonte di elevati livelli di 18:3 n-3.

I ruminanti inoltre possono produrre naturalmente acido linoleico coniugato (CLA), che può avere una gamma di effetti benefici se inserito nella dieta (Enser, 1996).

Gli acidi grassi sono coinvolti in vari aspetti tecnologici della qualità della carne. La modifica della composizione in acidi grassi ha un effetto importante sulla durezza o morbidezza della carne in funzione delle caratteristiche del grasso nella carne, in particolare per quello sottocutaneo e intermuscolare (carcasse grasse), ma anche in quello intramuscolare o di marezzatura. Acidi grassi con un alto con un alto punto di fusione conferiscono al grasso della carne un aspetto diverso (grasso bianco e solido) rispetto ad acidi grassi a basso punto di fusione (grasso più liquido). La capacità degli acidi grassi insaturi, soprattutto quelli con più di due doppi legami, di ossidarsi rapidamente, anche per la durata di conservazione della carne (aumento del rischio di rancidità e deterioramento del colore). Questa propensione all’ossidazione è importante soprattutto nello sviluppo del sapore durante la cottura.

3 . 6 G l i s t e r o i d i ( i l c o l e s t e r o l o )

Gli steroidi appartengono alla categoria dei lipidi non saponificabili. Sono un gruppo distinto di composti che svolgono una varietà di ruoli nella maggioranza degli organismi viventi, compreso l’uomo.

Questi composti sono caratterizzati dalla presenza di un sistema ad anelli ciclopentanoperidrofenantrenico (C12H28) (figura 8).

Gli steroli sono steroidi con un gruppo ossidrilico legato all’atomo di carbonio C3 ed una catena idrocarburica legata al C17 del nucleo steroideo.

Il colesterolo, uno sterolo sintetizzato nel fegato, è il più abbondante componente di questa classe lipidica nell’organismo umano. Componente fondamentale delle membrane di cellule animali, il colesterolo è anche il precursore degli acidi biliari, degli ormoni steroidei e di una forma di vitamina D (Ritter,1998).

Il colesterolo svolge un ruolo insostituibile per le proprietà fisiche della membrana ed è abbondante anche nelle lipoproteine del plasma sanguigno, dove circa il 70 % del totale è esterificato ad acidi grassi a lunga catena (Voet e sons, 1990). Da più parti il colesterolo è ritenuto avere un ruolo predisponente nei confronti delle malattie cardiovascolari, a causa della correlazione tra il suo livello serico e tali patologie. Nell’organismo il colesterolo può essere infatti suddiviso in colesterolo endogeno, prodotto dallo stesso organismo, secondo una ben precisa regola individuale genetica, indipendentemente dal tipo di dieta e in colesterolo esogeno, introdotto in particolar modo, con gli alimenti di origine animale (Balasini, 2001).

L’equilibrio tra colesterolo endogeno ed esogeno è regolato da meccanismi autoregolativi molto complessi che comunque, in un individuo sano, consentono di mantenere sotto controllo il suo livello serico.

I grassi alimentari hanno importanti relazioni anche con i livelli ematici del colesterolo. 4 20 25 1 5 6 7 2 3 A B C D HO Figura 8: il colesterolo

Ricerche risalenti ai primi anni ’50 hanno dimostrato che gli acidi grassi saturi di origine alimentare aumentano il colesterolo plasmatico mentre i polinsaturi lo diminuiscono.

Da allora numerosissime ricerche hanno avuto per oggetto il rapporto o l’effetto degli acidi grassi, considerati come gruppi di saturazione (SFA, MUFA e PUFA) su parametri ematici quali la lipidemia e la colesterolemia.

Indipendentemente dalla composizione in acidi grassi, studi di tipo epidemiologico e clinico hanno messo in relazione diete ad alto contenuto di grasso con condizioni di elevate concentrazioni di colesterolo nel sangue. Gli studi recenti, tuttavia, non sembrano condividere tale evidenze sperimentali.

I livelli di colesterolo nel sangue sembra dipendano dai livelli relativi (rapporti reciproci) degli acidi grassi nella dieta più che dalla quantità di calorie fornite dai grassi, siano essi saturi o insaturi (Nelson et al., 1995).

In particolare il colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità (LDL), quello maggiormente legato al rischio malattie cardiovascolari, non sembra sia influenzato dalla percentuale di calorie derivante dai grassi.

La relazione tra grasso alimentare, colesterolo ematico e patologie croniche dell’uomo è piuttosto complessa, come ha messo in evidenza, ed è tuttora oggetto di studi e di pareri contrastanti.

Anche il colesterolo introdotto con l’alimentazione nel passato era stato messo in relazione diretta con la colesterolemia; studi più recenti sembrano indicare che nell’uomo adulto, in assenza di patologie, il livello di colesterolo ematico sia sostanzialmente indipendente dal colesterolo alimentare (Nelson et al., 1995). Come per l’obesità, questi risultati non escludono la presenza di predisposizioni genetiche verso livelli ematici elevati di colesterolo. Sembra infatti che almeno il 50% della variazione del livello serico di colesterolo sia di origine genetica.

E’ stato dimostrato che più di 200 geni sono coinvolti nel controllo di enzimi, recettori, cofattori, elementi strutturali che controllano la pressione sanguigna, il metabolismo dei lipidi, le lipoproteine ed i fattori che regolano l’infiammazione e la coagulazione. Nel caso specifico del colesterolo plasmatico sembra che il controllo sia dovuto a varianti genetiche della apolipoproteina (Apo-b) (Simopoulos, 1997).

Anche se le diete dovrebbero essere personalizzate in funzione della predisposizione genetica e del tipo di vita condotto, una assunzione equilibrata di alimenti contenti colesterolo rappresenta un'importante misura di prevenzione contro l’obesità e l'ipercolesterolemia.

E’ prevedibile ed auspicabile, quindi, che nel prossimo futuro vengano prodotti alimenti ad hoc per la prevenzione ed il controllo di alcune malattie croniche in funzione dello stile di vita delle popolazioni a cui sono destinati oltre che dalle caratteristiche genetiche del singolo individuo (Chizzolini et al., 1996).

Altro aspetto che non può essere trascurato nel rapporto tra colesterolo e salute umana, è che questo, essendo un lipide insaturo, in presenza di O2 e della luce può ossidarsi. I

prodotti dell’ossidazione del colesterolo sono chiamati COPs (dall’anglosassone Cholesterol Oxidation Products). La “pericolosità” dei COPs è maggiore rispetto ai prodotti dell’ossidazione degli acidi grassi in quanto, al contrario di questi, il colesterolo non manifesta il suo stato di ossidazione con componenti maleodoranti volatili (Lercker e Rodriguez-Estrada, 1999).

Sono stati ritrovati almeno 60 diversi prodotti di ossidazione del colesterolo, molti dei quali hanno dei potenti effetti biologici; sono considerati agenti aterogenici e sembra che abbiano proprietà mutagene, carcinogeniche e citotossiche. Inoltre, i COPs alterano il livello di colesterolo nelle membrane e quindi la loro permeabilità, stabilità ed altre proprietà ancora (Guardiola et al., 1996).

I prodotti dell’ossidazione più frequentemente ritrovati nella carne sono i 7-derivati (7- ketocolesterolo, 7α-idrossicolesterolo, 7β-idrossicolesterolo), i 5,6-epossidi (5,6α-

epossicolesterolo, 5,6β-epossicolesterolo), un triolo (3β,5α,6β-triidrossicolesterolo o colestan-triolo) ed altre due molecole (25-idrossicolesterolo e 20α-idrossicolesterolo). I COPs più citotossici si pensa che siano il colestanentriolo ed il 20α-idrossicolesterolo, queste due molecole inibiscono l’attività del 3-idrossi-3-metilglutaril-coenzima-A- riduttasi (HMG-CoA riduttasi) enzima chiave nella produzione del colesterolo endogeno (Guardiola et al., 1996).

Una vota assorbiti, i COPs sono rapidamente trasferiti dai chilomicroni alle lipoproteine plasmatiche.

Nella carne, durante le normali condizioni di frollatura, confezionamento, conservazione e cottura, si assiste ad un aumento anche considerevole degli ossisteroli come risultato dell’aumentata ossidazione dei lipidi e del colesterolo (Li et al., 1996). Jakobsen e Bertelsen (2000) affermano, comunque, che la qualità “finale” del prodotto è fortemente influenzata dalla qualità “iniziale” della carne.

L’esposizione dei cibi contenenti colesterolo all’aria, alla luce, al calore aumenta la quantità dei COPs. Li e altri (1994) hanno dimostrato che la formazione dei COPs è accelerata dalla presenza degli acidi grassi polinsaturi nei lipidi.

Poiché il livello dei vari PUFA varia in funzione della specie, i COPs formati possono essere quantitativamente e qualitativamente diversi a parità di condizioni.

Un ruolo importante nel proteggere la carne dall’ossidazione dei lipidi e del colesterolo è assunto da antiossidanti naturali quali l’α-tocoferolo e da alcuni enzimi come la catalasi la cui attività è stabile alla conservazione; il ruolo dei CLA in tal senso è ancora da verificare del tutto.

Gli acidi grassi polinsaturi della serie ω-6, come l'acido arachidonico, tendono a abbassare il livello di LDL-colesterolo ma anche quello delle HDL, mentre gli acidi grassi monoinsaturi (oleico soprattutto) abbassano il livello di LDL senza alterare quello delle HDL.

Gli acidi grassi della serie ω-3, EPA e DHA, non hanno dimostrato di avere grandi effetti sul colesterolo del sangue, tuttavia le lunghe catene di ω-3 riducono notevolmente il livello di trigliceridi.

Un altro composto che si è verificato efficace nell’inibire la perossidazione lipidica è l’acido α-lipoico; si tratta di un composto presente a livello dei mitocondri delle cellule animali nelle quali svolge un ruolo ben conosciuto di cofattore degli enzimi della carbossilazione ossidativa.

L’acido α-lipoico è una sostanza molto interessante in quanto è una molecola solubile in acqua e nei lipidi, per questo motivo può agire da antiossidante sia a livello del citoplasma sia a livello delle membrane cellulari; è presente naturalmente nell’organismo umano, anche se in quantità non sufficienti da poter esplicare il suo benefico effetto antiossidante. L’aumento della sua quantità a livello dei tessuti attraverso gli alimenti sarebbe pertanto auspicabile. L’acido α-lipoico, inoltre, è facilmente assorbito e, una volta inglobato nelle cellule, può essere ridotto ad acido diidrolipoico che, anche in questa forma, svolge un'analoga azione antiossidante.

4 I n t r o d u z i o n e

In Italia le pecore appartenenti a razze a latte rappresentano il 60% del totale degli ovini e la carne ovina proviene per il 55% dalla macellazione di ovini da latte (8-12kg di peso vivo), per il 15% dalla macellazione di agnello pesante (12-20kg di peso vivo), per il 20% dalla macellazione di agnellone (oltre 30kg di peso vivo) e per il restante 10% dalla macellazione di animali a fine carriera.

La maggior parte degli agnelli leggeri è ottenuto da soggetti appartenenti a razze da latte che vengono allevate per la produzione di latte da trasformare in formaggi e per le quali l’agnello rappresenta una produzione importante ma comunque “accessoria” rispetto a quella principale e questo è tanto più vero quanto più la razza è specializzata.

Tra queste, la sola razza Sarda conta quasi 5 milioni di soggetti il 75% dei quali allevati in Sardegna. Quindi, in considerazione del fatto che esistono anche altre razze ovini allevate per la produzione di latte come, ad esempio, la Appenninica e la Massese, è possibile stimare che in Italia siano disponibili più di 5 milioni di agnelli da latte ogni anno.

La carne di agnello è quella che per prima i pediatri raccomandano dopo lo svezzamento dei bambini e questo per la sua ridotta allergenicità e per le pregevoli qualità nutrizionali rispetto ad altre tipologie di carni (Fiocchi et al., 2000), anche se questa raramente viene somministrata al bambino direttamente; molto più frequentemente si fa uso di prodotti a base di carne di agnello quali omogeneizzati e liofilizzati.

Scopo di questo lavoro è quello di definire le caratteristiche nutrizionali della carne di agnello nella forma più rispondente possibile a quella effettivamente assunta al momento del consumo. Abbiamo riservato particolare attenzione alla valutazione delle caratteristiche nutrizionali della frazione lipidica in quanto questa è quella che suscita il maggior interesse per le implicazioni che ha nei confronti della salute dell’uomo e per il

fatto che è quella che mostra la maggiore variabilità in risposta a fattori di variazione quali l’età/peso di macellazione, sistema di allevamento e regime alimentare.

A tal proposito abbiamo effettuato le determinazioni analitiche su campioni prelevati in distinte tre regioni anatomiche in rappresentanza dell’intera carcassa senza l’eliminazione del grasso di copertura: il coscio (Csc), la cotoletta (Ctl) e la spalla (Spl). In questo lavoro di tesi proponiamo come possibile collocazione della carne di agnello da latte prodotta in Italia quella dell’utilizzo per la produzione di omogeneizzati e liofilizzati destinati ai bambini nelle prime fasi di sviluppo. Per far questo abbiamo confrontato le caratteristiche chimico-nutrizionali della carne ottenuta da agnelli non ancora svezzati con quelle di prodotti commerciali a base di carne di agnello attualmente disponibili sul mercato, anche in considerazione del fatto che il sistema di etichettatura è piuttosto lacunoso e certamente non preciso. Non sono definiti alcuni fattori di variazione, quali età/peso di macellazione, sistema di allevamento e sesso che possono determinare delle modificazioni anche importanti delle caratteristiche nutrizionali del prodotto ed anche l’origine ed il tipo di ingredienti, come le supplementazioni lipidiche, non sono spesso ben specificate.

5 M a t e r i a l e e m e t o d i

La sperimentazione prova è stata condotta in un’azienda biologica della provincia di Pisa, su 6 agnelli maschi di razza massese non ancora svezzati, macellati a circa 13kg di peso vivo da cui sono state ottenute carcasse di un peso medio di 6.74 ± 0.96kg. Gli agnelli, nati dai parti primaverili, sono stati alimentati per l’intero periodo sperimentale principalmente con il latte delle rispettive madri allevate al pascolo.

Sulla mezzena destra di ciascun soggetto sono state prelevate tre regioni anatomiche in rappresentanza dell’intera carcassa: il coscio (Csc), la cotoletta (Ctl) e la spalla (Spl). Dette regioni anatomiche sono state interamente disossate e le carne ottenuta è stata macinata senza l’eliminazione del grasso di copertura. Questo al fine di valutare le caratteristiche nutrizionali della carne nella forma il più rispondente possibile a quella assunta all’atto del consumo. Dalla carne preparata come nella maniera riportata, sono stati prelevati dei campioni rappresentativi su cui sono state effettuale le seguenti determinazioni analitiche:

 Composizione chimica.

 Sostanza secca (SS), dopo essiccazione del campione in stufa ventilata a 80°C fino a peso costante;

 Proteine totali (PG), mediante determinazione dell’azoto totale mediante metodo kjeldhal;

 Lipidi totali intramuscolari (LT), mediante estrazione con cloroformio metanolo 2/1 vol.\vol. secondo Folch et al. 1957;

 Minerali totali (Ceneri), mediante incenerimento del campione in forno a muffola a 550°C fino alla completa scomparsa dei residui carboniosi;

 Estrattivi in azotati (EI), calcolati per sottrazione come complemento a 100 dei precendeti parametri;

 Caratterizzazione della frazione lipidica. I lipidi toltali dissolti in cloroformio LT sono stati poi portati a secco con Rotovapor a bagnomaria a 35°C, pesati per la determinazione dell'estratto lipidico totale e dissolti di nuovo in esano in cui era presente, come Standard Interni (SI), l'estere metilico dell'acido nonanoico (C9:0) e dell’acido tridecanoico (C23:0) e come alla concentrazione di circa 0.5 mg/ml. Il C9:0 è stato utilizzato per la quantificazione degli acidi a corta catena (<C15:0) mentre il C23:0 per la determinazione dei restanti acidi. L'estratto lipidico è stato poi transesterificato con metilato sodico in soluzione metanolica 0.5N secondo il metodo base catalizzato in accordo con Christie (1982). Gli esteri metilici degli acidi grassi attenuti come sopra riportato sono stati quindi iniettati in un gascromatografo dotato di rilevatore ad ionizzazione di fiamma (FID) e di una colonna capillare, altamente polare, dalle seguenti caratteristiche: lunghezza 100m, diametro interno 0.25mm, spessore del film adsorbente 0.25 µm. Il gas di trasporto utilizzato era l'elio. La determinazione della composizione acidica, è stata effettuata partendo da una temperatura del forno di 150 °C; tale temperatura era mantenuta costante per 1 minuto prima di passare alla temperatura di 175 °C con una gradiente di 0.8°C/min; questa temperatura veniva mantenuta costante per 14 minuti per giungere, con un gradiente di 2°C, alla temperatura di 188, mantenuta costante per 18 minuti. La temperatura finale di 220°C era raggiunta con un gradiente di 2 °C/min per un tempo di 12 minuti.  Determinazione del colesterolo totale. Dopo l’aggiunta di betulinolo come

standard interno, un’aliquota di LT accuratamente pesata è stata sottoposta a saponificazione a freddo utilizzando KOH in soluzione metanolica 1N. Brevemente: il campione è stato mantenuto nella soluzione saponificante in agitazione per tutta la notte in provette protette dalla luce per limitare i processi di fotoossidazione. La mattina successiva il campione è stato sottoposto a 3 lavaggi successivi con acqua (per eliminare i saponi degli acidi grassi) ed etere,

con il quale veniva raccolta la frazione insaponificabile, raccolta infine in pallone tarato e, dopo essere portata a secchezza con evaporatore rotante, nuovamente pesata. L’insaponificabile è stato poi silanizzato utilizzando una miscela composta da piridina, esametildisilazano, trimeticlorosilano 5/2/1 vol./vol./vol.. La separazione e la quantificazione del Colesterolo è stata ottenuta iniettando i campioni derivatizzati in un GC equipaggiato con una colonna capillare apolare di 25m di lunghezza di 0.25mm di diametro e di 0.25 µm di spessore della fase stazionaria, tramite confronto con il picco cromatografico dello standard interno. La determinazione della composizione acidica, è stata effettuata partendo da una temperatura del forno di 250 °C che, con un gradiente di 3°C/min è stata portata ad una temperatura di 260 °C, e, con un gradiente di 1°C/min ad una di 285 °C; questa temperatura veniva mantenuta costante per 1 minuto per giungere, con un gradiente di 10°C, alla temperatura di finale di 325 °C, mantenuta costante per 2 minuti.

Analisi statistica

I dati scaturiti dalle determinazioni analitiche riportate sopra sono stati elaborati statisticamente mediante il seguente modello lineare:

yi = µ + Ri + εi

dove:

y = variabile analizzata µ = media comune a tutte le osservazioni;

Ri = effetto fisso relativo all’imo regione anatomica, con i variabile da 1 a 3 (Csc, Ctl,

Spl) ε = errore residuo

6 R i s u l t a t i

Nelle tabelle 1 e 2 è riportata la composizione chimica delle tre regioni indagate espressa rispettivamente su 100g di carne (tabella 1) e su 100g di sostanza secca (tabella 2).

Tabella 1. Composizione chimica delle tre regioni anatomiche (g/100g di carne)

Coscio Cotoletta Spalla ES P

Ceneri 1.26 1.34 1.14 0.14 0.64

Proteine 18.80a 16.78b 18.87a 0.45 <0.01

Lipidi totali 4.38b 15.73a 8.77b 1.37 <0.01

Estrattivi inazotati 1.00 1.80 0.56 0.45 0.18

kcal

Lettere diverse sulla stessa riga corrispondono a valori diversi

Tabella 2. Composizione chimica delle tre regioni anatomiche (g/100g di sostanza secca)

Coscio Cotoletta Spalla ES p

Ceneri 4.96a 3.73b 4.00ab 0.33 0.047

Proteine 74.12a 48.12b 65.45a 2.78 p<0.001 Lipidi totali 16.96c 43.75a 28.98b 2.78 p<0.001

Estrattivi inazotati 3.95 4.74 1.84 1.13 0.209

Lettere diverse sulla stessa riga corrispondono a valori diversi

Come si nota la ragione anatomica della cotoletta (Ctl) si differenzia in maniera abbastanza importante dalle altre due. In particolare si nota che questa è significativamente più grassa rispetto alla spalla (Spl) e al coscio (Csc): 100g di Ctl apportano infatti quasi 16 g di lipidi totali (TL), quasi il doppio e più del triplo di quanto apportano una eguale quantità di Spl e Csc rispettivamente. Nel caso della cotoletta i LT rappresentano quasi la metà della sostanza secca e ciò influisce anche sul valore di proteine, risultato meno della metà della sostanza secca, quindi molto basso (tabella 1). Le differenze tra le tre regioni riguardano anche le proteine grezze (PG), anche se in

misura meno eclatante rispetto a quanto registrato per i TL. Nel caso delle PG la cotoletta mostra un valore inferiore rispetto a Spl e Csc. Le differenze nella composizione chimica determinano anche un apporto calorico nettamente differente tra cotoletta, spalla e coscio e, come sarà discusso nel dettaglio in seguito, anche dal punto di vista delle caratteristiche nutrizionali in genere e della frazioni lipidica in particolare. Nelle tabelle 3-7 è riportata la composizione in acidi grassi delle tre regioni anatomiche prese in considerazione. Come accennato in precedenza, in questa sperimentazione abbiamo effettuato le determinazioni analitiche su campioni senza che questi venissero privati del grasso di copertura, questo con l’intenzione di caratterizzare il prodotto nella forma il più possibile simile a quella effettivamente assunta all’atto del consumo. I dati sono stati espressi in quantità assoluta, sia in termini di grammi di acido grasso su 100 g di lipidi totali e come grammi di acido grasso su 100g di carne tal quale.

La diversa modalità di espressione della quantità di acidi grassi è subordinata alle considerazioni che si intendono effettuare. Esprimendo la quantità di acidi grassi in termini assoluti si pone pari a cento la quantità di lipidi totali o di carne tal quale e si riferisce ogni singolo acido grasso a tali valori. La quantità di ogni singolo acido grasso è quindi assoluta e, all’eventuale variazione di uno di questi, non corrisponde alcuna variazione di nessuno degli altri. Esprimere i dati come grammo di acido grasso su 100 grammi di lipidi totali consente di confrontare la composizione in acidi grassi delle tre regioni anatomiche considerate perché consente di evidenziare l’effetto del fattore di

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