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Caratteristiche chimico nutrizionali della carne d'agnello biologica

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Academic year: 2021

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1 INTRODUZIONE 3

1.1 IL SETTORE DELLA CARNE IN CIFRE 4

1.1.1 ALLEVAMENTI BOVINI E SUINI 4

1.1.2 SETTORE OVICAPRINO 6

1.2 PRODUZIONE DELLA CARNE OVINA 10

1.2.1 AGNELLO DEL CENTRO ITALIA 11

1.2.2 CASTRATO D’AGNELLO DEL CENTRO ITALIA 12

1.2.3 AGNELLO DI SARDEGNA 13

1.2.4 AGNELLO DI SARDEGNA “DA LATTE” (5 - 7 KG) 14

1.2.5 AGNELLO DI SARDEGNA “LEGGERO” (7 - 10 KG) 15

1.2.6 AGNELLO DI SARDEGNA “DA TAGLIO” (10 - 13 KG) 15

1.2.7 L’ABBACCHIO ROMANO 16

1.3 TIPOLOGIE MERCEOLOGICHE 19

2 LA ZOOTECNIA BIOLOGICA 20

3 CARATTERISTICHE NUTRIZIONALI DELLA CARNE 27

3.1 QUALITÀ E COMPOSIZIONE DELLA CARNE 27

3.2 LE PROTEINE DELLA CARNE 29

3.3 IL GRASSO DELLA CARNE 30

3.3.1 I TRIGLICERIDI 32

3.3.2 I FOSFOGLICERIDI 33

3.3.3 GLI SFINGOLIPIDI 35

3.4 GLI ACIDI GRASSI 35

3.4.1 GLI ACIDI GRASSI SATURI (SFA) 38

3.4.2 ACIDI GRASSI MONOINSATURI (MUFA) 39

3.4.3 ACIDI GRASSI POLINSATURI (PUFA) 40

3.4.4 GLI ISOMERI CONIUGATI DELL’ACIDO LINOLEICO (CLA) 43

3.4.5 ACIDI EICOSAPENTANOICO E DOCOSAESANOICO 47

3.4.6 BIOSINTESI DEGLI EICOSANOIDI 48

3.4.7 EFFETTI OPPOSTI DEGLI ACIDI GRASSI N3 E N6 DERIVATI DAGLI EICOSANOIDI 50 3.4.8 EFFETTI DEGLI ACIDI GRASSI N3 E N6 SULLA FLUIDITÀ DELLE MEMBRANE. 51

3.5 COMPOSIZIONE IN ACIDI GRASSI DELLA CARNE 52

3.5.1 EFFETTI DEGLI ACIDI GRASSI SULLA QUALITÀ DELLA CARNE 54

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4 INTRODUZIONE 61

5 MATERIALE E METODI 63

6 RISULTATI 66

7 CONCLUSIONI 91

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1 I n t r o d u z i o n e

Il consumo di carne ha origini antichissime, già prima della domesticazione degli animali il sistema di approvvigionamento più diffuso era la caccia.

Circa 10.000 anni fa, l'uomo ha iniziato ad allevare gli animali rendendoli domestici; in questo modo è diventato più semplice cibarsi delle loro carni e servirsi dei loro prodotti. Il termine carne è utilizzato oggi per i muscoli striati e i tessuti ad essi connessi degli animali, dopo un periodo di maturazione, detto frollatura, che assume una durata variabile a seconda della specie.

Gli animali che forniscono la carne vengono suddivisi in: - animali da macello (bovini, suini, caprini, ovini, equini); - animali da cortile;

- selvaggina.

Alla carne in senso stretto si aggiungono le viscere (cuore, fegato, reni, cervello, milza, polmoni) definite frattaglie, lo stomaco e il primo tratto di intestino dei ruminanti, che prendono il nome di trippa ed infine la animelle (pancreas, timo e ghiandole salivari). Le carni, in base alla specie animale da cui provengono, vengono suddivise in: bovine, bufaline, equine, ovine, caprine, suine, avicole, cunicole e selvaggina da pelo e da piume

Negli ultimi anni è cresciuto notevolmente il consumo pro-capite delle carni di pollo e di tacchino, gli italiani hanno ormai compreso l’importanza che queste carni hanno sul piano nutrizionale e dietetico sfatando l'antico pregiudizio secondo cui solo la carne bovina, dal colore rosso vivo, sarebbe vera carne, cioè dotata delle giuste quantità e qualità di proteine. Il colore rosso vivo della carne è da attribuirsi solo ad un pigmento contenente ferro che, combinandosi con l'ossigeno, accentua la colorazione. Ovviamente questo non significa che il contenuto di ferro è nullo nelle carni bianche, come quelle avicole; anzi, questo minerale, in diversi casi (coscia di pollo) può essere

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presente in quantità pari o addirittura superiore a quello contenuto nella carne bovina. Lo stesso discorso può essere fatto per il contenuto in proteine, che sono egualmente ricche di amminoacidi essenziali. Inoltre nella carne di pollo e tacchino ritroviamo un grasso che ha caratteristiche più vicine ai grassi di origine vegetale, infatti, nella sua composizione predominano gli acidi grassi polinsaturi.

Le carni avicole possiedono buone quantità di vitamine (B2, B12 e niacina) e di sali minerali come zinco e potassio, basso è invece il contenuto di sodio. Infine hanno spesso caratteristiche di tenerezza e digeribilità superiori a quelle di altre carni.

1 . 1 I l s e t t o r e d e l l a c a r n e i n c i f r e

1 . 1 . 1

A l l e v a m e n t i b o v i n i e s u i n i

Il patrimonio bovino nazionale ha mostrato, dopo la progressiva contrazione ormai in atto dal 2001, un’inattesa controtendenza. La mandria italiana, infatti, ha mostrato un incremento del 2,8% rispetto all’analogo dato dell’anno precedente, raggiungendo 6 milioni di capi circa. La dinamica espansiva non ha tuttavia riguardato tutte le categorie dei bovini: sono infatti maggiormente aumentati i capi destinati alla produzione del latte (+3,9%) rispetto a quelli destinati alla produzione della carne (+1,4%).

Grafico1: evoluzione del patrimonio bovino da carne e suino (000 di capi).

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Diversamente da quanto avvenuto nel 2006, una flessione della consistenza è stata rilevata a carico del bestiame giovane (meno di un anno),che, nel 2007 ha perso circa 20.000 capi (-1%); in particolare, all’interno di questa categoria, ci sono i vitelli da avviare al macello ad aver subito le maggiori contrazioni (-3,9% su base annua), mentre i vitelli da avviare all’ingrasso sono rimasti pressoché stabili.

Tale dinamica è direttamente collegata all’andamento del mercato; nel 2007, infatti, risulta in calo il numero di vitelli macellati, estremamente rincarati sulle piazze europee e nazionali sia per la minor disponibilità dovuta ad un maggior numero di vitelle avviate a rimonta nelle stalle che producano latte, sia per un maggior costo di alimentazione (latte in polvere) e movimentazione.

Contrariamente, è cresciuto il segmento di mandria comprendente i capi di età compresa tra 1 e 2 anni (+2,5%), che rappresentano circa il 23% dei capi allevati.

L’incremento delle consistenze nel 2007 interessa principalmente il bestiame adulto (+5.7% su base annua) che rappresenta circa il 45% del patrimonio bovino italiano, con 2,84 milioni di femmine e 80 mila maschi. In particolare, l’incremento riguarda la categoria delle manze da allevamento (+26%), mentre per le manzette tale incremento è limitato all’1,5%.

Per quanto riguarda il patrimonio suino, nel 2007 si è attestato al di sopra dei 9 milioni di capi, in lieve diminuzione rispetto all’anno precedente (-0.1%).

L’analisi dei dati mette in evidenza come il parco scrofe sia fortemente calato (del 5.2%), a causa della necessità di ridurre l’offerta interna e, allo stesso tempo, di ottemperare alla direttiva Ue sui nitrati.

La diminuzione delle scrofe riesce solo in parte a motivare anche la contrazione del patrimonio dei suinetti, poiché bisogna tenere conto dell’aumento della mortalità dovuto allo svilupparsi di numerosi focolai di malattie vescicolari.

La categoria che ha registrato la maggiore crescita è stata quella dei suini da ingrasso (+0.6%) con i magroni di oltre 50kg di peso che hanno registrato un significativo

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aumento a fronte di un’altrettanto maggiore disponibilità di suini grassi destinati all’industria di trasformazione.

I suini avviati alla macellazione hanno registrato un aumento (+1.6%) imputabile principalmente al segmento dei suini grassi (+2.1%); in deciso arretramento risultano, infine, i magroni (-2.9%).

1 . 1 . 2

S e t t o r e o v i c a p r i n o

In base ai dati riportati risulta evidente che gli ovicaprini costituiscono una risorsa significativa e fondamentale per l’economia di molti Paesi del mondo. Le statistiche più aggiornate (2003) della FAO attestano una consistenza totale del patrimonio animale ovicaprino pari a 1 793 105 000 capi (1 028 594 000 ovini e 764 511 000 caprini), in confronto a circa 1 368 000 000 bovini e 170 500 000 bufalini.

Nelle grafici 2-4 vengono presentati i dati relativi all’Europa (Eurostat) e all’Italia (Istat). Nel grafico 2 è riportato il numero di ovini e caprini dell’Europa negli ultimi 15 anni. In generale, si assiste ad un calo nella consistenza del patrimonio ovino mentre il patrimonio caprino è sostanzialmente stabile. Nei grafici 3 e 4 sono riportati il numero totale di capi ovini e caprini nel nostro paese negli ultimi 40 anni (dati degli ultimi Censimenti Generali dell’Agricoltura). Gli andamenti appaiono simili: a fronte di una crescita pressoché costante dal 1970 sino all’inizio degli anni ’90, si assiste, in seguito, ad una consistente diminuzione del patrimonio ovicaprino (valutabile intorno al 22% e al 27% in 10 anni, per ovini e caprini, rispettivamente). L’andamento del numero di ovicaprini delle aziende localizzate in montagna è del tutto analogo a quello riscontrato per l’intero territorio nazionale.

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Grafico 2: numero di ovini e caprini: andamento degli ultimi 15 anni in Europa (dati ISTAT)

Grafico 3: numero ovini in Italia, andamento degli ultimi 40 anni (in linea tratteggiata n° dei capi delle

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Grafico 4: numero di caprini in Italia, andamento degli ultimi 40 anni (in linea tratteggiata n° dei capi

delle aziende montane, dati ISTAT)

Se consideriamo l’allevamento ovicaprino montano in Italia, esso appare una realtà importante nel Sud e nel Settentrione sia in quanto a numero di aziende sia per la loro proporzione rispetto al totale delle aziende ovicaprine (Tavola 1).

Tavola 1: numero di aziende con ovini/caprini situate in montagna, e % di tali aziende con ovini o caprini

nelle macroregioni considerate (dati ISTAT)

Passando ai dati relativi ai capi allevati dalle aziende situate in montagna (Tavola 2), appare evidente la stretta relazione tra tale ambiente e allevamento caprino: poco meno

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della metà di essi, nel nostro Paese, è allevata in aziende localizzate in territorio montano. Tale relazione si mantiene evidente anche disaggregando il dato per macroregione; in tal caso, in particolare, si nota come, ad eccezione del Centro Italia, le dimensioni medie dell’azienda caprina di montagna siano ragguardevoli (la percentuale di capi risulta superiore alla percentuale del numero di aziende, calcolate entrambe rispetto all’intero territorio di riferimento).

Tavola 2: numero di capi ovini e caprini allevati in aziende montane rispetto al totale degli ovini e caprini

allevati nelle macroregioni considerate (dati ISTAT)

Viceversa, l’allevamento ovino in montagna si caratterizza per le dimensioni più contenute dell’azienda media (poco più di ¼ dei capi allevati in Italia rispetto a una quota parte delle aziende ubicate in montagna pari a 40%). Anche in questo caso, tuttavia, come già per quanto riscontrato in relazione al numero di aziende, il dato medio italiano nasconde una realtà diversificata: ad esempio, l’allevamento ovino montano comprende, nell’Italia settentrionale e nel meridione del nostro Paese, circa, o quasi, la metà dei capi ovini ivi presenti.

Il confronto con l’insieme dei dati disponibili relativi all’utilizzazione rurale del territorio, dimostra con evidenza come nelle zone centrali, meridionali e insulari del nostro Paese l’allevamento ovicaprino costituisca una delle più importanti attività di gestione delle aree marginali montane, sia se ci si limita a considerare l’utilizzazione

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zootecnica, di gran lunga una delle attività più importanti in questa fascia altitudinale, sia, più in generale, a livello di utilizzazione del territorio.

Si sono utilizzate le informazioni statistiche più aggiornate disponibili a livello mondiale, europeo e italiano: dati FAO (2003), Eurostat (2001), 5° Censimento dell’Agricoltura Istat (2000), Istat (2002).

I dati riferiti all’Italia sono raggruppati per macroregioni: Nord-Ovest (Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia), Nord-Est (Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Province Autonome di Trento e di Bolzano, Emilia-Romagna), Centro (Toscana, Umbria, Marche, Lazio), Sud (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria), Isole (Sicilia, Sardegna).

1 . 2 P r o d u z i o n e d e l l a c a r n e o v i n a

In Italia la produzione di carne ovina deriva per il 55% dalla macellazione dell’agnello da latte (8-12kg PV), per il 15% dall’agnello pesante (12-20kg PV), per il 20% da agnellone (oltre 30kg PV) e castrato (oltre gli 8 mesi di età), e per il restante 10% da animali a fine carriera (Balasini, 2001).

La consistenza quindi, è data in prevalenza da agnelli macellati precocemente (10kg in media per capo) e questo rappresenta una particolare caratteristica del mercato italiano; negli altri Paesi dell’UE prevale infatti la produzione di carne di agnelli dal peso vivo più elevato.

Il “gusto” è uno dei motivi per cui nel nostro paese si predilige la macellazione di agnelli giovani, il consumatore italiano gradisce molto di più il sapore delicato della carne dell’agnello da latte rispetto a quello più carico dei capi macellati tardivamente. Questo ovviamente andrà ad incidere sul prezzo che tenderà ad aumentare. Un altro motivo che concorre a spiegare la macellazione precoce degli animali adottata in Italia, risiede nella grande importanza della produzione del latte ovino destinato poi quasi completamente alla trasformazione in formaggio.

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La qualità della carne di agnello è un argomento di grande interesse sia per i produttori, che per i consumatori ed i ricercatori. Il fatto che le carcasse e le caratteristiche delle carni prodotte nei vari stati della UE siano diverse tra loro ha reso la ricerca in tal senso molto importante (Arsenos et al., 2000; Sanudo et al. 2000).

Questo tema è importante in quanto, se da un lato il consumatore esige sempre più un prodotto sicuro, proveniente da un’area geografica ben definita e con elevate caratteristiche qualitative, dall'altro egli muta continuamente la sua percezione di qualità anche in funzione dalle nuove acquisizioni scientifiche in merito (Sanudo et al.,2000). A tal proposito sono stati condotti numerosi studi sugli effetti della razza, del sesso, del peso di macellazione e del regime alimentare sulla qualità e sulle caratteristiche della carne di agnello (Arsenos et al., 2000).

1 . 2 . 1

A g n e l l o d e l c e n t r o I t a l i a

La designazione “Agnello del Centro Italia” viene utilizzata fin dagli anni ’60 dagli operatori della filiera carne ovina e dai consumatori per riferirsi agli agnelli nati e allevati grazie anche alla transumanza in tutta l’area del Centro Italia e specificatamente in Abruzzo, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Toscana e Umbria e che derivano da ovini ivi storicamente presenti, caratterizzati da triplice attitudine (carne, latte e lana) fino alla metà del secolo scorso. Successivamente ad opera del miglioramento genetico, alcune delle razze autoctone sono tornate sul mercato grazie alla loro predisposizione nella produzione della carne.

Le principali razze sono rappresentate da: Appenninica, Fabrianese, Merinizzata Italiana, Pomarancina, Sopravissana e Zerasca; ma anche da altre razze a duplice attitudine (carne/latte) come la Garfagnina Bianca e la Massese.

Quasi tutti questi nomi testimoniano l’origine geografica delle razze stesse e il loro legame con i luoghi dove esse si sono meglio ambientate e nel tempo valorizzate (Fabriano, Massa Carrara, Pomarance, Visso, Zeri).

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Gli agnelli ottenuti sono caratterizzati da un rapido accrescimento ponderale, da una elevata resa in carne e da un basso contenuto di grasso, e da un’elevata adattabilità, grazie alla loro capacità di utilizzare le essenze foraggere tipiche costituenti i pascoli del Centro Italia.

Le tecniche di allevamento tradizionali prevedono che gli agnelli, possono essere garantiti sia allo stato brado o semibrado, sia in centri di stabulazione in base alle fasi produttive del gregge e alla stagionalità.

Fino allo svezzamento gli agnelli vengono sempre allattati esclusivamente con latte materno e, in seguito l’alimentazione è costituita da una base di fieni e foraggi freschi, integrati con mangimi. L’agnello del Centro Italia è rinomato dai consumatori per la preparazione di ricette tradizionali e perché rievoca la salubrità degli ambienti in cui gli animali sono allevati (in considerazione del fatto che il Centro Italia è ricco di Parchi naturali per circa 700.000 ha).

1 . 2 . 2

C a s t r a t o d ’ a g n e l l o d e l c e n t r o I t a l i a

Durante il Medioevo anche alcune opere di medicina trattano del castrato e dell’allevamento ovino, tra cui i Tacuina sanitatis, che descrivevano le proprietà mediche dei vari alimenti disponibili per l’uomo secondo la medicina galenica.

L’importanza attribuita alle carni ovine in epoca medievale è desumibile dalle norme contenute negli Statuti di molti comuni del centro Italia, dei secoli XIII e XIV, riportate anche nelle edizioni cinquecentesche. In particolare, la principale preoccupazione delle magistrature comunali era quella di evitare che le carni di pecore e montoni fossero vendute per quelle, più pregiate, di castrati o castroni. Si disponeva anche che i due tipi di carne fossero venduti in tempi o in banchi diversi, stabilendo talvolta persino la distanza minima da rispettare.

Nell’Italia centrale, anche in conseguenza della transumanza, alcuni agnelli del gregge venivano prima castrati, poi fatti ingrassare dai pastori o anche dai contadini, ai quali

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venivano ceduti quale compenso per l’uso dei pascoli, per essere utilizzati come riserva di carne dalla famiglia, e spesso macellati e cucinati in estate, all’epoca della maturazione dei pomodori. La castrazione si eseguiva per evitare che, avvicinandosi all’anno di età, la carne assumesse odori troppo forti. Inoltre, consentiva anche il pascolo di questi capi insieme al resto del gregge.

Il Castrato di agnello del centro Italia è un prodotto di nicchia tipico della pastorizia dell'Italia centrale, ed in particolare dei territori delle province di Bologna, Rimini, Forlì, Cesena, Ravenna, Modena, Reggio Emilia e Parma (le ultime tre limitatamente al territorio collinare e montano).

Esso deriva principalmente da pecore di razze e tipi genetici da carne e più specificatamente dalle razze Appenninica, Fabrianese, Merinizzata Italiana, Maremmana, Pomarancina, Sopravissana e Zerasca, oltre che da ovini a duplice attitudine (Garfagnina Bianca, Massese, ecc.) e loro incroci.

Il Castrato di agnello del centro Italia è caratterizzato da un rapido accrescimento ponderale e si ottiene da agnelli dell’età massima di un anno, ai quali è stata precocemente praticata la neutralizzazione sessuale (castrazione).Tali soggetti forniscono una carcassa di peso superiore a 20kg (fino a 30 - 35kg circa), con una copertura di grasso variabile, e la cui carne è particolarmente prelibata, grazie all’alimentazione a base di pascoli di ottima qualità ricchi di essenze pabulari peculiari dell’ambiente pedoclimatico del centro Italia. Questa carne è resa più tenera e saporita anche grazie alla frollatura (min. 5 giorni), durante la quale avvengono una serie di modifiche a carico del tessuto muscolare.

1 . 2 . 3

A g n e l l o d i S a r d e g n a

L’Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) "Agnello di Sardegna" è riservata esclusivamente agli agnelli nati, allevati e macellati in Sardegna che siano in regola con le norme dettate dal disciplinare di produzione e identificazione.

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L’area destinata all’allevamento dell’Agnello di Sardegna comprende tutto il territorio della Regione Sardegna idoneo ad ottenere un prodotto con caratteristiche qualitative rispondenti al proprio disciplinare

L’Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) “Agnello di Sardegna” è riservata agli agnelli allevati in un ambiente del tutto naturale, caratterizzato da ampi spazi esposti a forte insolazione, ai venti ed al clima della Sardegna, che risponde perfettamente alle esigenze tipiche della specie. L’allevamento avviene prevalentemente allo stato brado; solo nel periodo invernale e nel corso della notte gli agnelli possono essere ricoverati in idonee strutture dotate di condizioni adeguate per quanto concerne il ricambio di aria, l’illuminazione, la pavimentazione, gli interventi sanitari e i controlli.

L’Agnello non deve essere soggetto a forzature alimentari, a stress ambientali e/o a sofisticazioni ormonali.

Gli Agnelli devono essere nutriti esclusivamente con latte materno (nel tipo “da latte”) e con l’integrazione pascolativa di alimenti naturali ed essenze spontanee peculiari dell’habitat caratteristico dell’isola di Sardegna.

I soggetti devono essere identificati, non oltre venti giorni dalla nascita, con sistemi manuali, ottici o elettronici in grado di garantire la rintracciabilità del prodotto nel rispetto della normativa vigente.Gli stessi sono distinti secondo quanto previsto dai regolamenti comunitari, nelle seguenti tipologie:

1 . 2 . 4

A g n e l l o d i S a r d e g n a “ d a l a t t e ” ( 5 - 7 K g )

Nato ed allevato in Sardegna, proveniente da pecore di razza sarda, alimentato con solo latte materno, macellato a norma di legge e rispondente alle seguenti caratteristiche

peso carcassa a freddo, senza pelle e con testa e corata 5/7 Kg.; colore della carne: rosa chiaro (il rilievo va fatto sui muscoli interni della parete

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addominale);

• consistenza delle masse muscolari: solida (assenza di sierosità); • colore del grasso: bianco

• copertura adiposa: moderatamente coperta la superficie esterna della carcassa; coperti, ma non eccessivamente, i reni;

• consistenza del grasso: solido (il rilievo va fatto sulla massa adiposa che sovrasta l'attacco della coda, ed a temperatura ambiente di 18 – 20° C).

1 . 2 . 5

A g n e l l o d i S a r d e g n a “ l e g g e r o ” ( 7 - 1 0 k g )

Nato ed allevato in Sardegna, proveniente da pecore di razza sarda o mediante incroci di prima generazione con razze da carne Ile De France e Berrichon Du Cher, o altre razze da carne altamente specializzate e sperimentate, alimentato con latte materno e integrato con alimenti naturali come foraggi e cereali freschi e/o essiccati; macellato a norma di legge e rispondente alle seguenti caratteristiche:

• peso carcassa a freddo, senza pelle con testa e corata 7/10 Kg; • colore della carne: rosa chiaro o rosa;

• consistenza delle masse muscolari: solida (assenza di sierosità); • colore del grasso: bianco ;

• copertura adiposa: moderatamente coperta la superficie esterna della carcassa; coperti, ma non eccessivamente, i reni;

• consistenza del grasso: solido (il rilievo deve essere fatto sulla massa adiposa che sovrasta l'attacco della coda, ed a temperatura ambiente di 18 – 20° C).

1 . 2 . 6

A g n e l l o d i S a r d e g n a “ d a t a g l i o ” ( 1 0 - 1 3 k g )

Nato ed allevato in Sardegna, proveniente da pecore di razza sarda o mediante incroci di prima generazione con razze da carne Ile De France e Berrichon Du Cher, o altre razze da carne altamente specializzate e sperimentate, alimentato con latte materno e integrato

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con alimenti naturali come foraggi e cereali freschi e/o essiccati; macellato a norma di legge e rispondente alle seguenti caratteristiche :

• peso carcassa a freddo, senza pelle e con testa e corata 10/13 Kg; • colore della carne: rosa chiaro o rosa;

• consistenza delle masse muscolari: solida (assenza di sierosità); • colore del grasso: bianco o bianco paglierino;

• copertura adiposa: moderatamente coperta la superficie esterna della carcassa; coperti, ma non eccessivamente, i reni;

• consistenza del grasso: solido (il rilievo deve essere fatto sulla massa adiposa che sovrasta l'attacco della coda, ed a temperatura ambiente di 18 – 20° C).

1 . 2 . 7

L ’ a b b a c c h i o r o m a n o

L'«Abbacchio Romano» ha, fin da tempi remoti, un forte legame con la ruralità regionale e questo è dimostrato non solo dall'importanza che l'allevamento ovino ha nell'economia e nelle tradizioni dell'intera regione Lazio, ma anche e soprattutto dalla reputazione che lo stesso ha da sempre dimostrato di possedere presso il consumatore. Il prodotto IGP ha, infatti, una notevole influenza sulla stessa gastronomia regionale, ricoprendo un ruolo fondamentale nella cucina romana e laziale, tanto da dare origine a circa cento piatti diversi.

A livello sociale il legame tra prodotto e territorio è dimostrato dalle numerose sagre, feste campestri e manifestazioni popolari che hanno come oggetto l'«Abbacchio Romano» e che si svolgono su tutto il territorio della Regione Lazio.

Particolare è anche l'utilizzo del termine romanesco Abbacchio, che risulta essere univoco nella Regione Lazio. Infatti, dal vocabolario romanesco di Chiappino «si chiama abbacchio il figlio della pecora ancora lattante o da poco slattato; agnello il figlio della pecora che non ha ancora raggiunto un anno di età e già due volte tosato.

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A Firenze non si fa distinzione l'uno e l'altro si chiamano agnello». Anche una serie di operazioni che vengono eseguite sull'abbacchio sono caratterizzate da una terminologia romanesca quale ad esempio sbacchiatura o abbacchiatura (macellazione degli abbacchi).

L'Indicazione geografica protetta (IGP) «Abbacchio Romano» è riservata esclusivamente agli agnelli nati, allevati, macellati nel territorio della regione Lazio. All'atto dell'immissione al consumo la carne di «Abbacchio Romano» presenta le seguenti caratteristiche: colore rosa chiaro e grasso di copertura bianco; tessitura fine; consistenza compatta, leggermente infiltrata di grasso.

La carcassa di «Abbacchio Romano» deve presentare alla macellazione le seguenti caratteristiche:

• peso carcassa a freddo, senza pelle, con testa e corata: massimo 8kg;

• colore della carne: rosa chiaro (il rilievo deve essere fatto sui muscoli interni della parete addominale);

• consistenza delle masse muscolari: solida (assenza di sierosità);

• colore del grasso bianco; consistenza: solida (il rilievo deve essere fatto sulla massa adiposa che sovrasta l'attacco della coda, a temperatura ambiente di 18-20°C); • copertura adiposa: moderatamente coperta la superficie esterna della carcassa, non

eccessivamente i reni.

L'IGP «Abbacchio Romano» può essere immesso al consumo intero e/o porzionato secondo i tagli che seguono: intero; mezzena ricavata mediante il taglio sagittale della carcassa in parti simmetriche; spalla; coscio; costolette; testa e coratella (cuore, polmone e fegato). Il porzionamento può essere effettuato anche al di fuori della zona geografica di produzione.

Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna i prodotti in entrata ed i prodotti in uscita. Attraverso l'iscrizione degli allevatori, macellatori e sezionatori/confezionatori in appositi elenchi gestiti dall'organismo di

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controllo, ed inoltre la tenuta di registri di produzione e condizionamento e la denuncia dei quantitativi dei prodotti, è garantita la tracciabilità e rintracciabilità da monte a valle della filiera produttiva. Inoltre, gli animali destinati alla produzione di «Abbacchio Romano» IGP dovranno essere identificati, non oltre 10 giorni dalla nascita, mediante apposizione sull'orecchio sinistro d'idonea fascetta o bottone auricolare contenente sul fronte il codice di identificazione dell'allevamento completo di lettere e cifre e, sul retro, il numero progressivo del capo.

Tutte le persone, fisiche o giuridiche iscritte nei relativi elenchi saranno assoggettate al controllo da parte dell'organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo.

Il disciplinare prevede che la materia prima dell'«Abbacchio Romano» sia costituita, dalla carne e parti dell'animale di agnelli maschi e femmine appartenenti alle seguenti razze: Sarda e suoi incroci, Comisana e suoi incroci, Sopravvissana e suoi incroci, Massese e suoi incroci, Merinizzata Italiana e suoi incroci.

Gli agnelli vengono macellati tra 28 e 40 gg. di età. Essi sono distinti secondo quanto previsto dai regolamenti comunitari, nella seguente tipologia: agnello «da latte» (sino ai 8 kg di peso morto).

Gli agnelli sono allevati allo stato brado e semibrado. È consentito, il ricovero in idonee strutture il cui stato igienico-sanitario garantisca il benessere degli animali, con particolare riguardo al buon grado di aerazione, illuminazione naturale e pavimentazione.

Gli agnelli devono essere nutriti con latte materno (allattamento naturale) ed in più è consentita l'assunzione nel pascolo di alimenti naturali ed essenze spontanee.

Le pecore matricine usufruiscono di pascoli naturali, prati-pascolo ed erbai tipici dell'area geografica di produzione. È ammesso il ricorso all'integrazione con foraggi secchi e con concentrati, escludendo l’utilizzo di organismi geneticamente modificati.

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Gli agnelli e le pecore matricine non devono essere soggetti a forzature alimentari, a stress ambientali e/o sofisticazioni ormonali, finalizzate ad incrementare la produzione. Nel periodo estivo, è consentita la tradizionale pratica della monticazione. L'attività di macellazione dovrà avvenire entro 24 ore dal conferimento al mattatoio, mediante recisione netta della vena giugulare, a cui segue lo spellamento e la contemporanea recisione delle zampe anteriori e posteriori.

1 . 3 T i p o l o g i e m e r c e o l o g i c h e

Le carcasse reperibili in commercio si possono classificare in diverse tipologie, le cui più rappresentative sono:

- l’agnello leggero, di peso compreso tra gli 8 e i 13kg; - l’agnello pesante, di peso superiore ai 13kg;

- il castrato, di peso superiore ai 20kg.

La qualità delle carcasse di agnello leggero, oltre al peso, è caratterizzata dal colore della carne (rosa chiaro o rosa) e da un tenore di grasso scarso o mediamente importante per la prima qualità, mentre per la seconda qualità il colore della carne è diverso dal rosa chiaro o rosa e ha un tenore di grasso molto scarso o abbondante.

La qualità delle carcasse di agnello pesante più rappresentata è caratterizzata da 3 classi di conformazione (U “ottima” – R “buona” – O “abbastanza buona”) e anche dallo stato di ingrassamento (compreso tra scarso” e “abbondante”:

La qualità delle carcasse di castrato (da cui deriva il prodotto tipico Castrato di agnello del centro Italia) più rappresentativa è caratterizzata da 3 classi di conformazione (E “eccellente” – U “ottima” – R “buona”) e anche dallo stato di ingrassamento (compreso tra scarso” e “abbondante”).

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2 L a z o o t e c n i a b i o l o g i c a

Negli anni recenti la produzione zootecnica convenzionale ha ottenuto risultati eccezionali nell’aumentare la produttività degli animali di interesse zootecnico e nel diminuire i costi di produzione. Allo stesso tempo, l’intensificazione della produzione ha posto in secondo piano altri aspetti quali quello di una produzione che non danneggia l’ambiente e quelli della salute e del benessere animale, soprattutto poiché sono costosi e richiedono parecchio impiego di lavoro. La disponibilità di un numero crescente di consumatori a pagare prezzi più elevati ha permesso agli agricoltori di ridurre la pressione economica sui costi di produzione. Per conseguenza, l’agricoltura biologica dipende in larga misura dalla richiesta dei consumatori di prodotti ottenuti secondo il metodo biologico e di valori aggiunti come la biodiversità, la conservazione delle specie, la protezione della natura, del paesaggio, delle acque, degli animali ecc, aspetti che sono tutti strettamente legati ai processi produttivi. Ciò richiede un approccio orientato verso i consumatori in risposta ai cambiamenti dei principi del mercato.

La produzione zootecnica biologica è regolata da normative specifiche emanate a livello comunitario inizialmente, le prime linee guida furono sviluppate da una associazione privata nel 1924 in modo da offrire una alternativa che si opponesse agli sviluppi nella produzione convenzionale. Le critiche principali erano l’aumentato uso delle sostanze chimiche, specialmente dei fertilizzanti minerali e dei pesticidi e la scarsa attenzione al processo di produzione.

All’opposto dell’agricoltura convenzionale, nell’agricoltura biologica l’azienda agricola è considerata come un organismo, dove gli aspetti olistici legati all’integrazione delle diverse componenti biologiche dell’ambiente sono posti in primo piano.

Le linee guida sono state formulate e ulteriormente sviluppate dalla Federazione Nazionale dei Movimenti per l’Agricoltura Biologica (IFOAM) e nel frattempo hanno

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trovato applicazione in tutto il mondo. Inoltre, le linee guida di IFOAM sono state usate come punto di partenza per sviluppare il Regolamento CEE sull’agricoltura biologica. Nei paesi della comunità europea, il Regolamento CEE 1804/1999, sulla zootecnia biologica emanato a completamento del regolamento n. 2092/91 sulla produzione agricola biologica è stato approvato ed è divenuto legge dall’agosto 2000. Successivamente nel 2007 e nel 2008, sono stati emanati i regolamenti 834 e 889 che hanno portato importanti aggiornamenti alla normativa sull’agricoltura biologica. Tali regolamenti forniscono una normativa la cui applicazione dà il diritto di etichettare un prodotto alimentare come proveniente da agricoltura biologica. Essi includono descrizioni particolareggiate sulle condizioni di stabulazione, sulla alimentazione animale e sulla riproduzione, sulla cura degli animali, la prevenzione delle malattie e i trattamenti veterinari e dà origine ad una struttura per la produzione zootecnica e per l’etichettatura dei prodotti in tutti i paesi europei su una comune base legale. La massima densità consentita di bestiame è di due unità per ettaro.

E’ proibito l’uso di aminoacidi sintetici e di promotori della crescita. Riguardo al benessere animale, i requisiti minimi riguardano in primo luogo l’area di stabulazione, le caratteristiche della pavimentazione e le pratiche di governo degli animali. La lettiera asciutta e l’allevamento in gruppo sono previsti per tutti gli animali dell’azienda. La stabulazione fissa per gli animali ad uso zootecnico è proibita. Oltre allo spazio interno deve esserci uno spazio esterno la cui superficie deve essere almeno il 75% della superficie interna.

Le principali specifiche riguardo a produzioni che garantiscono il rispetto dell’ambiente nella zootecnia biologica sono la rinuncia all’uso dei pesticidi e di concimi inorganici, la necessità di ridurre il numero di animali per unità di superficie e di portare al minimo la quota di alimenti acquistati al di fuori dell’azienda. L’agricoltura biologica pertanto, deve affidarsi ad una efficiente circolazione dei nutrienti all’interno dell’azienda per mantenere una fertilità del suolo in grado di sostenere le produzioni. La riduzione

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dell’inquinamento e del consumo di energia sono ottenuti con un approccio sistemico e causale, mentre le strategie convenzionali si basano spesso su misure tecniche e di gestione.

Riassumendo, le regole di base dell’agricoltura biologica forniscono mezzi adeguati per minimizzare l’inquinamento ambientale e la perdita di sostanze nutritive a livello aziendale. Questi metodi sembrano più efficaci rispetto alle misure adottate nell’agricoltura convenzionale. Tuttavia, tra le aziende agricole biologiche, esiste una elevata variabilità che dipende dall’impegno e dalla efficienza nutritiva di ciascuna azienda.

E’ difficile confrontare in modo obiettivo i prodotti provenienti dalla zootecnia biologica e quelli provenienti da quella convenzionale a causa della grande variabilità nei metodi di produzione, riguardante tra l’altro l’intensificazione, la razione alimentare e la razza usata.

E’ stato ipotizzato che la produzione biologica potrebbe portare ad una minor qualità della carcassa e della carne a causa di una minor riserva di energia e di una percentuale di crescita inferiore in conseguenza del metodo di produzione estensivo, mentre il metodo di allevamento intensivo ha implicazioni positive sulle caratteristiche della carcassa. D’altro canto, la conseguenza di una ridotta riserva energetica sulla qualità della carcassa può essere compensata con la scelta di razze più adatte agli alimenti di base disponibili in azienda. La rinuncia ad elevati incrementi di peso vivo consentirebbe l’uso di razze autoctone spesso apprezzate le caratteristiche organolettiche della carne. Riguardo agli aspetti igienici, si è ipotizzato che nell’agricoltura biologica ci possa essere un maggior rischio di contaminazione dei prodotti con parassiti a causa del maggior uso di strutture all’aperto. Tale aspetto tuttavia non è ancora stato dimostrato. Riguardo ai residui di farmaci, si presume che i prodotti biologici siano molto meno contaminati rispetto a quelli convenzionali a causa di un limitato uso dei chemioterapici. Riassumendo, c’è poca evidenza di un effetto relativo al sistema sulla qualità del

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prodotto determinato dal metodo di produzione. La qualità del prodotto è in primo luogo funzione del tipo di gestione aziendale e mostra una grande variabilità sia nella produzione zootecnica biologica che in quella convenzionale.

Lo slogan “alimenti sani da animali sani” esprime un'aspettativa a cui i produttori e i commercianti di prodotti biologici hanno dato volentieri rilievo per distinguersi dai metodi di allevamento della zootecnia convenzionale. Tuttavia la salute animale non sempre è stato indicato come un obiettivo primario dell'agricoltura biologica. Nelle linee guida IFOAM solo tre dei 17 punti trattati fanno riferimento alla zootecnia. In particolare sono ritenuti importanti: il mantenimento della biodiversità, la possibilità di poter manifestare i comportamenti propri per ogni specie e un equilibrato rapporto tra superficie foraggera e densità animale, per sviluppare un corretto ciclo delle sostanze nutritive. La salute animale non è trattata come obiettivo di per sé. La marginalità della zootecnia risulta essere anacronistica in quanto di solito i prodotti di origine animale portano in azienda la maggior parte delle entrate e quindi proprio in questo settore dovrebbe esserci la maggior potenzialità di sviluppo.

Al contrario nel Regolamento CEE 1804/99 e nei successivi regolamenti 834 e 889 sull'agricoltura biologica si attribuisce una particolare importanza allo sviluppo della zootecnia biologica, e si stabilisce che la salute animale deve essere incentivata, dando priorità alle misure preventive, e specificatamente attraverso: l'allevamento di linee genetiche e razze resistenti; un metodo di allevamento degli animali orientato ai bisogni degli stessi; l'uso di alimenti di alta qualità; la possibilità di movimento in stalla, l'accesso al pascolo e basse densità animali.

Nel trattamento degli animali ammalati, quando possibile, bisogna privilegiare l'uso della medicina alternativa rispetto ai trattamenti con quella convenzionale.

Viste queste dichiarazioni di intenti si pone la questione se le imposizioni della Direttiva CEE, da cui i regolamenti delle diverse associazioni non si allontano di molto, sono idonei a garantire un alto livello di salute animale. Poiché diversi punti del regolamento

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CEE a causa di deroghe spesso non sono stati ancora applicati (ad esempio quelli riguardanti l'uso dei pascoli) è ancora prematuro esprimere un giudizio definitivo. Tuttavia gli studi attualmente disponibili su questo argomento non lasciano molto spazio alla tranquillità. Miglioramenti in alcuni settori (ad esempio disturbi di fertilità e metabolici) si sovrappongono a peggioramenti in altri (ad esempio malattie della mammella). Anche quando l'abbondanza di spazio sia dentro che fuori la stalla, la disponibilità della lettiera con paglia e la proibizione di legare gli animali sono collegati in modo decisamente positivo con la possibilità da parte degli animali di manifestare i comportamenti specie-specifici, tuttavia non si dimostrano efficaci per migliorare la situazione sanitaria. Ma questo non ci deve stupire in quanto è risaputo che le principali malattie che colpiscono gli animali allevati sono solo in parte influenzate dalle condizioni di allevamento. I principali rischi alla salute animale di regola vanno da una gestione non appropriata ad una inadeguata cura degli animali. Sicuramente con i Regolamenti CEE si promuove in modo chiaro la salute animale, senza tuttavia offrire nessuna garanzia di ottenere un elevato stato di salute.

E' evidente che gli agricoltori che praticano la zootecnia biologica devono affrontare difficoltà molto superiori rispetto ai colleghi che praticano l'agricoltura convenzionale. Tra gli altri, alcuni aspetti possono rendere il mantenimento della salute animale notevolmente più difficile:

• l'imposizione di usare gli alimenti prodotti nella propria azienda e i limiti imposti all'acquisto di alimenti all'esterno rendono alle volte difficile la formulazione di una razione bilanciata e in grado di soddisfare i fabbisogni alimentari;

• la differenziazione di aziende miste ha spesso come conseguenza una carenza di specializzazione, che è in contrasto con le indispensabili misure di ottimizzazione; • la cura degli animali è una attività che richiede molto tempo e si pone in concorrenza con le altre attività aziendali rispetto alla risorsa 'tempo a disposizione', venendo spesso sacrificata.

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In molte aziende con un minimo aumento dei costi si può fare molto per migliorare lo stato di salute degli animali. Lo svolgimento regolare delle analisi degli alimenti, l'ottimizzazione della razione così come l'analisi dei dati a disposizione ottenuti dai controlli sui prodotti e la messa in pratica dei provvedimenti necessari così dedotti offrono grossi potenziali per un risparmio dei costi e un aumento delle entrate.

Tuttavia ciò non aiuta molte aziende a risolvere un problema essenziale. Arrivati ad un certo livello, le spese per raggiungere e mantenere un’adeguata salute animale costano più tempo e denaro di quanto non si possa guadagnare nelle attuali condizioni. I ridotti sovrapprezzi ottenuti dalla vendita di prodotti di origine animale ottenuti da agricoltura biologica vengono in massima parte consumati attraverso i maggiori costi che si hanno con la preparazione degli alimenti o con l'acquisto dei giovani animali per la rimonta. Di fatto un riconoscimento economico delle limitazioni aggiuntive che si hanno con l'applicazione del Regolamento non ha luogo. Vista la mancanza degli stimoli economici e un permanente carico, e sovraccarico, i compiti da svolgere in azienda non c'è da stupirsi se tanti agricoltori non vogliono, o non possono, accettare nessuna ulteriore richiesta temporale o monetaria per dedicare maggiori cure agli animali.

Analizzando la situazione della zootecnia biologica si può concludere che l'applicazione della Direttiva CEE porta più di un vantaggio agli animali. Ciò tuttavia non basta a migliorare in modo basilare la salute animale. Senza una adeguata gestione non ci si possono aspettare successi nel miglioramento della salute animale. Prima di tutto una soddisfacente creazione di valore aggiunto sui prodotti di origine animale permetterà agli agricoltori o di rinunciare ad altri settori dell'azienda a favore di quello zootecnico o di assumere nuovo personale. Anche dal punto di vista della politica agraria l'attuale atteggiamento, che sostiene che i prezzi per i prodotti da agricoltura biologica siano troppo alti, deve essere fortemente contrastato. Da questo punto di vista esiste casomai il problema di prezzi troppo bassi per prodotti di elevata qualità e per un metodo di allevamento impegnato a garantire determinati livelli di tutela degli animali. La

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produzione animale convenzionale, con la sua strategia di massimizzazione e di drastica riduzione dei prezzi ha più che superato il traguardo e, con la conseguente dilagante sovrapproduzione, non solo ha intaccato l'immagine dei prodotti di origine animale, ma ne ha anche rovinato i prezzi. Per cambiare questa tendenza c'è bisogno di un'intensiva attività informativa sia all'interno del mondo agricolo che nei confronti di quel limitato gruppo di consumatori che è aperto e sensibile ai problemi della salute animale.

La zootecnia biologica non è un metodo di produzione che risolve tutti i problemi che ci sono in zootecnia. E’ in primo luogo un metodo produttivo rivolto ad un mercato particolare disposto a pagare un prezzo più alto, con elevate esigenze riguardo alla qualità del processo di produzione e che richiede notevoli capacità manageriali. Per lo sviluppo della zootecnia biologica è importante tutelare la fiducia dei consumatori nei prodotti biologici soddisfacendo ad un alto livello la domanda che si è venuta a creare autonomamente.

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3 C a r a t t e r i s t i c h e n u t r i z i o n a l i d e l l a

c a r n e

3 . 1 Q u a l i t à e c o m p o s i z i o n e d e l l a c a r n e

La carne contiene dal 50 all’80% d’acqua, ed il rapporto acqua/proteine è pari a 3,5-4, valore costante indipendente dalla specie, dalla razza e dall’alimentazione.

Nelle carni oltre, al tessuto muscolare, possono essere presenti in differenti proporzioni, il tessuto adiposo, osseo, cartilagineo e connettivale.

Il tessuto muscolare striato è il tessuto maggiormente rappresentato, esso si compone di fibre muscolari che si originano dal mesoderma embrionale per diventare poi delle fibre polinucleate dotate di miofibrille.

Dopo la nascita le fibre aumentano sia in lunghezza che in larghezza (ipertrofia), e l’aumento del loro diametro è dovuto alla proliferazione di cellule satellite che comportano la loro fusione con le fibre adiacenti.

I muscoli contengono piccole quantità di zuccheri sottoforma di glicogeno muscolare, che si trasforma in acido lattico durante la frollatura, per cui i glucidi si riscontrano solo in tracce.

Carne Bovina

Acqua Lipidi Ceneri Kcal/100 g carne

75 22 2.2 1.0 130/160

Carne Suina 73 21 4.9 1.1 398

Carne Equina 75 21 2.5 1.1 120

Carne ovina (agnello) Carne caprina (capretto)

70 20 8.8 1.1 159

75 19 5.0 1.0 122

Carne coniglio 75 20 4.0 1.0 118

Tavola 7 : composizione chimica centesimale della carne

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Il tessuto muscolare contiene le proteine di più alto valore nutritivo, le più importanti sono actina e miosina, che influenzano anche la ritenzione di acqua e la morbidezza delle carni.

Il tessuto adiposo è formato da adipociti che alla nascita possono essere presenti in due forme; il tessuto adiposo bruno e bianco.

Quello bruno e caratterizzato da adipociti piccoli di colore bruno per via del maggiore contenuto di citocromo nei mitocondri, esso assolve la funzione di riserva energetica nel neonato, per poi scomparire dopo poche settimane dal parto. Il tessuto adiposo bianco è caratterizzato da adipociti di dimensioni maggiori, nei giovani animali gli adipociti si accumulano intorno alla viscere e sulle fibre muscolari, successivamente, nella fase d’ingrasso il tessuto lipidico aumenta nella zona sottocutanea.

Per quanto riguarda il tessuto osseo, sappiamo che dal mesenchima si originano gli osteoblasti i fibroblasti e i condroblasti. Gli osteoblasti daranno origine alle cellule ossee, i fibroblasti formeranno i fibrociti, da cui derivano i tendini ed i legamenti, mentre i condroblasti divenuti condrociti formeranno le cartilagini. L’accrescimento del tessuto osseo è dovuto alla cartilagine epifisiaria che viene sostituita gradualmente dal tessuto osseo.

Il tessuto cartilagineo è formato da collagene elastina e reticolina ed è parte integrante di tutti i muscoli. Le proteine più rappresentative del tessuto connettivo sono collagene ed elastina; la prima conferisce resistenza ai tessuti, la seconda elasticità. Queste due proteine sono responsabili dell’indurimento della carne degli animali adulti, infatti con il tempo interagiscono tra loro con legami sempre più forti, irrigidendo i tessuti muscolari.

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3 . 2 L e p r o t e i n e d e l l a c a r n e

Le proteine sono sostanze quaternarie (C, H, O, N), formate da catene aminoacidiche determinate geneticamente; esse hanno un ruolo nutrizionale essenzialmente plastico che consiste nella costruzione dei protoplasmi e delle membrane cellulari, ma possono essere utilizzate anche a fini energetici.

Con la carne il loro apporto quantitativo è elevato; la qualità di queste proteine è legata anzitutto alla loro digeribilità e all’elevato valore biologico (VB), cioè alla loro completezza sotto il profilo aminoacidico, che consente l’apporto di tutti gli aminoacidi essenziali. Il VB corrisponde al rapporto tra azoto trattenuto e azoto assorbito e si può determinare con metodi chimici, microbiologici e biologici (Bonsembiante e Parigi Bini 1966), con i quali si può stimare l’efficienza nutrizionale della proteina, in ordine alla sua attività plastica.

La carne fresca è un’ importante fonte proteica e ciò non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche per il tipo o la qualità della stessa. Le proteine della carne, come in genere le proteine di origine animale, possiedono infatti un elevato VB, che deriva da cioè una composizione aminoacidica completa e ben bilanciata.

In essa infatti sono presenti i cosiddetti aminoacidi essenziali, cioè quelli che l’uomo non è in grado di sintetizzare autonomamente nonostante siano indispensabili per la sua sopravivenza. In un organismo, infatti, una proteina può essere sintetizzata fino a che è disponibile è l’aminoacido limitante, cioè presente in quantità minore. Nell’alimentazione dell’uomo e dei monogastrici, gli aminoacidi essenziali devono quindi essere presenti per garantire un’adeguata sintesi proteica.

L’insieme di queste caratteristiche fa sì che le proteine della carne in generale possiedono un VB che si avvicina molto al livello teorico ottimale. Nell’uomo, il fabbisogno proteico consigliato dalla FAO/OMS e dal Food Nutrition Board degli USA, si aggira tra 1 e 0,5 g/Kg di peso corporeo in funzione dell’età, del sesso, dello

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stato fisiologico e dell’attività fisica esplicata; 100 grammi di carne coprono circa la metà di tale fabbisogno non solo quantitativamente, ma anche, e soprattutto, qualitativamente.

Le proteine delle carni hanno poi una sequenza aminoacidica tale da favorire gli enzimi proteolitici gastrici e intestinali, il che ne aumenta la digeribilità. Notevolmente elevata è la presenza di arginina, che stimola la secrezione dell’ormone della crescita (GH), aspetto che contribuisce a spiegare il rapporto tra il consumo di carne e la statura media della popolazione.

Nella carne sono presenti in quantità notevole anche gli aminoacidi ramificati (BCCA, Branched Chain Amino Acid); Leucina, Isoleucina e Valina essi rappresentano circa il 35% degli AA essenziali presenti nel muscolo (49g/Kg) e il 40% di quelli necessari al fabbisogno dell’uomo adulto (35mg/Kg/d). tali AA assolvono importanti funzioni, quali quelle di fungere direttamente da fonte energetica, di ottimizzare la glicogenesi (intervenendo nelle reazioni di transaminazione che portano alla formazione di alanina a partire dall’acido piruvico), di avere una funzione detossificante nei confronti dell’ammoniaca e di prevenire o ridurre la formazione di serotonina durante l’esercizio fisico.

3 . 3 I l g r a s s o d e l l a c a r n e

Il grasso è distribuito nell’organismo dell’animale al disotto della cute, e può essere suddiviso in più frazioni: grasso intermuscolare, presente tra un muscolo e l’altro e facilmente asportabile al momento del consumo; grasso perimuscolare presente attorno alle fibre di un muscolo ed infine il grasso intramuscolare o di marezzatura, che si trova tra le fibre del muscolo e non è asportabile al momento del consumo.

Il grasso intramuscolare è costituito in prevalenza da trigliceridi ed assume una funzione di riserva energetica per l’organismo, esso è qualitativamente e quantitativamente

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influenzato dalla dieta dell’animale, quindi intervenendo sulla razione dell’animale è possibile modulare la quantità e la qualità del grasso.

A livello delle membrane delle cellule muscolari si trova il così detto grano costituzionale, rappresentato in prevalenza da colesterolo e da fosfolipidi.

La formazione del tessuto adiposo può essere primaria o secondaria, quest’ultima riguarda i tessuti soggetti a variazioni di tipo quantitativo ed implica la trasformazione di fibrociti in cellule adipose.

Il grasso perifageo, perirenale e quello del collo si sviluppano per formazione primaria. Questi tessuti adiposi derivano da cellule mesenchimali fetali che assumono un aspetto epitelioide ed, essendo in intimo rapporto con i capillari, si caricano di goccioline di grasso fino alla successiva trasformazione in cellule adipose.

Il grasso di marezzatura e quello costituzionale presente nelle cellule, non potendo essere asportato dal consumatore, è quello che assume maggiore importanza nel determinare le caratteristiche del prodotto.

Negli ovini, la fase di sviluppo iniziale, è caratterizzata da un incremento di peso corporeo dovuto alla crescita del tessuto muscolare ed il limite di convenienza economica nel continuare l’allevamento e rappresentato dal momento in cui il ritmo di crescita muscolare diminuisce e quello della parte adiposa aumenta.

Il tenore di grasso influenza le caratteristiche dietetiche, nutrizionali ed organolettiche della carne, la sua presenza è ridotta sia alla nascita che nelle fasi giovanili, mentre la sua velocità di formazione aumenta con l’età fino a superare quella del tessuto muscolare.

Un altro fattore importante è il cambiamento dal punto di vista fisico che affronta il grasso con l’età, diventando più consistente e meno ricco di acqua, mentre dal punto di vista chimico si ha un aumento di trigliceridi.

Il tessuto adiposo varia anche in relazione al tipo di muscolo ed alla quantità di grasso intramuscolare o di copertura.

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I lipidi possono essere suddivisi in una componente saponificabile, comprendente i trigliceridi (TG) ed i fosfolipidi (PL) ed in quella insaponificabile, che comprende sostanzialmente gli steroli (colesterolo in particolare), le vitamine liposolubili, i pigmenti liposolubili, alcuni ormoni, ecc.

3 . 3 . 1

I t r i g l i c e r i d i

Sono esteri del glicerolo e sostanze non polari ed insolubili in acqua, hanno tre funzioni alcoliche in cui tutti gli ossidrili sono esterificati con acidi grassi (figura 3).

Negli animali, i trigliceridi funzionano come riserva energetica, visto che rappresentano la classe di lipidi più abbondante. I grassi rappresentano una forma molto efficiente di conservazione dell’energia metabolica, producendo, durante la loro ossidazione, più energia rispetto ai carboidrati ed alle proteine.

Figura 3: trigliceride

Negli animali gli adipociti sono specializzati per la sintesi e la conservazione dei trigliceridi e mentre alcuni tipi di cellule hanno soltanto poche piccole gocce di grasso disperse nel loro citoplasma, gli adipociti arrivano ad essere quasi completamente riempiti da vacuoli di grasso.

C CH2O O CH2O O C C CHO O R3FA R1FA R2FA

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3 . 3 . 2

I f o s f o g l i c e r i d i

I fosfogliceridi, che sono i principali componenti delle membrane biologiche, sono molecole anfifiliche con una coda alifatica non polare ed una testa polare costituita dal gruppo fosforil-x . Quelli più semplici, presenti in piccole quantità nelle membrane biologiche, sono gli acidi fosfatidici (Voet e Sons, 1990).

I fosfolipidi più rappresentati nelle membrane biologiche sono tuttavia più complessi; il gruppo X può essere infatti un alcol, inositolo, come nel caso del fosfatidilinositolo (PI), una base azotata, colina, come nel caso della fosfatidilcolina (PC) e etanolammina come nel caso della fosfatidiletanolammina (PE) o un amminoacido, serina, come nel caso della fosfatidilserina (PS)

Figura 4: fosfolipidi della carne

Il fosfatidilinositolo nei tessuti animali è la fonte primaria di acido arachidonico, che è il precursore degli eicosanoidi; sembra favorire il legame tra certe proteine e la membrana

Fosfatidilinositolo Fosfatidiletanolammina

Fosfatidilserina Fosfatidilcolina

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plasmatica, nelle cellule di origine animale e vegetale, rappresenta la fonte principale di diacilglicerolo, una molecola che partecipa alla trasduzione cellulare (Kent, 1995; Payrastre et al., 2001).

La fosfatidilcolina, il fosfolipide più abbondante nei tessuti animali e vegetali, è il responsabile del mantenimento della struttura delle membrane cellulari, interviene nei meccanismi di regolazione del metabolismo cellulare ed anche nella comunicazione intercellulare grazie al diacilglicerolo che si genera dalla sua idrolisi.

La fosfatidiletanolammina ha un ruolo importante nei sistemi di trasporto cellulari; essa interviene nel passaggio delle proteine di membrana dal citoplasma alla membrana stessa, ed una volta giunte nel sito preposto interviene anche sull’assemblaggio; a questo punto del processo interviene orientando gi enzimi nello strato più interno della membrana (Bogdanov et al. 1999). La fosfatidiletanolammina costituisce la fonte principale di acidi grassi polinsaturi (PUFA) nei tessuti di origine animale, infatti presenta una composizione acidica in cui sono molto presenti gli acidi grassi della serie n-3 e n-6, che in certi casi risultano fondamentali nel corretto sviluppo dell’organismo. La fosfatidilserina che si distribuisce nello strato più interno della membrana cellulare, è un cofattore essenziale nell’attivazione delle proteine chinasi C ed è anche coinvolta nel processo di coagulazione del sangue. Essendo il fosfolipide anionico più abbondante, è il maggior responsabile dei fenomeni che si verificano nell’interfaccia della membrana e che coinvolgono interazioni elettrostatiche non-specifiche (Buckland et al., 2000). Infine rappresenta una buona fonte di PUFA, in quanto, come la fosfatidiletanolammina, presenta una composizione in acidi grassi molto ricca in PUFA della serie n-3 e della serie n-6.

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3 . 3 . 3

G l i s f i n g o l i p i d i

Le sfingomieline costituiscono una delle tre sottoclassi degli sfingolipidi, e sono composte da una molecola di un acido grasso a catena lunga, una molecola di amino alcol a catena lunga, la sfingosina, ed una testa polare alcolica (figura 5) (Lehninger, 1993).

Nelle sfingomieline, il gruppo ossidrilico sul C1 della sfingosina è legato ad un gruppo fosforico, che a sua vota è impegnato in un legame estere con un residuo di colina o di etanolammina.

Le sfingomieline, come i glicerofosfolipidi, sono composti anfipatici e fanno parte del doppio strato lipidico di numerose membrane cellulari (Ritter,1998).

Figura 5: sfingomielina

3 . 4 G l i a c i d i g r a s s i

In natura sono presenti acidi grassi liberi o esterificati con una funzione alcolica della glicerina nei trigliceridi o nei fosfolipidi o con l’ossidrile del colesterolo.

Gli acidi grassi sono idrocarburi con catena alifatica costituiti da un gruppo carbossilico iniziale COOH, da un gruppo metilico terminale CH3 e da un numero variabile di atomi

di carbonio intermedi. La catena carboniosa può essere caratterizzata dalla presenza di legami semplici, acidi grassi saturi, o da uno o più doppi legami, ed in questo caso vengono detti acidi grassi insaturi.

Tra gli acidi grassi insaturi è possibile distinguere i monoinsaturi, se nella catena è presente un solo doppio legame, diinsaturi se sono presenti due legami doppi, triinsaturi se nella catena esistono tre legami doppi e polinsaturi se ci sono più di tre legami doppi.

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Nelle piante e negli animali superiori, gli acidi grassi predominanti sono quelli con catena carboniosa composta da 16 o 18 atomi, come l’acido palmitico (C16:0) l'acido oleico (C18:1), l'acido linoleico (C18:2) e l'acido stearico (18:0).

Gli acidi grassi con meno di 14 atomi di carbonio o con più di 20 atomi di carbonio sono meno frequenti. La maggior parte degli acidi grassi hanno un numero pari di atomi di carbonio, in quanto vengono sintetizzati a partire da "unità" a due di atomi di carbonio (Voet e Sons, 1990).

Gli acidi grassi sono delle sostanze molto importanti per la nutrizione umana e per il metabolismo animale, in quanto interagiscono con il complesso metabolismo lipidico. Nell’uomo questo può determinare situazioni che prevengono o favoriscono insorgere di patologie soprattutto a carico del sistema cardiocircolatorio, e limitare la quantità di grassi e di colesterolo nella dieta è considerato di fondamentale importanza ai fini della prevenzione dell’obesità e dell’ipercolesterolemia, connessa direttamente con alcune patologie croniche del sistema circolatorio.

La carne e alcuni prodotti da essa derivati sono stati e lo sono tutt’ora coinvolti nelle problematiche sopra accennate e, in particolare, da tempo tali alimenti sono accusati di contenere troppi grassi, troppi grassi saturi e troppo colesterolo (Chizzolini et al. 1996). Risulta opportuno quindi determinare la composizione acidica di un alimento, cioè operare la determinazione quanti-qualitativa degli acidi grassi e del colesterolo al fine di conoscere la qualità della frazione lipidica del alimento preso in considerazione, dal punto di vista nutrizionale e funzionale.

Il grasso intramuscolare si riferisce agli acidi grassi presenti nel tessuto intramuscolare

e nelle fibre muscolari. Esso è composto da cellule di grasso, isolate o riunite in cluster, lungo le fibre e nella zona interfascicolare il grasso è formato in prevalenza da triacilgliceroli, mentre i lipidi delle fibre vere e proprie sono goccioline citosoliche di triacilgliceroli, fosfolipidi e colesterolo.

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L’ammontare dei trigliceridi nelle fibre è solo una piccola parte del totale di quelli contenuti nel grasso intramuscolare, nel muscolo il contenuto di fosfolipidi è relativamente costante ed è in minima parte influenzato dalla specie, razza, nutrizione ed età. Tuttavia, il contenuto in fosfolipidi dipende dal tipo di metabolismo delle fibre del muscolo. I muscoli maggiormente ossidativi contengono una quantità maggiore di fosfolipidi, questo a causa della maggiore presenza di mitocondri.

I fosfolipidi sono caratterizzati da un alto contenuto di PUFA (da 20 al 50% di acidi grassi del totale dei fosfolipidi) principalmente rappresentati da acidi grassi a lunga catena con 18, 20 e 21 carboni aventi da due a sei doppi legami. A differenza dei fosfolipidi, il contenuto dei triacilgliceroli varia notevolmente, tra 0.2 e 5 g/100g di tessuto (Sinclair et al, 1990) e questo a carico del livello di grassi, la razza e l’ubicazione del muscolo. La maggior parte dei triacilgliceroli è composta da acidi grassi saturi (SFA) e acidi grassi monoinsaturi (MUFA), mentre il contenuto in PUFA (prevalentemente LA e LNA) può variare tra 2 e 30g/100g degli acidi grassi totali. Gli acidi grassi polinsaturi contenuti nei triacilgliceroli sono influenzati principalmente dalla specie. La composizione intramuscolare in acidi grassi degli animali monogastrici, ed in particolare i triacilgliceroli sono il riflesso degli acidi grassi contenuti nella dieta, mentre nei ruminanti la bioidrogenazione (vale a dire la saturazione, durante la dieta, degli acidi grassi insaturi) è responsabile delle piccole variazioni della composizione in acidi grassi della parte intramuscolare. La parte fosfolipidica è meno influenzata dalla dieta, perché essi sono costituenti delle membrane cellulari. Grandi cambiamenti nella composizione in acidi grassi della membrana cellulare modificherebbe le proprietà e le altre funzioni fisiologiche della membrana stessa. Pertanto, la porzione di PUFA dei fosfolipidi è strettamente controllata da un complesso sistema enzimatico, costituito da desaturasi ed elongasi, responsabili della conversione di LA e LNA nei propri metaboliti a lunga catena.

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Questi enzimi agiscono sia sugli acidi grassi n3 che sugli n6, ma hanno una preferenza per gli n3 (Brenner, 1989). Inoltre esiste una concorrenza per l’incorporazione nei fosfolipidi degli acidi grassi n6 e n3, di conseguenza esistono delle variazioni sul contenuto di acidi grassi n6 e n3 nei fosfolipidi. Alcune differenze nel rapporto tra n6/n3 sono relative alla fornitura di acidi grassi nella dieta e dipendenti anche dalla specie. Le carni provenienti dai monogastrici generalmente hanno un rapporto n6/n3 più elevato dei ruminanti, e questo dipende dalla dieta a base di grano, ricca di LA.

La composizione intramuscolare in acidi grassi è influenzata da diversi fattori, tra cui la fornitura di acidi grassi contenuta nella dieta è generalmente considerato il più importante.

È stato dimostrato che il livello di grassi è inversamente proporzionale al rapporto P/S, osservato principalmente da carne proveniente da ruminanti. Oltre a fattori genetici, il profilo in acidi grassi della parte intramuscolare è influenzato anche da fattori nutrizionali, spesso collegati ad una particolare strategia di alimentazione o sistema di produzione.

3 . 4 . 1

G l i a c i d i g r a s s i s a t u r i ( S F A )

Già negli anni ’80, nei paesi ad economie avanzate, le linee guida per una corretta alimentazione proponevano una riduzione nell’ingestione degli acidi grassi saturi. All’interno del gruppo degli acidi grassi saturi viene fatta una distinzione tra SFA ipercolesterolemici e trombogenici, questo perche il processo di aterosclerosi e quello di trombosi coronaria sono due fenomeni differenti (Ulbright e Southgate, 1991).

Un eccesso di acidi grassi saturi nella dieta alimentare può determinare un aumento del livello serico di colesterolo, e numerosi studi hanno dimostrato la sua relazione con un alta incidenza di malattie cardiovascolari (CHD).

Gli acidi grassi saturi non manifestano tutti lo stesso comportamento nei confronti dell’aumento serico del colesterolo ed è opportuno fare delle distinzioni: gli SFA con

Figura

Figura 4: fosfolipidi della carne
Figura 6: metabolismo degli acidi grassi n3 e n6, (Schmitz e Ecker, 2008).
Figura 7 :  gli acidi grassi n3 e n6 sono immagazzinati in membrane fosfolipidiche ed in corpi lipidici e  vengono  rilasciati  attraverso  l'azione  della  PLA 2
Tabella 2. Composizione chimica delle tre regioni anatomiche (g/100g di sostanza  secca)
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